Guardo confuso il monitor del computer, con il suo foglio Word
immacolato che sembra una distesa così grande,
così minacciosa.
Le mie mani si avvicinano avide alla tastiera, come un ragazzino
davanti ai giornalini porno scovati in qualche recondito cassetto del
padre. Rimango non so quanto con le mani tremanti a non più
di
due
centimetri da quegli sporgenti tasti color panna che ora sembrano
montagne invalicabili dentro cui si annidano mostri sconosciuti. Le
appoggio infine ai tasti stessi, ma non ne premo neanche uno,
sconfitto. Ho questa crisi di ispirazione da non so neanche
più
quanto tempo. Credo di star per impazzire. C'è una bottiglia
di
gin dietro al computer, vedo un pezzo di collo che spunta. È
vuota. Sospiro. Badate bene, non sono così sfigato
da aver
finito l'ultima bottiglia di liquore. Nella credenza ci sono ancora
svariate bottiglie di tutti i tipi. Mi alzo, strascicando i piedi fino
al salotto. In quella credenza c'è l'oggetto dei miei
desideri:
una bottiglia di vodka della migliore qualità, all'incirca
40
gradi. L'avevo comprata per un' occasione speciale, l'acquetta, come
sembra voler dire il nome, quando ancora Jane
viveva con me e la piccola ma accogliente casa del suo amante era
lontana. È evidente che verrà utilizzata per un'
occasione molto poco speciale. Ma anche no. Potrei aprirla per
festeggiare il mio non-ritorno a scrivere. Peccato che è
ogni
giorno, da un anno e mezzo a questa parte, che faccio questa festa.
È dall'età di ventidue anni che scrivo
più o meno
senza interruzione, un libro ogni due, tre anni al massimo nel caso di
particolari tomi, senza contare periodi più lunghi in cui
capitava una trasposizione cinematografica che mi impegnava
moltissimo. Due, tre anni passati a pensare, scrivere,
rivedere, correggere, litigare con editori e grafici sulle
copertine e le varie beghe che fanno parte della pubblicazione di un
libro. Sono sempre stato molto pignolo sulle mie storie; non ho mai
scritto di getto, discriminando invece le idee con pazienza e
coscienza. Alla fine sono sempre rimasto con poche idee nel cervello:
le poche che mi servivano per scrivere il libro, pubblicarlo, e farne
un bestseller. Tutti mi hanno sempre chiesto come facessi ad azzeccare
ogni singolo libro senza mai fallire. Il "segreto del mio successo", se
proprio vogliamo chiamarlo così, è quello di cui
sopra, nulla di più. Scriversi il libro prima nella mente,
rivederlo tutto, curare ogni, singola parola. Ho competamente occupato
così poco meno di trent'anni della mia vita, a scrivere
thriller
e noir tradotti e venduti in tutto il mondo. Sono diventato
più
di uno scrittore di polizieschi, come la gente ignorantemente li
definisce, cercando di fare sempre di tutta l'erba un fascio. Sono
diventato un profeta, una specie di Osho della narrativa.
Sarà per tutta
questa occupazione che mia moglie, Jane, mi ha lasciato per
il suo amante, quello a cui ormai aveva giurato fedeltà
eterna,
rinunciando a tutte le altre avventure occasionali con sconosciuti e
con me.
Prendo la bottiglia (vodka russa di altissima qualità) e
torno
nel mio studio. La casa è silenziosa, così
grande, piena
di mobili costati un patrimonio, eppure vuota. Le cose grandi
dovrebbero essere fatte per essere riempite, è logico. Ma
questa
casa è vuota. Ha iniziato a svuotarsi, lenta ma inesorabile,
quando Jane ha scoperto di non poter avere figli, anni fa. A me non
fregava poi più di tanto, ma lei era caduta in depressione e
c'erano voluti mesi e psicologi per farla riprendere.
-Potremmo adottarne uno o due- le avevo proposto, non vedendo la
differenza tra averli biologicamente nostri o no. Niente gravidanza e
parto, ma un bambino già in grado di mangiare e magari non
proprio ameba come sono i primi tempi. Avrebbe dovuto esserne
contenta. Avrebbe dovuto benedire il suo utero sterile, se
fosse stata incline alla ragionevolezza.
-Non capisci proprio un cazzo-; detto così, con una voce
incolore che poteva solo appartenere al testimone di un atto di
disumana violenza perpetrata da un folle psicotico verso una creatura
indifesa. Vai a capirle, le persone reali.
Ogni mio romanzo è caratterizzato da due elementi che
compiaiono
solitamente insieme (sulla scena del delitto, in mano all'assassino...)
e che ai più potrebbero sembrare banali: Dracula di Bram Stoker, ed una
bottiglia di vodka. Dracula
è stato il primo libro horror che abbia mai letto, uno di
quei
libri che non puoi facilmente scordare. La vodka è
semplicemente
la mia bevanda preferita, ammetto di preferirla all'acqua. È
anche il primo alcolico che abbia mai assaggiato, a casa del mio amico
d'infanzia Dean. I critici si sono autoconvinti che io abbia
letteralmente un' ossessione per questi due oggetti, e potrebbero non
avere tutti i torti, ma la gente comune non nota mai le sottigliezze,
troppo presa dalla banale ed inutile esistenza quotidiana. È
l'umanità che si lascia trascinare dallo scorrere del tempo,
mentre la morte ride. Un
uomo oscuro era seduto in
poltrona, in mano aveva una bottiglia di vodka russa e sul tavolino
verde un po' traballante collocato tra la poltrona e la grande finestra
che mostrava una New York frenetica ed abbandonata a sè
stessa,
vi era un libro chiuso; un segnalibro era infilato: 'Mi si consenta di
cominciare dai fatti - fatti nudi e crudi, verifcati per mezzo di libri
e cifre - sui quali non possono sussistere dubbi'. "Il sorriso del
destino", bestseller in tutto il mondo.
Sono tornato al computer, l'orologio sulla parete sembra urlare che
sono le due di notte, e l'urlo rimbalza sulle pareti, assordandomi.
Tuttavia una persona esterna non udirebbe nulla, solo il ticchettare
lieve ma continuo del sopracitato orologio. Mi rigiro la bottiglia tra
le mani, desidero saggiarne bene il peso, la forma, il colore del
divino liquido, quasi temendo che non esista. Finalmente la apro.
-A te, cara Jane, che sei partita per altri lidi, ed a te tutta,
umanità, limitata ma infinita-.
Bevo mezza bottiglia. Guardo lo schermo che si fa sempre meno nitido,
mentre parole si confondo nel cervello. Anche per stasera, le montagne
color panna non verranno schiacciate.
The
corner:
senza nessuno scopo preciso. Fate voi. "Mi si consenta ecc."
è una frase di Dracula
*capitan
Ovvio*.
P.S: perdonatemi anche l'intro