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Autore: stillfreeit    21/05/2014    0 recensioni
"10 Maggio 1831.
Austin Flint e Carey Coombs non sembrano essere molto propensi al matrimonio.
Eppure..."
Odio questa storia, l'ho scritta solo perché ho perso una scommessa.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Salve,

dunque la premessa a questo punto è doverosa.

Pago la scommessa persa con questa spremitura (sì, ho usato proprio questo termine) di miele di pessima qualità, perché la mia parola è debito.

Vorrei informare chi sta leggendo che ho ODIATO scrivere questo stralcio di storia, e che ho rischiato l'autocombustione e soprattutto l'autovomito in più di un punto, che avrei voluto segnalare con degli asterischi, ma poi ho pensato che avrebbero rovinato la narrazione (tanto chi mi conosce potrà facilmente immaginarli). Come se non lo facesse già la narrazione stessa.

Ad ogni modo, dopo aver ravanato nei meandri della mia coscienza, tra i peggiori racconti romantici online, vecchi gdr, cose strane che non voglio neanche nominare, ho partorito questo GARGANTUESCO cliché di cui non vado particolarmente fiera.

Premetto che non ha un inserimento logico in qualsivoglia contesto vero e proprio, e con questo voglio dire che non so che cosa è successo prima di questa scena, né francamente me ne frega qualcosa di quello che succederà dopo. Inseritela dove vi pare. Veramente, dove vi pare.

Spero vivamente che non vi piaccia.

Mi vergogno come una ladra.

 

p.s. rivolto ad Anna: sì, ti ho inserita come richiesto. E sì, i nomi che ho scelto per i protagonisti sono esattamente quello che stai pensando.

 

p.s. per tutti gli altri: il primo che si permette di azzardare un'analisi psichiatrica sul mio conto basandosi sul seguente aborto, ritroverà le proprie ossa nel brodino che mi farò dopo aver sacrificato il suo corpo agli dei.

 

10 Maggio 1811

 

Carey Coombs non aveva voluto sentire ragioni: finché durava l'incontro tra suo padre e quella sottospecie di essere umano, lei non sarebbe uscita dalla sua stanza.

L'idea di poterlo incontrare anche solo per sbaglio era come dover poggiare la mano sui dei tizzoni ardenti, e Carey ne rifuggiva allo stesso modo.

Per quanto riguardava le decisioni che presumibilmente stavano avendo luogo nell'ufficio di suo padre, l'avrebbero trovata pronta all'ovvia evenienza.

Avrebbe venduto cara la pelle, la mano e tutto il resto che aveva attaccato. Non le interessava quale contratto avrebbe mai potuto stipulare con il signor Coombs, quel bugiardo manipolatore borioso di Austin Flint non sarebbe mai diventato suo marito.

Aveva sperato di poter ritrovare un po' di tranquillità e di svago nella sua stanza, mentre occupava la sua mente nella trascrizione dei registri, ma a quanto pareva, un gran trambusto stava avendo luogo appena oltre la sua porta, e si faceva inesorabilmente più vicino ogni momento che passava.

Finché, infine, il trambusto non fece irruzione nella stanza nella persona di Anna, la domestica.

La donna, che ormai aveva raggiunto e superato lo zenit del fiore dei suoi anni, era trafelata e rossa in viso come fosse appena riemersa da un'accesa discussione.

Probabilmente, era esattamente ciò che era accaduto:

«Signorina Coombs, le chiedo scusa ma non sono riuscita a trattenere il signor Flint» annunciò, con la voce ancora alterata dallo sforzo e dal feroce disappunto.

Carey aveva appena alzato gli occhi dal foglio su cui stava lavorando già da una buona mezzora, che li riabbassò immediatamente sullo stesso, pur di non dover scambiare neanche uno sguardo con il giovane uomo che fece il suo imperioso ingresso alle spalle della domestica, fermandosi proprio al centro della stanza.

«Lo immaginavo, Anna» fu l'unico commento della ragazza, visibilmente trattenuto.

Austin Flint. Che bruci all'inferno.

«E d'altra parte» continuò la donna imperterrita, lanciando sguardi di fuoco e acido verso i due giovani, mentre alcuni ciuffi ribelli sfuggivano al controllo dei ferrettini sulla sua testa. «Ho smesso di occuparmi dei capricci degli infanti quando vostra sorella minore ha compiuto tredici anni. Ho del lavoro da svolgere, decisamente più importante delle vostre sciocchezze!».

Con questo commento stizzito, si congedò senza attendere risposta.

Carey sospirò profondamente. Non aveva proprio il tempo di occuparsi anche dello sdegno dell'anziana donna, quando già dover badare al proprio le costava tanta fatica. Aveva appena premuto le mani sulle braci, a quanto pareva.

Maledetto.

«C'è da dire che avete una servitù decisamente di carattere» udì pronunciare dallo stoccafisso, ancora immobile sul tappeto nel suo ordine impeccabile in ogni dettaglio, dalla punta delle scarpe al cappello che teneva tra le mani guantate.

Carey trovava ormai intollerabile persino il dover respirare la sua stessa aria, ed era altamente angosciante rendersi conto che la sua memoria avrebbe sicuramente associato quel quadrato di tappeto che Austin Flint stava occupando alla sua presenza per molto tempo a venire. Lo avrebbe fatto, in realtà, per molti dei luoghi della sua dimora.

Intollerabile.

«Dunque, avete firmato il vostro contratto?» domandò la ragazza, che non aveva ancora sollevato lo sguardo dallo scrittoio da quando l'uomo era entrato. Continuò a ricopiare numeri e lettere dal libro che aveva di fronte, pur non avendo la più pallida idea di cosa stesse realmente scrivendo, con gli ingranaggi della mente in piena attività ma concentrati da tutt'altra parte.

Qualunque fosse stata la risposta, l'avrebbe trovata pronta a reagire.

«Assolutamente no» rispose l'uomo pacato, molleggiandosi sui talloni. «L'affare è saltato, naturalmente. Non ci sarà alcun matrimonio» aggiunse, senza lasciar trasparire alcuna particolare emozione.

Ecco. Questa non se l'era aspettata.

Il grattare della penna sul foglio si bloccò per un istante.

«Meglio così» rispose comunque, superando immediatamente la sorpresa dopo quell'attimo di esitazione, e mascherando con inaspettato successo tutto l'acido ustionante che le ribolliva nello stomaco. «Considerato, naturalmente, che mi sarei fatta mandare in convento piuttosto che unirmi a voi in matrimonio». Insomma, aveva ancora tante cose da dirgli e comunque avrebbe trovato il modo di sbattergliele in faccia una per una.

Austin Flint parve trovare vagamente divertente quell'affermazione, almeno quanto bastava per fargli arricciare un angolo della bocca sotto quei ridicoli baffetti castani.

«Un peccato non averlo saputo prima. Sarei stato molto curioso di vedervi tentare la via del Signore, viziata e arrogante come vi trovate».

La penna tremò tra le dita sottili della ragazza, gocciolando inchiostro tutto intorno e rendendo completamente vano tutto il lavoro compiuto fino a quel momento. Ma la rabbia che la stava già scuotendo, evidentemente, aveva occupato tutto lo spazio a sua disposizione, per poterne aggiungere dell'altra anche per quello.

«Se avete finito con i complimenti...» cominciò, masticando tra i denti ogni parola mentre posava a fatica la penna e appallottolava il foglio tra le mani ancora tremanti.

«Non ho fatto che rendervene un paio della sfilza che avete rifilato a me in cortile» ribatté Austin Flint, sensibilmente meno pacato di poco prima «Non più tardi di... dodici ore fa?» aggiunse, adocchiando teatralmente il suo fidato orologio da taschino, quasi a chiedere conferma.

Anche Carey ricordava l'episodio con la stessa, estrema precisione, sebbene l'ubriacatura dei fumi dell'ira da cui si era lasciata trasportare in quel momento. Sentiva di avere soltanto una cosa da aggiungere:

«Temo mi abbiano trattenuta, altrimenti a quest'ora non avrei neanche finito».

Per la prima volta alzò lo sguardo sul volto dell'uomo, giusto in tempo per vedere un lampo di ira attraversargli le iridi verdi, insieme a tutta la fatica che impiegò nello sforzo di trattenerla in un profondo sospiro a labbra strette.

Austin Flint si astenne dal proferire verbo, finché non si assicurò di aver recuperato almeno gran parte del controllo.

«Andava bene finché vi veniva nascosto?» domandò, e nonostante tutti i suoi sforzi, la nota risentita fu udibile anche alle orecchie più distratte.

D'un tratto, Carey si ritrovò in piedi senza ricordarsi di averlo imposto alle proprie gambe, incapace com'era di rimanere immobile ancora per un secondo.

«Andava bene finché non ho scoperto che stavate semplicemente valutando un affare!» precisò, dimostrando di non condividere lo stesso interesse del giovane che aveva di fronte nel trattenere il tono della voce. Lui, al contrario, era diventato rigido come un cadavere, e quasi egualmente pallido.

Un chiaro segno, che Carey conosceva bene pur vergognandosi ad ammetterlo, che anche lui stesse perdendo la pazienza.

Be', a lei non avrebbe potuto importare di meno.

Non aveva scusanti per l'enorme mancanza di rispetto nei confronti della sua intelligenza che le aveva dimostrato non più tardi, appunto, di tredici ore prima.

La risposta del giovane gentiluomo trovava a fatica spazio in mezzo ai denti stretti:

«Chiunque altro verrà dopo di me...» si bloccò inspiegabilmente e strinse forte gli occhi all'improvviso. Deglutì, prima di riuscire a continuare: «Prenderà in considerazione il vostro matrimonio esattamente come farebbe con l'acquisto di una proprietà!».

Carey Coombs si sentì scuotere come da una folata di vento gelido.

Era troppo!

«Chiunque altro non mi farebbe credere di amarmi!» esclamò lei per tutta risposta, con tutta la voce che riuscì a tirare fuori dal quel maledetto corpetto soffocante.

Austin Flint strinse nuovamente gli occhi e buttò via l'ennesimo sospiro.

Quando li riaprì, apparivano completamente diversi, quasi dipinti da una diversa pennellata di verde, in qualche modo più malinconico.

«Carey...» mormorò, tra l'impaziente e profondamente stanco.

«Non...!!» sputò Carey con forza alzando un indice, ma non riuscì a dire nient'altro con il nodo in gola che quasi le impediva di respirare.

Perlomeno, aveva bloccato il suo ridicolo flusso di parole inutili.

Fino alla mattina precedente, avrebbe anche potuto considerare dolce il modo in cui pronunciava il suo nome, adesso invece, era solo un altro tizzone ardente, insieme a tutto il resto.

L'ennesimo più uno sbuffo dell'uomo apparve più come un ringhio, e le sue labbra si mossero appena in quella che avrebbe potuto essere un'imprecazione inudibile ma facilmente immaginabile.

«Siete una donna impossibile» annunciò poi, a voce più alta e colma di risentimento.

Be', questa l'aveva già sentita, ben più di una volta. E ancora una volta sentì di poterne essere fiera, sebbene amarezza e delusione ancora appesantissero il suo respiro.

«Be', direi che è la ragione principale per cui l'affare non è andato a buon fine» ribatté lei, al vetriolo.

Austin Flint scosse la testa con quel sorrisetto borioso che altro non era che il suo biglietto da visita. Carey se ne era semplicemente dimenticata, per qualche giorno.

«Tra le mille cose che non sono andate a buon fine, quel maledetto contratto è forse l'ultimo» rispose lui, non abbastanza bravo quanto lei a trattenere l'amarezza sul fondo del diaframma.

Fu un colpo efferato e deciso che Carey accusò in pieno petto.

Era d'accordo: qualcosa di meraviglioso era andato in frantumi, in pezzetti così piccoli che neanche un orologiaio avrebbe potuto rimetterli insieme. Ne rimaneva soltanto un segno, un'ombra, come quello che potrebbe lasciare un quadro sulla parete immacolata a cui era stato appeso per lunghi anni. Guardare a ciò che avrebbe potuto essere e che invece non sarebbe stato mai, la riempiva di tristezza esattamente come guardare il segno di un vecchio quadro rimosso dalla propria parete.

Che gusto macabro trovava quell'uomo nel voler infierire in quel modo, dopo tutto ciò che aveva fatto?

«Santo Cielo, abbiate un briciolo di pietà a questo punto, e andatevene» mormorò con un filo di voce, mentre le due lacrime che non avrebbe potuto frenare, colavano fino al mento.

Austin Flint guardò, ammutolito per un istante, gli occhi chiari ora arrossati della giovane donna, quasi ne fosse spaventato.

«Lo farò» disse infine con decisione. «Molto presto, ma non prima di aver concluso».

Anche Carey sbuffò, scacciando via le lacrime con un gesto stizzito.

«Non sia mai che vi venga tolta l'ultima parola» commentò, voltandogli le spalle per guardare la campagna che si perdeva oltre la vetrata della finestra.

«Da che pulpito...» fu la risposta dell'uomo, pronunciata così a fior di labbra da non trovare abbastanza spinta per raggiungere le orecchie della donna, fintamente concentrata verso il panorama mattutino di fronte. L'uomo continuò così, in parte contento di non dover sentire un'altra rispostaccia: «Ho avuto modo di conoscervi molto bene, nell'ultimo periodo...».

«Oh, me lo ricordo, c'ero anche io» si intromise Carey, ripensando a tutto il tempo che avevano trascorso insieme tra quelle stesse terre che adesso aveva davanti agli occhi, con l'ennesima stilettata infelice e impietosa.

Il giovane proseguì come se non fosse mai stato interrotto:

«Molti dei vostri difetti scaturiscono, ahimè, di conseguenza alla moltitudine dei pregi che possedete. Sebbene in certi momenti tendano decisamente a oscurarli» disse, non esattamente con garbo, ma Carey non aveva intenzione di dargli la soddisfazione di mostrarsi offesa dalle sue inutili frecciatine. Si irrigidì nella postura eretta e a braccia incrociate, ma non diede altro segno di averlo anche solo udito parlare. «Siete una donna intelligente e capace, dunque arrogante e superba. Siete stata istruita quasi alla stregua di vostro padre, e penso che la vostra abilità nel concludere trattative sia analoga alla sua. Perciò, adesso voglio proporre a voi un affare».

Che cosa?

Carey si voltò di nuovo verso di lui per guardarlo confusa, sicura di non aver compreso bene le sue parole.

Era impazzito, per caso?

«Voi farneticate» fu la sola cosa che si sentì di dire.

Come pretendeva di voler stipulare un qualsiasi tipo di accordo civile con lei, dopo tutto quello che era successo, dopo tutto quello che si erano detti e si stavano dicendo proprio in quel momento?

«Non era mia intenzione ferirvi!» scandì Austin Flint a occhi chiusi, mentre stringeva la tesa del cappello così forte da farsi sbiancare le nocche.

«Per la semplice ragione che avete lo stesso livello di empatia di questo scrittoio!» ribatté Carey immediatamente, per nulla intenzionata a credergli. Non era sua intenzione, eppure era riuscito a ferirla nelle più oscure profondità come nessun altro era mai riuscita a fare. E lei, sciocca com'era, glielo aveva permesso, come non l'aveva mai permesso a nessuno.

Era stata un'ingenua, a voler credere di aver scoperto qualcosa di più in Austin Flint, un lato della personalità nascosto al resto del mondo. Invece, ciò che le aveva mostrato era solo la sua versatilità nella recitazione. Il resto del mondo aveva ragione: «Non ve ne importa niente di nessuno e mai ve ne importerà!».

«Non è così!» ribatté lui, alzando veramente il tono di voce per la prima volta. La sua espressione era inconfondibile e terribile specchio dell'inquietudine che gli sciabordava dentro. Il soldatino di legno che era stato fino a quel momento si sciolse, lasciandosi andare al trasporto delle emozioni: «Siete stata costantemente accecata dalla mia reputazione, da ciò che avevate soltanto sentito dire di me! Soltanto quando finalmente vi siete decisa a guardare al di là della coltre di nebbia, tutto ha cominciato a funzionare perfettamente...».

«Sì, esattamente come avevate programmato!» lo interruppe Carey, che trovava intollerabile quel tentativo di riversare la colpa su di lei, quando era stato lui, fin dall'inizio, a muovere i fili di quel ridicolo spettacolo di marionette, tra i quali si era trovata intrappolata anche lei, alla fine.

«No, esattamente al contrario!» esclamò il giovane con forza, mentre due chiazze rosse si accendevano sulle sue guance sbarbate e i baffetti volavano come un cespuglio incolto. «Credete di essere stata l'unica a insistere con tutte le forze per dimostrare a se stessi e agli altri che non c'era modo per cui una cosa del genere potesse funzionare? Ebbene ci eravamo sbagliati! E lo sapete quanto me, ma voi, al contrario di me, ancora non volete ammetterlo!».

L'irruenza che trasportò nell'aria quelle parole fino a lei, la lasciò basita e intrappolata contro il davanzale della finestra, quasi fossero state catene di piombo. Carey non poteva fare altro che restare immobile, con il respiro rotto e incerto, a subire il peso del significato di tutto ciò che Austin aveva appena detto.

Un'altra lacrima colò giù dal suo viso a raggiungere le sorelle che l'avevano preceduta.

Ma come poteva credergli?

«Avete sentito quello che ho detto, signorina Coombs?!» domandò Austin Flint, abbassando vagamente il tono ma non con minore veemenza, condita dal passo deciso che mosse verso di lei: «Mi ero SBAGLIATO!» ripeté a chiare lettere, lasciandola a bocca schiusa ma priva di parole, non senza un'evidente soddisfazione. «Dovreste provare anche voi a pronunciare queste parole, di tanto in tanto, sono profondamente liberatorie» aggiunse, per buona misura.

Per tutto il peso che sentiva gravarle addosso, Carey avrebbe sinceramente desiderato poter esserne capace, per una volta.

L'uomo si ricompose nel suo atteggiamento ordinato in fretta come ne era uscito, ma ancora gli echi delle sue parole rintoccavano nelle orecchie della giovane, senza darle modo di trovare qualcuna delle sue solite frasi sagaci per poter rispondere. Perciò non disse niente.

«Non ho voluto firmare il contratto con vostro padre, perché avevo già deciso da tempo che questo accordo avrebbe dovuto prendere un'altra direzione» proseguì lui, approfittando dell'immensa rarità del dono del silenzio che lei gli stava concedendo per avere occasione di arrivare al nocciolo della questione senza ulteriori interruzioni: «Una che non comprendesse lui, ma le due persone adulte che siamo e che non possiamo nascondere oltre, come la vostra gentilissima domestica non ha mancato di farci notare».

Parlava sul serio? Pensava veramente di proporle un accordo?

«Che cosa volete, allora?» riuscì a pronunciare, dopo quell'insolitamente lungo silenzio.

Austin Flint la guardò a lungo, con lo sguardo severo reduce della rabbia che era andata via via affievolendosi. Sembrava volesse decidersi a dire qualcosa di estremamente spiacevole.

«Me ne andrò» annunciò infine con decisione. «Uscirò dalla vostra vita e da quella della vostra famiglia, mi lascerò alle spalle questa città e non farò mai più ritorno» ribadì, perché fosse il più esplicitamente chiaro, nel caso ce ne fosse stato bisogno.

Non un muscolo si mosse nella figura di Carey Coombs, che appariva in tutto e per tutto una statua di marmo nella sua carnagione candida, adornata per qualche ragione di vesti da nobildonna. Ma se qualcuno avesse potuto guardarle dentro, avrebbe visto tutto il dolore straziante urlato dal suo cuore nel tentativo di fuggire dal suo petto.

«Così sia, allora» disse comunque, o almeno le sue labbra si mossero per dirlo, ma non era certa che la voce fosse effettivamente fuoriuscita dalla sua gola. Senza alcuna spiegazione logica, desiderava che mantenesse fede a quella parola esattamente quanto la spaventava la stessa cosa.

«Appena avrò varcato quella soglia, Carey» specificò ancora una volta lui, indicando la porta bianca della stanza con un gesto oltremodo finale. «Non ci sarà più modo di tornare indietro».

Carey Coombs strinse le dita attorno alle braccia ancora conserte e deglutì quel nodo che non si decideva a mollare la presa sulla sua gola.

Raddrizzò le spalle con dignità, e sospirò a fondo per ricacciare indietro le lacrime.

«Non sono nessuno per potervelo impedire» rispose infine.

Austin Flint accusò il colpo con tutta la compostezza degna del nome della sua famiglia, ma nel suo sguardo, qualcosa si spense inesorabilmente.

«Siete l'unica» fu la sua ultima obiezione, in appena un sussurro che esplose nelle orecchie della donna, dopo tutte le urla che lo avevano preceduto.

Austin Flint si schiarì la voce, si sistemò il cappello sulla testa e si esibì in un inchino rigido: «Addio, signorina Coombs» concluse.

Senza aggiungere altro, si voltò e varcò la soglia senza voltarsi indietro e sbattendo la porta alle sue spalle.

Carey Coombs si ritrovò così da sola nella sua stanza, proprio come aveva desiderato fino a qualche minuto prima, con le parole urlate dell'uomo nella testa, il cuore spezzato e i cocci di ciò che sarebbe stato se.

Aveva varcato la soglia. Non c'era modo di tornare indietro. Non...

 

Austin Flint stava scendendo la rampa di scale a passo svelto, ansioso di lasciarsi indietro quell'ombra che avrebbe dovuto imparare ad accettare e a utilizzare come monito per il futuro. Perché non si può sempre vincere, a quanto pare.

Certo, non sarebbe stato facile finché ancora poteva sentire forte il suo profumo, quasi le fosse ancora accanto.

Accelerò ancora il passo. Cadere e rompersi una gamba, probabilmente gli avrebbe fatto meno male che continuare ad avvertire la sua presenza.

Improvvisamente, a bloccare la sua evidente fuga, qualcosa lo afferrò per la giacca e lo costrinse a voltarsi, e prima che potesse anche solo rendersi conto di ciò che stava avendo luogo, sentì due mani arpionarsi al colletto della sua camicia e le inconfondibili labbra di Carey Coombs posarsi sulle sue. Ebbe appena il tempo di prendere fiato, e proprio quel profumo si fece strada con irruenza nella sua mente occupando ogni spazio.

Il cappello gli cadde dalla testa, e a stento riuscì a mantenere l'equilibrio per non cadere anche lui di schiena e trascinandosela dietro.

«Non mi avete fatto firmare alcuna carta» disse infine la ragazza, interrompendo il bacio per guardarlo negli occhi, ma continuando a trattenerlo per la camicia, come se fosse stato necessario.

«Ebbene?» riuscì a domandare lui, sebbene si sentisse stordito come se invece di baciarlo l'avesse colpito in testa.

Così, per peggiorare la situazione, la ragazza sorrise.

«Ebbene il patto appena pronunciato, non ha alcun valore».

 

 

Ve lo giuro, è imbarazzante.

Finisce che lei muore di tisi e lui di sifilide, e i loro figli perdono tutti i beni di famiglia giocando a dadi con un pollo, anywaysssssssssssssssssssssssssssssssssss.

   
 
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