«Questa
è velenosa».
Le
parole di Katniss mi rimbombarono in testa. Il
ricordo della sua voce si mescolava con quello dei colpi di cannone del Bagno
di Sangue. Lo aveva detto ad una Sessione di Addestramento, mostrandomi una
delle decine e decine foglie sullo schermo.
Osservai
la pianticella che nasceva davanti al mio naso, non riuscivo a distinguere bene
la sua tonalità di verde, ma la sagoma della sua foglia era innaturalmente nitida
e chiara nella notte. Allungai una mano per sfiorarla.
«È
velenosa» dissi tra me e me, così basso che non riuscii nemmeno a sentirmi,
stringendo la foglia tra i polpastrelli. Velenosa.
Katniss
era sull’albero. I Favoriti intorno a me. Io per terra. Una pianta velenosa mi
guardava e chiedeva di essere raccolta, di essere messa in bocca a Cato e gli altri, di essere usata per vincere – per
salvarla.
È
velenosa.
No.
Chiusi gli occhi, lasciando la foglia e coprendomi le labbra secche con le
dita, le sentivo sporche contro la pelle. Forse l’avevo toccata in un modo
sbagliato, forse era rimasto del veleno sulle mie dita e forse ora stava
entrando dentro di me. Appoggiai la mano per terra e strinsi i denti. Non volevo
morire avvelenato.
Non potrei mai morire avvelenato,
non ne avrei il coraggio.
Respirai
a fondo, lasciando che l’aria acre e pungente mi entrasse nei polmoni, dandomi
una sensazione di fresco e vita. Mi sentivo pesante, presente nel mondo, vivo
per uno scopo. Non ero morto. Non ero morto avvelenato.
La
pianta era ancora nella mia testa. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a
cacciarla fuori: bruciare il suo ricordo per lasciare lo spazio a nuove
sensazioni – più piacevoli, magari, come l’odore del pane o il nero lucente del
carbone. La pioggia, l’acqua, la farina, lo zucchero.
Katniss.
La
sagoma della foglia ricalcava perfettamente il suo viso spigoloso, riuscivo ad
immaginare lo scheletro di lei come quello di una foglia. O la sua treccia
ornata di rampicanti e fiori. Ricordai il suo sorriso nello spiegarmi quali
piante fossero velenose, quali commestibili, quali – semplicemente – piante:
innocue.
Katniss
era sopra l’albero. Forse dormiva.
La
pianta velenosa era ancora davanti a me – mi girai per cercare di allontanarmi
da lei.
Ma
era difficile: perché quella pianta è la stessa da cui Katniss
mi confessò che avrebbe preso del veleno per le frecce, se l’avrebbe trovata.
È davvero velenosa, Peeta.
Mi
portai una mano al petto, dove immaginavo una ferita aperta e il fantasma di un
dardo scagliato da Katniss sopra l’albero. Sangue che
mi colava sulla pelle e si estendeva sotto di me come un letto di rose.
Katniss
mi aveva avvelenato. Mi avvelenava tutte le volte che mi parlava, mi guardava,
mi sfiorava. Katniss era veleno sulla pelle e sul
cuore.
Katniss
non si poteva avere.
Note d’Autrice.
Mi
ero promessa di non scrivere più su Hunger Games, ma da quando ho aperto l’askblog [link] mi sono
condannata anche a questa possibilità.
Quindi!
Ringrazio Deb
per avermi promptato Peeta
[link
al prompt] e per avermi detto “sì” quando le
dissi “quasi quasi la pubblico su EFP”.
Non
ho particolari avvertenze da fare in questa fan fiction, solo che – vorrei
puntualizzare – che, essendo nei 74esimi Hunger Games, Peeta è più cotto che
innamorato di Katniss e in questo stralcio di
quattrocento parole sono entrati in gioco anche altri fattori psicologici e via
dicendo. Insomma, io non lo ritengo così OOC ma la voce del popolo è la vostra.