Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: VandasGirls    19/05/2014    2 recensioni
«Ti ho tenuto nascoste molte cose, bambina mia», disse addolorata Lucia Marcelli, portandosi una mano al viso. «Ma ora è giusto che tu abbia una vita migliore. Questa è l’eredità di tuo padre.»
«Io sto bene qui.»
Violante guardò la chiave che sua madre le stava porgendo, senza far nulla per afferrarla. Tutto stava avvenendo troppo rapidamente, senza preavviso alcuno; si sentiva spaventata, stranita. Non voleva saperne nulla.
«Non andrò con Messer d’Alviano da nessuna parte.»

Cinque Assassini figli di Caino, cinque destini mescolati tra loro per raggiungere lo stesso obiettivo.
Genere: Azione, Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bartolomeo d'Alviano, Ezio Auditore, Niccolò Machiavelli, Nuovo personaggio, Volpe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
polverenera

Il destino di Qayin

Capitolo quindicesimo




Dopo settimane di pioggia e palate di sudicio fango, quel giorno Roma degnò la sua popolazione di una giornata fredda ma soleggiata.
Cesare Borgia aveva annunciato da tempo la sua partenza per la campagna militare a nord e, sebbene gli Assassini fossero lungi dall’essere benvoluti alla parata che la guardia aveva organizzato per le vie della città, al Covo tutti non facevano che parlare d’altro da giorni.
Si preannunciava un evento in grande stile, paragonabile soltanto allo spettacolo pirografico organizzato per il compleanno del Papa.
Proprio per questo, Alessandro non stava più nella pelle. Non aveva toccato vino se non a colazione e da ore ormai si aggirava per il Covo per assoldare quante più persone possibili e recarsi alla cittadella. Aveva persino ottenuto la benedizione di Ezio, il quale si era aggiunto al gruppo più che volentieri, e quella di Maria, che invece si era lasciata trascinare in mancanza di una scusa per starsene rinchiusa da qualche parte a leggere.
Quando arrivò a bussare alla porta delle camerata femminile, perciò, Alessandro era più che sicuro che convincere Laura fosse già una battaglia vinta.
Entrò nella stanza senza attendere che la ragazza lo invitasse, fiondandosi al letto sul quale ella riposava con i saltelli più gioiosi di cui era capace.
«Lauretta!», strillò, prendendole il viso tra le mani per schioccarle un bacio sulle labbra. «Che ci fai ancora a letto? Roma intera sta festeggiando!»
La ragazza rispose a quella dose di affetto trattenendo un conato di vomito.
Dopo che i crampi allo stomaco e il mal di schiena erano cessati, a tutti quanti era sembrata come rinata. Aveva ripreso l’addestramento con Bengiamino e le ronde notturne con Corella, eppure, quella mattina, aveva detto di essersi destata con addosso un forte malessere. Aveva rimesso tutto ciò che aveva nello stomaco più di una volta e sentiva il capo scoppiarle.
Nel pomeriggio sarebbe passato il cerusico a visitarla, ma fino ad allora Maria le aveva ordinato di non alzarsi per nessuna ragione.
«Alessandro …», biascicò, sollevandosi appena. «Non mi sento in forze. Credo che mi sia tornata la febbre che m’ha colto due settimane fa. Va’ e divertiti, quando tornerai voglio un racconto esaustivo.»
Lui la guardò con un piccolo broncio a increspargli le labbra, ma non insistette oltre.
Le passò una mano sulla fronte, baciandole la punta del naso.
«Tornerò da te prima di sera», promise, scostandosi dal letto per incamminarsi verso la porta. «Dovessi perdermi la serata in osteria!»
Rivolse a Laura un ultimo sorriso colmo di quell’euforia che la sera prima l’aveva praticamente tenuto sveglio a immaginare la parata e si buttò sul corridoio, scendendo le scale a balzi per raggiungere gli altri più rapidamente.
«Non si sente bene», annunciò, prendendo a braccetto da un lato Paola e dall’altro Chiara. «Ma poco male! Vorrà dire che ci sarà più vino per me!»
Violante si stava sistemando un paio di pugnali sotto alla gonna lunga dell’abito marrone, mentre invece Bengiamino ostentava la sua balestra sulla schiena senza paura alcuna, seppure avesse acconsentito a portare un cappello. Ezio sosteneva che quello sarebbe bastato per non farsi riconoscere da Cesare e, vista la sua convinzione, nessuno aveva osato controbattere.
Ad ogni modo, sia lui e Chiara sarebbero poi rimasti accanto al Mentore e a Maria per evitare qualsivoglia incidente.
«Siamo pronti? Allora andiamo!», trillò allegro il Mentore, mostrandosi a loro per la prima volta con abiti comuni.
Ci rimasero quasi male.
«Io non ho intenzione di starmene qui con voi straccioni!», dichiarò Spallaci, gonfiando il petto accanto a Cristiano. «Me ne vado con la mia famiglia!»
«Chi ti ferma!», lo ribeccò il ferrarese, smagliante nella sua casacca più elegante.
Tra lui e Augusto, era difficile scegliere chi fosse vestito più riccamente.
Entrambi con addosso abiti di tessuti raffinati, entrambi decorati con gli stemmi della loro famiglia e con la loro spada più bella legata al fianco. Parevano due principi provenienti da chissà quale reame lontano.
«Ho sentito dire che Cesare partirà con i cavalli più belli della penisola!», esclamò Paola, ancora a braccetto con Corella.
«Davvero?» Il forlivese scoppiò a ridere. «Povero sciocco! Cosa spera di fare, senza Fiore di Maggio?»
La folla che si era radunata lungo tutta l’Aurelia era impressionante. Da ogni dove, contadini e signori dividevano lo spazio per poter osservare la partenza del loro condottiero.
Che fosse o meno un uomo retto, non importava a nessuno.
Paola prese per mano Violante, scivolando tra le persone fino ad accaparrarsi un paio di posti davanti, mentre Ezio trascinava Chiara e Bengiamino di lato, appoggiati all’architrave di una chiesa. Maria portò con sé Cesco in cima ad una piccola scalinata e cacciando così il padrone di casa.
Corella, riluttante, seguì Spallaci e Cristiano in mezzo alla calca ma, tutto sommato, in un buon posto.
«Sei ancora qui?», chiese il biondo, rivolto verso il romano. «Non dovevi cercare la tua mammina?»
Lui sbuffò.
«In mezzo a questa folla? Sgualcirei solo la giacca.»
Corella trattenne una risata.
«Sia mai, o appena ti vede ti riprende subito!»
Augusto lo guardò scuro in volto, voltandosi di tre quarti nella sua direzione.
«Sai Oste, a volte sei davvero un palo in culo.»
Quelle parole scatenarono un’autentica ovazione da parte di Corella e Pagni.
I due si portarono la mano alla bocca, fingendosi altamente offesi, prima di cacciarsi a ridere come dei veri asini. Si appoggiarono entrambi alle spalle di Augusto, ancora presi dalle risa.
«Oh, Dio, grazie per avermi consentito di vivere così tanto da poter udire parole tanto soavi dalla bocca di Spallaci», sussurrò Alessandro, alzando gli occhi al cielo e fingendosi puramente commosso.
«Chiudi quella fogna», lo zittì Augusto, usando tutta la sua stazza per prenderlo per una spalla e metterlo dinanzi a sé in prima fila sulla strada.
Alessandro aprì la bocca per controbattere, ma il tono entusiasta di Cristiano lo interruppe sul nascere.
«Guardate! Sta arrivando!»
Tutti e tre si piegarono appena in avanti per ammirare la magnificenza delle bestie che Cesare Borgia e le prime guardie papali stavano cavalcando. Tutti animali di pura razza, con il manto lucido e la criniera libera sul dorso.
Corella fischiò, dando una gomitata a Spallaci.
«Ritiro tutto quello che ho detto su Fiore di Maggio», commentò. «A questi il tuo stupido cavallo può solo leccare gli zoccoli.»
Augusto gli diede una sonora sberla sul collo che riecheggiò tra loro e attirò un paio di sguardi scocciati.
«State dando spettacolo», fece notare Cristiano con tono divertito, prima di puntare gli occhi su Cesare Borgia. «Tra poco passerà così vicino … che opportunità sprecata di poterlo far fuori.»
Corella annuì lievemente, ancora intento a massaggiarsi la nuca.
«Potevano pensarci prima.»
Lo stridere di due lame fece voltare entrambi i ragazzi verso Augusto.
«Facciamolo noi», propose il romano, facendo roteare i coltelli che stringeva tra le mani.
Ghignò, leccandosi un labbro prima di allungare il braccio verso Cristiano. Gli porse la lama, scoccandogli al contempo un’occhiata divertita.
«Facciamo chi arriva prima al collo di Borgia?»
Corella strabuzzò gli occhi.
«Non credo che sia una buona idea», fece presente, per quanto la sua opinione potesse valere. In mezzo alla competizione di Augusto, neanche un ordine diretto del Signore avrebbe avuto efficacia.
Cristiano attese un istante, giusto il tempo che Corella impiegò a voltarsi per cercare gli occhi di Ezio e poi, senza farsi notare, annuì deciso.
In una frazione di secondo, Spallaci aveva già spinto cinque persone, liberandosi la via.
Cristiano scambiò uno sguardo pietrificato con Alessandro, prima di gridare: «No, fermati, folle!» e lanciarsi al suo inseguimento.
Il cavallo di Cesare si impennò di colpo davanti a Spallaci, che non mancò di trascinare al suolo il condottiero con un balzo. Questi però non cadde, aggrappandosi al suo aggressore e spingendolo via con un pugno in pieno viso. Quando Augusto stramazzò al suolo, Cristiano si ritrovò di fronte al Valentino.
Alzò lentamente il pugnale, storcendo il naso mentre si fissavano negli occhi.
«Questo te lo manda Ezio Auditore!», urlò in mezzo al silenzio assordante che era venuto a crearsi.
Ciò che avvenne poi, Corella l’avrebbe ricordato per sempre come la sacra rappresentazione dell’apocalisse.
Cristiano scattò in avanti con il coltello alzato sul viso di Cesare. Mancò il bersaglio quando quest’ultimo rotolò sul fianco e scattò in piedi con la mano alla spada, ciò nonostante riuscì ad abbattere una guardia accorsa al salvataggio del suo comandante. Quando tentò di darsi alla fuga tra la folla, due miliziani gli si pararono di fronte.
Armato nient’altro che del pugnale di Spallaci, Cristiano estrasse la spada che portava legata al fianco, ma non fece in tempo ad impugnarla saldamente che due frecce mandarono al suolo i suoi aggressori.
Da qualche parte sui tetti, Bengiamino copriva loro le spalle.
Corella corse ad aiutare Spallaci che però si rimise in piedi spingendolo di lato.
«Difenditi, stupido!», disse, rivolto al forlivese, il quale reggeva già la spada in mano.
«Sicuro di farcela?», gli chiese di rimando Alessandro, mentre Spallaci si puliva il sangue che colava a fiumi dal naso. Gli bastò un cenno di assenso, prima di correre verso Pagni per aiutarlo.
Anche le ragazze si buttarono nella mischia.
Violante ci mise poco a strappare la gonna, riducendola in lunghezza tanto che le arrivava sopra al ginocchio, prima di iniziare a combattere con l’aiuto di Paola.
«Va’ da Augusto!», le urlò. «E tornate a casa! Io recupero i due cretini là in mezzo!»
Senza rispondere, Paola si buttò tra la folla, sfilando dalla cintura qualche coltello da lancio. Raggiunse Augusto in tempo per vedergli trapassare il busto di una guardia, la quale ricadde a terra senza dare un lamento.
Difendendosi da un attacco con un lancio preciso che atterrò un uomo armato di ascia, la ragazza scivolò in fretta alle spalle di Augusto, afferrandolo per la casacca senza lasciargli il tempo di voltarsi.
«Andiamo!», gridò.
Il ragazzo si voltò con un affondo della bella spada che quella mattina portava fieramente legata al fianco.
Con il rumore della veste che si squarciava, Paola avvertì un bruciore al ventre, mentre le mani correvano a coprirlo. Cadde in ginocchio dinanzi a Spallaci, incapace persino di chiedere aiuto.
Mentre lui la fissava strabuzzando gli occhi, lei si guardò le mani, trovandole imbrattate del sangue che sgorgava dal taglio che le apriva lo stomaco.
«Paola!»
La voce di Augusto le giunse lontana, mentre lui si chinava per soccorrerla.
Alessandro stava ancora cercando di tenere buone le guardie di Cesare, quando si voltò verso di loro. Tutto ciò che vide fu solamente Augusto chino su Paola e tanto, troppo sangue sulla veste azzurrina della fanciulla.
Sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene e solamente grazie a Violante non venne trafitto.
«Presta attenzione!», gli urlò in faccia la ragazza, prima di voltarsi a sua volta verso ciò che aveva così tanto catturato l’attenzione del forlivese. « … No.»
Un sussurro, nulla più di un soffio.
Corse verso di loro, buttandosi a terra e prendendo fra le mani in viso dell’amica.
Paola stava perdendo colore e i suoi occhi non brillavano più.
«Portala al Covo», disse Violante verso Spallaci, mentre anche Corella si avvicinava, portando una mano alla bocca. Non ottenendo risposta, la bolognese scrollò il braccio di Augusto. «Adesso! O morirà!»









Spallaci non se lo fece ripetere due volte. Rinfoderò la spada e prese in braccio l’amica, iniziando a correre tra la folla.
Non corse mai così veloce come in quell’istante.
Con il silenzioso aiuto di Bengiamino che sorvegliava la situazione dall’alto, riuscì ad aprirsi un varco tra la folla urlante e le guardie che cadevano colpite dai dardi del milanese.
Sfrecciò sul Lungo Tevere, aggirando con goffaggine i ponti più affollati ed evitando come meglio poteva i passanti che, ormai lontani dall’inferno della via Aurelia, si affrettavano a tornare a casa. Nella foga, ruzzolò a terra un paio di volte, sempre tenendo stretta a sé Paola.
A ogni passo che compiva verso il Covo, sentiva il respiro della ragazza farsi più lieve, la presa delle sue braccia attorno al suo collo sempre più debole.
«Paola!», la chiamava, stringendola a sé nel disperato tentativo di sentirla riprendersi. «Ci siamo quasi, ci siamo quasi!»
Attraversò Ponte Sisto che il corpo della ragazza era immobile. Nessun respiro a scostarle i capelli rossicci dal viso, nessuna contrazione dovuta al dolore a farle sanguinare la ferita.
Scivolò in un vicolo, adagiandola a terra mentre le lacrime iniziavano a rigargli il viso contratto in una smorfia disperatamente arrabbiata.
«No, Paola, devi resistere. Non puoi morire ora!»
Si mise in ginocchio accanto al corpo della giovane, appoggiando la fronte contro quella della rossa e lasciandosi scappare un singhiozzo, mentre la attirava a sé stringendola tra le braccia.
«È colpa mia.»
Le sussurrò in viso, scuotendo il capo diverse volte, prima di lasciarsi andare al pianto, consapevole che ciò che aveva fatto l’avrebbe ricordato per il resto dei suoi giorni.









«È grave?»
Storcendo il naso sotto l’odore acre del vino, Laura incrociò le braccia sul petto. Osservò il guaritore dondolare sopra la sua testa la ciotola di vetro in cui aveva diluito la bevanda con la sua urina e sospirò, affranta. Aveva già visto i medici farlo con sua madre a Milano e sapeva che quella mistura non portava a nulla di buono.
Guardò nella direzione del guaritore, soffermandosi un istante sulla sua maschera bianca, e si diede all’ennesimo sospiro.
«Non direi», le disse lui, cogliendola di sorpresa proprio nell’istante in cui aveva rinunciato all’idea di ricevere una risposta. «Siete soltanto gravida.»
Laura sbatté più volte le palpebre.
«Come?»
«Gravida. Aspettate un figlio. Maschio, se la luna era crescente il giorno del concepimento.»
A ciò, la ragazza non osò controbattere. Rimase immobile a fissare il vuoto, ascoltando con disinteresse i passi del cerusico che si allontanava sul corridoio, mentre con una mano si accarezzava la pancia.
Per un istante, fu come se tutto ciò che c’era attorno a lei non fosse mai esistito.
Vide sfumare tutto ciò per cui stava lavorando: la corsa per essere una dei cinque migliori, la voglia di combattere l’oppressione dei Borgia, un’intera esistenza di viaggi andata, finita in una manciata di istanti.
Portò l’altra mano alla bocca, soffocando un urlo di pura frustrazione mentre si lasciava cadere sul letto.
Aveva davanti una giornata intera per piangere ogni sua lacrima, dopotutto.
O almeno, così credeva.
Sentì una porta sbattere violentemente contro il muro e la voce di Bengiamino che riecheggiava nella sala.
«Paola! Spallaci!»
Si mise ritta, giusto in tempo per vedere Maria affacciarsi alla camerata, con occhi sbarrati dal terrore.
«Dov’è Paola?!», domandò la donna, senza nascondere il fiatone.
Laura la guardò per un istante, confusa. Poi comprese che qualcosa, alla parata, non era andato per il verso giusto.
«Credevo fosse con voi!», esclamò, alzandosi in piedi per raggiungere Maria all’uscio.
La sua espressione di puro panico, Bengiamino nel salone che si scostava dal suo tono pacato … Laura cominciò a temere il peggio.
«Che è successo?», chiese, mentre Maria faceva strada sullo scalone.
«Hanno ferito Paola!», le urlò di rimando la donna, senza fermarsi. «Lei e Augusto dovrebbero già essere qui!»
Impaurita, Laura accelerò il passo fino al piano sottostante, fiondandosi nelle braccia di suo fratello non appena se lo ritrovò di fronte con gli occhi sbarrati e il respiro affannato di chi ha corso a perdifiato per leghe intere.
«Stai bene?», gli chiese, prendendogli il viso tra le mani.
Lui annuì, silenzioso, e la strinse a sé.
Chiara, in un angolo, tremava stringendo la mano di Cesco.
Il ragazzo era pallido come un cencio e sembrava sul punto di svenire. Poi, lentamente, aprì la bocca e disse la prima cosa sensata che parve passargli per la testa.
«Forse ha trovato un cerusico per la via e ha deciso di farla curare a lui.»
Maria, al suono di quelle parole, annuì lentamente.
«Si può sapere cosa diavolo è accaduto? Non dovevate andare ad una parata festosa?», chiese la giovane Lorenzetti, senza trattenere più l’ansia.
Bengiamino continuò a stringerla a sé, recuperando piano il fiato.
«Sì, gran bella festa. È finita in un massacro.»
«Spallaci si è fatto saltare la mosca al naso e ha attaccato Cesare», disse in un soffio Cesco, mentre aiutava Chiara a sedersi, reggendola nel suo stato di trauma.
Con uno scatto sorpreso, Laura si scostò da Bengiamino.
«Spallaci ha fatto cosa?!», gridò, mentre lui la guardava con severità. «Ma … davvero?»
Maria annuì.
«E da vicino, così da farsi vedere bene in viso. Dovrà ritenersi fortunato se la sua famiglia sopravvivrà la notte.»
Chiara singhiozzò, affondando il viso nelle maniche del vestito e, preso alla sprovvista, Cesco non seppe far altro che abbracciarla.
«Gli altri dove sono?», azzardò Laura, sebbene la risposta fosse più che lampante. «E Alessandro?»
Bengiamino alzò un sopracciglio.
«Con gli altri, a salvarsi la pelle.»
«Con lui c’è Ezio», la tranquillizzò Maria, sporgendosi dalla finestra, sperando di notare qualcosa. Non aggiunse altro, limitandosi ad appoggiare il capo al vetro.
Nessuno lo notò.
«Ma l’avete visto? È vivo?», chiese in pena Laura.
Aspettava suo figlio, non poteva pensare di crescere un piccolo bastardo senza padre, da sola. Il cuore rischiava di spaccarsi nel suo petto quando sentirono dei passi alle loro spalle.
«Alessandro!», urlò la milanese, voltandosi di scatto verso le scale.
Ciò che vide la lasciò del tutto senza forze, tanto che scivolò contro il muro, fino a terra.
Spallaci saliva ogni gradino con lentezza, gli occhi vuoti e il corpo di Paola esanime fra le braccia. Il suo petto era ricoperto di sangue rappreso, così come la veste della giovane, squarciata sul ventre.
Superò Laura senza dire nulla, entrando nella sala in silenzio e appoggiando Paola sulla tavola che Bengiamino aveva sparecchiato impulsivamente con il braccio.
«Paola!»
Con gli occhi colmi di lacrime, Chiara lasciò il suo posto sulla panca, portandosi attorno al corpo senza vita della napoletana.
«Che le è successo, Augusto?», chiese, disperata.
Il ragazzo dovette passarsi la blusa sugli occhi un paio di volte, prima di scacciare i singhiozzi e spiegare l’accaduto.
«Un Templare l’ha attaccata», balbettò, mentre le lacrime riaffioravano sulle ciglia. «Non sono riuscito a raggiungerla in tempo. È morta mentre la portavo qui.»
Maria lasciò la sua postazione alla finestra, avvicinandosi per prendere il viso di Paola tra le mani.
«Perché ci hai messo tanto?», chiese, senza però mettere tra le sue parole un tono di accusa.
Augusto divenne paonazzo.
«Ho corso quanto più veloce ho potuto!», esclamò, con la voce impastata dal pianto e dalla disperazione. «La folla, le guardie da evitare … ho dovuto fare una strada più lunga.»
Bengiamino alzò il lembo della veste, guardando la ferita.
«Nemmeno facendo quella più breve l’avresti salvata», disse con tono spento, prima di voltarsi, tirando un pugno al muro. Alzò il viso verso il soffitto, mordendosi con forza le labbra mentre entrambe le mani andavano dietro alla sua stessa nuca.
Laura li raggiunse tremante, singhiozzando a sua volta. Si mise vicino a Chiara, tenendole una mano mentre l’altra andava a stringere quella di Paola.
«Come è potuto succedere?», domandò sconvolta. «Era agile. È scampata al peggio tante volte, cosa c’era di diverso oggi?»
«Non lo so!», ribatté rabbioso Spallaci, portando entrambe le mani tra i capelli scuri. «Diavolo, Laura, se lo sapessi l’avrei salvata!»
Si sfilò la casacca sporca di sangue, buttandola a terra con stizza prima di prendere la via per le camerate.
Quando fu ormai sparito al piano superiore, di lui arrivò soltanto un grido: «Maledizione!»
Laura si voltò verso Bengiamino, studiandone l’espressione crucciata. Non sapeva cosa dire, se mai c’era qualcosa da dire. Fece il segno della croce, asciugandosi una lacrima e stringendosi a Chiara.
Rimasero in rispettoso silenzio per almeno un’ora.
Laura sistemò i capelli di Paola, mentre Chiara continuava a recitare a bassa voce il rosario.
Bengiamino aveva misurato così tante volte la stanza a grandi passi da rischiare di consumare le suole, mentre Maria stringeva in un abbraccio Cesco accarezzandogli i capelli su una delle panche dalla tavolata, lontani da Paola.
Si accorsero dell’arrivo degli altri quando udirono la fragorosa risata di Corella, mista a quella di Ezio, in fondo alle scale.
«Hai visto quello grassottello, che volo ha fatto?», stava dicendo euforico Cristiano, in sottofondo. «Ha sfondato il carretto con una schienata!»
Viola fu la prima a raggiungerli, dopo una breve corsetta per le scale. Sicuramente si aspettava di trovare Paola con un cerusico, attorniata da tutti …
Forse fu per quello che ciò che trovò la spiazzò del tutto.
Rimase immobile sulle scale, fissando il tavolo con espressione devastata.
Corella la urtò, visto che stava praticamente salendo all’indietro per poter ridacchiare con gli altri.
«Ma che … Oh, no.»
Il forlivese avanzò verso il tavolo a piccoli passi, prima di allungarli per poter abbracciare Laura, che si era lanciata verso di lui. La strinse forte, mentre le lacrime iniziavano a cadere dai suoi occhi azzurri.
Infine, anche Ezio e Cristiano li raggiunsero, e il silenzio calò di nuovo.
Tutti guardarono tutti per almeno un minuto, lasciando che l’assenza di parole divenisse così pesante da schiacciarli con la sua presenza.
«Spallaci ha provato a salvarla», singhiozzò infine Chiara, strizzando gli occhi mentre si premeva le ginocchia sul petto. «Ma non ce l’ha fatta.»
«Quando è arrivato era già morta», continuò Laura, scostandosi dall’abbraccio di Alessandro per tornare a prendere posto accanto alla fiorentina.
Bengiamino si limitò a scuotere il capo.
«Voi state bene?»
Violante accarezzò una guancia di Paola, prima di chinarsi a baciarle la fronte. Cristiano le fu subito accanto, stringendosi a lei e accarezzandole un braccio, senza staccare gli occhi dalla napoletana.
«Sì. Abbiamo fatto il possibile per portare le guardie di Cesare lontane dal Covo. Per questo abbiamo perso tanto tempo.»
Alessandro portò via le lacrime dal viso, ma esse non volevano smettere di cadervi copiosamente. «Questa è tutta colpa mia», disse, distrutto.
«Non dire sciocchezze», lo rimproverò sottovoce Bengiamino, ma questo non fermò il forlivese.
«Io ho proposto di andare a quella maledetta parata! Potevamo rimanere qui a bere e Paola non sarebbe morta!»
Era isterico.
Bengiamino lo attirò a sé e subito Alessandro affondò il viso nel suo petto, buttando fuori ogni lacrima.
Ezio non aveva ancora aperto bocca, non aveva mosso un muscolo. Quando arrivò ad avvertire su di sé lo sguardo preoccupato di tutti i presenti, strinse i pugni chiusi fino a che i polpastrelli non furono bianchi e lasciò la stanza a passo deciso, senza degnare alcuno di un’occhiata.
Il rumore dei suoi stivali a contatto con il legno cigolante del piano superire risuonarono fino a che non incontrò la porta, dopodiché lo sbattere dell’uscio diede nuova vita a un ennesimo momento di silenzio.
L’unico suono che per un istante alleviò la sofferenza di quel vuoto, fu un mugolio affranto di Corella.
«È furioso», mormorò Laura, usando la lamentela di Alessandro per tornare a parlare.
«È distrutto», la corresse Maria, alzandosi con un sospiro per avvicinarsi alle scale. Mise il piede sul primo gradino, restando a guardare il piano superiore con le braccia incrociate sul petto. «Si sente responsabile per ciascuno di noi.»
Cristiano si staccò da Violante, che lo guardò senza capire.
«Dovresti andare da lui, lo sai?», disse, accarezzandole i capelli.
La bolognese scrollò appena il capo.
«Ora il mio posto è qui con voi», rispose, appoggiandogli una mano sul petto.
Nel silenzio della stanza, si udì distintamente il nitrire di un cavallo provenire dalla finestra aperta.
Cesco si avvicinò ad essa, guardando attentamente verso il basso, poi sbiancò. Si diresse a passi veloci verso Maria, sussurrandole nell’orecchio qualcosa.
Anche lei perse il poco colore che le era rimasto.
«Niccolò è tornato», disse con tono freddo.
Violante si diresse alle scale.
«Ripensandoci, il Mentore ha bisogno di me», decretò, superando la modenese e sparendo al piano di sopra.
Corella si asciugò le lacrime velocemente, mentre Bengiamino prendeva una coperta da sopra la panca.
«Cosa fai?», chiese Laura, senza capire.
«Non possiamo permettere che la veda così.»
«Vedere cosa?»
La voce di Machiavelli risuonò nella stanza quando egli fece il suo ingresso, sfilandosi i guanti di cuoio.
Nessuno emise più un fiato.




   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: VandasGirls