Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: Laylath    21/05/2014    3 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 64. La leggenda del cavaliere.


 
La sera stessa di quel tragico litigio, quando Andrew ed Ellie andarono a dormire lei teneva uno strano broncio. L’uomo non ne fu del tutto sorpreso, ma preferì non dire niente lasciando che fosse lei stessa ad esplodere al momento giusto. Ed infatti…
“Mi auguro che prima o poi farai a tuo figlio un bel discorsetto sull’essere sensibili con le ragazze.”
“Ti ho mai detto che hai un seno piccolo e bellissimo? – le ritorse lui, abbracciandola e mettendo una mano sulla parte in questione – Perfettamente proporzionato con il tuo meraviglioso corpo.”
“Stai cercando di fare il ruffiano!” cercò di respingerlo lei.
“No, sul serio… quindi non fare la gattina infuriata con il pelo rizzato e gli artigli fuori. Onestamente, mi hai mai sentito fare paragoni tra te e Laura? E poi, quando mai avrei parlato del suo seno? L’unico su cui ho mai detto parola è il tuo… e ne ho sempre parlato solo con te in termini più che lusinghieri.”
“Scusami – sbuffò lei, girandosi in modo da dargli la schiena e facendosi abbracciare – è che capisco Rebecca meglio del previsto. A conti fatti è un bene che tra noi due ci sia stata una differenza d’età tale da impedirci di vivere simili esperienze assieme. Non credo che avrei mai avuto la forza di mettere un costume da bagno sapendo che c’eri anche tu.”
“Sono ragazzi e sono ancora da sgrezzare, tutto qui – commentò lui – Capisco che per voi femmine alcuni dettagli siano importanti e conoscendo Jean so che non è molto accorto su determinate cose. Ma vedrai che si risolve, suvvia. E anche se nostro figlio è rimasto perplesso, stai certa che ha già la sensibilità giusta.”
“Davvero? Riza sembrava sul punto di fulminarlo quando ha tirato fuori quella frase impietosa su me e Laura.”
“Ha undici anni e per certe cose è più ingenuo del previsto. Avere una nuova sorella sulla soglia dell’adolescenza non è facile sotto certi punti di vista, ma non puoi dire che non sappia cosa sia l’imbarazzo fisico… l’idea che i suoi amici vedessero la cicatrice lo spaventava molto.”
“Lo so, non ce l’ho con lui. E’ il mio pulcino, non potrei mai.”
“Vedrai che Riza sbollirà presto. La solidarietà femminile non la priverà della sua capacità di ragionare.”
“Mi stai dando dell’irrazionale?” lei si girò improvvisamente per fissarlo.
“Apprensiva, irrazionale, in adolescenza piena di complessi per il tuo corpo… ma quanto adoro il tuo seno piccolo e morbido, le tue gambe snelle, i tuoi capelli così ribelli che se non li tieni in una treccia non sapresti come fare. Perché dovevo cercare una principessa quando invece ho avuto la regina delle fate?”
“Sono io quella che inventava fiabe – ridacchiò Ellie, salendo sopra di lui – e molto spesso ti immaginavo come cavaliere coraggioso che veniva solo per me.”
“Bellissima regina delle fate – mormorò lui, guardandola alla luce della luna che entrava dalla finestra – concedi a questo cavaliere il tuo splendente amore?”
“E sia, cavaliere – lo baciò lei con un sorriso – il tuo peregrinare è giunto al termine.”
 
“Tuo figlio e la cavalleria sono due universi distanti e destinati a non incontrarsi mai – Angela spiattellò questa frase in faccia a James mentre la famiglia faceva colazione – e tu, figliolo, non lamentarti se quello sarà il primo di una serie di schiaffi che Rebecca ti darà.”
“E’ ancora un po’ rosso da ieri – notò Janet, ancora in pigiama, inzuppando una fetta di torta nella sua scodella di latte – proprio come quando lo schiaffo te lo dà la mamma o il papà.”
“E tu stai zitta!” sbottò Jean, profondamente contrariato da non trovare la solidarietà familiare che si era aspettato. Sua madre sembrava stare dalla parte di Rebecca, suo padre pareva in qualche modo rassegnato e Janet…
Lei non fa testo… - pensò, osservando la bambina che cercava di mangiare la torta inzuppata prima che cadesse dentro la tazza.
“Insomma, la colpa è anche sua! Che domande mi va a fare se sa benissimo che non ha niente da valorizzare? Io sono solo stato onesto: non avevo proprio capito che intendesse il petto… non ne ha!”
“Non conta la verità, ma quello che lei si vuole sentir dire – sospirò Angela – diamine, Jean, per certe questioni sei proprio zuccone, eh?”
“Grazie, mamma, è proprio bello sentirselo dire.”
“Figliolo, quando hai a che fare con le ragazze devi soppesare ogni cosa che dici, perché può diventare un’arma da usare contro di te…”
“Mah! Lo sapevo che questa storia dell’amore era una fregatura bella e buona.”
“James Havoc, che cosa intendevi dire con l’ultima frase? Che idee stai mettendo in testa a nostro figlio?”
Angela si alzò dal tavolo iniziando a rimettere in ordine e lanciò al marito un’occhiata omicida.
“Vedi, Jean? – commentò l’uomo – ecco l’esempio di quanto ti ho appena detto. Ti possono rivoltare contro qualsiasi cosa.”
“Cosa vuol dire rivoltare, papino?” chiese Janet incuriosita.
“Usare una cosa contro qualcuno.”
“Anche io rivolto le cose?”
“No, non ancora almeno…” ebbe l’accortezza di dire l’ultima parte della frase in modo che la potesse sentire solo Jean.
“Si chiama cavalleria – dichiarò Angela, pulendo con un tovagliolo il mento della figlioletta – e in questa casa pare essere defunta da molto tempo.”
“Mi è passato decisamente l’appetito!” sbuffò Jean alzandosi.
Con aria estremamente offesa si preparò ed uscì per fare un giro che lo aiutasse a sbollire.
Ovviamente gli dispiaceva che Rebecca ci fosse restata male e se la fosse presa, ma era la verità: la ragazza non aveva un briciolo di seno. E Jean non capiva il concetto: se non ne hai allora perché devi fare domande di quel genere? Tutti gli altri, chi in maniera più marcata, chi meno, gli avevano detto che per determinate cose doveva essere più delicato, ma lui non ne capiva il senso.
“In fondo le ho detto che per me va benissimo com’è: le tette le cresceranno più avanti.”
L’idea di Rebecca più alta e con un bel seno non gli dispiaceva tanto: si era accorto che le curve di Elisa non erano niente male e per la prima volta pensare a questi dettagli femminili non gli dispiaceva, tutt’altro. Del resto il seno era la parte più morbida dove appoggiarsi: da piccolo adorava addormentarsi con il viso affondato sul petto di sua madre.
Morbido, profumato… oh sì, come si stava bene.
E se Rebecca con il passare degli anni cresceva anche in quel senso sarebbe stato fantastico.
 
“Ovviamente tu non le dirai niente del genere – disse Heymans squadrandolo con aria dubbiosa – credo che servirebbe solo a farla arrabbiare ancora di più.”
Jean mise il broncio e giochicchiò con uno dei pezzetti del risiko.
Era andato a casa del suo amico e vi aveva trovato anche Vato e Roy, intenti a fare una partita. Così era stato inevitabile che la discussione si spostasse verso quell’argomento così delicato.
“Perché si dovrebbe arrabbiare? Insomma, la metto sul positivo: le faccio capire che a me va bene così com’è e che c’è ottima possibilità che le cresca il seno.”
“Non credo che funzioni in questo modo…” fece Roy caustico.
“Oh senti! E allora che le devo dire? Ovvio che le chiedo scusa se c’è rimasta così male, però è vero che non ha tette.”
“Una volta una delle ragazze del locale di mia zia ha detto che con le parole un uomo può rovinare una relazione in men che non si dica. E loro se ne intendono.”
“Ti riferisci alla cavalleria?”
“Eh?”
“Mia madre ha detto qualcosa come la cavalleria è morta in questa casa. Che cosa si intende di specifico per cavalleria, signor antropologo?”
“Antr… ehi, l’hai detto giusto per la prima volta!” esclamò Vato piacevolmente sopreso.
“Si vede che la situazione è proprio grave, vero?” sogghignò Heymans.
“Beh, vediamo… per cavalleria si intende l’insieme dei doveri imposti a un perfetto cavaliere: nobiltà di modi, generosità, cortesia…”
Delicatezza.” aggiunse Roy.
“Come un cavaliere, eh?”
Jean si posò contro lo schienale ed iniziò a riflettere profondamente.
 
Ovviamente Rebecca non aveva voluto nemmeno vederlo: era andato a casa sua, ma la sorella gli aveva detto che la ragazza non aveva intenzione di uscire dalla sua stanza. Un po’ si era aspettato un atteggiamento del genere e non c’era rimasto troppo male.
Stava iniziando a maturare l’idea che quello che aveva fatto aveva colpito nel segno la sua fidanzata: un po’ come se avesse preso in giro Kain per la sua cicatrice. Di conseguenza serviva qualcosa di veramente speciale per farsi perdonare.
Mentre tornava a casa la sua mente continuò a macinare idee su idee, ma tutte gli sembrarono banali ed inutili: gli serviva qualcosa di eclatante che facesse dimenticare a Rebecca tutto quello che era successo. E poi voleva anche dimostrare che lui era un ottimo fidanzato e che la cavalleria non era per niente morta in casa Havoc, alla faccia di quanto diceva sua madre.
Purtroppo, non avendo esperienze in merito, si trovò costretto ad andare da suo padre e chiedergli consiglio.
“Sì, decisamente servirebbe un gesto eclatante pure a me – sbuffò James, controllando alcuni barattoli sulle mensole dell’emporio – considerato che tua madre è furiosa.”
“Per la storia della cavalleria?”
“Cavalleria e per la solita questione della solidarietà femminile. E non c’è niente di peggio delle femmine ostinate per simili questioni.”
L’occhiata che l’uomo gli lanciò fu molto eloquente.
“Mamma è offesa anche con te?”
“Tua madre è una donna fantastica, Jean, ma ha un difettuccio: se decide che la razza maschile ha fatto qualcosa che non va, non importa se sei suo marito o suo figlio. Ti terrà il broncio per giorni e giorni… tu te la sei scampata più o meno fino ad adesso: ora che hai una ragazza preparati a subire il medesimo trattamento.”
“Ma bene! – sbottò il biondo, mettendosi a braccia conserte – allora è proprio guerra dichiarata tra lei e Rebecca! Le femmine sono davvero impossibili.”
“E preparati: tra circa sei anni ci sarà anche tua sorella a dare man forte.”
“L’ho sempre detto che avrei preferito un fratello…” mormorò Jean, meditando sulle sue sfortune.
L’unico consiglio che ricevette da suo padre fu quello di aspettare che la situazione sbollisse da sola: parlare con le ragazze all’apice della loro furia poteva essere davvero improduttivo.
Tuttavia Jean aveva preso la testardaggine dalla madre e non dal padre e così, salendo in camera sua, era ancora più deciso a ribaltare questa legge del mondo per cui non doveva ottenere il perdono da parte della sua fidanzata: ormai ne aveva fatto una questione di orgoglio personale.
Si sdraiò nel letto analizzando la situazione da tutti i possibili punti di vista, ma più ci pensava più tutte le sue idee gli parevano inutili. Mazzi di fiori, dolci o cose simili erano troppo sdolcinate e certamente non adatte all’occasione.
No, mi serve il gesto eclatante… di cavalleria.
“Cavalleria…”
Mormorò quella parola magica e si alzò in piedi: corse nella camera della sorellina e quasi la travolse.
“Dov’è il libro di favole?” chiese, inizando a rovistare tra i pochi volumi della libreria.
“Eh?”
“Ma sì, quello che ti legge la mamma qualche volta prima di andare a letto!”
“Ah quello! – si illuminò lei – è qui sotto il letto! Mi vuoi leggere una favola?”
“Non ora, avanti dammelo! E poi, perché è sotto il letto?” si chinò a recuperarlo.
“Non lo so… ah no! Aspetta! Prima lo stavo usando come tavolo per la merenda delle mie bambole.”
“Molto entusiasmante – borbottò lui, sedendosi a gambe incrociate e sfogliando con impazienza quelle pagine – andiamo… mi ricordo che c’era quella storia… eccola!”
“Quale? – chiese con curiosità la sorellina abbracciandogli il collo da dietro e sbirciando dalla sua spalla – Oh, ma quella è l’immagine del cavaliere! E la storia dell’eroe che va a salvare la principessa nel castello! Chiedo a mamma di raccontarmela tante volte!”
“Ti piace quest’immagine?” chiese Jean girandosi a guardarla.
“Tanto: guarda, il cavaliere è biondo e ha gli occhi azzurri come te e papà.”
“E perché pensi che alla principessa piaccia il cavaliere?”
“Perché è bello, coraggioso e arriva col suo cavallo bianco – disse lei, quasi fosse una filastrocca – e non ha paura di niente e nessuno per salvare la bella principessa.”
“Janet, hai proprio colpito nel segno! – rise Jean afferrandola e abbracciandola – Si vede che sei mia sorella: puoi chiedermi tutto quello che vuoi.”
“Allora me la leggi la favola?”
“Ma certo! – sorrise, facendo sistemare la bambina nel suo grembo – mi farà bene sapere ulteriori dettagli.”
“Eh?”
“Niente, lascia stare… allora: in un regno tanto tanto lontano…”
 
Quella sera, totalmente ignaro di quanto progettava il suo miglior amico, Heymans aiutava sua madre a sparecchiare.
“Se vuoi puoi andare, tesoro – gli disse Laura – posso fare da sola.”
“Ma figurati mamma, la cavalleria mica è morta in questa casa.”
“Scusa?” ridacchiò lei, mettendo le stoviglie nel lavandino.
“Una frase della madre di Jean – spiegò lui con un sogghigno – che forse lo farà riflettere un po’ sull’essere delicato con la propria ragazza.”
“Ah, la famosa questione del litigio? Sono proprio curiosa di vedere cosa si inventerà il tuo amico.”
“Io più che curioso ne sono impaurito – ammise il rosso, passando lo strofinaccio sopra il tavolo – però è una questione tale che io non mi sono voluto intromettere. Insomma, non mi piace pensare di Rebecca in quel senso… è mia amica.”
“Non c’è qualche fanciullina che ti piace?”
Fu una domanda fatta all’improvviso, tanto che Heymans alzò lo sguardo sulla donna, quasi a chiederle se lo stesse prendendo in giro. A dire il vero lui non era minimamente interessato al mondo femminile, non in quel senso. Certo, riteneva che alcune ragazze andassero più incontro ai suoi gusti rispetto di altre, ma da qui a dire che qualcuna gli piaceva veramente, la strada era davvero lunga.
“No, direi di no – ammise infine – e poi non credo di essere un buon partito, sia fisicamente che… uhm… per altre questioni.”
“Spero che un giorno troverai una brava ragazza che non faccia caso a tutto ciò che è successo – sospirò Laura – e lo stesso mi auguro per tuo fratello.”
“Se mai succederà, ti giuro che sarò rispettoso di lei – dichiarò con convinzione – non sarò come p… scusa, non dovevo dirlo.”
“Non sarai come tuo padre? – concluse Laura con un sorriso stanco – E’ quello che mi aspetto da te ed Henry, ma sono convinta che non sarete assolutamente come lui.”
“Per ora mi limito ad essere il tuo cavaliere, mamma, ti va bene?”
“Oh, ma così mi fai sentire una principessa, sir Heymans – lo prese in giro, slegandosi il grembiule e mettendoglielo sulle spalle a mò di mantello – e dimmi, mio prode cavaliere, domani farai anche delle commissioni per la tua dama?”
“Nei limiti del consentito.” concesse lui, strizzandole l’occhio.
 
Il sole stava appena sorgendo nella placida campagna di quel piccolo angolo di mondo, quando il prode cavaliere condusse fuori dal maniero il suo maestoso destriero. Voleva aprofittare dei primi raggi di quell’alba fatale per andare in missione senza che nessuno se ne accorgesse: era convinto che la sua impresa avrebbe avuto esito positivo solo con l’assoluta segretezza.
L’impavida giullare di corte gli aveva dato l’idea giusta per rientrare nelle grazie della sua dama, dimostrandole tutto l’amore che provava per lei. Quale fanciulla non sarebbe svenuta ai piedi di un cavaliere in groppa ad un cavallo bianco.
Non è proprio bianco, va bene… è pezzato.
“No, dai Scruffo, non fare così – mormorò, accarezzando sul muso l’animale che sbuffava, incuriosito da quella novità di essere portato fuori così presto – tieni, fai il bravo, è una carota tutta per te.”
Scruffo… non era proprio un nome adatto al destriero di un importante cavaliere: Fulmine, Lampo, Maestoso, quelli sì che andavano bene. Tuttavia quel nome era stato scelto da Janet quattro anni fa, quando il cavallo aveva preso il posto dell’ormai vecchissima Margherita… la bambina era rimasta molto divertita dai movimenti della criniera e dai versi che faceva l’animale quando scrollava la testa.
Fa scruff! Scruff!
E così era stato battezzato Scruffo.
Tornando all’impresa…
Il prode cavaliere mise le redini al cavallo e, incurante delle convenzioni, lo montò a pelo. La sella non serviva se non nei tornei: in questo caso andava a rendere omaggio ad una fanciulla e, oggettivamente, nella sella non ci sarebbero mai stati in due.
Anche perché una sella non ce l’abbiamo considerato che lo usiamo per il carro.
Scruffo scartò lievemente quando sentì il ragazzo sopra la sua groppa: non capiva come mai non lo attaccasse al carro come sempre. Tuttavia dopo dieci secondi d’esitazione seguì le indicazioni delle familiari redini ed iniziò a muoversi verso il sentiero che portava in paese.
Nessuno si era ancora svegliato e così il prode cavaliere si godette il silenzio della campagna, fiero in sella al suo purosangue dal manto quasi candido fedele compagno di mille avventure.
“No… no aspetta, ma che fai! – esclamò a metà strada, quando l’animale andò al lato del sentiero a brucare l’erba – Scemo! Dobbiamo andare in paese! Forza!”
Con qualche incitazione riuscì a distogliere l’attenzione del cavallo dal cespuglio di margherite e proseguì verso la sua meta. Il sole era da poco alto quando giunse nel paese dove abitava la fanciulla verso cui doveva fare ammenda. Non facendo caso ai pochi popolani che lo guardavano con curiosità (zotici villici, che cosa ne potevano sapere dell’amor cortese?), andò al castello della fanciulla, proprio sotto la torre dove aveva le sue stanze.
“Reby! – chiamò, prendendo dalla tasca dei chicchi di riso che aveva precedentemente preso dall’emporio e lanciandoli alla finestra – Reby!”
Dopo una decina di secondi la dolce visione apparve, con i capelli scompigliati, il pigiama stroppicciato e gli occhi ancora chiusi per il sonno.
“Ti rendi conto di che ore sono, cretino?” sbottò.
A quel benvenuto non proprio caloroso, il cavaliere sbottò.
“Credi che mi faccia piacere alzarmi a ques… ehm, meravigliosa fanciulla che occupa i miei sogni ed è per lei che sospiro e… canto versi in pros… rime baciate come il bacio che…”
“Sei ubriaco o cosa?”
“Ma no! Insomma – sbuffò lui, vedendo che i suoi tentativi di linguaggio cavalleresco non andavano a buon fine – io volevo chiederti ancora una volta scusa. E volevo… uhm, ti va di venire a fare un giro sul mio destriero?”
“E’ il cavallo di tuo padre, quello che usa per il carro.”
“E usa la fantasia! Perché devi trattare così male Scruffo? Certo non è proprio bianco e…”
Quasi si fosse sentito chiamato in causa il destriero si girò di lato e alzò la coda, defecando.
“Ma che schifo!” commentò Rebecca, mettendosi la mano a protezione del naso e della bocca.
“E’ un cavallo, ovvio che fa così! Dannazione, esci si o no?”
“Ti pare il modo di chiedermelo?”
“E dai che non è bello che la faccia nella strada del paese – supplicò lui – e se mi vede il capitano Falman come minimo mi fa una ramanzina…”
“Ma perché stai facendo tutto questo?”
“Per fare pace con te, ovvio.”
La fanciulla a quel punto guardò il suo cavaliere e si convinse a metterlo alla prova. Il loro amore era stato messo in dubbio da perfidi incantesimi del destino, ma sembrava che in fondo al cuore pulsasse ancora pura e splendente la scintilla del vero sentimento che li univa.
“Dammi un paio di minuti per cambiarmi… anzi, vai direttamente alla scuola. Ti raggiungo lì tra cinque minuti.”
“Grandioso!”
 
Fanciulla e cavaliere si misero in viaggio allontanandosi dal luogo dove lei era stata vittima del malefico incantesimo: finalmente, a cavallo del valoroso destriero, erano di nuovo insieme e felici.
“Fa malissimo! I movimenti della schiena del cavallo mi fanno male al sedere… ed ha il pelo che punge!”
“Eh?”
“Prova a metterti in gonna e poi ne riparliano – sbuffò Rebecca, tenendosi alla vita del compagno – e poi non è che mi senta molto sicura ad una simile altezza, sai.”
“Fidati, mia dolce dama, non permetterò che ti accada alcunchè!”
“La smetti di parlare come un deficiente?”
“Non è un linguaggio da deficiente! E’ quello dei cavalieri, capito? Non so se l’hai intuito, ma sto cercando di essere cavalleresco con te!”
Per sottolineare questa protesta diede un colpo di redini e Scuffo reagì con un nitrito e caraccolando nel prato che stavano attraversando.
“No! – ansimò Rebecca, serrando la vita di Jean – Fallo calamare! Ho paura!”
“Non agitarti – la supplicò il ragazzo – sente se sei nervosa e… No, Scruffo!”
L’animale ovviamente era già eccitato dalla novità di essere libero dal peso del carro, a questo si aggiunse il nervosismo trasmesso dalla giovane coppia… passare dal passo al galoppo fu molto breve, anche perché il cavaliere non era per niente bravo a tenere le redini.
Fortunatamente per dama ed eroe il cavallo aveva solo intenzione di sgranchirsi le zampe e come vide un cespuglio di margherite calmò la sua corsa per andare a brucare docilmente i suoi fiori preferiti. Aproffittando di quel momento di tregua, i due giovani scesero con cautela a terra.
“Sei un cretino! – strillò Rebecca, dandogli uno schiaffo – E’ così che ti vuoi far perdonare? Facendomi morire di paura?”
“Ma non è successo niente! – protestò lui – No, adesso perché piangi?”
“Ho creduto che ci disarcionasse! Potevamo farci male! Sei un mostro, Jean Havoc, non ti voglio mai più vedere in vita mia!”
E con passo tremante si avviò verso l’uscita del campo.
“Reby! – le corse dietro lui, afferrandola per il braccio – aspetta, sei spaventata, ti riaccompagno io a casa e…”
“Lasciami stare! Ti odio! Ti odio tantissimo!” esclamò, divincolandosi dalla sua stretta e correndo via.
E al prode cavaliere non restò che osservare la sua dama che si allontanava, ancora una volta portata via dal crudele incantesimo che le gelava il cuore. L’unico che venne a consolarlo fu Scruffo che gli diede un’amichevole musata sulla testa, quasi a ricordargli che non c’era niente da fare e che restare in quel campo, fermi a guardare il vuoto, non serviva a niente ed era davvero poco cavalleresco.
E così, senza nemmeno risalire in groppa al fedele destriero, l’eroe tornò al suo maniero con il cuore gravato dalla più pesante sconfitta della sua vita. Riteneva che niente potesse rendere la situazione peggiore…
“Fratellone! – Janet gli corse incontro appena lo vide vicino al cortile – Fratellone, sei nei guai!”
“Eh?” chiese distrattamente, accorgendosi dell’occhiata preoccupata della sorella.
“Mh – annuì lei – papà si è arrabbiato quando ha scoperto che hai preso Scruffo senza permesso… mi ha detto di aspettare che arrivassi. Dice che devi riportare Scruffo nella stalla e poi andare immediatamente in camera tua.”
“Merda…” sibilò il giovane, sapendo che dietro quell’ordine c’era la punizione peggiore che lo potesse aspettare. 
Avrebbe potuto salire in groppa al destriero e fuggire verso lontani paesi, via da quel mondo così ingrato dove non solo veniva umiliato e vilipreso (o era vilipeso? Non che la cosa avesse importanza), ma anche punito. Tuttavia con un sospiro si avviò verso le stalle, la manina di Janet stretta nella sua quasi a fornirgli assistenza morale… piccolo giullare di corte, forse l’unica che gli era stata vicina in quest’avventura.
Non sempre le favole finivano bene per il cavalieri.
Forse la cavalleria è davvero morta in questa casa.
 
“Rubare il cavallo di tuo padre e andare a prendere Rebecca come se fossi un cavaliere – la sera successiva Heymans ancora lo prendeva in giro – sapevo che mi dovevo aspettare qualcosa fuori di testa da parte tua, ma questo supera ogni mia aspettativa.”
“Grazie mille – sbuffò Jean, posato a braccia conserte contro la staccionata del cortile – apprezzo la solidarietà che dimostri nei miei confronti.”
“Finiscila – gli diede una pacca amichevole sulla schiena – allora come l’ha presa tuo padre?”
“Beh, mio padre ha due modi di darmele: o mi fa piegare sul tavolo e lì le cinghiate che mi prendo sono relativamente poche, oppure mi carica sulle ginocchia perché mi deve tenere fermo da quante ha intenzione di darmene.”
“E ieri?”
“Sulle sue ginocchia… per molto… troppo tempo. Credo sia stata la punizione più severa che mi sia mai preso in quasi quindici anni di vita.”
“Affermazione pesante, eh?”
“Ma ci sono gli elementi per confermarla – dichiarò con aria seria – ho il sedere e la parte alta delle cosce livida e a strisce. Dovrò mangiare in piedi per almeno due giorni, non ho dubbi… sai qual è la mia opinione? Che la cavalleria è davvero morta perché nessuno l’apprezza più.”
“E tua madre che ha detto?”
“Che sono uno zuccone e che non devo più fare niente di simile. Ha continuato a vaneggiare su tutti i pericoli che ci potevano essere ad andare a cavallo di Scruffo… ecco, forse lui è l’unico che ha ottenuto qualcosa: una bella passeggiata senza carro da trainare.”
“Vedi? Allora a qualcosa è servito e… uh? Ma quella è Rebecca…”
“Lei? – Jean aguzzò la vista e riconobbe la brunetta che correva verso l’emporio – Sì, hai ragione…”
Come li vide, la ragazza deviò e senza lasciare loro il tempo di parlare si buttò addosso a Jean, facendolo cadere a terra (con dolorose conseguenze considerato che impattò di sedere) e scoppiò in lacrime.
“Oh Jean! – singhiozzò – Tu sei il fidanzato più meraviglioso e fantastico del mondo! Ti amo con tutte le mie forze! Ti adoro!”
“Eh? – si sorprese lui, mentre veniva abbracciato con foga – Ma che è successo? Ieri eri furiosa con me!”
“Ho saputo che le hai prese da tuo padre…” disse, prima di baciarlo.
“E con questo?”
“Oh, tesoro mio, sei stato così coraggioso – sospirò lei con occhi sognanti – per salvare il nostro amore non hai esitato a sfidare le ire di tuo padre. Chi mai avrebbe fatto una cosa simile?”
Jean lanciò un’occhiata perplessa ad Heymans, il quale si limitò a sogghignare e scrollare le spalle.
Poi recuperò un minimo di dignità e abbracciò la ragazza con fare seccato.
“Certo! Ovvio che… che l’ho fatto! Se poi tu sei così stupida da non capire…”
“Tesoro scusami! Domani ti preparo una torta, quella che piace a te… oh, il mio cavaliere meraviglioso! Le mie compagne creperanno d’invidia! Tutte le ragazze lo faranno…”
E così, nonostante le conseguenze infauste al sedere, il cavaliere aveva dimostrato che l’amore trionfa sempre.
“E che la cavalleria in questa casa non è morta!”
“Scusa?” fece Rebecca.
“Niente, andiamo, perché non mi dici ancora quanto sono meraviglioso?”
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Laylath