Libri > Divergent
Segui la storia  |       
Autore: L S Blackrose    24/05/2014    6 recensioni
Eric è uno dei leader degli Intrepidi. Freddo, calcolatore, spietato e crudele.
Ma non è sempre stato così. Cosa lo ha portato ad odiare a tal punto i Divergenti?
In questo prequel di Divergent, il suo destino si intreccerà a quello di Zelda, una ragazza tenace e potente come una freccia infuocata.
Può un cuore di ghiaccio ardere come fuoco?
Un cuore di pietra può spezzarsi?
- - - - - - - - - - - - - - -
dal capitolo 4 (Eric)
- - - - - - - - - - - - - - -
Sto per aprire bocca, per invitare le reclute a dare inizio al loro cammino negli Intrepidi, quando un movimento al limite estremo del mio campo visivo mi obbliga a voltare il capo.
Ormai davo per scontato che le disgrazie fossero finite, invece una figura esile si lancia dall’ultimo vagone del treno e fende l’aria come un proiettile.
A causa della luce del sole che mi arriva dritta in faccia, in un primo momento metto a fuoco soltanto una macchia indistinta, blu e nera.
Nella frazione di secondo che segue, sono costretto a spingere l’autocontrollo al massimo della potenza per non mostrare nessuna emozione, per mantenere la mia posa autorevole e l’espressione gelida.
Perché sono talmente esterrefatto da non riuscire a credere ai miei stessi occhi.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio, Zeke
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Zeric - Flame of ice'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




Image and video hosting by TinyPic


Capitolo 13



 

Eric



Questa mattina mi sono svegliato stranamente di buon umore.

Non so come interpretare questo cambiamento radicale, rispetto al giorno precedente, ma di certo ha a che fare con gli scontri in programma.

Sento un ghigno perfido salirmi alle labbra e non faccio nulla per trattenerlo.

Oggi si comincia a fare sul serio, finalmente.
Ho già stabilito le coppie che dovranno sfidarsi e non vedo l’ora di gustarmi lo spettacolo.

Zelda avrà una bella sorpresa, chissà che non l’aiuti a sopprimere, o quanto meno a tenere a freno, quella sua insopportabile lingua biforcuta.

Ho riflettuto a lungo su tutto quello successo fino ad ora e ho concluso che devo darci un taglio: basta pensare a lei, basta continuare a cercarla, ma, specialmente, basta trovare ogni minimo pretesto per toccarla.

La scena di ieri non dovrà più ripetersi in futuro, mi sono già esposto a sufficienza.
Sono un Capofazione e, in quanto tale, non posso lasciarmi incantare dalla bellezza, o dal carisma, di una ragazzina che ancora non ha superato l’iniziazione.

Quando – e se – diventerà un’Intrepida a tutti gli effetti, potrò riprendere a prestarle attenzione.
Nel frattempo il mio unico scopo sarà assicurarmi di seguire attentamente ogni sua mossa, tanto per curiosità.

Ti contraddici da solo, Eric.

Non do retta alla voce subdola della mente, finirei per perdere la calma duramente conquistata.
Quando arrivo in palestra, gli iniziati sono già in riga, in attesa di ordini.
Splendido.

Faccio il mio ingresso, certo che basti la mia sola vista a spaventarli e non vengo deluso dalla loro reazione.
L’unica che sembra non notarmi affatto è – ovviamente – Zelda: ha gli occhi persi nel vuoto e continua a disegnare linee immaginarie sul proprio polso con il pollice.

Faccio una smorfia.
Sono costretto ad ammettere che la preferivo quando mi guardava in faccia.

Quattro – quel cretino – fa finta di nulla ed inizia a spiegare il meccanismo dei combattimenti.
Io mi siedo sulla solita sedia e guardo distrattamente i nomi scritti alla lavagna.

Ho proposto io le coppie, ma Quattro non ha sollevato obiezioni.
Forse si aspettava quelle combinazioni, alla fine i trasfazione sono solo cinque per cui le scelte erano limitate.

Uno dei ragazzi – Paul - oggi non combatterà, mentre le due ragazze avranno la possibilità di mostrarci quanto è alta la loro soglia del dolore.

Nessuna di loro vincerà l’incontro, questo è certo.

Quello che mi interessa scoprire è quanto tempo resisteranno, prima di iniziare a supplicare di far terminare il combattimento.
C’è sempre qualcuno che spera di indurmi a compassione. Poveri illusi.

Non ammetto rese.
O si vince o si soccombe.
L’incontro termina quando uno dei due viene messo al tappeto e ci resta.

Quattro ha terminato il suo discorsetto e si è voltato verso di me per la prima volta da quando sono entrato nella stanza.
Sta aspettando che lo raggiunga e annunci la fortunata coppia che avrà l’onore di aprire la fase delle lotte.

Mi alzo e mi piazzo accanto alla lavagna.
Squadro gli iniziati uno ad uno e mi compiaccio di vederli tremare.
Punto gli occhi su Zelda come se fossi un avvoltoio affamato che ha appena avvistato la propria preda. – Prima le signore – dico, ovvero la frase che lei ha sussurrato prima di tuffarsi dal tetto il primo giorno.

Mi rivolge uno sguardo stupito, anziché provare a fulminarmi.
Probabilmente si sta chiedendo come mai io abbia citato le sue esatte parole.

Ricordo ogni singola sillaba pronunciata dalle tue labbra, vorrei aggiungere. Come se le avessi incise a fuoco nella mia mente. Non chiedermi il perché, non me lo so spiegare nemmeno io.

Visto che voglio sembrare sicuro di me, come un Capofazione dovrebbe essere, e non comportarmi come un ragazzino alla prima cotta, assumo la mia consueta maschera dai tratti crudeli e continuo. – Zelda e Ian saranno i primi. Cominciate! – ordino, facendo loro cenno di piazzarsi al centro del cerchio tracciato col gesso.

Mi ubbidiscono quasi all’istante.
Lei non sembra spaventata, ma è decisamente pallida.
Ian è molto alto, praticamente la sovrasta, come se fosse una gigantesca montagna e lei solamente un’esile collinetta.

Forse ho esagerato.
Avrei dovuto lasciarla combattere contro la sua amica, almeno avrebbe avuto qualche speranza di vincere.
Questa lotta, invece, sembra persa in partenza e non posso che provare pena per lei.

Non essere ridicolo, Eric. Prima o dopo sarebbe toccato anche a Zelda.
Non può scappare all’infinito, dopotutto sapeva bene a cosa andava incontro quando ha Scelto.


Questo pensiero, anziché rassicurarmi, o quanto meno calmarmi, sempre far crescere l’ansia che si sta gonfiando come un’onda alla vista della differenza di stazza tra i due avversari.

Da quando ti preoccupi per qualcuno?, chiede la parte più malvagia della mia mente in tono sarcastico.

La risposta giusta sarebbe ‘mai’, perché l’unica persona di cui mi curo sono io stesso ed è sempre stato così.
Non i pochi amici che ho avuto, né dei membri della famiglia che ho lasciato.

Tuttavia l’inquietudine che sento è maledettamente reale ed è indirizzata verso quella ragazza, che, mentre io combatto contro me stesso, si è spostata esattamente di fronte all’altro iniziato.
Ha le braccia magre alzate davanti al volto, l’unica sua difesa contro i colpi che Ian sta per infliggerle.

Forse questo timore è dovuto alla consapevolezza.
So perfettamente che Zelda non è in grado di difendersi, né abbastanza forte da sferrare il primo attacco.

Potresti rimanere sorpreso, non sottovalutarla come hai già fatto. Lei è l’Eccezione, no?

Ci sto sperando con tutte le mie forze.
Non voglio vederla soccombere sotto ai miei occhi, senza poter muovere un dito per aiutarla.

Avresti dovuto pensarci prima di metterle contro quel Candido.





 
* * *


 

Zelda




Guardo l’energumeno che mi sta di fronte socchiudendo gli occhi e valutando le possibilità che ho di batterlo.
Meno di zero, le percentuali sono tutte a mio sfavore.
Eppure l’unica cosa a cui riesco a pensare in questo momento non ha nulla a che fare con Ian, che sembra spaventato tanto quanto me.

Lo odio. Lo detesto. Lo torturerò e lo ammazzerò.

Ripeto queste parole nella mia testa senza sosta.

Devo sopravvivere. Per fargliela pagare. Fosse l’ultima cosa che faccio.

Questo mantra mi da la forza di rimanere all’interno del cerchio.
Forse dovrei concentrarmi sul combattimento che sta per iniziare, ma non ho mai lottano contro una persona in vita mia per cui non saprei nemmeno da dove iniziare.

Le risse con i miei fratelli non contano. Questo è un duello serio, non stiamo giocando.

Quanto vorrei avere Eric come avversario!
Probabilmente mi stenderebbe dopo due secondi, ma almeno potrei avere la fortuna di riuscire a pestargli un piede.

Perché ha voluto che combattessi per prima? E contro Ian, poi?
Vuole vedermi morta? Vuole gongolare alla vista del mio sangue?

Sento i suoi occhi di pietra su di me.
Probabilmente sta ridendo sotto i baffi, pregustando la mia scontata sconfitta.

Lo odio con tutta me stessa, non avrei mai pensato di riuscire a provare un sentimento del genere.
È come un acido corrosivo che lascia dietro di sé soltanto vuoto e distruzione.
Sento il sangue prendere letteralmente fuoco nelle mie vene.

Non mi importa di perdere, l’unica soddisfazione che non voglio dargli è quella di mostrarmi debole.
Non supplicherò Ian di fermarsi, finché avrò fiato continuerò a combattere.
La parola ‘resa’ non esisterà mai nel mio vocabolario.

Aspetto che sia il mio avversario a fare la prima mossa.
So di essere abbastanza veloce, per cui proverò a schivare i colpi e, nel frattempo, tenterò di organizzare una strategia.

Il pugno di Ian arriva come previsto e si dirige a tutta velocità contro la mia guancia come un sasso lanciato da una fionda.
Mi sposto in tempo e lui si sbilancia in avanti con tutto il peso.
Ne approfitto per dargli una spinta alla base della schiena che lo manda tutto disteso a terra.

Avverto delle risatine alle mie spalle.
Mi azzardo a guardare di lato con la coda dell’occhio e noto prima l’espressione compiaciuta di Quattro, poi quella impenetrabile di Eric.
Quest’ultimo fa un millimetrico cenno col capo, incitandomi a proseguire.

Ian si sta rialzando e io lo lascio fare.
Non sono una codarda: non avrei mai il coraggio di colpire un avversario alle spalle e nemmeno quello di infierire su una persona a terra.

Il ragazzo massiccio ha una nuova luce negli occhi scuri, quasi mi stesse accusando di aver giocato sporco.
Credo che ora si cominci a fare sul serio. Forza, Zelda.

Tengo i pugni alzati, aspettando una sua minima distrazione per colpirlo.
Valuto le varie opzioni: se gli sferrassi una gomitata al naso otterrei un buon risultato, ma dubito che perfino Ian sia così stupido da non riuscire a schivarmi.

Un pugno diretto in faccia sarebbe un’arma a doppio taglio.
Mi ferirei, potrei anche rompermi le dita, perciò la scarto.
Gli unici obiettivi a cui posso puntare sono stomaco, ginocchia e piedi.
Scelgo il primo per comodità, gli altri sono troppo prevedibili.

Ci guardiamo in cagnesco per alcuni secondi, poi lui si slancia in avanti.
Il suo movimento repentino mi coglie alla sprovvista, l’avevo sottovalutato.

Non capisco cosa intende fare finché non mi afferra per i fianchi.
Mi alza con facilità, sebbene io scalci e cerchi di divincolarmi.
Quando mi sbatte a terra sento l’aria uscire dai polmoni tutta d’un colpo, come se avessi fatto scoppiare un palloncino con uno spillo.

La forza dell’impatto mi lascia intontita, vedo piccole lucette biancastre lampeggiare ai limiti del mio campo visivo.
Non promette bene.
Sbatto le palpebre un paio di volte per recuperare lucidità e mettere a fuoco Ian.

È seduto sopra la mia gabbia toracica e ansima pesantemente.
Cerco di togliermelo di dosso, lotto con braccia e gambe fino a restare a corto di fiato.
La sua mole mi impedisce di respirare, sento che sto per soffocare.

Gli pianto tutte e dieci le unghie nel braccio e vengo ripagata con un manrovescio alla tempia.
Un altro pugno si abbatte sulla mia mandibola e avverto distintamente l’odore del mio stesso sangue mescolarsi a quello acre del sudore e al sapore amaro che mi è salito in gola.

Continuo a cercare di spostare Ian, lo spingo con tutte le mie forze, ma è irremovibile, una specie di ancora che mi tiene bloccata a terra.

Lotto, mi dibatto, ma vedo sempre più sfocato.
Quando comincio a percepire delle ombre nere, che fluttuano attorno a me come tentacoli di tenebra, capisco di essere giunta al limite, i miei polmoni chiedono pietà.

L’ultima cosa che vedo prima di perdere i sensi è la possente figura di Eric: è in piedi ora, il suo profilo si staglia in controluce.

Giro la testa e chiudo gli occhi, soddisfatta di non essermi lasciata sfuggire neanche un gemito per tutta la durata dell’incontro.





 
* * *


 

Eric



- Levati di mezzo! – ringhio, mentre prendo il Candido per i capelli e lo strattono senza alcuna pietà. – Imbecille, non vedi che la stai soffocando? -.

Nessuno avverte la nota di panico nella mia voce, sono troppo affannati ad accerchiare il corpo inerte di Zelda.

- Tranquilli, è solo svenuta – assicura Quattro, tastandole il polso.
Fulmina Ian con uno sguardo che potrebbe incendiare un’intera foresta. – Ma c’è mancato poco. Cosa credevi di fare? Avresti potuto ucciderla! -.

Il ragazzo sembra pietrificato.
Ha la fronte ricoperta di sudore e parla con voce fievole. – Io…non volevo…non me ne sono accorto -.

Quando ti punterò una pistola alla tempia e farò fuoco, te ne accorgerai eccome, vorrei gridare.
Cerco di controllare la vampata di rabbia che mi sta offuscando il cervello e pensare in modo razionale.

Ma come diavolo posso pensare in modo razionale quando Zelda è riversa a terra, priva di sensi, tutto per colpa mia?

Sarei dovuto intervenire non appena quel tizio l’ha scaraventata a terra.
Ho sentito distintamente le sue ossa colpire il pavimento, con uno schiocco che mi ha fatto rizzare tuti i peli sulla nuca.

Nonostante tutto ha continuato a muoversi e a lottare come una tigre inferocita.
L’ho sottovalutata di nuovo, non credevo potesse resistere fino a quel punto.
E stavo per permettere che quel…quel…

Dannazione, sono troppo sconvolto.
Non riesco nemmeno a trovare un insulto abbastanza spietato per quel rifiuto umano che ha osato condurla a un passo dalla morte.
Sarebbero bastati pochi fottuti secondi e a quest’ora la luce che rende i suoi occhi così speciali si sarebbe spenta per sempre.

Come ho potuto? Come ho fatto a rimanere impassibile a guardare?!

Mi inginocchio accanto alla sua testa.
Ha un labbro spaccato e un rivolo di sangue le scende lungo la guancia, partendo da una ferita alla tempia.
La pelle del viso è rossa e tesa, segno che non manca molto alla comparsa dei lividi.

La Pacifica le accarezza dolcemente i capelli.
Il suo mento trema leggermente, sembra stia cercando di non piangere.
Per la prima volta non la trovo patetica.

In questo preciso istante vorrei piangere anch’io, sfogare tutta la frustrazione e la rabbia che ho accumulato in questi giorni come una catasta di legna, secca al punto giusto, pronta per essere bruciata.

- Spostati – ordino alla Pacifica.
Lei si volta a guardarmi, probabilmente stupita dal mio tono di voce roco e decisamente meno freddo del solito.

Non mi importa di comportarmi da psicopatico, voglio solo assicurarmi che Zelda sia fuori pericolo.
Quel Candido potrà invocare pietà finché vuole: non ne avrò neanche un briciolo se questa ragazza ha anche una sola costola incrinata.

Con attenzione, faccio scivolare un braccio sotto la sua testa e l’altro sotto le cosce.
Cerco di muoverla il meno possibile, in caso le ferite fossero più gravi di quello che sembrano.
A me fanno già paura così come sono.

È solo una delle iniziate. Hai visto decine di scontri, non dovresti reagire così.

Cosa vuoi che me ne importi?!

La mia mente si ritrae, spaventata dalla veemenza del mio stesso pensiero.
Ho assistito a molti incontri, è vero, ma nessuno ha mai rischiato di morire.
D’accordo, ci sono state fratture multiple, ferite abbastanza profonde e copiose pozze di sangue, ma niente di così grave da farmi preoccupare come sto facendo ora.

Alzo il corpo inerte di Zelda, stupendomi di quanto poco pesi sebbene sia svenuta.

Quattro mi guarda con la fronte corrugata per un attimo, poi annuisce tra sé. – Te la affido, Eric. Non farmene pentire – sibila al mio orecchio, in tono minaccioso.
 
Chiudi il becco, razza di imbecille.
Cosa credi, che voglia gettarla dallo strapiombo?
!

Non mi scomodo a rispondere.
Lui tiene aperta la porta per farmi passare e io avanzo il più velocemente possibile verso l’infermeria.

Fortunatamente non incrocio nessuno durante il tragitto, non saprei proprio come spiegare questo mio improvviso slancio di compassione.
La mia reputazione potrebbe risentirne, ma, per la prima volta nella mia vita, non me ne importa un accidenti.

Do un’occhiata al volto tumefatto di Zelda.
Il fatto che continui a respirare mi da un po’ di sollievo, ma sento ancora un brivido percorrermi la schiena, per cui accelero il passo.

Spalanco la porta dell’infermeria con un calcio, facendo tremare il vetro.
La donna Intrepida incaricata al servizio medico mi viene incontro, chiaramente stupita di vedermi piombare lì dentro come un fulmine.

Sposta rapidamente l’attenzione da me alla ragazza che tengo tra le braccia: emette un gemito alla vista del sangue e dei lividi che stanno lentamente comparendo.
– Ma è Zelda! Oh, povera cara! – esclama, lasciandomi interdetto.

E questa tipa come fa a conoscerla?!

- Mettila qui, Eric – continua, indicandomi il lettino più vicino.
Credo sia una delle poche persone a cui sono disposto ad obbedire.

Cerco di essere delicato, ma dubito che Zelda riesca ad avvertire qualcosa in questo momento.
È praticamente in coma.

- E’ reduce da uno scontro piuttosto violento – mi affretto a spiegare, mentre l’infermiera comincia a tastare piano le ossa del cranio della ragazza.

Deglutisco e distolgo lo sguardo da quello spettacolo.
Non mi sono mai sentito così a disagio, come un bambino in attesa della predica dei genitori.
Vorrei esserci io al suo posto, su quella brandina: almeno non sarei divorato dal senso di colpa.

La donna col camice mi incenerisce con un’occhiata. – Devo spogliarla per controllare le ferite, Eric. La tua presenza non è gradita – decreta in tono aspro.

Io alzo un sopracciglio.
Vorrei restare, per avere la certezza che Zelda non sia in pericolo di vita, ma non ho argomenti in mio favore.

Giro sui tacchi ed esco sbattendo la porta.





 
* * *


 
 

Zelda




Sento qualcosa di freddo premermi sulla fronte.

Le palpebre sembrano pesanti come macigni, per aprirle faccio appello a tutta la mia forza di volontà.

- Lasciala in pace, Ted – sibila una voce che identifico subito.
È quella dell’infermiera che ieri mi ha ripetuto uno dei motti preferiti di mia madre.

Ci metto un minuto per mettere a fuoco il luogo in cui mi trovo.
I miei occhi socchiusi lacrimano quando sento un dolore ferirmi il petto ad ogni respiro.
Afferro con le dita intorpidite la stoffa ruvida che mi copre i fianchi ed emetto un gemito.

- Si è svegliata! –.
Questa voce squillante non ha nulla a che fare con quella pacata dell’infermiera.

Apro del tutto gli occhi e cerco di mettermi a sedere.
Due mani salde mi afferrano per le spalle e rispediscono la mia testa sul cuscino prima che possa protestare.
L’infermiera sospira e mi scosta alcune ciocche di capelli dalla fronte. – Cerca di restare ferma, Zelda. Almeno fino a questa sera -.

Quando parlo, sento le labbra secche e gonfie. – Qual è il verdetto? – chiedo, con un tono che vorrebbe essere ironico e che, invece, mi esce roco e fiacco.

- Niente di rotto, ma potresti avere una commozione cerebrale – replica la donna, mentre conta sottovoce le mie pulsazioni. – Ti terrò qui per il resto del pomeriggio, tanto per non correre rischi -.

- Hai fatto a pugni? – chiede la voce limpida che ho sentito poco fa.
Giro appena il capo e inquadro la figura alla mia sinistra.

Seduto su uno sgabello, a poca distanza dal mio letto, c’è un bambino Intrepido.
Non può avere più di sette o otto anni.
Ha vispi occhi azzurri e folti capelli chiari, all’apparenza soffici come seta, che lo fanno apparire dolcissimo.

Gli faccio un mezzo sorriso. – Si nota molto, vero? -.

Lui annuisce. – Non devi essere molto forte se hai permesso al tuo avversario di ridurti così – afferma, in tono saccente.
A quanto pare il suo aspetto angelico non sembra essere in sintonia con il suo caratterino pungente.
– Mio padre dice sempre che un vero Intrepido non si arrende mai -.

- Ted, smettila – borbotta l’infermiera, facendogli cenno di uscire. – Zelda deve riposare -.

Il bambino fa una smorfia, ma non si alza.
Nonostante l’offesa che mi ha appena rivolto, sento una sorta di affinità con lui.
Mi ricorda molto me stessa, non so per quale motivo.

- No, non fa nulla – ribatto, con un cenno del capo appena accennato.
Tamburello con le dita sulla brandina. – Ted, vuoi venire vicino a me? -.

Lui tentenna per un attimo, ma poi si siede sul bordo del letto.

- Chi è il tuo papà? – chiedo, mentre l’infermiera mi lancia un’occhiata riconoscente e sparisce dietro la tenda.
Deve essere stata incaricata di badare al bambino, ma non mi sembra molto entusiasta di averlo tra i piedi.

- Max, il Capofazione – replica lui, illuminandosi.

Stento a crederci, non si assomigliano per nulla. – E la tua mamma dov’è? -.

Capisco subito di aver fatto la domanda sbagliata. Il suo volto si fa cupo, mentre mi risponde.
Due semplici parole che ho ripetuto spesso anche io, quando a scuola mi chiedevano dei miei genitori. – E’ morta -.

Ora capisco perché vedo in lui una parte di me. – Anche la mia – sussurro.
Faccio per accarezzargli una mano, ma lui ritrae la sua di scatto.

Mi fissa a lungo, poi si china in avanti e allunga un dito per sfiorarmi la guancia.
Mi tocca appena, ma sento comunque una fitta di dolore, segno che i lividi hanno già fatto la loro comparsa.

- Non mi sono arresa, sai? Ho lottato finché ho potuto, ma il mio avversario era molto forte – racconto, mentre lui spalanca gli occhi color del cielo.
– Tuo padre ha ragione, un Intrepido non deve mai mollare, ma deve anche essere capace di riconoscere i propri limiti -.

Ted rimane interdetto, non sa cosa rispondermi. – Però hai perso – obietta dopo alcuni minuti.

- Sì, ma non mi sento sconfitta. Mi batterò ancora e ancora, finché non riuscirò a vincere -.

Mi guarda aggrottando le sopracciglia color del grano. – Non sei come le altre ragazze -.

- Cosa te lo fa pensare? -.

- Non ti lamenti, non hai nemmeno pianto – continua, in tono leggermente deluso. – E non mi hai cacciato via -.

Gli sorrido. So come ci si sente ad essere abbandonati a se stessi da un genitore troppo impegnato.
Inoltre, ho sempre avuto una passione per i bambini: mi piace donare loro le attenzioni di cui hanno bisogno, quelle che a me sono mancate durante l’infanzia.
– Perché mi sei simpatico – ribatto, allungando di nuovo la mano verso di lui.
Questa volta non mi respinge, anzi, mi stringe delicatamente le dita. – Ti dispiace se dormo un po’? Sono distrutta -.

Ted fa una smorfia di delusione. Forse avrebbe preferito parlare ancora con me.
Il pensiero mi fa sorridere di nuovo.

- Puoi stenderti accanto a me, se ti va – aggiungo, prima che possa mettere il broncio.

Lui non se lo fa ripetere e scivola sotto al lenzuolo.
Appoggia la testa sulla mia spalla, stando attento a non farmi male.

Mi si stringe il cuore.
Questo bambino è così solo, potrei avvertire la sua fame d’affetto a chilometri di distanza.
Ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui.

Potrei sempre chiedere a Max di assumermi come babysitter, penso, con un ghigno.

Gli passo una mano tra i capelli, mentre scivolo nel sonno.










 
 
- - - - - - - - - - - - - - - - - -
Non vi libererete di me così in fretta muahaha

Ok, facciamo le persone serie. Ecco il nuovo capitolo ;) fatemi sapere che ne pensate!

Ho voluto aggiungere il bambino (che trovo dolcissimo <3), avrà anche lui una parte fondamentale nella storia ;)

Spero di riuscire ad aggiornare presto!
Un bacio a tutti,
Lizz

p.s. la canzone che da il nome al titolo è di Eagle Eye Cherry ;)
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Divergent / Vai alla pagina dell'autore: L S Blackrose