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Autore: Lore Torri    19/05/2014    7 recensioni
Noi lo chiamiamo Agennesis. È quando due mondi distanti, che non avrebbero mai dovuto venire in contatto, si toccano: è questo che avviene, una Non-Nascita. Può essere qualsiasi cosa che sia stata generata contro la volontà del Destino. E può distruggere o salvare, portare tenebra o luce, splendere o esplodere. L’Agennesis è l’errore del Destino, della Natura, dell’Universo.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AGENNESIS
“Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.”
 [da “Ogni Caso”; W. Szymborska]
 
Cortegia, Grande Impero
Un giorno al Torneo
 
 
Il sole battente che svettava nel limpido cielo della città di Cortegia, capitale del Grande Impero, rendeva la temperatura insopportabile. L’unico posto in cui si poteva trovare una relativa freschezza era la colossale Arena, al cui interno il freddo notturno accumulato dalle pietre mitigava l’afa estiva. Era la vigilia del Torneo Internazionale di Arti Magiche, e Fren aveva rifiutato di allenarsi con Lilie fino allo stremo, come avevano invece fatto nei giorni precedenti: aveva sempre sostenuto che tranquillità e riposo, prima di un grande evento, valessero molto più di qualsiasi tipo di preparazione fisica. Ora il ragazzo stava passeggiando pensieroso per i cunicoli scavati nella roccia, dove l’aria era più fresca.
Era alto e ben piazzato, con la muscolatura tipica di chi si espone a continui sforzi fisici. Sul volto, parzialmente coperto da una cascata di fuoco, due diamanti azzurrissimi erano accesi della solita aria di assorta riflessione, sopra un viso dai lineamenti duri che emanava un senso di sfida. Indossava la casacca che Walion aveva regalato a lui e Lilie, e che li contraddistingueva come membri della sua squadra: un leggero tessuto nero sul quale era disegnata, in corrispondenza della schiena, una spada circondata dalle fiamme. Era il simbolo che il mago aveva scelto per sé, e che ora attribuiva ai suoi apprendisti. Solitamente, un mago ne aveva di più - ma mai più di cinque -; in realtà, Walion inizialmente aveva addestrato, insieme a Fren e Lilie, Purpura, una giovane ragazza della loro stessa città, che però aveva deciso di rimanere a casa con una donna di cui si era innamorata, senza mai completare l’addestramento.
Improvvisamente, Fren si trovò davanti ad una svolta che non ricordava. Scrollò le spalle ed avanzò. Dopo qualche passo, il corridoio si aprì su un’ampia sala dalla marmorea volta bianca, da cui discendevano quattro drappi grigi e neri, uno per ogni parete. Fren capì di trovarsi nella sala dedicata ai partecipanti del Grande Impero. L’Arena era una specie di “centro di addestramento” per i giovani maghi - nessuno doveva superare i sedici anni, l’età in cui si diventava adulti - che volevano partecipare al Torneo. Era un evento fastoso e celebre, che richiamava i praticanti delle arti magiche pressoché da tutto il mondo. A dire la verità, c’erano esponenti di tutte le nazioni conosciute, eccezion fatta per le bellicose tribù degli orchi e per le lontane e misteriose città-stato dei nani. Fren e Lilie partecipavano come abitanti della Repubblica Asterigia, che non contava più di una quindicina di maghi. Molto più numerosi, fino a toccare la cinquantina, erano i ragazzi e le ragazze del Grande Impero, che in quell’occasione ospitava il Torneo nella propria capitale, e quasi altrettanti gli elfi, provenienti dalle loro quattro Repubbliche ad occidente. Più ridotti nel numero erano invece gli abitanti del Regno dei Climonidi, a nord, confinante con le Terre degli Orchi. Tutti questi ragazzi si radunavano nell’Arena, un’enorme costruzione edificata appositamente per sopperire a tutte le loro esigenze, tre mesi prima della Prima Prova, in modo che potessero prepararsi per le imminenti prove.
Immerso nell’affascinante pensiero di quel leggendario evento a cui lui stava per prendere parte, il ragazzo aveva già disceso metà della scalinata, prima di accorgersi della ragazza che stava dall’altra parte della stanza. Esattamente di fronte a lui, una ragazza era seduta sugli ultimi gradini e si stava rigirando fra le mani un pugnale lucido sul quale brillavano alcune piccole incisioni nell’argento, che da quella distanza solo Walion avrebbe potuto distinguere chiaramente. I lunghi e lisci capelli neri le coprivano per gran parte la faccia, di cui si scorgevano due sottili labbra rosee ed uno degli occhi, quello sinistro, che in quel momento era palesemente acceso di un Dono dello Spirito: sull’iride color indaco alcune striature viola si dipanavano verso l’esterno, mentre la pupilla, bianca, rimaneva assolutamente immobile, fissa al punto che stava osservando. Mentre guardava quel coltello, le striature viola si muovevano in circolo, talvolta sovrapponendosi e generando nuove striature, tutt’attorno alla pupilla, dando luogo ad un piccolo vortice di colori.
La ragazza alzò lo sguardo, ed i suoi occhi incrociarono quelli di Fren, spegnendosi istantaneamente per tornare ad un comune nero. Nel movimento, i suoi capelli si erano spostati, rivelando all’orecchio sinistro un piccolo orecchino la cui forma, difficilmente visibile, ricordava quella di una mezzaluna. Quegli occhi freddi e spenti, ora privi anche della loro peculiarità, rimasero immobili, fissati in quelli del ragazzo, mentre lei si alzava, facendo sciogliere al terreno le pieghe della lunga veste su cui spiccava la “C” nera di “Cortegia”, disegnata sopra una torre a cui si avvinghiava un massiccio ma sinuoso drago nero: la stessa effigie che era stata cucita sugli arazzi alle pareti.
«Chi sei?» chiese lei diffidente.
«Il mio nome è Fren.» rispose prontamente il ragazzo, mantenendo la consueta aria di sfida.
«Da dove vieni?»
Fren le sorrise.
«Importa?»
Lei lo fissò per un attimo, stupita e come indecisa. Poi scrollò le spalle e tornò a dedicarsi al suo coltello, pur osservando Fren con la coda dell’occhio.
Il ragazzo balzò di fronte a lei, atterrandole con leggerezza a poca distanza.
«Non mi hai detto il tuo nome.» fece notare, fissandole i lunghi capelli neri che nascondevano il volto.
«Thanya, dell’Impero.» la ragazza sollevò lo sguardo, in atto di chi cerca di ricordare qualcosa. «Fren... vieni da Aster. Hai una compagna, vero?»
Fren rimase attonito. Al Torneo partecipavano almeno un centinaio di maghi, ed erano stati presentati solo una volta, durante l’inaugurazione. Probabilmente, però - si disse, mascherando velocemente lo stupore -, a Cortegia gli imperiali conoscevano da molto il nome dei partecipanti ed avevano passato le informazioni ai loro concittadini, per aiutarli a conquistare l’onore per la patria.
«Sì. Si chiama Lilie. Tu invece? Sei sola o hai una squadra?»
«Mi hanno affiancato due maghi, sì» rispose noncurante, facendo nuovamente il filo al coltello.
«Non sembra che ti interessi.»
«Infatti, non mi interessa.»
Fren la squadrò. Era fondamentale avere una squadra, e dei compagni pronti ad aiutare. Come poteva non curarsene? Quella ragazza era veramente strana.
Il ragazzo si accorse in tempo del lancio, si scostò di lato e bloccò con due dita il sottile dardo che lei gli aveva scagliato, roteandolo nella mano per poi farlo cadere a terra.
«È proibito colpire gli avversari prima dell’inizio del Torneo.»
«Non sei particolarmente sveglio. Se mi avessi denunciato e fatto espellere, ora avresti un avversario di meno. E nemmeno troppo reattivo.» aggiunse, indicando la goccia di sangue che colava dal dito medio di Fren.
Lui alzò il dito, mostrandole il sangue già secco sopra il taglio ormai rimarginato.
«Se volessi farti espellere, basterebbe questo. Ma sarebbe incredibilmente stupido: perderei l’occasione di affrontarti.»
Questa volta fu lei a squadrarlo, dubbiosa. A Fren parve anche un po’ addolorata.
«A domani, Aristea.» la salutò, prima di voltare le spalle e tornare da dove era venuto.
 
 
 
Thanya rimase seduta per un po’, dopo che Fren se ne fu andato. Soppesava tra sé le parole di lui come faceva con il pugnale, tra le dita esperte. Quando l’aveva notato, per un attimo aveva avuto paura che lui notasse il suo occhio. Ma non ne aveva fatto mostra, e lei si era immediatamente tranquillizzata. Tuttavia, l’aveva chiamata Aristea. Gli Aristei erano le persone come lei, a cui una Creatura Occulta aveva fatto dono dello spirito, e di alcune sue particolari capacità con esso. Quello che lei poteva usare era l’acuto, attento ed esaminatore occhio di un’Arpia. Il fatto che quel ragazzo ora era a conoscenza di questo piccolo segreto non era un grosso problema; se l’avesse vista combattere l’avrebbe scoperto comunque. Però conosceva il termine Aristea, e questo significava che non era l’unica ad esserlo. Magari anche il ragazzo aveva un Dono dello Spirito. O magari il suo maestro... sì, era decisamente più probabile. Raramente si incontravano Creature Occulte, e raramente esse donavano il proprio spirito, specialmente ad un ragazzino. Sì, era di sicuro il maestro. Avrebbe informato Latho della cosa, e ci avrebbe pensato lui. Lei, per il momento, aveva ben altro di cui preoccuparsi.
Decisa ad informare il suo maestro di quanto aveva pensato, Thanya imboccò con sicurezza la strada che portava alla sua stanza. Fuori dalla porta trovò una guardia, un uomo alto e muscoloso che le sorrise e si fece da parte, cedendole il passo.
Latho era seduto dietro una pesante scrivania in mogano, sulla quale una cartina era segnata e colorata in più punti. Thanya sapeva che era la pianta del luogo dove lei e gli altri maghi avrebbero dovuto combattere. Il maestro dimostrava poco più di una trentina d’anni, ma gli occhi rilucevano di una conoscenza fortemente maggiore di gran parte delle persone di quell’età. I capelli e la barba che si era lasciato crescere erano neri con alcune ciocche grigie; Thanya sapeva che non era dovuto alla vecchiaia, ma al fatto che discendeva da un antichissimo insediamento nanico.
Lui alzò lo sguardo e puntò i suoi occhi in quelli della ragazza.
«Perché sei qui, Thanya? Hai qualcosa da dirmi?»
Lei fece una profonda riverenza, tanto che i suoi capelli si scostarono abbastanza da lasciar intravedere il disegno a linee grigie che rappresentava due ali aperte sopra le scapole ed una freccia che saliva lungo il collo.
«Maestro, devo informarla di un pensiero preoccupante.»
«Ti ascolto.»
«Oggi ho incontrato un ragazzo, deve aver notato l’occhio dell’arpia senza che me ne accorgessi... e mi ha chiamata Aristea.»
Il maestro si fece subito più attento.
«Anche lui ha un Dono?»
«Non l’ho visto, ma non credo. Però, il suo maestro potrebbe averne uno.»
«Già, è molto più probabile. Ricordi il nome del ragazzo?»
«Fren. Viene dalla Repubblica Asterigia ed ha una compagna di squadra di nome Lilie. Non ricordo il nome del loro maestro, non era tra i maghi più potenti.»
«Un mago bravo a nascondersi, dunque. A meno che il ragazzo non sappia dell’esistenza degli Aristei per qualche altro motivo...»
«Maestro, è molto improbabile. Nelle leggende popolari non si parla mai di Aristei, ma di maghi con occhi e capacità straordinarie. Questo nome è conosciuto solo da noi, dalle Creature Occulte e da chiunque ne sia messo a conoscenza da questi due gruppi. Tra gli umani, ci sono ben poche persone che conoscano questo termine.»
«D’accordo, mi hai convinto. Farò subito controllare a qualcuno.» disse, e con un cenno del capo congedò la ragazza. Lei, che era abituata a questo atteggiamento, uscì silenziosamente dalla stanza.
Mentre si dirigeva velocemente da dove era venuta, sentì la voce del suo maestro chiamare la guardia, che entrò velocemente nella stanza.

 

 
 Lilie si sedette, esausta, i lunghi capelli neri grondanti di sudore, di cui alcune gocce le colavano lungo le guance. I lineamenti delicati del volto si contrassero mentre con una mano spostava una ciocca di capelli e fissava attenta, con i luminosi occhi color indaco, il punto in cui era appena entrato Walion.
Il suo maestro era alto più o meno come lei, e portava i capelli corti dello stesso colore della barba sottile, marrone e rossiccia al contempo. I lineamenti del viso erano sereni, sebbene esso fosse ormai solcato da numerose rughe. Sebbene avesse ormai superato da un pezzo il secolo, le rughe erano l’unico segno visibile di vecchiaia. Non aveva perso il colore dei capelli né della barba, ed il suo corpo era rimasto solido e ben piazzato come una roccia. Se Lilie non l’avesse conosciuto, non gli avrebbe dato che quarant’anni, magari portati un po’ male per via del volto rugoso. Sapeva perché invecchiava così lentamente: era un Aristeo. I suoi occhi erano vitrei, colorati di varie sfumature di azzurro che si intersecavano tra loro, ruotando attorno alla pupilla con movimenti rapidi e scattanti. Dall’esterno dell’iride fino al centro dell’occhio, sei striature blu scuro si estendevano in linea retta, e si muovevano continuamente intorno alla pupilla. Questo continuo movimento serviva per mettere a fuoco quello che si guardava: la vista di Walion era perfetta. Poteva osservare qualsiasi oggetto nei suoi minimi dettagli, che fosse vicino, lontano, direttamente davanti a lui o nascosto da un altro oggetto. Quegli occhi, gli Occhi del Grifone, potevano guardare attraverso qualsiasi corpo solido.
«Vedo che ti sei allenata allo stremo anche oggi. Va’ a lavarti ora, e riposati... domani ti aspettano le prime due Prove. Non sono particolarmente difficili, ma ti conviene affrontarle con la massima tranquillità. Il vero ostacolo, il nucleo del Torneo, è la Prova Finale.»
«Sì, maestro.»
«Bene. Sono qui per dirti che mi è stato appena portato un messaggio da un mio vecchio amico, che vive in un villaggio poco distante da qui. Sono parecchi anni che non lo vedo, e mi ha mandato a chiamare perché ha qualcosa di molto urgente da dirmi.»
«Quindi, partirai per andare da lui?»
«Sì, ma non ti preoccupare. Sarò qui prima che cominci la Terza Prova.»
«Starai via due giorni?» chiese la ragazza, sorpresa.
«Forse anche di meno. Dipende da quanto è importante quello che deve dirmi questo mio amico.»
«D’accordo... avviserò anche Fren.»
«Brava. Io parto subito, voglio arrivare al suo paese prima del crepuscolo, poi mi fermerò là per la notte e lo andrò a cercare il mattino successivo. In questo modo, dovrei sbrigare la faccenda il più velocemente possibile. Se proprio è una questione lunga a risolversi, mi fermerò là un’altra notte, ma sarò comunque qui quando comincerà la Terza Prova. Dunque, non preoccuparti.»
«Va bene, maestro.»
Walion allungò una mano sul viso della ragazza e le carezzò la guancia con dolcezza.
«Buona fortuna. A te e a Fren.»
«Grazie.»
Il maestro sfoggiò uno dei suoi sorrisi bonari, poi si voltò ed uscì dalla sala, diretto verso l’uscita dell’Arena.
Lilie sospirò.
In quel momento, Fren comparve alle sue spalle.
«Ehi, Lilie» fece, sedendosi di fianco a lei.
«Ciao, Fren»
«Anche oggi ti sei allenata?»
«Sì. Devo dirti una cosa importante...»
«Dimmi.»
«Walion è partito.»
«Come, partito? È lui che ci ha portati qui!»
«Ehi, calmati» disse lei, vedendo che Fren si stava alterando «Sarà massimo per un paio di giorni. A quanto pare, deve incontrare un suo vecchio amico che ha qualcosa di molto importante da dirgli.»
«Quindi, dovremo affrontare le prime due prove da soli...»
«Mi ha assicurato che saranno abbastanza facili. Ora andiamo a riposarci.»
Fren la guardò, fingendo di essere incredibilmente sorpreso.
«Tu... che proponi di riposarci? Sogno o son desto?»
La ragazza gli tirò un pugno sulla spalla.
«Piantala» disse, ridendo.
Poi, entrambi si avviarono al dormitorio.
Walion andava a tutta velocità verso un piccolo paesino nei pressi di Cortegia, mentre la sua mente ed il suo cavallo si sfidavano per decidere chi galoppasse più freneticamente.
Reid, il “vecchio amico” di cui gli avevano parlato, non lo contattava da moltissimo tempo, e l’ultima volta che era capitato loro di vedersi si erano salutati da acerrimi nemici: dubitava che improvvisamente avesse deciso di metterlo a parte di qualche avvenimento importante. La cosa che gli veniva spontanea pensare era che gli stessero tendendo una trappola, ma chi e perché? Quando, qualche ora prima, un uomo tarchiato si era recato da lui con una lettera firmata da Reid, le sue meningi si erano quasi incendiate, lambiccandosi sul da farsi. La sua esperienza l’aveva portato ad essere il meno fiducioso possibile con le persone che non conosceva bene, ed ancor più se non si presentavano in pelle ed ossa davanti a lui. Però, se era una trappola, non poteva permettere che avvenisse vicino a Fren e Lilie, che erano come la sua famiglia, e comunque era abbastanza in gamba da cavarsela da solo. Così, aveva deciso di precipitarsi nella trappola di proposito, prendendo però qualche precauzione, in modo da cercare di svelare questo mistero il più presto possibile.
Mentre riconfermava le soluzioni che aveva deciso di prendere, scorse in lontananza l’insegna di una locanda e decise di fermarvisi: l’ora ormai si era fatta tarda. Raggiunto l’ingresso, fece segno allo stalliere di avvicinarsi.
«Lo voglio al sicuro per la notte, e che domani sia pronto ad affrontare un lungo galoppo. Se lo troverò come l’ho chiesto, avrai il doppio di questi.» gli sussurrò all’orecchio, lasciando cadere quattro monete d’oro nelle mani dello stalliere. Lui gli rivolse uno sguardo d’intesa e gli fece segno di entrare.
L’interno della locanda era caldo ed invitante, emanava un profumo di carne e vino che faceva venire voglia di riempirsi per bene la pancia e dormire sui tavoli dopo una serata di chiacchiere. Ma non poteva permetterselo, in quelle condizioni. Raggiunse il proprietario della locanda, dietro il bancone, con passi svelti, senza curarsi delle occhiate sospettose di chi era abituato a squadrare ogni nuovo avventore.
«Buonasera, buon uomo. Come posso aiutarla?» domandò il locandiere.
«Mi serve una stanza tranquilla, con un letto, una finestra ed un tavolo. Se possibile, vorrei un piatto di carne e del vino da portare in camera per cenare.»
«Come desidera!» disse l’altro, lanciandogli una chiave abbastanza pesante «Salga le scale; la sua stanza è la seconda sul lato destro. La cena arriverà a brevissimo.»
«Grazie.»
Walion salì le scale di fretta ed attese pazientemente in camera la cena, che arrivò prestissimo. Non appena ebbe finito di mangiare, dopo essersi assicurato che la porta fosse chiusa a chiave, trasse dal mantello una bisaccia e cominciò a spargere della polvere viola per terra.
Quando la polvere ebbe disegnato una figura ordinata di cerchi concentrici, decorati di altre figure, appoggiò la mano aperta al centro.
L’Arte Occulta della Vigilanza era un Incantesimo abbastanza semplice, che lo avrebbe informato in caso di movimenti sospetti nei pressi di quel luogo.
Quando ebbe terminato quello e qualche altro incantesimo minore di protezione, si stese sul letto e pensò a Fren e Lilie. Non avrebbe potuto consigliarli riguardo al torneo, e la cosa gli dispiaceva molto. Ma quello che stava facendo era decisamente l’opzione migliore. E poi, i due ragazzi erano molto ben preparati, e non avrebbero avuto difficoltà a superare le Prove del Torneo. In effetti, le probabilità che lo vincessero non erano affatto basse.
Fiducioso nei suoi allievi, Walion si assopì, ma anche da dormiente la sua mente continuò ad incespicare per gli ascosi percorsi delle sue congetture.
   
 
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