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Autore: Flaesice    14/05/2014    1 recensioni
Penelope Penthon è una ragazza bella, sfacciata ed intraprendente; una ragazza che non si è mai arresa alle difficoltà della vita, che si è fatta da sola ed odia i pietismi.
Nel suo mondo non esistono le mezze misure: tutto deve essere necessariamente o bianco o nero, giusto o sbagliato.
Ma nella vita - prima o poi - si è sempre obbligati a scontrarsi col grigio, ed è proprio allora che tutte le certezze crollano e bisogna mettersi in discussione.
E' ancora una ragazzina quando per gioco decide di sedurre un suo compagno di scuola, il riservato Nathan Wilkeman, per poi allontanarlo definitivamente.
Il destino li farà incontrare cinque anni dopo nella meravigliosa Los Angeles; Penelope sempre più votata al suo stile di vita, ma Nathan?
Decisamente più esperto e meno impacciato cercherà di prendersi una piccola rivincita per il passato, ma si sa che la passione non è un'emozione facile da gestire nemmeno per una come Penelope.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo VI

Rientrai in casa alle sei del pomeriggio, le luci spente e le imposte chiuse erano un chiaro segno che Tanya non fosse in casa.
Gettai giacca e borsa sul divano, tolsi le decolté camminando a piedi scalzi fino al bagno dove indossai una tuta comoda e presi un elastico per legare i capelli.
Andai in cucina a prendere il laptop posato sul tavolo e, mentre attendevo che la schermata principale prendesse avvio, presi una fetta di pane bianco da sgranocchiare.
Tornai in soggiorno e mi lasciai sprofondare sul divano col PC in grembo, aprii la cartella della posta elettronica personale dove trovai pubblicità, offerte e...oh, un e-mail di Jack che recitava: “Stasera allo Shine. Passo a prenderti alle nove?”
Sorrisi spontaneamente allo schermo, sapevo già dove voleva andare a parare quell’invito.
Frequentavo Jack da un paio di mesi, non era una cosa seria però mi piaceva stare con lui; era un tipo che andava sempre diritto al punto, un uomo che sapeva bene quel che voleva e come prenderselo senza troppi giri di parole.
A dirla tutta eravamo molto simili.
Apprezzavo i suo modi di fare schietti, erano l’unico motivo per il quale ancora decidevo di incontrarlo.
Ovviamente non che gli concedessi l’esclusiva, anche se era difficile per me trovare qualcuno di interessante con cui trascorrere qualche ora in allegria dato che non  riuscivo a tollerare tutti quegli imbecilli che cercavano di conquistare una donna con menate romantiche quando era chiaro come il sole che tutti ambissero ad un unico scopo.
Stupidi palloni gonfiati, senza palle.
Presi a digitare poche semplici parole come risposta: “A più tardi”
Mi stava bene così, non cercavo quel “di più” a cui ambivano le altre ragazze.
Avevo ventitré anni, un lavoro che adoravo ed un’ampia scelta di uomini con cui potermi divertire.
Richiusi lo schermo e portai alla bocca l’ultimo pezzo di pane bianco.
Lo scatto della serratura attirò la mia attenzione, mi voltai e sull’uscio della porta intravidi la figura della mia amica - alta e slanciata, con la lunga chioma di capelli biondi - a dominare lo scenario.
«Ehi bellezza» mi sorrise cordiale.
Era bellissima anche solo con indosso jeans,  tshirt e scarpe sportive.
«Buonasera tesoro, tornata dalla lezione di yoga?» mi alzai seguendola in cucina, la vidi prendere una mela dal cesto della frutta e mordere la polpa senza nemmeno sbucciarla.
«Ehm, sì. Molto rilassante» poggiò i fianchi sul ripiano dell’isola «Tu, novità?»
Ripensai alla mia giornata di lavoro, eccome se avevo delle novità.
 «Sì, in effetti sì» annuii.
«Oh davvero? Sputa il rospo» morse ancora la mela, il rosso delle sue labbra contrastava con l’interno bianco del frutto.
«Oggi ho conosciuto il nuovo graphic design che ha assunto Bill» mi fermai un istante.
«Allora? E’ carino?» mi sorrise complice, negli occhi la solita luce maliziosa.
«E’ Wilkeman. Nathan Wilkeman» allargò lo sguardo stupita «Già, proprio lui» risposi alla sua domanda inespressa.
«Ma chi? Lo sfigato?» gettò il torsolo della mela nella pattumiera, portò le braccia al petto perplessa.
«Dovresti vederlo adesso, non credo che sfigato sia proprio l’appellativo adatto» Ripensai al suo fisico, alle spalle larghe, la mascella squadrata e mascolina, quegli occhi e quelle labbra marcati…Dio!
«Cosa c’è, mica ti piace?»
«Diciamo che non mi dispiacerebbe farlo lavorare tra le mie cosce» scoppiai in una grossa risata, Tanya mi seguì a ruota.
«Sei la solita, Penthon» mi rimproverò scuotendo la testa.
«Il fatto che tu abbia messo la testa a posto negli ultimi mesi non può concederti il lusso di farmi la predica» corrucciai la fronte, un sopracciglio alzato nel guardarla di sottecchi.
«Certo che l’ho messa a posto. Ho ventitré anni, non più diciassette»
«Appunto, ventitré. Ho tempo per pensare al futuro, stasera mi vedo con Jack»
«Oh, il bel Jack» roteò gli occhi al cielo «Beh divertiti, io starò con Marc»
«Certo, il tuo Marc» la beffeggiai «Adesso vado a prepararmi, a  dopo» le lasciai un bacio sulla guancia e salii in camera ignorando il suo disappunto.
Prima di uscire mi chiusi in camera per fare la mia solita telefonata quotidiana.
“Pronto?”
«Ehi, ciao»
“Penny, ciao. E’ tutto ok?”
«Tutto perfetto, lì piuttosto come va?»
La risata cristallina di Beth mi arrivò alle orecchie in tutta la sua dolcezza.
“Va come ieri, come l’altro ieri, e come andrà domani” disse rispondendo alla stessa domanda di sempre.
«Già, hai ragione» sorrisi a mia volta «Domani passerò a trovarvi»
“Come ogni giovedì da un anno a questa parte” mi fece notare.
«Giusto, anche questo già lo sai» sospirai.
“Penny smettila di preoccuparti, qui stanno tutti bene”
«Hai ragione, come potrebbe essere altrimenti con Thomas e te. Adesso devo andare, ma ci vediamo domani»
“Ti aspettiamo”
Riagganciai, presi la mia pochette e salutai Tanya, intenta a prepararsi per una cenetta col suo Marc.
Arrivai allo Shine con qualche minuto di ritardo, le luci fluorescenti delle insegne fucsia e la fila spropositata di ragazzi e ragazze in attesa di poter entrare la dicevano lunga sull’esclusività del locale.
Individuai Jack tra la folla e mi avvicinai per salutarlo «Buonasera» dissi cogliendolo alla sprovvista.
Si girò riservandomi un sorriso che risaltava sulla carnagione dorata, gli occhi di un grigio intenso ed i capelli biondi un po’ lunghi sulle spalle completavano quel quadro di quasi perfezione disturbato soltanto da una piccola cicatrice sul sopracciglio.
«Buonasera bellezza» col braccio mi cinse la vita «Allora, vogliamo entrare?»
«Ma non dobbiamo fare la fila?» chiesi perplessa indicando tutte le persone in attesa.
«Non quando sei con me» ammiccò e si avvicinò ad un buttafuori, si scambiarono due parole ed in meno di un minuto fummo dentro.
«Wow tu si che sei una persona importante» scherzai.
«La tua ironia è davvero pungente. Inizia ad accomodarti, vado a prendere qualcosa da bere» lo vidi sparire tra la folla e mi avviai verso il privè che mi aveva indicato.
Mi sedetti sul divanetto, poggiai la pochette sul tavolino ed accavallai le gambe tra di loro. La musica risuonava alta ma non assordante, le luci soffuse sulle tonalità del blu donavano al luogo un’aria sofisticata e ricercata.
Nell’attesa mi soffermai ad osservare gruppi di ragazzi coi loro drink tra le mani, uomini con i loro completi costosi ed eleganti che intrattenevano conversazioni con donne altrettanto chic sedute al bancone bar.
«Ecco il tuo Martini Royale» Jack mi porse il drink poggiandolo sul tavolino poi prese posto al mio fianco «Cin cin» avvicinò il suo bicchiere al mio.
«Cin cin» dissi facendo tintinnare i bicchieri poi iniziai a sorseggiare la mia bibita che scese fresca e pungente lungo la gola.
«Allora, come vanno le cose sul lavoro?» domandò mentre mi osservava col suo solito sguardo furbo, il braccio poggiato lungo la spalliera della seduta.
«Sempre alla grande, oggi è arrivato un nuovo collega che conosco dai tempi in cui frequentavo il liceo di Newark»
«Ma dai...» il suo sorriso era ancora impresso sul bel viso dai tratti marcati, prese a giocare con una ciocca dei miei capelli e capii esattamente che le domande di cortesia erano finite, in realtà non gli interessava sapere davvero del mio lavoro.
La sua mano si insinuò dietro la nuca tra i miei capelli attirandomi verso di se, mi imprigionò le labbra tra le sue e le nostre lingue si incontrarono in un bacio lento e sensuale, il sapore dell’alcool si miscelò nelle nostre bocche.
Ci staccammo un istante rimanendo pur sempre vicinissimi, notai la sua mano che indugiava sulla mia gamba proprio al bordo del mio abitino, sorrisi appena mordendomi le labbra.
«Cosa vuoi Jack?» chiesi retorica.
Sapevo perfettamente ciò che voleva, lo volevo anch’io, ma adoravo giocarci un po’.
«Sai bene cosa voglio, Penny. Sei fantastica» sussurrò roco, le sue labbra stavano per tornare all’attacco quando venimmo interrotti.
«Penelope?» mi sentii richiamare tra il caos del locale, mi voltai.
Dinnanzi al mio tavolo c’era Nathan, il suo corpo fasciato da una camicia bianca inamidata, dei jeans neri che aderivano alle gambe lunghe e robuste, al suo fianco una bellissima ragazza bionda dal fisico mozzafiato.
«Nathan!» esclamai sorpresa «Ciao»  mi alzai, Jack fece lo stesso «Jack ti presento Nathan, il mio nuovo collega»
«Piacere, Jack» disse porgendogli la mano «Lui è il ragazzo di cui mi parlavi?»
«Oh, parlavi di me» Nathan mi riservò il suo odioso sorriso, inarcò lievemente un sopracciglio.
«Parlavo di lavoro, non di te» risposi piccata «In qualunque caso, non ci presenti la tua amica? Piacere, Penelope» dissi porgendo la mano alla bionda al suo fianco.
«Piacere mio, Linda» mi porse la mano dalle lunghe dita eleganti, le unghie laccate di un nero lucido.
Jack fece lo stesso e quando questa “simpatica ” parentesi di cordialità fu finita rimanemmo tutti in silenzio, lo sguardo di Nathan incatenato al mio col suo sorriso indecifrabile a fare da padrone.
«Ok, credo sia ora di andare» disse infine «Ci vediamo domani a lavoro. Ciao Jack, è stato un...piacere»
Con un cenno del capo congedai lui e la bionda su cui gli occhi di Jack indugiarono qualche istante più del dovuto anche quando si fu voltata.
«Allora, dove eravamo rimasti?» le sue mani furono nuovamente sui miei fianchi per attirarmi verso di se, quando le sue labbra si posarono in un delicato bacio sul collo tutti i pensieri si annullarono lasciando spazio solo al desiderio.
Un rumore sommesso arrivava imperterrito alle mie orecchie, infastidendomi.
Aprii gli occhi e puntai lo sguardo verso la mia pochette posata sul comodino, allungai la mano e alla ceca vi cercai all’interno fino a trovare il cellulare e disattivare la sveglia.
“Cazzo, è tardissimo”
Con entrambe le mani mi stropicciai il viso, mi voltai verso Jack che dormiva beatamente al mio fianco, la sua nudità coperta a malapena dal lenzuolo che gli nascondeva le parti intime.
Mi alzai in fretta constatando di non avere tempo per tornare a casa a prepararmi.
Andai in bagno per fare una doccia veloce, sciacquai il volto per eliminare i residui di trucco della sera prima, l’eye liner ed il gloss che portavo sempre con me vennero in mio soccorso per darmi un’aria semplice ma curata.
Raccolsi i miei indumenti sparpagliati per la stanza, indossai l’intimo e le autoreggenti, cercai di calare quanto più possibile l’abito sulle gambe per raggiungere una lunghezza quantomeno adatta ad un luogo di lavoro.
Uscii di casa con ancora le decolté in una mano e la borsa nell’altra, le infilai velocemente mentre aspettavo l’ascensore.
Non appena fuori cercai un taxi e con soli pochi minuti di ritardo fui a lavoro.
«Buongiorno Johanna» dissi entrando alla svelta, diretta al mio ufficio.
«Ciao Penny» sentii la sua voce raggiungermi in lontananza quando ero già all’ascensore.
Arrivata al piano salutai alla svelta alcuni colleghi prima di rintanarmi nel mio ufficio, sprofondare nella comoda poltrona di pelle e tirare un sospiro di sollievo.
Diedi avvio al PC pronta a mettermi a lavoro quando diversi avvisi sonori mi segnalarono l’arrivo di più sms.
Lessi il primo, era di Tanya: “All’inizio mi avvisavi quando passavi la notte fuori, ultimamente mi lasci in dubbio. E’ tutto ok?”
Sorrisi per la sua premura e digitai subito una risposta: “Tranquilla, sono viva. Ci vediamo nel pomeriggio xo”
Il secondo era di Jack: “Brava Penthon, sei scappata come al solito. Sei adorabile, a presto”
Scossi la testa, probabilmente Jack, diversamente dal solito, era solo in vena di sentimentalismi.
“Avevo da lavorare, grazie per l’accappatoio e lo spazzolino in prestito” risposi liquidandolo alla svelta.
Stavo nuovamente per mettermi a lavoro quando fui interrotta da un tocco alla porta.
Mi alzai convinta fosse Bill, cercai nuovamente di sistemare la lunghezza del mio “poco casto” tubino e sussurrai un frettoloso “Avanti”.
La porta si aprì e vidi entrare Nathan con alcuni fogli tra le mani.
“Se il buongiorno si vede dal mattino”pensai tra me.
«Buongiorno Nathan» gli sorrisi cordiale.
«’Giorno Penelope. Come va?»
«Bene, grazie» risposi alla sua domanda di routine senza preoccuparmi di contraccambiare il favore «Avevi qualcosa da mostrarmi?» domandai andando dritta al sodo.
«Sì. È la bozza di un lavoro che Rooter mi ha assegnato» disse porgendomi i fogli «Ho saputo che il capo apprezza molto il tuo lavoro, quindi volevo un parere»
Li presi ed iniziai a sfogliarli assumendo la mia aria professionale.
Dopo qualche istante sentenziai: «Trovo che siano buoni. Se vuoi posso chiedere un parere a Bill»
«Bill?» chiese lui, perplesso.
«Beh, sì...Mr. Rooter» dissi gesticolando con le mani.
«Oh, capisco!» annuì, il suo sguardo carico di sottintesi «Comunque non ce n’è bisogno, mi basta il tuo di parere»
Annuii volgendo lo sguardo altrove, cercando di sfuggire alla vista di Nathan, del suo fisico prestante, dei suoi occhi chiarissimi e le sue labbra invitanti. Era assurdo che di primo mattino, dopo aver passato una notte decisamente movimentata, avessi ancora voglia di stare con un uomo.
Evidentemente l’alcool in circolo continuava a fare un certo effetto.
«Puoi continuare col tuo lavoro, anche subito» lo congedai con queste parole per liberarmi alla svelta.
C’era un che di estremamente inquietante e sensuale nel modo in cui mi osservava ed i miei appetiti sessuali dovevano essere messi a tacere alla svelta.
«Certo, ti ringrazio» mi riservò ancora una volta il suo sorriso attentatore, si  voltò ed appena prima che uscisse si fermò ad osservarmi da sopra la spalla «Bel vestito, Penny»
Il tono della sua voce lasciava trasparire molte cose, prima fra tutte il fatto che si fosse reso conto che avevo trascorso la notte fuori.
“Infastidito, Nathan?” pensai.
«Ti  ringrazio, non sei l’unico a pensarlo» lo provocai.
Lo vidi scuotere la testa e sorridere «Già» disse semplicemente «Buon lavoro» così dicendo uscì dalla stanza lasciandomi sola.
Bevvi un sorso d’acqua fresca e mangiai l’ultimo boccone di sandwich mentre ero intenta a segnare alcune idee sul mio tablet, improvvisamente sentii una sedia accanto a me spostarsi.
«Ciao Penny»
«Ehi Caroline, tutto bene?» sorrisi alla ragazza con la coda di cavallo e gli occhiali, quella che conoscevo da qualche anno ma che subito avevo imparato ad apprezzare per la sua semplicità e schiettezza.
«Alla grande, te?» riposi il tablet in borsa per dedicarle tutta la mia attenzione.
«Bene, ti ringrazio. Volevo dirti che sabato darò una festa e ci tenevo ad invitare tutti voi colleghi»
«Tutti? Allora deve essere un evento davvero importante da festeggiare» le sorrisi vedendo le sue gote colorarsi appena.
Dolce, timida Caroline.
«Allora?» la esortai «Di che si tratta?»
«E’ una festa di fidanzamento. Josh mi ha chiesto di sposarlo» disse torturandosi le dita tra loro.
«Ma è meraviglioso, auguri»
“Beh, forse non propriamente meraviglioso per me. Ma Caroline e Josh sono perfetti insieme ” riflettei.
«Ti ringrazio» mi sorrise «Allora posso contare sulla tua presenza?»
«Ma certo. Fammi pervenire soltanto posto ed ora e mi troverai lì»
«Perfetto, ti manderò una mail. Ah, ovviamente puoi portare qualcuno se vuoi»
«Certo, grazie. Ci vediamo allora» la salutai.
«Si, torno a lavoro. A presto»
Mi alzai pronta per recarmi in ufficio ed immersa nel lavoro le ore passarono veloci e tranquille.
Alle sei in punto uscii dagli uffici, il sole stava quasi per tramontare ma l’aria era piacevolmente fresca. Trafficavo sull’agenda del mio cellulare programmando impegni ed appuntamenti mentre aspettavo le diverse fermate della metro, la busta che avevo tra le mani pesava appena.
Arrivata alla mia fermata scesi, camminai tra la folla di persone che rientravano a casa dalle loro famiglie fino a quando non intravidi in lontananza la struttura grande e lineare, circondata da un enorme giardino, di quella che oramai era diventata la mia seconda casa.
Bussai e trovai Beth ad accogliermi alla porta.
«Tesoro, bentornata» mi abbracciò e ricambiai la sua stretta materna.
«Ciao» dissi semplicemente, perché non potevo fare a meno di perdere le parole ogni qual volta mi trovassi in quel posto.
«Ma guarda, la nostra bambolina è tornata a trovarci» mi voltai verso l’altra voce così familiare.
Il bel trentacinquenne con l’aria da ragazzino mi venne incontro col suo sorriso stampato in volto, gli occhi azzurri più splendenti che mai sulla carnagione abbronzata.
«Tom, ma ciao» gli sorrisi.
«Sei sempre meravigliosa» disse abbracciandomi vigorosamente, oltre le sue spalle larghe vidi Beth abbassare gli occhi in imbarazzo.
«Tu sei il solito marpione» lo allontanai giocosa «Sai che non sono qui per te»
«Peccato» rispose ammiccando «Scusate ma devo sbrigare alcune cose» salutò prima di scomparire nel suo ufficio.
«E’ sempre il solito» dissi rivolgendomi a Beth.
«Già» la sentii sospirare appena e un po’ mi si strinse il cuore.
Thomas ed Elisabeth erano due persone meravigliose; amici fin da bambini avevano seguito negli anni un identico percorso di studi e dopo il conseguimento della laurea avevano deciso di aprire una casa famiglia per bambini orfani o abbandonati dai genitori al loro destino, troppo impegnati in altre cose per prendersi cura dei loro figli.
La prima volta che li avevo incontrati era a malapena un anno che mi ero trasferita a Los Angeles. Erano venuti alla BR design per pubblicizzare il loro primo evento di beneficenza e Bill aveva preso a cuore il loro progetto trasferendo un ingente somma sul conto della Sunshine house, mentre io mi ero preoccupata di sponsorizzare la serata.
«Allora come è andata la tua giornata?» chiese Beth mentre ci dirigevamo verso la sala relax.
«Tutto bene come sempre» risposi sovrappensiero.
«Vedo che hai portato qualcosa» disse indicando la busta che avevo tra le mani «Sai che non devi» mi sorrise ed i suoi occhi nocciola mi infusero un calore nel profondo.
«Sai che mi fa piacere» le feci notare.
Era impossibile non adorare Beth, una donna dolcissima ed estremamente materna, colta ed intelligente oltre che decisamente bella.
Adorava i bambini ed in tanti si chiedevano come mai non fosse ancora sposata e non avesse figli suoi, io una risposta me l’ero data invece.
«Sai ieri sera sono uscita con Thomas?» pronunciai quelle parole attirando subito l’attenzione di Beth al mio fianco.
«Oh, davvero?»
«Sì, noi siamo andati a cena, abbiamo parlato della situazione che c’è qui e…» mi bloccai improvvisamente alla vista della reazione di Beth.
Lo sguardo basso ed imbarazzato, quando tornò a guardarmi i suoi occhi erano impercettibilmente lucidi «E poi?»
La situazione si fece improvvisamente chiara: era innamorata di Tom.
Fu allora che mi spiegai i sorrisi che gli riservava ed il modo in cui si prendeva cura di lui.
«E poi...» siamo finiti a letto «Niente. Mi ha riaccompagnata a casa»
Mentii, più per lei che per me stessa. Beth non meritava di soffrire, era una delle poche persone per cui valeva la pena di rinunciare a qualcosa, anche se in quel qualcosa era ricompresa una notte di sesso sfrenato con un magnifico ed affascinante trentaquattrenne.
Il suo sorriso sollevato mi spezzò il cuore, mi sentii tremendamente in colpa per non essermi accorta prima dei suoi sentimenti.
«Sei pronta all’assalto?» disse  con la mano già sulla maniglia dell’aula, riportandomi bruscamente alla realtà.
«Vai»
Non appena entrai in stanza gli sguardi di circa venti bambini furono su di me, i loro occhietti curiosi e vispi si animarono.
«Penny» gridarono all’unisono correndomi incontro.
Mi accovacciai ed allargai le braccia pronta ad accogliere quell’assalto di dolcezza e, prima che me ne rendessi conto, mi ritrovai in terra circondata da visini paffuti che cercavano di salutarmi.
«Calmi piccini, calmatevi» ridevo radiosa mentre ognuno cercava di raggiungermi per darmi un bacino «Così non respiro»
«Suvvia bambini, lasciatela andare» intervenne Beth in mio aiuto, mentre tutti quegli angioletti si allontanavano tra lamenti vari.
Riuscii a tirarmi su e mi lisciai la gonna del vestito, il mio sguardo ricadde su una figura triste e solitaria in un angolo, il volto in gran parte nascosto dal cappuccio della felpa dalla quale fuoriuscivano i fili delle auricolari.
Lo stomaco si restrinse su se stesso, la mano di Beth si poggiò sul mio braccio e quando i nostri sguardi si incrociarono la sua compassione si scontrò con la mia rabbia mista a tristezza.
«Non possiamo farci nulla» disse con rammarico.
«No, non è così» le risposi amareggiata, avvicinandomi a quella figura rannicchiata su se stessa come a volersi proteggere da tutto il mondo.
«Ciao» dissi sedendomi di fronte la fragile ragazzina di quindici anni che sin dall’infanzia si era ritrovata a pagare per gli sbagli commessi dai suoi genitori «Come va?»
Come al solito non ottenni risposta, così riprovai «Cosa ascolti? Dev’essere  roba forte»
Uno sguardo privo di vita si posò su di me, gelandomi nel profondo, il piercing al labbro a donare un grugno duro alla smorfia del suo viso.
«Senti Lily, io...»
«Cosa cazzo vuoi?» disse improvvisamente strappando via le cuffie dalle orecchie.
«Volevo solo fare due chiacchiere» risposi sincera a quella ragazzina troppo incazzata col mondo per godersi la vita.
«A me non va, adesso...»
«Ti ho portato un regalo» dissi interrompendola, mostrandole la busta che avevo tra le mani.
Catturai per un istante il suo sguardo curioso, ma prima che potessi illudermi di essere riuscita ad aprirmi un varco nella sua corazza tornò sulla difensiva .
«Non voglio niente da te, né da nessun altro» 
Le auricolari tornarono al proprio posto a creare un muro nella barriera comunicativa, mi alzai sconfitta tornando da Beth.
«Allora com’è andata?» mi chiese cupa.
«Come al solito» risposi affranta «Senti questo è per lei. E’ una camicetta come quella che indossavo la settimana scorsa. Avevo notato che la fissava, forse le piace» dissi porgendole la busta che portavo con me fin dalla mattina.
«Ti ringrazio, proverò a dargliela» disse sorridendomi.
«Adesso devo andare, ma prima prendi questo» aprii la borsa ed estrassi un assegno, come facevo ogni mese.
«Penny sai che non voglio»
«Ti prego, spendo la maggior parte del mio stipendio in abiti, scarpe e borse firmate. Questa è l’unica cosa che mi fa sentire un minimo utile, da un senso al mio lavoro»
«D’accordo, grazie» disse prendendo l’assegno e ripiegandolo.
«Non dirlo nemmeno per scherzo» l’abbracciai forte «Adesso vado, salutami Tom»
«Certo che lo farò, ci sentiamo domani»
«Come sempre» le sorrisi.
«Già, come sempre»
Uscii dall’aula e mi recai all’uscita fino a quando non sentii qualcuno chiamarmi.
Mi voltai di scatto trovandomi davanti il sedicenne più bello che avessi mai visto, con il suo metro e settanta d’altezza, la carnagione scura, gli occhi e i capelli neri come la pece ed il sorriso luminoso.
«Ciao Daniel, dov’eri finito?» dissi abbracciandolo.
«Ero in aula studio»
«Ah molto bene. Volevi qualcosa?» chiesi vedendolo arrossire improvvisamente.
«Sì, io…in verità…»
«Ti piace Lily, giusto?» a queste parole il suo sguardo sbalordito si posò su di me.
«Come…?»
«Come ho fatto? Ho quasi otto anni più di te, e decisamente tanta esperienza alle spalle. Hai bisogno di qualche consiglio?»
Lo vidi sospirare pesantemente «Credo proprio di sì. Volevo parlarne con te perché mi sento in imbarazzo a farlo con Beth o Tom, nonostante loro siano molto buoni»
«Ma certo, lo capisco» dissi posando una mano sulla sua spalla «Vieni sediamoci, ho giusto cinque minuti»
Prendemmo posto su una panchina fuori in cortile, il sole oramai era quasi tramontato del tutto e l’aria della sera iniziava ad essere più fresca.
«Allora Dan, qual è il problema?»
«Beh, credo che tu lo sappia. Lily sta praticamente sempre per conto suo e non si lascia avvicinare»
Ripensai alla figura di quella ragazzina bionda con gli occhi chiari ma gelidi, lo sguardo triste e perso, senza alcun punto di riferimento nella vita.
Capivo perfettamente la sua rabbia, più di quanto avessi realmente voluto.
«Già questo è un bel guaio. Tu hai mai provato a parlarle?»
«Certo, qualche volta chiacchieriamo di musica, o di qualche libro che abbiamo letto. E’ molto chiusa, però una volta mi ha sorriso, ed è stata la cosa più bella che avessi mai visto» disse con gli occhi che gli brillavano.
Mi incantai a guardare l’espressione sognante sul volto di Daniel, per un attimo quasi fui invidiosa della sua gioia.
Non avevo mai provato emozioni del genere, il batticuore dei primi amori e la gioia di poterli vivere.
La mia vita era sempre andata veloce come un treno, con me a fare da capostazione decisa a prendere tutte le strade più tortuose e sbagliate.
«Se ti ha sorriso vuol dire che hai qualche speranza» dissi incoraggiandolo, e lo pensavo sul serio «Tu continua a comportarti come sempre, falla sentire amata, protetta, io ti aiuterò come posso»
«Grazie Penny, sei un angelo» si alzò abbracciandomi di slancio, un abbraccio carico di calore e gratitudine.
Chiusi gli occhi godendomi quel momento da “angelo” perché sapevo che sarebbe durato ben poco.
   
 
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