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Autore: Bloomsbury    25/05/2014    11 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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"It's true I get depressed in fancy hotel rooms
Undressed with nothing to flaunt but my loneliness
Thinking of the night song of your hair
Premature as evening falls
It calls to me
Interrupted by the sirens in the street

Some days you're like an anchor on my heart
They say that stolen water tastes sweet."

Smokey Taboo- CocoRosie 

 
 




19. Smokey Taboo
 
Aveva perso da un pezzo la voglia di correre, nonostante l’avesse fatto per buona parte della sua vita.
Correre lo aveva sempre aiutato a liberarsi dei pesi, dei macigni, stavolta non c’era corsa o vento che potesse sollevarlo.
Ogni passo era un enorme sasso che lo ancorava al terreno.
Vide il cielo terso sopra la sua testa e solo allora si accorse che era sera.
Le stelle, brillanti, si prendevano gioco di lui che sfidava la brezza leggera e l’ilarità degli animi eccitati dal bel tempo che, finalmente, era sopraggiunto dopo mesi di pioggia.
Con il vestito nero e la cravatta sciolta sul petto sembrava uno sposo scappato dalla sua stessa cerimonia di nozze, in realtà aveva perso la strada mentre, da Soho, si dirigeva alla funzione funebre al quale, senza intenzione, era mancato.
Accese l’ennesima sigaretta, l’ultima che aveva, e continuò a riempire il suo spazio nel mondo sui marciapiedi brulicanti del quartiere del divertimento.
Le risate dei giovani fuori dai locali non lo riportarono sulla terra perché Jay non le udiva neanche; camminava avvolto in una nube ovattata nel quale si era perso da quando aveva ricevuto la notizia.
Le voci arrivavano alle sue orecchie come entità lontane, troppo lontane da lui.
La vita, ormai, era per gli altri, non per lui, tanto che quelle stesse risa divertite gli apparivano estranee, come se fossero suoni sconosciuti prodotti da esseri diversi da lui.
Esseri dotati di vita, di eternità.
Con noncuranza passeggiava, senza alcuna espressione sul viso.
Non appariva triste né angosciato. Era vuoto.
I suoi occhi lo erano, come i suoi passi, il suo viso.
Fumava senza accorgersene, avanzava senza rendersene conto, schivava i passanti senza averne coscienza.
L’aria calda pareva più fredda, le gambe più pesanti ed un brivido lo riportò alla sua prima estate con colui che aveva perso.
Ricordava di aver camminato per quelle stesse strade con chi non viveva più tra quelle anime.
Non appena l’immagine distinta e prepotente di Izaya si presentò, su quella via, supportata dai suoi ricordi, scosse la testa, cercando di scacciarla con la stessa violenza con la quale la morte glielo aveva tolto dalle braccia.
Sebbene avesse fatto di tutto per non pensarlo, costringendo la mente all’intorpidimento, lui ritornava, di tanto in tanto, a farsi ricordare, a torturarlo.
La prima estate con lui, la prima passeggiata mano nella mano vissuta con libertà, nella quale entrambi si erano imposti come amanti, senza chiudersi nei bar per quelli come loro, senza paura di farsi vedere.
Ancora ricordava fin troppo bene quella prima sera d’estate, il tintinnio dei braccialetti del suo uomo, la sensazione pressante dei suoi anelli tra le dita mentre stringeva la sua mano, le ironie divertenti con il quale era solito condire ogni azione o incontro.
Jay aveva imparato a vivere con la sua stessa leggerezza.
Il suo uomo era riuscito a togliere i macigni e a fargli scoprire dei lati del suo stesso carattere che non credeva neanche di possedere.
Jay sapeva divertirsi e l’aveva scoperto con lui; sapeva ridere, fare battutacce fuori luogo e vivere immensamente.
Lui glielo aveva insegnato.
Costrinse quei ricordi all’oblio per l’ennesima volta, scaraventando la sigaretta lontana da lui, quella sigaretta di tabacco che sapeva di lui, che profumava dei suoi baci.
Il cellulare squillò nella sua tasca per qualche secondo di troppo, non lo aveva sentito, non ricordava neanche più di avere qualcuno che potesse cercarlo su quell’apparecchio e quando vide il nome di Lizzie, rispose monocorde, rimanendo stupito di avere ancora la forza di parlare.
«Dimmi.»
«Dove sei?»
Si guardò intorno per orientarsi come se non si fosse neanche mai accorto di essere stato trascinato lì dalle sue stesse gambe: «A Soho.»
«Ricordi dove saresti dovuto essere oggi pomeriggio?»
«Sì, lo so. Stavo per arrivare ma poi… mi sono perso, cioè, ero sovrappensiero e non sono sceso alla fermata giusta e poi, ho fatto un giro, ho provato a ritornare indietro e…»
«Jay, non fa niente. Non eri costretto a venire.»
La telefonata sarebbe potuta terminare in quel momento perché Jay, ormai, aveva già scollegato il cervello dalla realtà.
Rimasero in silenzio per qualche minuto.
Lizzie cercava disperatamente parole e Jay… non cercava più niente da un pezzo.
«Piccolo. Vieni a dormire da me e Robert stanotte?»
«Ma no, tranquilla. Torno a casa.»
«Hai mangiato?»
«Sì.»
Quando Lizzie si rese conto che la conversazione era già chiusa, decise di mollare la presa.
Non sarebbe servito fare da mamma, come aveva sempre fatto; Jay era un uomo anche se, stavolta, era distrutto.
«Torna a casa presto, però. Hai bisogno di riposare.»
«Sì, lo farò. Buonanotte.»
Combattuta se terminare la chiamata o fare un ultimo tentativo di riportarlo alla realtà, rimase in silenzio ancora per un po’ finché, a brucia pelo, una domanda la ferì in pieno cuore: «Lizzie, è stata una bella funzione? Era degna di lui?»
Perché ti fai del male con queste domande?”
Avrebbe voluto chiederglielo ma decise di tacere e di rispondere con tono rilassato, come se quella stessa domanda non l’avesse colpita: «Molto bella. Molto da lui. C’erano suoi colleghi, alcuni hanno lasciato il loro skate» sorrise dolcemente al solo pensiero «c’era suo zio, quello di Dover e mi ha detto che la madre non sa niente. Ha provato a dirglielo ma non capisce…»
«Non lo capirà mai ed è meglio così. Andrò a trovarla in clinica presto. Mi prendo io cura di lei adesso che…»
…Izaya non c’è più.
Aveva fatto di tutto per non dire o pensare il suo nome, ma al primo momento in cui aveva abbassato la guardia gli era venuto naturale.
Si maledisse, perché dire o anche solo pensare il suo nome faceva male.
Izaya.
Un nome così pieno di una personalità non l’aveva mai sentito.
Come se quel nome potesse appartenere solo a quel ragazzo eccentrico, ricco di un’energia così innata da rompere muri di disagi, da schiacciare falsità e odiosi pregiudizi sotto le suole delle sue scarpe, da ristabilire le vite e le felicità altrui con la sola semplicità del vivere sereno.
Si accorse di piangere solo perché, istintivamente, aveva passato la mano sugli occhi stanchi e, stupendosi di se stesso che, fino a quel momento, non lo aveva mai fatto, spalancò gli occhi, fissando il palmo della sua mano inumidito dalle lacrime, meravigliandosi del fatto di essere ancora in grado di piangere.
Non credeva di poter avere ancora la capacità di provare emozioni.
Si sentiva così vuoto da percepire la vacuità delle sue emozioni più di qualsiasi altra cosa.
«Buonanotte, Lizzie.»
«Notte, Jay.»
Rimase immobile con il cellulare nelle mani, con i piedi ben piantati sull’asfalto, in ricerca di una stabilità e prima che se ne potesse accorgere, già camminava senza sapere la destinazione.

***
 
L’Escape, come al solito, aveva quello stesso odore e chi vi andava aveva le stesse identiche intenzioni percepite il primo giorno.
Il sesso era l’alveare e i ragazzi le api danzanti, Jay, invece, non era niente.
Il niente è il nulla e Jay era quel nessuno fatto di nulla del quale chiunque avrebbe fatto a meno.
Il moralista depresso che aveva fatto ingresso in un luogo di divertimento nel quale tutti esibivano una felicità ed un’allegria fin troppo ostentata per essere reale.
All’Escape si fingeva di essere felici se non lo eri per davvero e Jay, al contrario, non mostrava nulla.
Si sedette impassibile al bancone ordinando una vodka liscia, senza curarsi della gente, della musica, del fracasso, della felicità che si consumava dietro alle sue spalle, mentre il suo nulla consumava gli ultimi sprazzi di vita che erano scesi, pocanzi, dai suoi occhi.
Sovrappensiero, bevve la vodka e incatenando gli occhi alla mensola in cristallo davanti a sé continuò a vivere come uno straniero nel mondo, come se nulla della vita normale gli appartenesse.
Senza motivo spostò lo sguardo verso un gruppo di ragazzi poco più lontani.
Erano seduti, come lui, al bancone e gravitavano come piccoli pianeti ubriachi intorno ad un uomo di bell’aspetto che, con i suoi polsini perfettamente inamidati, gesticolava pacatamente, raccontando chissà cosa al gruppo di geishe adoranti intorno a lui che ridevano falsamente ad ogni fine frase.
Si chiese cosa avesse quell’uomo di così attraente.
Certamente era affascinante, ma aveva quella tipica aura da antipatico senza speranza.
Rammentò che, effettivamente, il resto del mondo, normalmente, si sente attratto dagli uomini come quelli.
I bastardi, i cattivi.
Jay aveva scoperto di essere un’amante dei buoni, dei genuini, dei signori.
Izaya lo era ed era ancora più speciale proprio perché, nonostante la sua indole del tutto positiva, aveva gli atteggiamenti affilati degli ironici, di quelli che: «prendono per il culo il mondo.» terminò i suoi pensieri con una frase detta a bassa voce.
“Izaya è un dandy dei giorni nostri. Sicuramente impopolare per chi ama farsi pippe mentali ma irresistibilmente adorabile con il suo atteggiamento che sembra dire: non me ne frega un cazzo di niente. I tipi come Izaya prendono per il culo il mondo.”
Aveva detto Lizzie durante un brindisi, la sera del trentatreesimo compleanno di Izaya.
Lui, ovviamente, aveva risposto che sarebbe stata la perfetta descrizione da inserire nella sua biografia su Wikipedia, Jay, invece, ci aveva riflettuto sul serio ed era arrivato alla conclusione che tipi come lui ne nascevano uno ogni vent’anni e che, quindi, avrebbe fatto di tutto per non perderlo.
Guardando quell’uomo capì di aver avuto nelle mani qualcosa di davvero inusuale, quella pietra preziosa rara ed introvabile che solo chi non la cerca, la trova.
Si disse che, forse, i suoi pensieri erano un po’ di parte e rimase basito dal fatto che l’aveva pensato come se fosse ancora vivo, a casa ad aspettarlo.
Distolse i suoi pensieri da Izaya velocemente, tanto da fargli cambiare espressione, lo fece in modo così repentino da attirare l’attenzione di quell’uomo al bancone che, di sottecchi, l’aveva fissato per tutto il tempo.
Prima che Jay se ne potesse accorgere, l’uomo si era avvicinato, esibendo un sorriso lascivo che al ragazzo parve una nota stonata nel mezzo delle sue riflessioni.
Come se quello sguardo seducente e sicuro di sé avesse sporcato e offeso l’immagine dell’unico uomo che avrebbe, per sempre, meritato le sue attenzioni.
«Jay, buonasera. Non pensavo di rivederti.» esordì il tipo, spalancando le braccia avidamente, come se fosse in procinto di abbracciare un cumulo di oro.
Jay, istintivamente, si scostò, non dandogli modo di farlo avvicinare: «Ci conosciamo?»
«Ma certo che sì. Ormai è passato un po’, capisco se non ricordi. Sono Brad. Abbiamo avuto il piacere di conoscerci qualche anno fa, proprio qui.»
«Forse, il piacere è stato solo il tuo dato che io non mi ricordo affatto di te.»
Brad rise attratto dalla solita indole ribelle che non gli aveva permesso, nonostante il tempo passato, di dimenticarsi di quel faccino delicato ma sfrontato del ragazzo che sentiva di poter far suo con un battito di ciglia, nonostante i rifiuti.
Di ragazzini ne aveva avuti molti e tanti altri lo aspettavano poco più in là, ma il giovane Jay, un po’ cresciuto rispetto all’ultima volta, aveva ancora il sapore della conquista selvaggia, quella che a fatica si porta a termine ma che poi, alla fine, da le soddisfazioni più sublimi.
«Non sei cambiato per niente e, questa, è una cosa che mi fa davvero molto piacere.» concluse la frase incastrando i suoi occhi azzurri in quelli di Jay che, senza abbassare lo sguardo, prendeva sempre più coscienza di quanto quell’uomo non gli piacesse.
Si rese conto di essersi recato in un luogo che gli apparteneva ancora meno della prima volta e stizzito si alzò dallo sgabello, abbandonando il bicchiere sul bancone: «Se non ti dispiace, io vado.»
«Perché scappi?» chiese con un sorrisetto sardonico.
«Non scappo. Vado a casa, semplicemente.»
Non appena finì la frase si accorse del suo contenuto.
Doveva tornare a casa, in quella casa che non aveva più niente da vivere.
Un dolore acuto nello stomaco lo costrinse a stringere gli occhi e a piegarsi, come vittima di un pugno mortale e senza rendersene conto, scappò letteralmente da quel locale, ritrovandosi fuori, vittima del fiatone e del panico.
Come se si fosse risvegliato in quell’esatto momento, si guardò intorno; avrebbe voluto piangere, arrabbiarsi, prendere a pugni il mondo, urlare.
Non lo fece, ma si incamminò nuovamente, lasciandosi quel locale, quelle vite alle spalle.

***
 
Erano le quattro del mattino e Lizzie, svegliata da un gran fracasso, si alzò dal letto, raggiungendo la porta.
Aprì, lasciando la catena ancora agganciata e gli occhi verdi in lacrime di Jay la ferirono così brutalmente da farla trasalire.
Lo fece entrare e abbracciandolo, disse singhiozzando: «Sono felice che tu sia qui.»
Jay, stretto a lei, in realtà, non stava piangendo, ma combatteva contro se stesso, contro i suoi ricordi, contro il dolore.
Strinse i denti, afferrando tra le sue dita la camicia da notte di Lizzie che con fragili e sincere carezze cercava di sorreggerlo.
Se avesse potuto, avrebbe cancellato tutto; sarebbe tornata indietro nel tempo e avrebbe risparmiato a Jay l’ennesimo dolore, ma sapeva che era impossibile.
Per la prima volta si sentì davvero inutile e prendendo il viso di lui tra le mani, lo guardò negli occhi con amore, come se volesse infondergli forza: «Dormi qui, piccolo mio?»
Nonostante fosse più alto di lei, sembrava così piccolo e fragile da farle credere che avrebbe potuto prenderlo in braccio e portarlo a letto con sé, ma si sbagliava. Era grande, fin troppo. Non era solo l’altezza a renderlo grande, era lo sguardo a fare a pugni con l’impressione inziale che dava.
Pareva un bambino, ma negli occhi c’era un dolore così consapevole e maturo da farlo sembrare un anziano di cento anni e Lizzie, addolorata dal fatto che lui, ormai, avesse smesso di essere un ventenne, lo condusse nel soggiorno, dove lo avrebbe ospitato per tutto il tempo che gli serviva.


 
«Robert dorme? Sicuro che non gli dia fastidio?» chiese, stendendosi sul divano che Lizzie aveva preparato per lui.
«Se dovesse dargli fastidio lo cacceremo di casa, tranquillo.»
Jay sorrise, consapevole del fatto che Lizzie sarebbe stata capace di farlo per davvero.
Fece per andarsene ma non appena arrivò alla porta, dove avrebbe dovuto spegnere la luce, si voltò e guardando Jay steso sul divano, solo e indecifrabile, sentì le minacce delle lacrime.
Per due anni lo aveva visto sempre con Izaya, felice come non era mai stato e adesso era solo, a chiedere rifugio, come una volta; per quanto la storia si sarebbe ripetuta?
La vita di Jay era ancora appesa ad un filo.
La prima volta, nonostante Izaya avesse avuto un ruolo fondamentale per la sua risalita, era stato in grado di lottare; stavolta, non ne avrebbe avuto le forze e Lizzie ne ebbe conferma solo guardandolo negli occhi.
Sembrava morto, senza più volontà, senza voglia di reagire.
Pregò che questo stato cambiasse e che il suo Jay potesse ritrovare la forza, ma dopo averlo salutato con un bacio al volo e aver spento la luce, non ne fu più così sicura.





Angolo Autrice.
Sera! Aggiorno molto velocemente e non vi nego che sono depressa. Ogni riga che scrivo è una pugnalata al cuore perché, è giusto che voi sappiate, non ve lo avevo mai detto, Izaya è stato, decisamente, il mio personaggio più amato.
Certamente ha... ehm... aveva il carattere che ho sempre desiderato avere e mi sono molto affezionata a lui.
Izaya era l'unico, in tutta la mia storia, ad avere alcune cose in comune con la mia vita reale.
La sua età, la sua morte, sono tutte legate a qualcuno di caro che non c'è più.
Basta con i piagnistei!
Non vi anticipo niente, sappiate che da adesso in poi, la storia prenderà una piega difficile da digerire, perché non si tratterà più di un adolescente che ha a che fare con delle scelte difficili ma, comunque, molto facili da gestire.
Avremo a che fare con la morte e le sue conseguenze. Vedremo un cambiamento di Jay che non so se concepirete.
Si era già visto precedentemente, Jay non è un tipo molto semplice, è dotato di tante sfumature che, d'ora in poi, saranno difficili da gestire per me e difficili da comprendere per voi.
Grazie di tutto.
Voglio ringraziare le solite e bellissime magnifiche sei, grazie a babbo Aven e la combattiva Bijou che ci sono sempre. Ringrazio DarkViolet, Mrs Burro, Nebulas e poi la fantastica Emide e la splendida SorellaGrimm che si è messa in pari in due giorni soltanto. Grazie per le recensioni, tesoro. Mi sono ammazzata dal ridere. Arrivata a questo punto vedrai che "il fattone Iza" come lo chiami tu, non c'è più. Spero ti abbia lasciato un buon ricordo.
Ringrazio Classof13 che proprio oggi ha espresso il suo "amore" nei confronti del nostro Izaya e Malaria che ha fatto una bellissima scenata di gelosia che mi ha fatto molto gongolare. Grazie a Moloko che ha pianto per una notte per l'ultimo capitolo.
Tutto ciò che voglio è regalarvi una storia, ma più di tutto, voglio regalarvi personaggi che per voi siano persone, amici.
Grazie di tutto.
Bloomsbury

 
   
 
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