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L'assenza
attenua le passioni mediocri e aumenta le grandi,
come il vento spegne le candele e ravviva il
fuoco.
Vuoto
di te.
Incredibile
vuoto di te.
E
fino a ieri eravamo insieme. O forse no, forse non era ieri. Forse era
una
settimana, un mese, un anno, una vita fa.
Una
vita fa ti conoscevo. Bello come il sole o come la luna o come,
semplicemente,
le tenebre.
Cuore
di pece. Caldo, caldo, caldo… ma così nero.
Chi
sei tu?
Mostro
mitico, angelo, il nulla? Cosa?
Sei
tu, eri tu.
Immenso
come il mare in tempesta. Onde che rapivano, lambivano gli scogli, il
mio
corpo, la mia anima.
Annego.
Soffoco.
Respiro
nel vento. Sono sballottata a destra e a sinistra e ovunque tranne che
a casa,
tranne che da te.
Ma
tu non sei casa. Tu sei quella bufera che mi scaraventa contro i muri e
mi fa
male, mi fa male.
E
la pelle brucia anche al freddo, divorata dall’interno, tumefatta.
Credimi,
non sono quei lividi che fanno male.
Provo a convincermi, ci penso.
No, non fanno male. Se non consideri
quello lì,
sì, quello.
Casa
tua, il terrazzo, la cena sul mondo e la festa dei ragazzini ai piani
di sotto.
Un
sorriso: « Te l’ho detto, è una città pittoresca. Ti ci abituerai. »
Occhi
verdi, marroni, dorati, di tutti i colori del mondo. Ferivano.
E
lì, lì una piaga mi consuma. Senti? Poggia la mano, è gonfio.
Batte?
Quanto? Ascoltalo, ascoltami.
Silenzio.
Puoi parlare, esprimiti, sussurra qualcosa, ti prego, almeno una parola!
Silenzio.
Hai
sempre odiato i silenzi. Ore ed ore a parlare; parlavi troppo. Non si
parla
mentre si mangia, si guarda la tv, si fa l’amore.
E
tu parlavi e parlavi e respiravi la mia aria e io rimanevo senza, ma
andava
bene, andava bene finché me la restituivi.
E
ora ti sfioro le guance, le labbra perché tu le muova, perché possa
sentire di
nuovo la tua voce, il tuo respiro.
Ma
sei silenzio, sei un fantasma dal tocco leggero.
Voli,
ti perdi in un turbine di parole non dette, di baci non dati, di addii
mai
pronunciati.
Non
mi piace dire addio, non piace neanche a te. Siamo così simili e
diversi.
Tu
mi dici ciao e io resto ferma, immobile, copia perfetta di te, uno
specchio.
Cosa dovrei dirti?
Ti
bacio. Bacio me stessa o bacio il mio opposto?
«
A presto! Ci risentiamo. »
Quando?
Che hai deciso? Quando torni? Quanto mi farai aspettare?
Torno
a casa, da sola.
E
il mio appartamento è sempre più vuoto e la camicia che mi hai regalato
profuma
di meno e le mie lenzuola sono impregnate dell’odore del detersivo che
ti
piaceva tanto. Non è niente in confronto al tuo, di profumo. L’ho
sempre detto
che sai di zucchero a velo e cioccolata, mi sentivo quasi bambina
quando ti ero
accanto.
Chissà
cosa sentono gli altri quando sono vicini a te.
Sono
lontana, ora, ma lo sento ancora. È penetrato nelle pareti del mio
spirito.
Provo
a tirarlo fuori, scavo, scavo, ma ha messo radici profonde, non vuole
uscire,
sarà testardo, un po’ come te.
E
tu? Tu lo senti il mio profumo?
Cerca,
cerca dentro. È radicato anche in te? Sì?
No?
Come no! Una radice deve esserci, vai
più a fondo!
Nulla?
Il
germoglio è volato via, forse, mentre parlavi. Te l’ho detto che dovevi
stare
zitto!
E
ora? In me cresci, io brucio, fumo. In me divampi, sei fiamma.
Io?
Io dove sono? Spenta. Una candela morta, cera sciolta nel tuo stomaco,
un
rifiuto.
Buttami
via.
Buttati
via.
Tu
vetro opaco, io carta arsa. Inutili.
Lontani
per sempre.
Assenti
per sempre.
Vuoto
di te.
Incredibile
vuoto di te.