ANOTHER
WAY
UN
ALTRO
MODO DI ESSERE VAMPIRO
Capitolo
Bonus 2
Sorridi, Ranocchia!
Provincia
di Dublino, 13 Febbraio
2014, casa di Niklas Reiter.
Regnava un
silenzio quasi innaturale in quella casa dove stavano convivendo ben
quattro
vampiri di diverse nazionalità.
Taylor, il più giovane e ultimo trasformato tra quei quattro
–relativamente
parlando, perché dimostrava circa vent’anni, tre
più di Niklas, il padrone di
casa- si alzò, verso inizio pomeriggio, per fregare dalla
dispensa una delle
sacche di sangue di Stoyán, il più anziano
nonché mentore di tutti loro: li
aveva aiutati nei momenti più duri, era il loro amico
più prezioso, ma il
languorino che aveva lo costringeva a placare presto quella sua sete di
sangue,
e di uscire non ne aveva proprio voglia.
Prima di recarsi in cucina, andò prima in bagno, desideroso
di darsi una
rinfrescata al viso.
Solo che, quando aprì la porta, gli si presentò
davanti uno spettacolo niente
male.
Charlotte, l’unica donna della casa, era appena uscita dalla
doccia,
completamente nuda; l’unico asciugamano della stanza era sui
suoi lunghi
capelli castani, che li stava frizionando con la salvietta per
asciugarli un
po’ prima di passare al phon.
La vampira francese era di schiena, e nonostante il vapore dovuto
all’acqua
calda alleggiasse per il bagno, si vedevano fin troppo bene le sue
forme
sinuose e abbondanti.
Taylor rimase qualche secondo a fissarla, completamente perso in quella
visione, prima che la ragazza si accorgesse della sua presenza,
probabilmente
avvenuta per uno spiffero freddo dovuto alla porta aperta.
Si girò di scatto, coprendosi velocemente con
l’asciugamano e cacciando uno
strillo imbarazzato, seguito da un: “Taylov!” detto
con rimprovero e sorpresa.
Il vampiro dai corti capelli color sabbia si riscosse,
borbottò delle scuse
smozzicate e richiuse immediatamente la porta alle proprie spalle,
appoggiandosi ad essa con un sospiro.
Cavoli, doveva ammettere che Charlotte era insopportabile, quel suo
difetto di
pronuncia irritante, però… in quel momento aveva
maledetto quel particolare che
i vampiri non potevano riflettersi allo specchio, perché in
quel caso avrebbe
potuto dare una sbirciata anche al suo gran davanzale…
Scosse il capo, per mandar via quei pensieri che solitamente non aveva.
Lui non sopportava lei, lei non sopportava lui, solo Stoyán
faceva loro da
tramite e tutto questo andava più che bene.
“Sei
un
guavdone.” Soffiò irritata la vampira, una volta
asciugata e vestita,
ravvivandosi indietro i vaporosi capelli castani, mentre faceva il suo
ingresso
nell’ampia stanza che comprendeva cucina a destra e salotto a
sinistra.
Taylor inarcò le sopracciglia, alzando la testa per
guardarla meglio.
“Scusa, che hai detto? Parla bene, invece di gracidare,
Ranocchia.”
Ranocchia era il suo personalissimo insulto/nomignolo nei confronti di
Charlotte.
Perché Ranocchia?
Ovviamente era tutto collegato: Francia, cibo, ranocchie. I francesi
mangiavano
le ranocchie e dato che lei era francese era risultato molto semplice
associarla a quella parola.
Okay, mangiavano solo le cosce, ma sempre rane erano.
“Io non gvacido! E non sono una vanocchia!”
ribatté ancora la giovane donna,
stringendo le mani in pugni, pronti a colpire, se necessario.
“Come no… guarda lì, hai pure la faccia
verde.” la prese ancora in giro,
indicandola con un gesto circolare dell’indice.
Ci provava davvero gusto a provocarla, era uno spasso.
“Ah!” esclamò trionfante la vampira:
“Qui sbagli, cavo mio! Quello con la faccia
vevde di solito sei tu con le tue vidicole mascheve di
bellezza!”
Aehm.
“Touché.”
Ammise, alzando le mani in
segno di resa, prima di riprendere a bere il sangue della sacca fregata
a
Stoyán.
In effetti, faceva spesso uso volentieri dei prodotti per la pelle, che
fossero
creme, maschere, o tanto altro. Ci teneva a tenere bella la sua
epidermide: il
fatto che fosse morto e resuscitato come cadav- ehm, vampiro, non
voleva
automaticamente dire di tenersi male, vedi Niklas.
Quell’austriaco girava peggio messo di un barbone…
non per niente si nutriva
della maggior parte della gente di quel determinato ceto sociale.
Vide Charlotte sorridere soddisfatta di quella sua piccola vittoria
giornaliera.
“Così sembri proprio la rana dalla bocca larga,
con quel sorriso da un orecchio
all’altro…” quella sua ultima frase
riaccese la discussione, causando il
risveglio di Stoyán che rispedì a letto entrambi
i giovani, rabbioso.
A fine
giornata, ovviamente era giunta la sera.
Niklas salutò con un grugnito, borbottando qualcosa sul
fatto che doveva uscire
a mangiare.
Stoyán aveva salutato a sua volta prima di recarsi al
lavoro: era stato assunto
come addetto alle pulizie serali in un ufficio, e così
Charlotte e Taylor si
erano ritrovati a casa da soli, seduti sul divano.
Non era la prima e nemmeno l’ultima volta che succedeva, ma
il silenzio
imbarazzante che cadeva ogni volta era un po’ sfiancante.
Così Taylor decise di rompere quella routine,
con…
“Ti va… di uscire fuori? A bere, dico.”
Si affrettò di aggiungere, salvo
fraintendimenti.
La castana lo fulminò con lo sguardo, fissandolo con aria
critica, come a
captare una qualche trappola.
Rimase con quell’espressione per un paio di minuti buoni,
prima di dare il suo
responso.
“D’accordo.” Sibilò, alzandosi
per andare a prendere il cappotto.
Il vampiro alzò gli occhi al soffitto, esasperato,
maledicendo la volta che
aveva aperto bocca.
Nonostante tutto, si preparò a sua volta, passando circa tre
quarti d’ora in
bagno prima di farsi trovare davanti alla porta.
“Ci hai messo una vita!” lo rimproverò
lei, aprendo l’uscio per recarsi fuori
dalla abitazione.
“Dovevo finire di farmi la barba e mettermi la crema, darmi
una sistematina
alle unghie…” si lagnò il ragazzo,
prima di venir interrotto da un beffardo:
“Potevi favlo pvima.” Della coinquilina.
“Prima non ne avevo voglia, ranocchia, pensaci prima di aprir
quella bocca
larga.” La schernì subito l’altro, acido
come del latto rancido lasciato per
mesi in frigo.
Come poteva permettersi di fargli la predica?
Lui non si lamentava mai quando lei occupava il bagno, sapeva tutte le
implicazioni che c’erano nello prepararsi, e solo
perché lui era un uomo non
voleva dire che doveva metterci poco tempo.
“La smetti di chiamavmi vanocchia? È
pesante.” Sbottò Charlotte, mentre il
rumore delle sue scarpe con il tacco risuonavano sull’asfalto
della strada come
schiocchi, facendo un gran rumore.
“Dici Ranocchia? Ti si addice. O preferisci
gallina, in riferimento all’antica Gallia? O ancora, peripatetica,
in
rappresentanza della tendenza di voi francesi ai facili costumi? Lumaca? Ma no, quello lo
userò solo
quando sbaverai dietro
Stoyán…” rise
di gusto, tanto da tenersi la pancia con le mani, soddisfatto di tutti
gli
epiteti che era riuscito a trovare.
Solo che doveva aver detto una parola di troppo, perché la
donna si fermò,
lasciandolo proseguire da solo per qualche metro.
“Ehi, che ti prende? Andiamo, scherzavo.” Non erano
dette con cattiveria, erano
semplici… insulti.
Come quando lei chiamava lui donnicciola,
fighetta.
“Mi hai dato della pvostituta. ” il tono era
piatto, privo d’espressione.
Taylor si fermò e si voltò per riavvicinarsi un
po’.
“Ho detto che scherzavo. Dai, torno a ranocchia, va
bene?”
“Tu che ne sai delle pvostitute?” ora era fredda,
distante, altezzosa. “Cosa ne
sai tu di quello che costvinge una donna a fave la pvostituta? Non nego
che ci
sia qualcuna che lo faccia per piaceve, ma c’è
anche chi è costvetta a fave
quella vita, a sovbive chissà quali pevsonaggi,
finché qualcuno non avviva a
toglievla dalla stvada.”
“Ehi, così sembra che l’hai presa sul
personale.” Cercò di sdrammatizzare il
ragazzo, alzando appena l’angolo della bocca.
“Non sembva. Lo è.” Ringhiò
la francese, dandogli uno spintone così forte da
mandarlo dritto disteso a terra.
Una volta a contatto con la strada, Charlotte lo tenne
sull’asfalto
piantandogli il tacco proprio sullo sterno, con forza.
“Vai a quel paese, Taylov. O fovse dovvei
chiamavti…”
“Non dire quel nome!” la bloccò
l’interpellato con un tono strozzato.
Odiava il suo vero nome e odiava sentirlo pronunciare.
La donna lo guardò sprezzante, prima di lasciarlo e voltarsi
offesa,
ripercorrendo la strada fatta poco prima per tornare a casa.
Probabilmente quella stupida avrebbe digiunato…
Il
giorno dopo, San Valentino, venerdì
mattina, sempre a casa di Niklas.
Charlotte si
era davvero rifiutata di uscire a mangiare pur di non incontrare
Taylor.
La giovane donna si era chiusa nella propria stanza e si rifiutava di
uscire.
Niklas non ci aveva badato granché, pensava fosse solo un
capriccio ed era
andato a scuola senza farsi troppi problemi.
Taylor invece era rimasto a rimuginare sull’accaduto, mentre
si massaggiava la
parte lesa dal tacco a spillo, cercando un qualche pensiero che non lo
facesse
sentire in colpa.
Se lei aveva ammesso che se la era presa perché la cosa era
appunto personale,
voleva dire che lei stessa o qualche sua conoscenza aveva vissuto da
prostituta.
Aveva venduto il suo corpo e la sua dignità per
sopravvivere.
Prima o dopo l’essere diventata un vampiro? Ma questo non
aveva importanza.
Il punto era che lui era uno sciocco e si era spinto oltre, troppo
oltre,
quella volta.
Si morse il labbro, indeciso.
Avrebbe potuto chiedere a Stoyán aiuto, ma l’uomo
stava dormendo e non voleva disturbarlo.
Così, dopo essersi imbacuccato a dovere per affrontare la
giornata, uscì.
Il tempo sembrava dalla sua parte: nuvoloso. Ottimo inizio, non
rischiava di
morir bruciato.
Si tolse il cappellino che si era messo e se lo infilò in
tasca, tenendosi
comunque gli occhiali da sole come sicurezza. Non avrebbero fatto
molto, ma lo
rendevano figo e tanto bastava.
Si recò a passo svelto fino alla piazza del paesino e si
guardò attorno, alla
ricerca del negozio che faceva al caso suo.
***
Quell’insulso
e maledetto Taylor.
Lui e quella sua boccaccia!
E poi Stoyán si chiedeva perché loro non potevano
andare d’accordo… ah!
Sarebbe morta prima di riuscire a stare con lui nella stessa stanza
senza
insultarlo.
E ci teneva parecchio alla propria pelle, quindi quel rapporto sarebbe
rimasto
così per parecchio tempo.
Sapeva solo “scherzare”, il cretino!
Perché lui non aveva vissuto nulla del genere. Non era stato
preso dalla sua
famiglia e poi abbandonato dal proprio creatore.
Anzi, quello sì. In effetti avevano quella cosa in comune.
Ma lui poi era stato raccolto e allevato da Stoyán, mentre
lei aveva patito le
pene dell’inferno, sotto luride mani, prima di essere salvata
da Ginevra e
Artorius, la coppia di vampiri che l’avevano accolta come
propria figlia.
I due poi l’avevano abbandonata di nuovo, e lei si era
sentita nuovamente
perduta, prima che il vampiro bulgaro giungesse in suo aiuto.
E grazie a lui, di recente, aveva ritrovato i due suddetti vampiri e
aveva
scoperto il perché della loro fuga improvvisa.1
Strinse le labbra e si asciugò una lacrima
sfuggita al suo controllo,
tamponandosi l’angolo dell’occhio con un
fazzoletto, in modo da non danneggiare
il trucco presente ancora dalla sera prima.
Non ci teneva ad andare in giro in modalità panda depresso.
Strinse il lenzuolo tra le dita, stesa sul letto, quando un bussare
alla porta
attirò la sua attenzione.
Fissò quel pezzo di legno con astio, prima di tornare a
guardare ostinatamente
il muro, imbronciata.
Non voleva vedere nessuno, e nessuno sarebbe entrato.
Era ancora troppo presto perché Niklas fosse tornato da
scuola, e troppo presto
perché Stoyán fosse già in piedi.
Perciò, l’unico, poteva essere solo…
“Ranocchia, aprimi.”
“No, Taylov. Vattene.” Sibilò, mentre
l’idea di azzannarlo e di farlo a
brandelli la allettava più che mai. Altro che tacco a spillo
sullo sterno,
avrebbe dovuto renderlo paraplegico.
Lo sentì sospirare, afflitto.
“Vabbeh, toh.”
Spinta dalla curiosità –maledizione!-
alzò il capo appena in tempo per vedere
un foglietto scivolare sotto la porta.
Un foglietto.
Doveva esserci scritto qualcosa, non poteva essere bianco, no?
Si alzò, quatta quatta, e lo prese lesta, tornando a
rannicchiarsi sul letto
per aprirlo.
Erano una serie di lettere maiuscole e minuscole con numeri a casaccio,
di
circa otto cifre.
Non poté trattenersi dal chiedere spiegazioni, anche se una
idea ce la aveva:
“Cos’è?” domandò,
sospettosa.
“Se mi apri te lo dico, altrimenti nulla.” Pose
come condizione quello stupido.
La curiosità è donna.
Ma la curiosità uccise il gatto.
Se la curiosità è donna, Charlotte era la
curiosità, e in tal caso avrebbe
ucciso il gatto, ovvero Taylor, che continuava a stuzzicarla
imperterrito.
Si accostò alla porta e aprì appena uno
spiraglio, pronta a graffiargli la
faccia, che si trovò davanti un piccolo mazzo di giacinti
color porpora.
Oh.
“Mi dispiace, ranocchia. Non volevo offenderti.
Cioè, anche ora, lo sai che è
il tuo nomignolo…” borbottò il vampiro
dai capelli color sabbia, grattandosi la
nuca un po’ a disagio.
Lei prese i fiori e aprì un po’ di più
la porta, rivelandosi la sua mise.
Babydoll rosa praticamente trasparente con mutandine di pizzo dello
stesso
colore, che fecero voltare Taylor da un’altra parte.
“La solita… non potresti metterti in tenuta da
casa come fa Nik? Una semplice maglietta
e pantaloni della tuta, mica devi andare ad una
sfilata…” mugugnò, coprendosi
gli occhi con una mano.
“Io mi tvovo bene così, sto comoda
così.” Rispose piccata la francese, per poi
mostrare il biglietto.
“Ho chiesto: Che cos’è?”
domandò, con un tono indecifrabile. Sembrava disagio
misto paura con un pizzico di riconoscenza.
“Uhm… è la password del computer di
Niklas. Hai ancora due ore prima che torni,
così puoi giocare a quel robo che fai finta di odiare quando
in realtà si vede
che sei una nerd nascosta.” Spiegò, mentre lei lo
guardava a bocca aperta.
Ma…! Ma…!
“Non mi piace!” sbottò ad alta voce,
prima di sentire un verso lamentoso di Stoyán
provenire dalla camera accanto ed abbassare i toni.
“Io non… non gioco a…. non mi piace
quella voba…” disse a denti stretti,
mostrando i canini.
Odiava quella parte di sé e odiava che quella fighetta ne
fosse a conoscenza.
“Sì, sì, e io odio andare
dall’estetista…! Ma va’ a giocare e
zitta!” la
provocò lui, con un sorrisetto che sembrava dire Coraggio, picchiami!
Ma non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
“D’accovdo, d’accovdo! Contvollo se sono
avvivate email e poi chiudo!” borbottò
lei, scostandolo malamente per poter raggiungere il divano e mettersi
sulle
gambe il portatile.
“E… questi a cosa sevvono?”
domandò poi, titubante, agitando il mazzolino che,
senza accorgersene, si era portata dietro.
Doveva ammettere che quelle scuse le avevano fatto piacere e
l’avevano
rabbonita un po’ nei suoi confronti. E anche i fiori,
sì.
“Sono giacinti. Per farmi perdonare.”
Buttò là il giovane, per poi guardarla di
sottecchi.
“Che c’è? Che hai da
guavdave?” soffiò indispettita la vampira per
tutta quella
attenzione nei suoi confronti.
Taylor sbuffò divertito.
“Sorridi, ranocchia! Non mi offendo mica, sai.”
Ah, voleva pure la soddisfazione di sapere che lei lo aveva perdonato.
Ma non così in fretta.
Avrebbe dovuto sopportare ancora un po’ i suoi sensi di
colpa, così imparava.
Richiuse il portatile, alzandosi per tornare in camera a prepararsi.
“Pvima povtami a beve da qualche bell’uomo
decente.” Disse, pizzicandogli il
naso per dispetto, cosa che provocò una piccola smorfia sul
volto di Taylor.
“Poi ne vipavliamo.” Concluse, ancheggiando fino a
sparire nella stanza, non
prima di aver lanciato un sorrisetto divertito all’indirizzo
del coinquilino,
che ricambiò con un altrettanto sorriso soddisfatto.
“ E muoviti a pvepavavti, che poi il bagno lo devo usave io,
fighetta!”
1 Per saperne di più,
se non lo avete
fatto, leggere Secrets
from the past
AskAnotherWay
Il
gruppo Facebook
Parla Tomocchi: uhm.
Da dove iniziare. Questa Os (un po’ missing moment,
perché è ambientata comunque
all’interno della storia principale e spiega
perché Char e Tay a S. Valentino non erano in casa
–Stoyán si sa che era al
lavoro-) è nata dal post di
Ludovica/Blackrose_96 sul mio gruppo FB, che recitava
“Secondo me Taylor e
Charlotte hanno avuto (o avranno) una relazione *fugge via dalla
lapidazione*”
sostenuta da commenti come “Chi si odia si ama. Vedi Niklas
con Jackie U.U”
oppure “Anche a me hanno dato quest’impressione
*-*”… poi mi è stata suggerita
una trama eh… come potevo dire di no? Dopo circa un mese e
mezzo (il post ho
notato che risale al 30 marzo x°D) ho partorito dopo 5 ore e
mezza di travaglio
questa creaturina. Spero che le fan di AW siano contente x°D
non è nulla di
troppo romantico, e i fiori ci stanno sempre, secondo me. Il vero
regalo per
farsi perdonare è la pass del pc di Nik x°D
I giacinti color
porpora, nel linguaggio dei fiori, significano proprio
“Perdonami”,
un tentativo di comprensione e di scuse, mi pare.
Sappiatemi dire
°3°