Il destino di Qayin
Dopo
settimane di pioggia e palate di sudicio fango, quel giorno Roma
degnò la sua popolazione di una giornata fredda ma
soleggiata.
Cesare Borgia aveva annunciato da tempo la sua partenza per la campagna
militare a nord e, sebbene gli Assassini fossero lungi
dall’essere benvoluti alla parata che la guardia aveva
organizzato per le vie della città, al Covo tutti non
facevano
che parlare d’altro da giorni.
Si preannunciava un evento in grande stile, paragonabile soltanto allo
spettacolo pirografico organizzato per il compleanno del Papa.
Proprio per questo, Alessandro non stava più nella pelle.
Non
aveva toccato vino se non a colazione e da ore ormai si aggirava per il
Covo per assoldare quante più persone possibili e recarsi
alla
cittadella. Aveva persino ottenuto la benedizione di Ezio, il quale si
era aggiunto al gruppo più che volentieri, e quella di
Maria,
che invece si era lasciata trascinare in mancanza di una scusa per
starsene rinchiusa da qualche parte a leggere.
Quando arrivò a bussare alla porta delle camerata femminile,
perciò, Alessandro era più che sicuro che
convincere
Laura fosse già una battaglia vinta.
Entrò nella stanza senza attendere che la ragazza lo
invitasse,
fiondandosi al letto sul quale ella riposava con i saltelli
più
gioiosi di cui era capace.
«Lauretta!», strillò, prendendole il
viso tra le
mani per schioccarle un bacio sulle labbra. «Che ci fai
ancora a
letto? Roma intera sta festeggiando!»
La ragazza rispose a quella dose di affetto trattenendo un conato di
vomito.
Dopo che i crampi allo stomaco e il mal di schiena erano cessati, a
tutti quanti era sembrata come rinata. Aveva ripreso
l’addestramento con Bengiamino e le ronde notturne con
Corella,
eppure, quella mattina, aveva detto di essersi destata con addosso un
forte malessere. Aveva rimesso tutto ciò che aveva nello
stomaco
più di una volta e sentiva il capo scoppiarle.
Nel pomeriggio sarebbe passato il cerusico a visitarla, ma fino ad
allora Maria le aveva ordinato di non alzarsi per nessuna ragione.
«Alessandro …», biascicò,
sollevandosi
appena. «Non mi sento in forze. Credo che mi sia tornata la
febbre che m’ha colto due settimane fa. Va’ e
divertiti,
quando tornerai voglio un racconto esaustivo.»
Lui la guardò con un piccolo broncio a increspargli le
labbra, ma non insistette oltre.
Le passò una mano sulla fronte, baciandole la punta del naso.
«Tornerò da te prima di sera», promise,
scostandosi
dal letto per incamminarsi verso la porta. «Dovessi perdermi
la
serata in osteria!»
Rivolse a Laura un ultimo sorriso colmo di quell’euforia che
la
sera prima l’aveva praticamente tenuto sveglio a immaginare
la
parata e si buttò sul corridoio, scendendo le scale a balzi
per
raggiungere gli altri più rapidamente.
«Non si sente bene», annunciò, prendendo
a braccetto
da un lato Paola e dall’altro Chiara. «Ma poco
male!
Vorrà dire che ci sarà più vino per
me!»
Violante si stava sistemando un paio di pugnali sotto alla gonna lunga
dell’abito marrone, mentre invece Bengiamino ostentava la sua
balestra sulla schiena senza paura alcuna, seppure avesse acconsentito
a portare un cappello. Ezio sosteneva che quello sarebbe bastato per
non farsi riconoscere da Cesare e, vista la sua convinzione, nessuno
aveva osato controbattere.
Ad ogni modo, sia lui e Chiara sarebbero poi rimasti accanto al Mentore
e a Maria per evitare qualsivoglia incidente.
«Siamo pronti? Allora andiamo!», trillò
allegro il
Mentore, mostrandosi a loro per la prima volta con abiti comuni.
Ci rimasero quasi male.
«Io non ho intenzione di starmene qui con voi
straccioni!»,
dichiarò Spallaci, gonfiando il petto accanto a Cristiano.
«Me ne vado con la mia famiglia!»
«Chi ti ferma!», lo ribeccò il
ferrarese, smagliante nella sua casacca più elegante.
Tra lui e Augusto, era difficile scegliere chi fosse vestito
più riccamente.
Entrambi con addosso abiti di tessuti raffinati, entrambi decorati con
gli stemmi della loro famiglia e con la loro spada più bella
legata al fianco. Parevano due principi provenienti da
chissà
quale reame lontano.
«Ho sentito dire che Cesare partirà con i cavalli
più belli della penisola!», esclamò
Paola, ancora a
braccetto con Corella.
«Davvero?» Il forlivese scoppiò a
ridere.
«Povero sciocco! Cosa spera di fare, senza Fiore di
Maggio?»
La folla che si era radunata lungo tutta l’Aurelia era
impressionante. Da ogni dove, contadini e signori dividevano lo spazio
per poter osservare la partenza del loro condottiero.
Che fosse o meno un uomo retto, non importava a nessuno.
Paola prese per mano Violante, scivolando tra le persone fino ad
accaparrarsi un paio di posti davanti, mentre Ezio trascinava Chiara e
Bengiamino di lato, appoggiati all’architrave di una chiesa.
Maria portò con sé Cesco in cima ad una piccola
scalinata
e cacciando così il padrone di casa.
Corella, riluttante, seguì Spallaci e Cristiano in mezzo
alla calca ma, tutto sommato, in un buon posto.
«Sei ancora qui?», chiese il biondo, rivolto verso
il romano. «Non dovevi cercare la tua mammina?»
Lui sbuffò.
«In mezzo a questa folla? Sgualcirei solo la
giacca.»
Corella trattenne una risata.
«Sia mai, o appena ti vede ti riprende subito!»
Augusto lo guardò scuro in volto, voltandosi di tre quarti
nella sua direzione.
«Sai Oste, a volte sei davvero un palo in culo.»
Quelle parole scatenarono un’autentica ovazione da parte di
Corella e Pagni.
I due si portarono la mano alla bocca, fingendosi altamente offesi,
prima di cacciarsi a ridere come dei veri asini. Si appoggiarono
entrambi alle spalle di Augusto, ancora presi dalle risa.
«Oh, Dio, grazie per avermi consentito di vivere
così
tanto da poter udire parole tanto soavi dalla bocca di
Spallaci»,
sussurrò Alessandro, alzando gli occhi al cielo e fingendosi
puramente commosso.
«Chiudi quella fogna», lo zittì Augusto,
usando
tutta la sua stazza per prenderlo per una spalla e metterlo dinanzi a
sé in prima fila sulla strada.
Alessandro aprì la bocca per controbattere, ma il tono
entusiasta di Cristiano lo interruppe sul nascere.
«Guardate! Sta arrivando!»
Tutti e tre si piegarono appena in avanti per ammirare la magnificenza
delle bestie che Cesare Borgia e le prime guardie papali stavano
cavalcando. Tutti animali di pura razza, con il manto lucido e la
criniera libera sul dorso.
Corella fischiò, dando una gomitata a Spallaci.
«Ritiro tutto quello che ho detto su Fiore di
Maggio»,
commentò. «A questi il tuo stupido cavallo
può solo
leccare gli zoccoli.»
Augusto gli diede una sonora sberla sul collo che riecheggiò
tra loro e attirò un paio di sguardi scocciati.
«State dando spettacolo», fece notare Cristiano con
tono
divertito, prima di puntare gli occhi su Cesare Borgia. «Tra
poco
passerà così vicino … che
opportunità
sprecata di poterlo far fuori.»
Corella annuì lievemente, ancora intento a massaggiarsi la
nuca.
«Potevano pensarci prima.»
Lo stridere di due lame fece voltare entrambi i ragazzi verso Augusto.
«Facciamolo noi», propose il romano, facendo
roteare i coltelli che stringeva tra le mani.
Ghignò, leccandosi un labbro prima di allungare il braccio
verso
Cristiano. Gli porse la lama, scoccandogli al contempo
un’occhiata divertita.
«Facciamo chi arriva prima al collo di Borgia?»
Corella strabuzzò gli occhi.
«Non credo che sia una buona idea», fece presente,
per
quanto la sua opinione potesse valere. In mezzo alla competizione di
Augusto, neanche un ordine diretto del Signore avrebbe avuto efficacia.
Cristiano attese un istante, giusto il tempo che Corella
impiegò
a voltarsi per cercare gli occhi di Ezio e poi, senza farsi notare,
annuì deciso.
In una frazione di secondo, Spallaci aveva già spinto cinque
persone, liberandosi la via.
Cristiano scambiò uno sguardo pietrificato con Alessandro,
prima
di gridare: «No, fermati, folle!» e lanciarsi al
suo
inseguimento.
Il cavallo di Cesare si impennò di colpo davanti a Spallaci,
che
non mancò di trascinare al suolo il condottiero con un
balzo.
Questi però non cadde, aggrappandosi al suo aggressore e
spingendolo via con un pugno in pieno viso. Quando Augusto
stramazzò al suolo, Cristiano si ritrovò di
fronte al
Valentino.
Alzò lentamente il pugnale, storcendo il naso mentre si
fissavano negli occhi.
«Questo te lo manda Ezio Auditore!»,
urlò in mezzo al silenzio assordante che era venuto a
crearsi.
Ciò che avvenne poi, Corella l’avrebbe ricordato
per sempre come la sacra rappresentazione dell’apocalisse.
Cristiano scattò in avanti con il coltello alzato sul viso
di
Cesare. Mancò il bersaglio quando quest’ultimo
rotolò sul fianco e scattò in piedi con la mano
alla
spada, ciò nonostante riuscì ad abbattere una
guardia
accorsa al salvataggio del suo comandante. Quando tentò di
darsi
alla fuga tra la folla, due miliziani gli si pararono di fronte.
Armato nient’altro che del pugnale di Spallaci, Cristiano
estrasse la spada che portava legata al fianco, ma non fece in tempo ad
impugnarla saldamente che due frecce mandarono al suolo i suoi
aggressori.
Da qualche parte sui tetti, Bengiamino copriva loro le spalle.
Corella corse ad aiutare Spallaci che però si rimise in
piedi spingendolo di lato.
«Difenditi, stupido!», disse, rivolto al forlivese,
il quale reggeva già la spada in mano.
«Sicuro di farcela?», gli chiese di rimando
Alessandro,
mentre Spallaci si puliva il sangue che colava a fiumi dal naso. Gli
bastò un cenno di assenso, prima di correre verso Pagni per
aiutarlo.
Anche le ragazze si buttarono nella mischia.
Violante ci mise poco a strappare la gonna, riducendola in lunghezza
tanto che le arrivava sopra al ginocchio, prima di iniziare a
combattere con l’aiuto di Paola.
«Va’ da Augusto!», le urlò.
«E tornate a
casa! Io recupero i due cretini là in mezzo!»
Senza rispondere, Paola si buttò tra la folla, sfilando
dalla
cintura qualche coltello da lancio. Raggiunse Augusto in tempo per
vedergli trapassare il busto di una guardia, la quale ricadde a terra
senza dare un lamento.
Difendendosi da un attacco con un lancio preciso che atterrò
un
uomo armato di ascia, la ragazza scivolò in fretta alle
spalle
di Augusto, afferrandolo per la casacca senza lasciargli il tempo di
voltarsi.
«Andiamo!», gridò.
Il ragazzo si voltò con un affondo della bella spada che
quella mattina portava fieramente legata al fianco.
Con il rumore della veste che si squarciava, Paola avvertì
un
bruciore al ventre, mentre le mani correvano a coprirlo. Cadde in
ginocchio dinanzi a Spallaci, incapace persino di chiedere aiuto.
Mentre lui la fissava strabuzzando gli occhi, lei si guardò
le
mani, trovandole imbrattate del sangue che sgorgava dal taglio che le
apriva lo stomaco.
«Paola!»
La voce di Augusto le giunse lontana, mentre lui si chinava per
soccorrerla.
Alessandro stava ancora cercando di tenere buone le guardie di Cesare,
quando si voltò verso di loro. Tutto ciò che vide
fu
solamente Augusto chino su Paola e tanto, troppo sangue sulla veste
azzurrina della fanciulla.
Sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene e solamente grazie a
Violante non venne trafitto.
«Presta attenzione!», gli urlò in faccia
la ragazza,
prima di voltarsi a sua volta verso ciò che aveva
così
tanto catturato l’attenzione del forlivese. «
…
No.»
Un sussurro, nulla più di un soffio.
Corse verso di loro, buttandosi a terra e prendendo fra le mani in viso
dell’amica.
Paola stava perdendo colore e i suoi occhi non brillavano
più.
«Portala al Covo», disse Violante verso Spallaci,
mentre
anche Corella si avvicinava, portando una mano alla bocca. Non
ottenendo risposta, la bolognese scrollò il braccio di
Augusto.
«Adesso! O morirà!»
Spallaci
non se lo fece ripetere due volte. Rinfoderò la spada e
prese in
braccio l’amica, iniziando a correre tra la folla.
Non corse mai così veloce come in quell’istante.
Con il silenzioso aiuto di Bengiamino che sorvegliava la situazione
dall’alto, riuscì ad aprirsi un varco tra la folla
urlante
e le guardie che cadevano colpite dai dardi del milanese.
Sfrecciò sul Lungo Tevere, aggirando con goffaggine i ponti
più affollati ed evitando come meglio poteva i passanti che,
ormai lontani dall’inferno della via Aurelia, si affrettavano
a
tornare a casa. Nella foga, ruzzolò a terra un paio di
volte,
sempre tenendo stretta a sé Paola.
A ogni passo che compiva verso il Covo, sentiva il respiro della
ragazza farsi più lieve, la presa delle sue braccia attorno
al
suo collo sempre più debole.
«Paola!», la chiamava, stringendola a sé
nel
disperato tentativo di sentirla riprendersi. «Ci siamo quasi,
ci
siamo quasi!»
Attraversò Ponte Sisto che il corpo della ragazza era
immobile.
Nessun respiro a scostarle i capelli rossicci dal viso, nessuna
contrazione dovuta al dolore a farle sanguinare la ferita.
Scivolò in un vicolo, adagiandola a terra mentre le lacrime
iniziavano a rigargli il viso contratto in una smorfia disperatamente
arrabbiata.
«No, Paola, devi resistere. Non puoi morire ora!»
Si mise in ginocchio accanto al corpo della giovane, appoggiando la
fronte contro quella della rossa e lasciandosi scappare un singhiozzo,
mentre la attirava a sé stringendola tra le braccia.
«È colpa mia.»
Le sussurrò in viso, scuotendo il capo diverse volte, prima
di
lasciarsi andare al pianto, consapevole che ciò che aveva
fatto
l’avrebbe ricordato per il resto dei suoi giorni.
«È
grave?»
Storcendo il naso sotto l’odore acre del vino, Laura
incrociò le braccia sul petto. Osservò il
guaritore
dondolare sopra la sua testa la ciotola di vetro in cui aveva diluito
la bevanda con la sua urina e sospirò, affranta. Aveva
già visto i medici farlo con sua madre a Milano e sapeva che
quella mistura non portava a nulla di buono.
Guardò nella direzione del guaritore, soffermandosi un
istante
sulla sua maschera bianca, e si diede all’ennesimo sospiro.
«Non direi», le disse lui, cogliendola di sorpresa
proprio
nell’istante in cui aveva rinunciato all’idea di
ricevere
una risposta. «Siete soltanto gravida.»
Laura sbatté più volte le palpebre.
«Come?»
«Gravida. Aspettate un figlio. Maschio, se la luna era
crescente il giorno del concepimento.»
A ciò, la ragazza non osò controbattere. Rimase
immobile
a fissare il vuoto, ascoltando con disinteresse i passi del cerusico
che si allontanava sul corridoio, mentre con una mano si accarezzava la
pancia.
Per un istante, fu come se tutto ciò che c’era
attorno a lei non fosse mai esistito.
Vide sfumare tutto ciò per cui stava lavorando: la corsa per
essere una dei cinque migliori, la voglia di combattere
l’oppressione dei Borgia, un’intera esistenza di
viaggi
andata, finita in una manciata di istanti.
Portò l’altra mano alla bocca, soffocando un urlo
di pura frustrazione mentre si lasciava cadere sul letto.
Aveva davanti una giornata intera per piangere ogni sua lacrima,
dopotutto.
O almeno, così credeva.
Sentì una porta sbattere violentemente contro il muro e la
voce di Bengiamino che riecheggiava nella sala.
«Paola! Spallaci!»
Si mise ritta, giusto in tempo per vedere Maria affacciarsi alla
camerata, con occhi sbarrati dal terrore.
«Dov’è Paola?!»,
domandò la donna, senza nascondere il fiatone.
Laura la guardò per un istante, confusa. Poi comprese che
qualcosa, alla parata, non era andato per il verso giusto.
«Credevo fosse con voi!», esclamò,
alzandosi in piedi per raggiungere Maria all’uscio.
La sua espressione di puro panico, Bengiamino nel salone che si
scostava dal suo tono pacato … Laura cominciò a
temere il
peggio.
«Che è successo?», chiese, mentre Maria
faceva strada sullo scalone.
«Hanno ferito Paola!», le urlò di
rimando la donna,
senza fermarsi. «Lei e Augusto dovrebbero già
essere
qui!»
Impaurita, Laura accelerò il passo fino al piano
sottostante,
fiondandosi nelle braccia di suo fratello non appena se lo
ritrovò di fronte con gli occhi sbarrati e il respiro
affannato
di chi ha corso a perdifiato per leghe intere.
«Stai bene?», gli chiese, prendendogli il viso tra
le mani.
Lui annuì, silenzioso, e la strinse a sé.
Chiara, in un angolo, tremava stringendo la mano di Cesco.
Il ragazzo era pallido come un cencio e sembrava sul punto di svenire.
Poi, lentamente, aprì la bocca e disse la prima cosa sensata
che
parve passargli per la testa.
«Forse ha trovato un cerusico per la via e ha deciso di farla
curare a lui.»
Maria, al suono di quelle parole, annuì lentamente.
«Si può sapere cosa diavolo è accaduto?
Non
dovevate andare ad una parata festosa?», chiese la giovane
Lorenzetti, senza trattenere più l’ansia.
Bengiamino continuò a stringerla a sé,
recuperando piano il fiato.
«Sì, gran bella festa. È finita in un
massacro.»
«Spallaci si è fatto saltare la mosca al naso e ha
attaccato Cesare», disse in un soffio Cesco, mentre aiutava
Chiara a sedersi, reggendola nel suo stato di trauma.
Con uno scatto sorpreso, Laura si scostò da Bengiamino.
«Spallaci ha fatto cosa?!», gridò,
mentre lui la
guardava con severità. «Ma …
davvero?»
Maria annuì.
«E da vicino, così da farsi vedere bene in viso.
Dovrà ritenersi fortunato se la sua famiglia
sopravvivrà
la notte.»
Chiara singhiozzò, affondando il viso nelle maniche del
vestito
e, preso alla sprovvista, Cesco non seppe far altro che abbracciarla.
«Gli altri dove sono?», azzardò Laura,
sebbene la
risposta fosse più che lampante. «E
Alessandro?»
Bengiamino alzò un sopracciglio.
«Con gli altri, a salvarsi la pelle.»
«Con lui c’è Ezio», la
tranquillizzò
Maria, sporgendosi dalla finestra, sperando di notare qualcosa. Non
aggiunse altro, limitandosi ad appoggiare il capo al vetro.
Nessuno lo notò.
«Ma l’avete visto? È vivo?»,
chiese in pena Laura.
Aspettava suo figlio, non poteva pensare di crescere un piccolo
bastardo senza padre, da sola. Il cuore rischiava di spaccarsi nel suo
petto quando sentirono dei passi alle loro spalle.
«Alessandro!», urlò la milanese,
voltandosi di scatto verso le scale.
Ciò che vide la lasciò del tutto senza forze,
tanto che scivolò contro il muro, fino a terra.
Spallaci saliva ogni gradino con lentezza, gli occhi vuoti e il corpo
di Paola esanime fra le braccia. Il suo petto era ricoperto di sangue
rappreso, così come la veste della giovane, squarciata sul
ventre.
Superò Laura senza dire nulla, entrando nella sala in
silenzio e
appoggiando Paola sulla tavola che Bengiamino aveva sparecchiato
impulsivamente con il braccio.
«Paola!»
Con gli occhi colmi di lacrime, Chiara lasciò il suo posto
sulla
panca, portandosi attorno al corpo senza vita della napoletana.
«Che le è successo, Augusto?», chiese,
disperata.
Il ragazzo dovette passarsi la blusa sugli occhi un paio di volte,
prima di scacciare i singhiozzi e spiegare l’accaduto.
«Un Templare l’ha attaccata»,
balbettò, mentre
le lacrime riaffioravano sulle ciglia. «Non sono riuscito a
raggiungerla in tempo. È morta mentre la portavo
qui.»
Maria lasciò la sua postazione alla finestra, avvicinandosi
per prendere il viso di Paola tra le mani.
«Perché ci hai messo tanto?», chiese,
senza però mettere tra le sue parole un tono di accusa.
Augusto divenne paonazzo.
«Ho corso quanto più veloce ho potuto!»,
esclamò, con la voce impastata dal pianto e dalla
disperazione.
«La folla, le guardie da evitare … ho dovuto fare
una
strada più lunga.»
Bengiamino alzò il lembo della veste, guardando la ferita.
«Nemmeno facendo quella più breve
l’avresti
salvata», disse con tono spento, prima di voltarsi, tirando
un
pugno al muro. Alzò il viso verso il soffitto, mordendosi
con
forza le labbra mentre entrambe le mani andavano dietro alla sua stessa
nuca.
Laura li raggiunse tremante, singhiozzando a sua volta. Si mise vicino
a Chiara, tenendole una mano mentre l’altra andava a
stringere
quella di Paola.
«Come è potuto succedere?»,
domandò
sconvolta. «Era agile. È scampata al peggio tante
volte,
cosa c’era di diverso oggi?»
«Non lo so!», ribatté rabbioso Spallaci,
portando
entrambe le mani tra i capelli scuri. «Diavolo, Laura, se lo
sapessi l’avrei salvata!»
Si sfilò la casacca sporca di sangue, buttandola a terra con
stizza prima di prendere la via per le camerate.
Quando fu ormai sparito al piano superiore, di lui arrivò
soltanto un grido: «Maledizione!»
Laura si voltò verso Bengiamino, studiandone
l’espressione
crucciata. Non sapeva cosa dire, se mai c’era qualcosa da
dire.
Fece il segno della croce, asciugandosi una lacrima e stringendosi a
Chiara.
Rimasero in rispettoso silenzio per almeno un’ora.
Laura sistemò i capelli di Paola, mentre Chiara continuava a
recitare a bassa voce il rosario.
Bengiamino aveva misurato così tante volte la stanza a
grandi
passi da rischiare di consumare le suole, mentre Maria stringeva in un
abbraccio Cesco accarezzandogli i capelli su una delle panche dalla
tavolata, lontani da Paola.
Si accorsero dell’arrivo degli altri quando udirono la
fragorosa
risata di Corella, mista a quella di Ezio, in fondo alle scale.
«Hai visto quello grassottello, che volo ha
fatto?», stava
dicendo euforico Cristiano, in sottofondo. «Ha sfondato il
carretto con una schienata!»
Viola fu la prima a raggiungerli, dopo una breve corsetta per le scale.
Sicuramente si aspettava di trovare Paola con un cerusico, attorniata
da tutti …
Forse fu per quello che ciò che trovò la
spiazzò del tutto.
Rimase immobile sulle scale, fissando il tavolo con espressione
devastata.
Corella la urtò, visto che stava praticamente salendo
all’indietro per poter ridacchiare con gli altri.
«Ma che … Oh, no.»
Il forlivese avanzò verso il tavolo a piccoli passi, prima
di
allungarli per poter abbracciare Laura, che si era lanciata verso di
lui. La strinse forte, mentre le lacrime iniziavano a cadere dai suoi
occhi azzurri.
Infine, anche Ezio e Cristiano li raggiunsero, e il silenzio
calò di nuovo.
Tutti guardarono tutti per almeno un minuto, lasciando che
l’assenza di parole divenisse così pesante da
schiacciarli
con la sua presenza.
«Spallaci ha provato a salvarla»,
singhiozzò infine
Chiara, strizzando gli occhi mentre si premeva le ginocchia sul petto.
«Ma non ce l’ha fatta.»
«Quando è arrivato era già
morta»,
continuò Laura, scostandosi dall’abbraccio di
Alessandro
per tornare a prendere posto accanto alla fiorentina.
Bengiamino si limitò a scuotere il capo.
«Voi state bene?»
Violante accarezzò una guancia di Paola, prima di chinarsi a
baciarle la fronte. Cristiano le fu subito accanto, stringendosi a lei
e accarezzandole un braccio, senza staccare gli occhi dalla napoletana.
«Sì. Abbiamo fatto il possibile per portare le
guardie di
Cesare lontane dal Covo. Per questo abbiamo perso tanto
tempo.»
Alessandro portò via le lacrime dal viso, ma esse non
volevano
smettere di cadervi copiosamente. «Questa è tutta
colpa
mia», disse, distrutto.
«Non dire sciocchezze», lo rimproverò
sottovoce Bengiamino, ma questo non fermò il forlivese.
«Io ho proposto di andare a quella maledetta parata! Potevamo
rimanere qui a bere e Paola non sarebbe morta!»
Era isterico.
Bengiamino lo attirò a sé e subito Alessandro
affondò il viso nel suo petto, buttando fuori ogni lacrima.
Ezio non aveva ancora aperto bocca, non aveva mosso un
muscolo. Quando arrivò ad avvertire su di sé lo
sguardo
preoccupato di tutti i presenti, strinse i pugni chiusi fino a che i
polpastrelli non furono bianchi e lasciò la stanza a passo
deciso, senza degnare alcuno di un’occhiata.
Il rumore dei suoi stivali a contatto con il legno cigolante del piano
superire risuonarono fino a che non incontrò la porta,
dopodiché lo sbattere dell’uscio diede nuova vita
a un
ennesimo momento di silenzio.
L’unico suono che per un istante alleviò la
sofferenza di quel vuoto, fu un mugolio affranto di Corella.
«È furioso», mormorò Laura,
usando la lamentela di Alessandro per tornare a parlare.
«È distrutto», la corresse Maria,
alzandosi con un
sospiro per avvicinarsi alle scale. Mise il piede sul primo gradino,
restando a guardare il piano superiore con le braccia incrociate sul
petto. «Si sente responsabile per ciascuno di noi.»
Cristiano si staccò da Violante, che lo guardò
senza capire.
«Dovresti andare da lui, lo sai?», disse,
accarezzandole i capelli.
La bolognese scrollò appena il capo.
«Ora il mio posto è qui con voi»,
rispose, appoggiandogli una mano sul petto.
Nel silenzio della stanza, si udì distintamente il nitrire
di un cavallo provenire dalla finestra aperta.
Cesco si avvicinò ad essa, guardando attentamente verso il
basso, poi sbiancò. Si diresse a passi veloci verso Maria,
sussurrandole nell’orecchio qualcosa.
Anche lei perse il poco colore che le era rimasto.
«Niccolò è tornato», disse
con tono freddo.
Violante si diresse alle scale.
«Ripensandoci, il Mentore ha bisogno di me»,
decretò, superando la modenese e sparendo al piano di sopra.
Corella si asciugò le lacrime velocemente, mentre Bengiamino
prendeva una coperta da sopra la panca.
«Cosa fai?», chiese Laura, senza capire.
«Non possiamo permettere che la veda
così.»
«Vedere cosa?»
La voce di Machiavelli risuonò nella stanza quando egli fece
il suo ingresso, sfilandosi i guanti di cuoio.
Nessuno emise più un fiato.