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Autore: Laylath    19/05/2014    2 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 63. Imbarazzi fisici.

 

Una delle novità a cui Riza dovette adattarsi fu quella di avvisare se usciva o chiedere eventuali permessi. Con suo padre la questione si era ridotta a rarissimi casi, senza mai ricevere un rifiuto, ma lei aveva sempre ritenuto che anche se fosse uscita senza avvisarlo non sarebbe accaduto niente.
Con Ellie ed Andrew era diverso e, oggettivamente, c’era maggiore ansia all’idea di una risposta negativa.
Così, quando quel pomeriggio entrò in camera matrimoniale si sentiva leggermente in apprensione: non sapeva che opinione potesse avere Ellie di quanto le stava per proporre.
“Mamma, posso chiederti un permesso per domani?” domandò andando accanto alla donna che stava piegando alcuni vestiti.
“Permesso? Dimmi pure.”
“Ecco, siccome sta per finire agosto, Elisa ha proposto di fare una gita allo stagno, dalla mattina fino a sera, con pranzo al sacco.”
“Mi sembra un’ottima idea – sorrise Ellie, lasciando i vestiti e battendo le mani – voi ragazze vi divertirete un mondo, ne sono certa. Se vuoi pensiamo già a cosa preparare.”
“Possiamo fare anche il bagno? In costume, intendo.”
“Non vedo perché no. Ne hai uno?”
“Sì, me l’ha fatto la signora Laura, ma a dire il vero non l’ho mai usato.”
“Allora dopo andiamo a vedere se ti va a pennello, finisco di sistemare queste cose e…”
“Mamma, ti crea problemi se ci sono anche i ragazzi? Effettivamente l’invito è anche per Kain…”
Era quello il motivo principale che l’aveva tanto fatta esitare. Un conto era stare assieme ai ragazzi in comuni occasioni, ma per una gita allo stagno inevitabilmente sarebbero stati tutti in costume da bagno e lei non sapeva quanto questo potesse andare bene o meno: a conti fatti la maggior parte di loro non era più bambina.
Ellie la squadrò con attenzione e alzò le spalle.
“Non vedo che motivi potrebbe crearmi: vi conosco tutti e mi fido di voi… che è quel rossore adesso?”
“Si... si vede così tanto con il costume da bagno. E se…”
E se il mio corpo non va bene?
Non aveva la minima idea di quali fossero i pareri dei maschi riguardo al corpo delle ragazze. Ma era inevitabile che con il costume si vedesse parecchio di quello che in genere era nascosto dai vestiti: la parte inferiore copriva una minima porzione della coscia e anche quella superiore era abbastanza aderente da far intuire maggiormente le forme del petto.
“La cosa migliore è farmi vedere ora come ti sta – commentò Ellie, vedendola così esitante – ho il sospetto che tu abbia qualche problemino con il tuo corpo, vero?”
“Mi… mi sta crescendo.” ammise Riza tutto d’un fiato.
“Eh?”
“Non ci ho fatto molto caso – arrossì ancora di più – ma negli ultimi mesi si è… uhm… gonfiato.”
“Il seno?”
Riza abbassò la testa, desiderando sprofondare seduta stante in una voragine.
Sapeva bene che il corpo femminile prima o poi cresceva in quel senso, ma ci si trovava ancora a disagio. Per ora la cosa era ancora discretamente nascosta dai vestiti, ma con l’aderenza del costume intero…
“Posso dare un’occhiata?” sorrise Ellie andandole vicino.
“Un’occhiata?” automaticamente si portò le mani nella parte interessata, quasi a proteggerla.
“Tesoro, rilassati – la tranquillizzò la donna – è normale che questa crescita all’inizio imbarazzi un po’. Del resto doveva succedere: dopo il primo ciclo tutto il corpo inizia a diventare da signorina.”
“E i ragazzi le vedono tutte queste cose?”
Ellie sorrise con comprensione e le cinse le spalle con un braccio.
“Posso capire che queste cose ti spaventino, sai io non avevo un bel rapporto con il mio corpo alla tua età. Mi sentivo sempre troppo piccola e piatta, mentre tutte le mie amiche mi sembravano così grandi. Ma fidati di me: per avere quattordici anni non c’è niente che non vada nel tuo corpo, chiaro?”
“Sicura?” con un gesto imbarazzato la ragazza allungò il colletto del vestito per sbirciare.
La donna le si accostò e sbirciò pure lei con aria cospiratoria.
“Sicurissima.” le strizzò l’occhio.
 
La mattina successiva l’incontro era all’ingresso del paese.
A dire la verità tutti i ragazzi erano molto eccitati all’idea di fare questa gita allo stagno: dopo quel pranzo tutti assieme quella domenica di inizio primavera non avevano avuto occasione di avere una giornata di svago tutta per loro. Ed inoltre c’era la grande aspettativa di essere privi del controllo dei grandi e questo li faceva sentire molto più indipendenti e liberi di combinare monellerie.
In particolare Roy non vedeva l’ora di iniziare quella giornata in cui sarebbe stato il leader indiscusso del gruppo. Aveva già in mente di proporre un sacco di gare tra i ragazzi, prove di abilità e…
“Mi raccomando, non voglio sentire di annegamenti o altri disastri – dichiarò Vincent, arruffando con aria significativa i capelli di Roy – e non chiedermi perché lo dico a te e non agli altri.”
“Mancanza di fiducia nei miei confronti!” sbuffò il moro, ignorando la risatina di Vato ed Heymans.
“E ben giustificata – sogghignò il capitano – divertitevi, ragazzi. A stasera.”
“A stasera, papà.” salutò Vato, mentre l’uomo si avviava per andare al commissariato.
“Spero che gli altri non tardino troppo – commentò Heymans – ci vuole comunque più di mezz’ora per arrivare allo stagno.”
“Ricordiamoci che per le ore più calde conviene stare sotto gli alberi – disse Vato – altrimenti ci scotteremo ed il sole di agosto è fra i peggiori.”
“Con la pelle bianca che ti ritrovi devi stare attento soprattutto tu, mi sa.”
“Già, anche perché saremo in costume da bagno. Oh, ecco Elisa. Ciao…”
“Buongiorno a tutti – salutò lei, dando un bacio al fidanzato – scusate il ritardo ma stavo finendo di sistemare la roba per il pranzo al sacco.”
“Credo che con tutto quello che porteremo ci sarà da mangiare per un reggimento. Ed ecco anche Rebecca.”
“Buongiorno, ragazzi! – esclamò la brunetta con entusiasmo – Siamo pronti?”
“Possiamo muoverci e andare all’ingresso del paese – propose Roy – tanto sia Jean che Riza e Kain verranno da lì.”
Non dovettero aspettare molto prima che gli amici gli raggiungessero: la novità fu costituita da un seccatissimo Jean che si portava dietro Janet, graziosissima nel suo vestitino azzurro e bianco.
“E lei che ci fa qui?” chiese Roy, mentre la bambina abbracciava con entusiasmo Heymans.
“Ieri ha fatto il diavolo a quattro per venire – sospirò con irritazione il biondo – e mia madre mi ha praticamente obbligato a caricarmela… stupida sorella! In realtà i miei genitori non volevano sentirla piangere per tutta la giornata.”
“Oh, dai, non c’è problema – commentò Elisa – penseremo tutti a lei, e sono sicura che si comporterà bene, vero Janet?”
“Certamente! – sorrise la bambina – Elisa, lo sai che il mio costumino è rosa?”
“Davvero? Ma che bello. Sarò proprio curiosa di vedertelo.”
“Però adesso è nello zaino. Me lo devo mettere lì.”
“Ci cambiamo tutte lì, stai tranquilla. Se ti serve una mano ci sarò io.”
 
Nonostante quell’ospite aggiunto, la mattinata iniziò nel migliore dei modi.
Una volta che anche Kain e Riza arrivarono, il gruppo si diresse allegramente allo stagno, pregustando l’idea di buttarsi in quelle acque fresche e ristoranti. Una volta che vi giunsero, constatando con piacere che non c’era nessun altro ragazzo a contendere loro lo spazio, sistemarono tutti i loro zaini all’ombra di un gruppo di alberi.
“Ragazze – chiamò Elisa – se mi date una mano stendiamo già le coperte così…”
“Chi si tuffa per ultimo è uno scemo!”
La voce di Jean interruppe qualsiasi tentativo di coinvolgere i maschi nell’organizzazione. Con un tripudio di magliette levate e pantaloni lanciati per aria assieme alle scarpe, i ragazzi corsero al pontile e si buttarono in acqua con un concerto di grida e risate.
“Secondo me sono tutti scemi…” commentò Riza, osservando gli indumenti sparsi in giro per il prato.
“Stavo dicendo – riprese Elisa, come se niente fosse – se mi date una mano organizziamo la roba da mangiare, va bene.”
“Vi aiuto pure io.” si offrì Kain che non aveva seguito i suoi amici nella corsa al tuffo.
Effettivamente il bambino al contrario degli altri non era davvero entusiasta di quella gita allo stagno, anche se avrebbe tanto voluto esserlo. Rimase stranamente silenzioso mentre aiutava le ragazze a sistemare gli zaini e tutto il resto e quando queste andarono dietro dei cespugli per cambiarsi si sedette con aria sconsolata sulla coperta restando a guardare i suoi amici che sguazzavano nell’acqua.
“Kain – lo chiamò Riza comparendo dopo qualche minuto – fa caldo, vuoi levarti la maglietta?”
“Mh? Va bene.”
La bionda lo aiutò e sistemò gli indumenti di entrambi in un mucchietto ordinato vicino ai loro zaini. Poi si avvicinò di nuovo al fratellino e gli chiese.
“Allora… come sto?”
Kain sorrise, guardando il costume azzurro chiaro della sua sorella adottiva. Avrebbe detto che le stava bene in ogni caso, ma non c’erano dubbi che quel colore si adattasse veramente bene alla sua snella figura.
“Ti sta molto bene.”
“Perché non ti levi scarpe e calzoni e non resti in costume pure tu? Non ti va di fare il bagno?”
“Ecco… no. Magari le scarpe me le levo, hai ragione. Ma i pantaloncini no.”
La ragazza lo fissò con perplessità mentre si levava le scarpe, notando solo di striscio Rebecca, Elisa e Janet che andavano verso la riva dello stagno. Si inginocchiò accanto al bambino e gli arruffò i capelli corvini.
“Cosa c’è?”
“I pantaloni li tengo, arrivano al ginocchio. Se li levo resto in costume che arriva a metà coscia.”
“Hai paura che la vedano?”
Kain annuì con apprensione.
I medici non avevano posto alcun problema che lui bagnasse la ferita: ormai la guarigione era avvenuta e quella cicatrice era destinata a sbiadire col passare del tempo. Ma per ora era ancora tremendamente visibile, di uno strano color rossastro e in rilievo. Non era come la fasciatura che sporgeva dai pantaloni… era qualcosa molto spiacevole da vedere.
“C’è anche Janet e lei si può impressionare.”
“Però non è bello che tu te ne stai qui tutto solo – commentò Riza – ascolta, loro lo sanno che cosa ti è successo e vedrai che non ci faranno caso. E a Janet lo spieghiamo con calma e vedrai che…”
“Gnomo! – Roy uscì dall’acqua, scrollando la testa come un cane e corse verso di loro con un sorriso felice – Allora che aspetti? Ti devo prendere e buttare in acqua? Su, via questi pantaloni!”
“No! – ansimò lui, bloccando le mani dell’amico – per favore!”
“Piano! – gli diede subito manforte Riza – aspetta Roy, c’è un problema.”
Con calma gli espose le paure del bambino e alla fine il moro lo guardò con perplessità.
“Posso vederla?” chiese.
Kain esitò: per ora gli unici che l’avevano vista erano i suoi genitori e Riza.
“E dai, del resto io ti ho visto anche la ferita quando era appena fatta.”
E con gentilezza sbottonò i pantaloni del bambino e li fece scivolare lungo le gambe, lasciandolo solo in costume. Lo vide serrare gli occhi, mentre una lacrima di vergogna gli colava sulla guancia destra, tanto che Riza fu pronta ad abbracciarlo e consolarlo.
“Dai che non fa impressione – mormorò, posando una mano sopra la parte interessata – coraggio, gnometto, non vedevo l’ora di vederti fare qualcosa assieme a noi dopo che sei stato fermo per tanto tempo.”
“So nuotare solo a cagnolino.” tirò su col naso.
“Ti insegno io, tranquillo.”
“E se Janet si impressiona?” chiese con ansia.
“Beh, meglio risolvere tutto adesso. Aspetta qui, vado a parlare con Jean, Heymans e lei.”
E senza che Kain avesse il tempo di ribattere, si alzò in piedi e si avviò verso lo stagno per discutere con gli altri della cosa. Con apprensione li vide parlottare ed infine Jean chiamò a sé la sorellina ed iniziò a parlarle sommessamente, addirittura inginocchiandosi per essere alla medesima altezza.
La bambina dalle trecce bionde fece un’espressione molto perplessa, ma poi anche Heymans iniziò a parlarle e dopo qualche minuto, tenuta per mano da entrambi, si avvicinò a Kain e Riza.
Con una lieve ansia lui fece per mettere una mano a coprire la parte di cicatrice che si vedeva, ma poi si trattenne. Alzò lo sguardo sugli occhi azzurri di lei e li vide sgranarsi per la sorpresa e anche un po’ per la paura.
“Ti fa male?” mormorò infine, tormentandosi con le dita una delle bretelle del costume.
“No, è… è solo brutta da vedere.”
“Mi hai visto ridotto peggio, Janet – le ricordò Jean – lo sai che le ferite fanno la crosta, no? Questa è un po’ più brutta delle altre. Ti dà fastidio? Kain ha paura che tu non voglia stare vicino a lui.”
“Oh no! – esclamò subito lei, lanciandosi ad abbracciare l’amico – Non è vero, Kain! Non devi pensare una cosa simile! Dai vieni! Sto tutto il giorno con te, contento?”
“Non devi sentirti obbligata…” mormorò il bambino, mentre veniva incitato ad alzarsi in piedi.
“Dai, vieni! Ci sono i gamberetti piccolini in riva: se metti i piedi in acqua ti pizzicano e fanno il solletico!”
E senza attendere altra risposta lo incitò a seguirla, mentre dietro di loro i ragazzi più grandi si scambiavano occhiate soddisfatte.
 
Dopo aver risolto quella piccola incombenza il gruppo si amalgamò: i turbolenti ragazzi lasciarono spazio anche a giochi che potevano coinvolgere le femmine e la presenza di una palla portata provvidenzialmente da Jean rese tutto molto più facile.
A questi momenti di gruppo se ne alternavano altri in cui ci si divideva.
Per esempio a un certo punto, a pomeriggio inoltrato, Vato ed Elisa si presero per mano ed andarono a fare una passeggiata nella riva opposta dello stagno.
“Ecco – ammise il ragazzo dopo qualche minuto di imbarazzato silenzio – stai molto bene in costume. Te lo volevo dire prima, ma con gli altri…”
“Davvero mi sta bene?” sorrise lei arrossendo felice.
“Certamente!”
E lo pensava davvero: quel verde, ora più scuro dopo essersi bagnato, si intonava perfettamente agli occhi di lei. E stava divinamente con i capelli castani appiccicati e pesanti sulle spalle e sulla fronte.
“Anche tu stai bene in costume, sai.”
“Dici? Non sono troppo magro?”
“Ormai ci ho fatto il callo alla tua costituzione. Comunque mi complimento: stai mettendo dei muscoli nelle braccia.”
“Mi prendi in giro – arrossì, mentre giravano dietro un canneto, seguendo il sentierino – paragonato a Jean faccio davvero pena. Solo in altezza siamo più o meno uguali… e pensare che lui deve ancora compiere i quindici anni.”
“Rebecca non fa altro che ammirarlo – ridacchiò Elisa – dice che in costume da bagno il suo ragazzo è una visione semplicemente divina e…ahi!”
“Che succede?” chiese, vedendola saltellare su un piede solo.
“Una spina… ohi, aspetta che mi siedo. Proprio sulla punta dell’alluce.”
Uscirono dal sentiero e si sistemarono sul prato, lei che si adoperò immediatamente per levarsi la fastidiosa scheggia dal piede.
“Levata senza problemi?”
“Sì, per fortuna non era andata molto in profondità – ammise lei, gettandola – ah, decisamente meglio.”
Si stiracchiò con soddisfazione, sdraiandosi in quell’erba soffice e profumata.
“Sei mimetica con quel costume – ridacchiò il ragazzo, imitandola – se non fosse per le parti scoperte…”
“Sai, la signora Laura me l’ha dovuto fare nuovo. Quello degli anni passati non mi stava più.”
“Ora che ci penso non ci eravamo mai visti in costume da bagno: tu ci sei sempre andata con i tuoi cugini allo stagno.”
“Perché qualcuno si è sempre rifiutato di venire, nonostante gli inviti.”
“Senti, lo sai che…”
“Lo so! – lo bloccò lei, conoscendo bene il precedente imbarazzo del fidanzato nel farsi vedere assieme a lei in occasioni di famiglia – Per fortuna che con i nostri amici non hai tutti questi pudori.”
“Il pudore non è stato molto nei nostri pensieri negli ultimi tempi.” considerò lui.
Dicendo questa frase sapeva bene di provocarla.
Effettivamente andando a fare quella passeggiata in solitaria sapeva che poteva finire in quel modo, con loro due che sparivano dalla vista degli altri. La verità era che aveva notato sin da subito quanto quel costume stesse bene sul corpo di lei, quanto la rendesse sensuale con quel pantaloncino che arrivava nemmeno a metà coscia.
E desiderava andare più avanti rispetto a quanto si erano concessi fino a quel momento.
“Eli…” mormorò cercando le sue labbra.
Furono i soliti due minuti prima che si ritrovassero accoccolati a scambiarsi effusioni. Sentire il costume bagnato di lei sul petto nudo era una nuova sensazione completamente inebriante. Ad un certo punto abbandonò la posizione di fianco per mettersi supino e indusse lei a sdraiarsi sopra.
“Peso…” sussurrò Elisa, prima di baciarlo, i suoi capelli che gocciolavano sul collo.
“No, tranquilla… Eli… io…”
Chiudendo gli occhi e cercando di nuovo le sue labbra si lasciò andare. Le sue mani scesero alle cosce della fanciulla, accarezzandole come mai aveva fatto con l’impedimento della gonna. La sentì ansimare leggermente e nascondere la testa sulla sua spalla, senza però opporre un vero rifiuto.
A quel punto non seppe resistere ed insinuò le dita sotto quei corti calzoncini, salendo sul sedere.
Quella carne soda e il contatto del suo seno umido sotto il costume lo fecero reagire come mai era successo prima di quel momento.
“Stai… stai premendo…” mormorò la ragazza al suo orecchio.
“Eli, ti prego… dimmi che questo costume è in due pezzi e che ti posso sfilare la parte di sotto… faccio più piano che posso…” sussurrò lui
“E’ intero, amore – ridacchiò sensualmente lei – si sfila partendo dall’alto.”
“Ma io devo…” e inconsciamente mosse il bacino contro il suo, con evidente desiderio.
“E’ meglio che scenda da te – commentò lei baciandolo in fronte – ne abbiamo già parlato, no? E… amore, credo che tu debba riprenderti prima che torniamo dagli altri.”
Ma lui non rispose, si mise le mani sulla testa e iniziò a respirare profondamente, perso in una luce che non era quella del sole.
Gli ci volle parecchio per riprendersi.
 
Nonostante questo imprevisto, quando i due tornarono ad unirsi al gruppo nessuno fece commenti. Tuttavia a Vato sembrò che le ragazze si scambiassero dei sorrisi complici e quando sentì Elisa fare una risatina maliziosa in risposta a qualcosa che aveva detto Rebecca, arrossì vistosamente.
Da parte dei maschi invece non ci fu nessuna reazione in particolare.
Sembrava che determinate cose non interessassero ancora gli altri componenti del gruppo, nemmeno Jean che, a rigor di logica, doveva avere una minima esperienza dell’essere fidanzato.
“Roy, giusto per curiosità – chiese all’improvviso, rivolgendosi all’amico – che effetto ti fa vedere le ragazze in costume da bagno?”
Gli occhi scuri lo guardarono con sospetto per qualche secondo.
“Ecco – ammise infine – devo ammettere che è strano. Non è come quando Riza si era vestita così bene per la festa del primo dicembre… qui si vede…”
“… tanto, eh?”
“Esattamente. Insomma, non  mi ero ancora accorto che fosse diventata così.”
Nessuno dei due fece caso al fatto che avesse parlato esplicitamente della bionda, senza nemmeno pensare alle altre. Del resto Elisa e Rebecca erano già impegnate e sarebbe stato fuori luogo. Tuttavia, se si fosse soffermato a pensare, Roy Mustang si sarebbe reso conto che, a prescindere dal numero e disponibilità di ragazze, la sua attenzione si sarebbe volta inevitabilmente verso la sua amica.
Ma non ebbe tempo di indugiare su simili pensieri perché si sentì il rumore di uno schiaffo.
 
“Sei un villano!” lo strillo di Rebecca echeggiò per tutto lo stagno.
“Villano? – protestò Jean, portandosi la mano alla guancia rossa – Ma perché?”
“Io ti odio! – pianse la ragazza, correndo via dal fidanzato – Ti odio!”
Ovviamente questo richiamò l’attenzione di tutto il gruppo.
Le ragazze corsero verso l’amica offesa, mentre i maschi si avvicinarono al biondo che fissava con perplessità il punto dove Rebecca veniva consolata.
“Oh senti! – sbottò dopo qualche secondo, andando verso le ragazze – Non ti ho detto niente di male, lo sai bene!”
“Sei l’essere più insensibile sulla faccia della terra!” singhiozzò lei, nascondendo poi il viso sulla spalla di Riza.
“Ma che è successo?” chiese Heymans.
“E che ne so! Mi ha mollato un ceffone senza preavviso.”
“Dopo quello che mi hai detto!”
“E che ti ho detto di offensivo?” si spazientì lui.
“Lo sai bene!”
“Ti ho detto che il blu scuro del costume ti sta bene, no?”
“Non è quello – singhiozzò lei, fissandolo con roventi occhi neri – Quando ti ho chiesto se… se mi valorizzava… quello!”
“E io ti ho chiesto che cosa, insomma non ho capito a cosa ti riferivi e…”
“Mi hai fatto capire che non ho petto!” sbraitò lei, un urlo che ancora echeggiò nello stagno.
“Ecco – mormorò Roy – vieni Kain, ti insegno a tuffarti dal pontile, eh…”
E prima che il bambino potesse dire qualcosa lo portò lontano da quella tragedia incombente, seguito immediatamente da Vato. Heymans sarebbe tanto voluto andare con loro, si capiva, ma non se la sentiva di lasciare il suo amico contro tutte le ragazze.
E purtroppo, Jean si era ovviamente irritato e dunque aveva perso qualsiasi forma di accondiscendenza.
“Petto? Ma se sei piatta!”
“Ma come osi!?” fece Riza lanciandogli uno sguardo rovente.
“E’ vero! Insomma tu hai un po’ di petto, si vede – spiegò lui in tutta onestà – Elisa ne ha di più… ma lei forse ne ha più solo di Janet, però non credo che…”
“Jean Havoc sei un mostro!” Elisa si unì nell’abbracciare Rebecca, la solidarietà femminile che iniziava a far fronte compatto contro il nemico.
“Jean – suggerì Heymans con imbarazzo – non è delicato essere così schietti su certi argomenti, sai…”
“Ma è la verità! Insomma, Reby, che problemi ti fai se non hai tette?”
Ancora?
“Sei un insensibile!”
“Non si devono mai dire cose del genere a una ragazza!”
L’aggressione fu tale che Jean indietreggiò di un passo: non gli era mai capitato di vedere le ragazze così furenti, ma nella sua ostinazione non riusciva ancora a capire cosa ci fosse stato di sbagliato nelle sue risposte. Insomma, Rebecca aveva quattordici anni, non poteva certo pretendere di avere il seno che aveva Elisa. E le curve in generale…
“Stupide femmine! –  sbottò girandosi e andando verso lo stagno. Passò accanto alla sorellina e le puntò il dito contro – Tu prova a diventare come loro e ti disconosco!”
 
“E Roy mi ha anche insegnato a tuffarmi dal ponte – esclamò Kain quella sera, mentre la famiglia cenava – all’inizio ho avuto paura, ma lui è stato molto paziente.”
Andrew ed Ellie sorrisero nel vedere tanto entusiasmo da parte del bambino. La sua prima uscita movimentata dopo l’incidente era andata a gonfie vele ed aveva persino superato la sua vergogna per la cicatrice alla gamba.
“E tu, Riza? Non sei stata molto loquace…” fece Ellie all’improvviso.
“Ha detto quasi tutto lui – sorrise la ragazza, accarezzando la guancia di Kain – ma mi sono divertita davvero tanto pure io, lo ammetto.”
“Ci siamo divertiti tutti, peccato solo per il litigio tra Jean e Rebecca.”
“Litigio?” la donna si interessò all’argomento, mentre Andrew si alzava dal tavolo per andare a prendere un'altra caraffa d’acqua.
“Mh sì – annuì il bambino – Jean dice che la sincerità non paga mai. Ed è anche molto arrabbiato.”
“Jean deve imparare ad essere più sensibile – ritorse Riza, lanciando un’occhiataccia a Kain – ricordatelo sempre, capito? Bisogna essere delicati su certe cose.”
“Però quello che ha detto era la verità, no? Insomma, a me pare chiaro che…”
“Sì, era vero, ma non è questo il punto. Certe verità è meglio non dirle o essere gentili.”
Ellie squadrò i due figli, non riuscendo a capire di cosa stessero parlando.
“Uhm, facciamo un esempio – ipotizzò il bambino – Papà, tu sei grande amico della signora Laura, vero?”
“Certo, Kain – annuì l’uomo tornando a sedersi – lo sai bene.”
“E anche tu lo sei, vero mamma?”
“Certamente.”
“Papà, scusa, non è semplicemente la verità che la signora Laura ha più tette della mamma?”
A quella frase Andrew quasi sputò l’acqua che stava bevendo e ad Ellie andò storto il boccone.
Riza arrossì violentemente e desiderò sprofondare seduta stante.
Kain, invece, nella sua ingenuità, non riusciva a capire perché un dato di fatto potesse creare delle problematiche simili.
 
Se Jean e Rebecca avevano litigato perché lei non era ancora discretamente sviluppata, Vato iniziava a trovarsi in difficoltà per l’esatto contrario. Oramai aveva capito benissimo che su determinati argomenti i suoi amici non lo potevano aiutare e così, quella sera, si fece estremo coraggio e chiese a suo padre di poter parlare.
“Vieni in camera per favore – gli disse con imbarazzo – è una cosa… maschile.”
Vincent notò l’aria profondamente confusa del figlio e annuì. Lo seguì nella sua stanza e rimase seduto nel letto guardandolo contorcersi le mani con fare nervoso.
“Qualcosa non va?” gli chiese.
“Ecco, papà… ti è capitato di non saperti… no, dai, lascia stare. E’ troppo difficile.”
Si alzò di scatto dal letto e andò a sedersi alla scrivania, nascondendo il viso tra le mani.
“Che è questa cosa maschile che ti turba tanto?”
“Fare l’amore…” buttò fuori all’improvviso, anche se nei suoi intenti doveva solo pensare una simile cosa e non esprimerla a parole. Si irrigidì immediatamente, aspettandosi che suo padre lo giustiziasse da un momento all’altro.
“Le cose tra te ed Elisa corrono, eh? – disse invece il capitano, in tono comprensivo – Sembra quasi che vogliate recuperare il tempo che avete perso da non fidanzati. E a diciassette anni il desiderio si fa sentire.”
“Fin troppo – ammise lui, rosso in viso, ma lieto di vedere che c’era possibilità di dialogo – oggi non… papà ho avuto una reazione che non… non era mai successo.”
“Da una precedente discussione mi ricordo che hai letto tutto sull’argomento – lo prese in giro l’uomo – dai, stavo scherzando. Insomma stavate per farlo.”
“No, non si può. E se poi resta incinta? – sospirò lui – Insomma, io so che la voglio sposare e che dunque non c’è… papà, come si fa a resistere?”
“Rispetto.”
Fu una risposta secca e laconica, tanto che Vato si girò a guardare il genitore.
“Rispetto… tutto qui?”
“Tutto qui? – Vincent si alzò e sorrise con gentilezza – ragazzo mio, in questa parola magica c’è tutto il senso di un vero amore. Tu la rispetti?”
“Ovviamente! Ma non è questo! Insomma sembra che anche le voglia, ma poi ad un certo punto le scatta la paura e ci fermiamo. Insomma io capisco però… oggi il mio corpo ha…”
“Stai tranquillo che anche lei ha avuto delle reazioni, meno visibili, ma ci sono. Ma non ti devi preoccupare, figliolo, siete due ragazzi responsabili e sapete quando fermarvi: non ci vedo niente di male in questi primi approcci.”
“Anche se poi devi restare cinque minuti buoni a riprendere un minimo di contegno?”
“Ricordati la parola magica, Vato – gli arruffò i capelli – rispetto.”
“Certo…”
Che se la ricordi anche il mio corpo….
  
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