Il destino di Qayin
Silenzio e
oscurità.
Tra quelle pareti che un tempo erano state calde e accoglienti, in quel
momento non c’era nient’altro.
Senza osare proferire parola, Violante si strinse le ginocchia sul
petto. Si sforzò di non distogliere lo sguardo da Ezio,
seduto allo scrittoio con gli occhi persi nel vuoto.
Non aveva detto una parola da quando si era chiusa la porta alle spalle
e lei non aveva di certo rotto il silenzio, anzi. Si era guardata bene
persino dall’avvicinarsi e avrebbe volentieri continuato a
sopportare tutta la frustrazione di quella situazione, pur di non udire
le grida furibonde provenienti dal piano di sotto.
A giudicare dai rumori che giungevano dalla sala, Machiavelli non stava
lasciando il tempo ad alcuna spiegazione.
Fu il Mentore a trovare il coraggio di spezzare quella tensione.
Si alzò, allungando una mano verso Viola, la quale la prese
subito.
Quando lei si fu rimessa in piedi, si abbracciarono a lungo,
stringendosi forte e cercando di sopperire a tutto quel dolore e quella
frustrazione.
Nulla sarebbe servito, però. La ferita era ancora aperta e
sanguinava.
«Andiamo a salvarli», le sussurrò lui
fra i capelli, prima di prenderle in viso tra le mani e poggiarle un
casto bacio sulle labbra.
Scesero le scale insieme, con la ragazza che stringeva il braccio di
Ezio.
Violante non aveva mai avuto paura di Machiavelli eppure, in quel
frangente, il consigliere pareva una bestia ferita e braccata. Le sue
urla erano ringhi; i suoi occhi, fiamme.
Se ne stava appollaiato sul tavolo con il corpo di Paola stretto fra le
braccia e l’ira che fuoriusciva da ogni fibra del suo essere.
Sembrava implacabile e inconsolabile.
Laura e Chiara si erano allontanate dal tavolo di almeno tre passi e si
erano addossate contro il muro con Bengiamino a difenderle dinanzi a
loro.
Ben poche volte il milanese si era tradito mostrando agli altri le sue
emozioni; quella era una di quelle volte. Negli occhi cobalto non gli
si leggeva altro che terrore, pentimento e rassegnazione alla morte
imminente. Muoveva appena le labbra, quasi stesse recitando un rosario
per mettersi in pace col Creatore.
Corella era rannicchiato in un angolino e pareva un cane bastonato,
tale e quale a Cesco, dall’altra parte della stanza, che
fissava il vuoto tutto tremante.
Maria era addossata alla ringhiera della scalinata, pallida come mai
prima d’ora, e non osava spostare gli occhi sgranati da
Machiavelli e la sua ira.
Ezio lasciò andare Violante, posizionandosi al fianco di
Cristiano, il solo che stava fronteggiando apertamente il consigliere.
«Questo è stato uno stramaledetto
incidente!», stava ripentendo per la millesima volta il
ferrarese, con i ricci biondi spettinati, probabilmente, dalle urla
dello stesso Machiavelli.
«Tu sei stato un incidente, Pagni! La morte di Paola
è una punizione per me! Perché non ho impedito a
questo imbecille di arruolarvi!» Il consigliere
lanciò un lungo sguardo carico di odio ad Ezio, il quale non
parve smuoversi. «Io te lo avevo detto, Auditore, che ci
avrebbero rimesso loro! Ci ha rimesso lei!»
«Come dice Cristiano, è stato un
incidente», rispose pacato il Mentore. «Sono
mortificato per la sua morte, ma è un rischio che ogni
Assassino corre ogni giorno. Quanti di noi si sacrificano per la
causa?»
Machiavelli gonfiò il petto.
«Per la causa che ci vede impegnati a reprimere i Borgia o
per quella che ti vede troppo occupato a giocare stupide partite a
pallone con questi debosciati per fare qualcosa di
concreto?», incalzò, furibondo.
«Maledizione al giorno in cui ho anche solo pensato a te come
al futuro di quest’Ordine, che per quanto mi riguarda
è caduto in rovina nell’esatto istante in cui
questi deficienti sono stati portati qui a non far altro che bere e
peggiorare le cose!»
Corella si alzò di scatto, distrutto dal pianto e dalla
ramanzina che si era appena sorbito.
«Abbiamo fatto tutto il possibile!»,
puntualizzò con la voce resa acuta dall’isteria.
«È stato un incidente!»
Machiavelli lo fissò duramente, prima di appoggiare con
delicatezza il corpo dell’amata sul tavolo.
In quel momento, Paola questo sembrava: un’amata, non
un’amante.
Il consigliere mosse un paio di passi verso Corella.
«Saresti dovuto morire tu, Alessandro», disse con
tono basso. «Tu, portandoti dietro le tue maledette idee e la
tua assoluta inutilità. La tua stessa vita è uno
spreco di tempo.»
«Ora basta!» Laura si pose tra Corella e
Machiavelli, fissando astiosa l’uomo. «Siete
diventato stupido o sordo per caso: gli incidenti capitano, siamo
Assassini, non fornai. Paola ha dato la sua vita perché
credeva nello stesso ordine che ora voi state denigrando! Dovreste
vergognarvi, siete voi che ci portate alla rovina, non il Mentore! Che
uomo siete, a sfogarvi sugli altri invece che piangere sul corpo ancora
caldo di Paola?!»
Sotto lo sguardo irato di Machiavelli, la milanese strabuzzò
gli occhi, voltandosi di scatto verso Bengiamino, il quale pareva quasi
più sconvolto di lei per quella coraggiosa uscita. Prima che
Machiavelli potesse anche solo pensare di alzare le mani, si
rifugiò dietro le spalle di suo fratello, aggrappandosi al
suo mantello con un sorriso forzato ma nondimeno soddisfatto.
Ma il consigliere aveva di certo qualcosa da ridire e
l’avrebbe persino detto, se non fosse stato per i passi che,
dal piano superiore, scesero nel salone con una lentezza quasi
disarmante.
«È colpa mia.»
Augusto fece il suo ingresso a testa bassa, ponendosi di fronte a
Machiavelli senza osare guardarlo in faccia.
«Io e Cristiano abbiamo fatto a gara per uccidere Cesare
Borgia, ma la situazione mi è sfuggita di mano e Paola
è stata ferita mentre fronteggiavamo le guardie.»
Quasi non terminò il discorso.
Il secondo pugno della giornata lo colpì sul naso, facendolo
arretrare barcollando.
Subito, Bengiamino, Cristiano ed Ezio si portarono su Machiavelli,
spingendolo indietro mentre questi sgomitava ed inveiva contro Spallaci.
«Siete peggio delle cortigiane! Vi eccitate con le
idiozie!»
Il panico si scatenò.
Violante corse da Cesco che stava ventilando, aiutandolo a prendere
aria alla finestra, mentre Maria li raggiungeva massaggiando la schiena
del ragazzo.
Corella tirò fuori un fazzoletto e prese a tamponare il naso
di Augusto, gridando improperi contro il suo tempismo.
Chiara si rifugiò piangendo disperatamente
nell’abbraccio di Laura, la quale fissava allibita la scena.
Se non fosse poi stato per Cristiano, Ezio e Bengiamino, Spallaci ci
avrebbe di certo rimesso la vita.
I tre riuscirono a sfilare la spada a Machiavelli un istante prima che
la sua mano potesse in qualche modo abbassarsi sino all’elsa.
Per la seconda volta in quella giornata, Laura prese coraggio.
Aveva gli occhi pieni di lacrime e il respiro mozzato, ciononostante
fronteggiò con grande dignità non soltanto
Machiavelli, ma anche i tre che lo tenevano fermo.
«Insomma!», esclamò, asciugandosi
qualche lacrima con la manica della camicia da notte che non aveva
ancora avuto il tempo di sfilarsi. «Portate rispetto a Paola!
Azzuffarvi davanti alla sua salma, come i più rozzi dei
barbari!»
Cesco si riprese per un istante, tossicchiando un po’ prima
di prendere la parola.
«Forse, converrebbe che ognuno stesse per conto
suo», propose.
«Soprattutto tu, Niccolò.»
Ezio lo lasciò andare e subito il consigliere si
aggiustò la giacca, guardandoli tutti con odio.
«Fuori, immediatamente. Sparite tutti dalla mia
vista.»
Di nuovo, Violante non si fece ripetere una possibilità di
fuga. Prese per mano Cristiano, tirandolo via di lì prima
che iniziasse lui stesso a prendere a pugni Machiavelli.
La seguì Bengiamino, ma non prima di aver preso in braccio
Chiara, ormai al limite.
«Andiamo, su.»
Maria aiutò Cesco a staccarsi dalla finestra, sorreggendolo
per pochi passi prima che lui si rimettesse del tutto nelle condizioni
di camminare senza ansimare per l’agitazione.
Laura li guardò allontanarsi sulla scala. Mosse un passo per
seguirli, ma un capogiro la fece cadere a terra, immobile mentre sia
Corella che Spallaci si fiondavano a soccorrerla.
«Ti aiuto a tornare a letto», le disse Alessandro,
prendendola in braccio a fatica.
Tutti e tre, salirono al piano superiore senza accennare un saluto
né invitare il Mentore a seguirli.
Sapevano che quella non era che una tregua e, in vista del momento in
cui Machiavelli sarebbe tornato a impugnare la spada, non desideravano
altro che allontanarsi il più possibile.
Il frusciare delle carte da gioco
sul tavolo venne coperto da un lieve sospiro di Cristiano, mentre
Bengiamino allungava cauto la mano sul mazzo per recuperare gli scarti.
Alessandro tirò su col naso, accarezzandosi una guancia con
fare svogliato. Controllò che la regina fosse ancora in
tavola, dopodiché azzardò un colpo con una coppia
di re.
Laura bloccò ogni suo intento con un asso di picche.
«È ridicolo», commentò allora
sottovoce, voltandosi a guardare verso l’entrata della sala
dalla quale Machiavelli li aveva malamente cacciati.
«Dovremmo essere di là a porgere
l’ultimo saluto a Paola.»
Cristiano annuì, mogio.
«Lo faremo non appena Machiavelli ci darà il
permesso di avvicinarci senza tentare di ucciderci», rispose
Bengiamino.
Laura gli scoccò un’occhiata spossata.
«Qualcuno ha visto Augusto?», chiese.
Seduta all’altro tavolo, Chiara si lasciò scappare
un mugolio triste.
«Sul tetto», disse. «Abbiamo provato a
chiamarlo, ma non ne vuole sapere. Forse dovremmo stare tutti insieme,
ora», azzardò timidamente, come se si aspettasse
insulti in risposta.
All’unisono, tutti si alzarono.
Violante, che sta ne stava in piedi alla finestra, fu la prima a salire
le scale che portavano al tetto.
Uscirono nell’aria gelida della notte, senza nulla a coprirli
eccetto le loro casacche.
In quel momento, il freddo pareva l’ultimo dei loro pensieri.
Ricordava loro che erano ancora vivi, mentre Paola no.
Cristiano e Corella si misero ai lati di Spallaci, che teneva le gambe
nel vuoto fissando il Tevere scorrere sotto il suo sguardo.
Il biondo gli appoggiò una mano sulla spalla, scambiando con
il romano un lungo sguardo.
Augusto non disse nulla.
Nessuna frecciatina, nessun insulto. Ma nemmeno un sorriso.
Laura e Violante avanzarono assieme, prendendo posto una accanto a
Corella e l’altra al fianco di Cristiano, entrambe
ossequiando lo spinoso silenzio dei loro compagni.
Chiara e Bengiamino rimasero a guardare le spalle di quel gruppetto,
forse troppo tristi o troppo scossi per essere i primi a commentare.
Tutti insieme, i sette ragazzi si ritrovarono a contemplare il vuoto
che li separava dalle acque gelide del Tevere, ad ascoltare lo
scrosciare della sua acqua scorrere sotto ai loro piedi.
Sembravano passate ore, se non giorni interi, quando la porta si
riaprì.
Cesco li raggiunse armato di coperte, porgendone una ciascuno prima di
avvolgersene una sulle spalle a sua volta.
«Maria ha pensato che potevate avere freddo, qui
fuori», commentò, accompagnando il gesto con un
sorriso imbarazzato. «Aveva ragione: si gela.»
Violante coprì le sue gambe e quelle di Cristiano, mentre
lui la fece appoggiare al suo petto per avvolgerla con
un’unica coperta.
Augusto sbuffò, buttandosi la trapunta fin sopra al capo.
«Non fa poi così freddo»,
decretò, forse credendo di non stare battendo i denti.
Corella sorrise.
«Allora là sotto ci sei ancora, Serpe»,
disse, battendogli una mano sulla spalla.
Quando il silenzio parve tornare con prepotenza, a sorpresa fu
Bengiamino ad interromperlo. Con un sorrisetto in volto, tenendo la
coperta sulle spalle che poggiavano contro la parete accanto alla
porta, alzò gli occhi al cielo, guardando le stelle.
«La prima volta che ho parlato con Paola mi ha fatto un
complimento sugli occhi. Ha detto che non ne aveva mai visti di
così limpidi. Aveva sempre una parola buona per tutti, non
credete? Ora sta a noi spenderne qualcuna per lei.»
Corella dondolò il capo.
«A me piacevano le sue –»
«Alessandro!», lo rimproverò Laura,
battendogli una mano sul collo.
«Maniere
gentili! Volevo dire le sue maniere gentili!»,
si difese il forlivese, mentre con il braccio parava un secondo colpo.
Tutti risero, seppur sottovoce.
Chiara si coprì le labbra un angolo della coperta,
sorridendo a Bengiamino prima di farsi avanti.
«A me ha insegnato a ricamare», disse, sedendosi
accanto a Laura per mostrarle le sue iniziali goffamente cucite su un
lembo dell’abito scuro.
«A me ha fatto capire che avevo competizione per la carica di
donna più forte del Covo», disse Violante,
scoccando uno sguardo a Laura.
«Pensa che casualità», ripose pronta la
milanese. «Anche per me è stato
così.»
Le due ridacchiarono piano, poi Laura tornò ad incupirsi.
«Non è giusto però, lei era
così brillante; aveva davanti un futuro radioso.»
«Come ha detto anche Ezio, il nostro è un lavoro
duro», puntualizzò Alessandro, passandole un
braccio attorno alle spalle e baciandole la tempia, mentre le mani di
Bengiamino si poggiavano sulle sue spalle per aiutarsi a mettersi in
ginocchio dietro all’amico. «La sola cosa che ora
possiamo fare è impegnarci il doppio e farlo per
lei.»
«Ha dovuto lasciarci una compagna, perché
iniziassimo a essere una famiglia», commentò con
un sospiro Laura.
Bengiamino annuì.
«Vediamo di mantenere questo andamento.»
Annuirono all’unisono, chi più convinto chi meno
di quelle parole.
Cristiano tirò su col naso, stringendosi a Viola nella
coperta che gli riparava le spalle dal vento che saliva dal letto del
Tevere.
«Propongo di continuare a fare la famiglia davanti al
camino», commentò, alzandosi in piedi per poi
porgere la mano alla bolognese per aiutarla ad alzarsi.
«Andiamo, vecchio, pomposo Spallaci. Un fratello congelato
non serve a nessuno.»
Augusto si alzò, facendo scricchiolare le ginocchia come se
fossero di legno. Era rimasto più degli altri lì
da solo e aveva preso più freddo.
Tornarono al piano inferiore insieme e lì trovarono Maria ad
aspettarli.
«Potete salutare Paola, ora. Ezio la manderà a
Napoli stanotte», disse loro, tenendo gli occhi bassi e
tristi.
Cesco andò ad abbracciarla stretta e lei trattenne a stento
le lacrime.
Chiara fu la prima ad andare da Paola, trovandola con addosso un abito
nuovo, rosa pallido.
«Dovremmo truccarle di rosso le labbra e metterle i fiori nei
capelli», decretò, facendo annuire sia Laura che
Viola.
Paola non usciva mai senza aver curato per bene il suo aspetto.
Così, mentre le ragazze trafficavano con le tinture e i
nastri che di solito si sistemavano sulle trecce prima di scendere a
colazione, Cristiano e gli altri si riunirono in religioso silenzio
attorno al letto in cui Paola avrebbe riposato nella sua ultima notte
al Covo.
Cesco e Cristiano recitarono una preghiera a testa, mentre Bengiamino
si limitava a osservare il viso della fanciulla senza proferire parola.
Alessandro mormorò un Padre Nostro, impensierendosi quando
lo sguardo gli cadde sulla cura che le ragazze stavano mettendo nel far
bella la loro compagna.
Così sistemata, con i capelli raccolti sopra il capo e
impreziositi dai fiori, con le guance color pesca e le labbra tinte di
rosso, Paola sembrava veramente soltanto addormentata tra delle
lenzuola pulite.
«È fine persino in questo momento»,
commentò Cristiano, una volta che lo ebbe raggiunto a
qualche passo di distanza dal capezzale.
Alessandro annuì, prima di accostarsi a lui.
«Adorava quando facevo apprezzamenti sul suo seno, per
intenderci», sussurrò, mentre il biondo si portava
una mano alla bocca per non scoppiare a ridere, colto alla sprovvista.
«Diceva che i miei modi rozzi le mettevano allegria. Dovreste
capirlo tutti, che lo faccio per voi, quando mi impegno a fare il
somaro.»
Detto questo lasciò la stanza, andando diritto verso le
cucine e prendendo la caraffa del vino. Doveva bere o si sarebbe
sentito troppo sopraffatto.
Sentì dei passi alle sue spalle e immaginò che
fosse Cristiano.
«Vuoi un bicchiere, amico mio? Bere non la farà
tornare, ma ci farà stare meno male.»
«In verità, credo che stavolta mi unirò
a te, Corella.»
La voce di Machiavelli per poco non gli fece cadere tutto dalle mani.
Si voltò, spiritato, guardando il consigliere come avrebbe
guardato solo un fantasma, prima di versargli un bicchiere generoso.
Machiavelli lo prese in mano, svuotandolo in un paio di sorsi, prima di
rivolgergli un cenno chiedendone ancora.
Corella gli lanciò un’occhiata ancor
più allucinata della precedente, ma non mancò di
versare un altro bicchiere, prima di bere un sorso da canna per mandare
giù quella visione.
«Le ragazze la stanno preparando per il viaggio»,
disse, più per evitare di cadere nell’ennesimo,
rovinoso silenzio che per intrattenere una reale conversazione.
«Le hanno messo i fiori nei capelli.»
Machiavelli allungò nuovamente il bicchiere vuoto e Corella
lo riempì senza aggiungere altro, con le mani tremanti per
il timore di non uscire vivo dalle cucine. Annuì piano,
senza lasciar trapelare nessuna emozione dal viso, seppur i suoi occhi
fossero pieni di dolore.
«Meglio così. La madre teneva molto a lei, era la
sola femmina che ha avuto. I suoi quattro fratelli maschi non hanno
accettato il richiamo dell’Ordine, ma lei sì. Ci
crederesti?»
Corella annuì, strabuzzando gli occhi nel vuoto mentre in
silenzio prendeva un altro, più che generoso, sorso di vino.
Non disse una parola, versando altra di quella bevanda nel bicchiere di
Machiavelli senza nemmeno attendere che lui glielo chiedesse.
«Che succederà, ora?»,
azzardò.
Il dolore era stato talmente tanto che nessuno di loro aveva ancora
avuto modo di domandarselo.
Il consigliere appoggiò il bicchiere sul ripiano, prima di
alzare finalmente gli occhi in quelli celesti
dell’apprendista.
«Non lo so, domandalo al tuo Mentore», disse con un
sospiro basso, prima di lasciare la stanza, andando a sua volta a
salutare Paola un’ultima volta.
Sollevandosi piano la camicia da
notte, Laura si accarezzò nervosamente il ventre appena
rigonfio, voltandosi per rimirare la pelle tirata nel riflesso dello
specchio appeso alla parete.
Sospirò, arricciando il naso quando realizzò che
quella rotondità sarebbe presto cominciata a essere un
po’ troppa per essere nascosta sotto le pieghe ampie
dell’armatura.
Era passata una settimana dalla morte di Paola; una settimana di
riposo, per fortuna. Nessuno aveva le forze per fare
alcunché e il Mentore si era mostrato ben disposto a
lasciare a ognuno il tempo che occorreva per digerire il lutto.
Per sette giorni, dunque, Laura aveva avuto modo di starsene da sola
con il dolore della perdita di un’amica e quello dei crampi
che la svegliavano nel cuore della notte.
«Non devi dirlo a nessuno», mormorò,
guardando Violante seduta sul letto di fronte con gli occhi sbarrati
colmi di stupore. «Se lo venisse a sapere qualcuno, mi
rimanderebbero immediatamente a Milano.»
La bolognese si alzò, raggiungendola e sospirando, per poi
scostarle i capelli dal collo bagnato di sudore. Prese a sussurrare
pianissimo, per non farsi sentire dalle altre due che ancora dormivano.
«Dovresti dirlo. Se venissi scelta? Non poi rischiare
né la tua vita né quella del bambino.»
Da quando l’aveva scoperta, qualche giorno prima, a vomitare
copiosamente la colazione che aveva ingurgitato a forza, Violante aveva
preteso di sapere tutto in cambio del suo silenzio.
Laura si era liberata di un bel peso, certo, ma parlarne con qualcuno
non aveva comunque risolto nulla.
Sapeva che Viola aveva ragione, ma non voleva perdere la
possibilità di dare prova di sé
nell’Ordine.
Sospirò, prendendo a scartare nella sua testa ogni possibile
figura di autorità a cui potersi confidare.
Sarebbe morta di vergogna piuttosto che dire una cosa del genere al
Mentore, mentre invece Machiavelli l’avrebbe strangolata
seduta stante per poi passare con gioia ad Alessandro.
«Bengiamino mi ammazzerà»,
sospirò, affranta, sfilandosi del tutto la camicia da notte
per prendere a vestirsi. «Ma posso combattere, quando lo
stomaco mi lascia in pace. Posso ancora essere utile
all’Ordine.»
«Sì, ma se venissi ferita? O peggio ancora? Non
puoi rischiare così tanto, devi farlo per lui.»
«Per lui, chi?»
Cristiano entrò nella stanza già vestito,
facendole sussultare.
Laura gli diede le spalle imbarazzata, infilando una camicia per
nascondere il seno scoperto.
«Bussare non è più in uso?»
«Scusami», replicò rammaricato il
biondo. «Ma Ezio ha urgenza di parlarci. O non ci avrebbe
svegliati prima dell’alba.»
Laura prese il braccio di Violante.
«Va’ pure», le disse, sorridendole con
quel poco buonumore che le era rimasto. «Ci penso io, alle
altre.»
Salutò Cristiano con un cenno del capo, guardando i due
chiudersi la porta alle spalle prima di riprendere a rivestirsi in
fretta.
Indossò le vesti più larghe delle quali
disponeva, prendendo l’accortezza di stringere al massimo la
cintura per nascondere del tutto la pancia prima di indossare
l’armatura.
Nessuno sarebbe venuto a conoscenza di niente, non finché
non avesse trovato una soluzione a tutto quel danno.
Imponendosi la calma, si avvicinò ai giacigli di Chiara e
Maria, scrollandole piano per dare loro il buongiorno.
Maria pareva aver perso del tutto la voglia di battersi. Dopo la morte
di Paola, non si era più levata all’alba per
andare a correre, non aveva più tirato al paglione o ripreso
nessuno. Si occupava solo di Cesco e della sua incolumità.
Nonostante tutto, però, si alzò, vestendosi
velocemente e scendendo insieme a Chiara e Laura.
«Anche stamane sei molto pallida», disse alla
milanese, mentre si sedevano alla tavola della colazione, ancora vuota.
Laura sorrise, cercando di essere credibile.
«Eppure sto bene», la tranquillizzò,
notando che Cristiano era il solo dei ragazzi ad essersi presentato.
A dirla tutta, mancava persino Ezio e Machiavelli non mancò
di farlo notare.
«Ci fa alzare e poi non si presenta. Bel modo di iniziare la
giornata», disse, scuotendo il capo.
«So che senza di me non vivi, Niccolò, ma un
po’ di fiducia ogni tanto non gusterebbe. Gli ottimisti
invecchiano più lentamente.»
Il Mentore entrò nello stanzone seguito da Leonardo da Vinci
che, tra le mani, reggeva una sorta di scatola di legno.
L’artista salutò tutti, sorridendo maggiormente a
Chiara, prima di guardare verso Ezio, in attesa.
Il fischio acuto che Corella lanciò dalle scale fece
sobbalzare tutti i presenti, da Vinci e Machiavelli compresi, mentre il
resto della comitiva scendeva nella sala.
«Al fine il giorno è giunto!»,
strillò il forlivese, prendendo a saltellare così
vivacemente che per poco non finì tra le braccia di
Bengiamino.
Assieme agli altri, prese posto sulle panche del salone, tamburellando
nervosamente le dita sul legno consumato della tavolata.
«Davvero siamo già giunti al momento?»,
chiese sorpresa Chiara, rintanandosi tra le braccia di Bengiamino non
appena il milanese le si sedette a fianco.
Spallaci sbottò.
«Era anche ora!», commentò, versandosi
un bicchiere di vino prima che Corella arrivasse a strappargli la
caraffa dalle mani.
In quella settimana, entrambi parevano aver ritrovato il buonumore.
Corella gli batté una mano sulla schiena.
«Punto tutti i miei fiorini su Fiore di Maggio!»,
gridò, dando così il definitivo risveglio a chi
ancora pareva assopito. «O Fiore o niente! O Fiore o
niente!»
«Di cosa stanno parlando?», chiese Cesco a Maria,
mentre questa gli stava sistemando una ciocca ribelle dietro
l’orecchio.
«Oggi il Mentore decreterà i cinque migliori di
voi, che verranno mandati a compiere delle missioni in tutta Italia a
suo nome.»
Avevano lavorato, sudato e sofferto per quel giorno. C’era
chi aveva puntato addirittura dei soldi. Compreso Volpe, che
entrò in quel momento insieme a d’Alviano.
«Coloro che verranno scelti dovranno andare con Volpe e
Bartolomeo. Partiranno domattina e non vedranno nessuno fino alla fine
di un addestramento speciale che inizierà nella caserma di
d’Alviano e finirà ad Orvieto», disse
Ezio, lasciando tutti senza parole. «Gli altri rimarranno qui
con me.»
Quella era, di fatto l’ultima volta che potevano stare tutti
insieme.
Chiara si strinse di più a Bengiamino, tristemente.
«Abbiamo condiviso sei mesi della nostra
esistenza», cominciò il Mentore, parlando con tono
grave sebbene la sua espressione lasciasse traspirare
tutt’altro. «Sei mesi in cui vi ho visti crescere,
come Assassini e come persone, in cui ho preso nota di ogni vostro
singolo miglioramento. Se siamo qui oggi, riuniti attorno a questa
tavolata, è grazie al contributo che ciascuno di voi ha dato
all’Ordine.»
Corella scalciò sotto la panca, buttandosi platealmente
all’indietro per addossarsi a Cristiano.
«L’attesa mi uccide!»,
piagnucolò, portandosi una mano alla fronte.
Chiara e Laura presero a sghignazzare.
«Fa’ presto, Mentore!»,
esclamò Spallaci, reggendo il gioco al forlivese con un tono
platealmente preoccupato. «O all’Oste si
spezzerà il cuore!»
Tutti ridacchiarono allegramente, mentre gli occhi di Ezio
scintillavano. In un certo senso, erano come tanti figli suoi. Ma
quello non era di certo un addio, anzi.
«Sto per elevare i cinque migliori, che ho scelto in questa
settimana meditando davvero molto e soppesando ogni cosa.»
Machiavelli si schiarì la voce.
«Da solo.
Hai scelto da solo.»
Tutti iniziarono a sperare. Senza il giudizio severo del consigliere,
chiunque poteva venir scelto.
«Vorrei chiamare per primo colui che fra tutti si
è distinto per le sue doti non solo da Assassino, ma anche
da essere umano dotato di gran morale. Ha sempre fatto tutto come
doveva esser fatto, eccetto quando Cesare Borgia l’ha quasi
ammazzato.» Guardandolo con un sorriso quasi commosso, Ezio
fece cenno a Bengiamino di alzarsi.
Questi lo fece, mentre tutti applaudivano verso di lui.
«Sei stato il migliore fra tutti. Il più retto e
capace. Eri un Assassino prima di entrare tra queste mura; adesso lo
sei più che mai.»
Si fece raggiungere e subito Machiavelli gli passò le pinze.
Da un piccolo focolare, Ezio prese un anello metallico incandescente,
che schiacciò contro il dito anulare destro del ragazzo.
Bengiamino storse il naso, ma non mosse un muscolo.
«Hai accettato il marchio?», gli chiese.
«Sì, mio Mentore.»
«Allora va’, cammina nel buio e porta la
luce.»
Aprì la scatola di Leonardo e da essa prese un bracciale di
cuoio.
Non un semplice ornamento.
«La lama celata», pigolò Corella, mentre
guardava Bengiamino che veniva investito di un tale onore.
«La voglio, misericordia!»
Laura sospirò, affondando il viso nei palmi aperti delle
mani dopo che ebbe puntato i gomiti al tavolo.
«Entro due giorni arriveranno i vezzeggiamenti da parte di
tutta la famiglia», commentò, roteando gli occhi.
Bengiamino era sempre stato il preferito di loro padre, seppur non il
primogenito; l’orgoglio di tutti i Lorenzetti di Milano.
Persino la loro matrigna lo trattava con occhio di riguardo. Per non
parlare del precetto che non faceva altro che lodare le grandi doti che
il suo allievo aveva nel far di conto.
Laura, per quanto dotata e intelligente, era sempre arrivata dopo. Era
stata la prima soltanto nel ricamo, ma poi era nata la loro sorella
più giovane, che tesseva e cuciva come una vera sarta e
aveva finito per batterla anche in quel campo.
Nonostante tutto, però, Laura non poté che
sentirsi orgogliosa del suo più caro fratello maggiore.
Orgogliosa e commossa.
Bengiamino aveva sudato e sofferto come una bestia, per arrivare fin
lì. Quella posizione era più che meritata.
Ezio si fregò le mani, mentre il primo iniziato tornava a
sedersi accanto a Chiara, la quale appoggiò amorevolmente
uno straccio bagnato sul suo dito.
«La prossima persona che ho scelto non credo sia una sorpresa
per nessuno», riprese il Mentore. «Così
come Bengiamino, si è sempre distinta ed è, in
assoluto, colei di cui più mi fido.»
All’unisono, tutti si voltarono verso Violante.
«… nelle cui mani metterei la mia stessa vita.
Vieni qui, Madonna degli Antoni.»
La bolognese lo raggiunse con un gran sorriso, abbracciandolo stretto,
mentre gli altri applaudivano come avevano fatto con Lorenzetti.
«Grazie», sussurrò, mentre si
separavano.
Ezio riprese le pinze metalliche alzando un sopracciglio.
«Tra poco mi ringrazierai meno.»
L’odore di carne bruciata e un mugolino di Violante fecero
capire a tutti che anche lei aveva accettato l’anello della
fratellanza.
Ezio la aiutò ad assicurare la lama celata al braccio, prima
di prenderle il viso tra le mani, baciandole la fronte.
«Ora vai, e agisci seguendo i precetti del Credo. Non importa
cosa potrà avvenire, se crederai ciecamente in essi non ti
pentirai mai di nulla.»
«Sì, bella cosa», sbuffò
Corella, tirando su col naso mentre, al suo fianco, Spallaci
sghignazzava. «Le avessi avute io, due tette nella
camicia!»
«Non ti crucciare», commentò Cristiano,
accarezzandogli la spalla con tono falsamente preoccupato.
«Consolati pensando che Alessandro è assai
più bel nome di Alessandra.»
Chiara ridacchiò, imbevendo nella caraffa d’acqua
il suo fazzoletto per poi passarlo a Violante.
«Cristiano, sei il prossimo», cinguettò,
tanto limpida da apparire fin troppo sicura di sé.
Il ferrarese alzò le spalle.
«Sarà meglio», commentò
Spallaci. «Ci ho scommesso il borsello con
Volpe!»
«Chiara», disse Ezio, stupendoli tutti quanti.
«Il prossimo nome non è quello di Cristiano, ma il
tuo.»
La bionda rimase assolutamente senza parole, così come il
resto della comitiva. Eccetto Machiavelli che commentò con
un paio di imprecazioni sottovoce.
«Deve esserci un errore, Mentore», rispose piano la
fiorentina, alzandosi in piedi quando lo stesso da Vinci fece il giro
del tavolo, porgendole la mano.
Lei la afferrò, incerta.
«Io non ho le capacità.»
«Le hai, invece. Devi solo convincertene», disse
l’artista, lasciandola davanti ad Ezio come un padre passa la
figlia ad uno sposo, all’altare.
Chiara rimase immobile esattamente dove Leonardo la
abbandonò, incapace persino di porgere la mano al Mentore.
Sbatté più volte le palpebre, ancora incredula, e
alzò lo sguardo al soffitto, alla ricerca di
chissà quale segno divino.
Toccò a Ezio prenderle il polso quasi di forza, imprimendole
sulla pelle liscia e pallida il simbolo che provava a tutti gli effetti
la sua appartenenza alla confraternita degli Assassini.
Un onore immenso, per la famiglia di Chiara, che venne però
del tutto schermato dal dolore del ferro rovente sulla carne.
Trattenendo a stento un grido, la ragazzina sgusciò alla
presa del Mentore, rifugiandosi tra le braccia di Bengiamino per farsi
inumidire la pelle bruciata. Quando Leonardo le corse incontro per
tenderle la lama celata, lei parve rendersi conto della magra figura
che aveva fatto dinanzi a tutti i suoi compagni.
«Io …»
Riluttante, si alzò in piedi, rincuorata dallo sguardo
fiducioso di Bengiamino.
«Io accetto il marchio!»
Per risposta, Corella sospirò.
«E un altro posto è andato.»
«Ora vorrei rendere onore a qualcuno che lavora con me da
molti anni e che ha fatto uno splendido lavoro.» Mentre
tornava verso il suo posto, Ezio appoggiò le mani sulle
spalle di Maria che subito gonfiò il petto, fiera.
«Mia carissima amica, ti ringrazio davvero tanto per tutto
ciò che hai fatto. Per questo ho deciso di nominare il tuo
allievo Francesco uno dei cinque migliori.»
«Chi?», domandò Spallaci, mentre il
Conte Ventimiglia si alzava traballante dalla panca, rischiando di
inciampare mentre raggiungeva il Mentore a capotavola.
«Spero di essere ancora ubriaco»,
commentò Corella, con tono offeso.
Machiavelli alzò un sopracciglio.
«Anche io, Alessandro», replicò, mentre
Ezio imprimeva il marchio e dava la lama anche al poverino, il quale
tornò mezzo scioccato al suo posto, accanto a Maria.
La donna sembrava un po’ delusa dal non essere stata scelta,
ma ciò nonostante molto fiera del suo allievo.
«Ben fatto, ragazzino», gli disse, accarezzandogli
amorevolmente il braccio e schioccandogli un bacio sulla nuca.
«Manca un posto», fece presente Ezio, guardandoli
divertito.
I suoi allievi che tanto lo avevano amato si stavano divertendo meno,
ma non era un fattore di rilievo, per lui.
«Secondo voi, chi ho scelto? E perché?»
Spallaci scoppiò a ridere.
«Ma non è logico?!», esclamò,
tronfio. «A questo punto resto solo io. Per quanto mi
dispiaccia per Pagni e i miei soldi.»
Bengiamino scosse il capo.
«Deve essere Pagni», commentò.
Laura alzò le spalle.
«Pagni, di certo.»
Corella annuì.
«Mi aggrego: Pagni.»
Anche Chiara parve appoggiare l’idea, seppur poco convinta.
«Pagni, sì.»
Cristiano sorrise a tutti, alzandosi in piedi.
Ezio però rise, il che la diceva lunga sulla sua scelta.
«Mi duole dirtelo, Cristiano, ma non sei tu la mia
scelta», disse, mentre Corella lanciava in aria il
tovagliolo. «Sei stato bravo, molto bravo, ma non hai il
discernimento necessario. Ti manca ancora qualcosa e voglio continuare
a seguirti. Stessa cosa per Laura e Corella. Quindi posso affermare
che, per la prima volta, sono d’accordo con Spallaci: tu sei
il quinto Assassino.»
«Calma, calma, calma!», gridò Corella,
mentre Cristiano si rimetteva seduto, guardando sconvolto Violante.
«Quindi noi siamo incompleti mentre Augusto Spallaci, che ha
un cazzo di cavallo di nome Fiore di Maggio e non riesce a tenersi i
pugni in tasca per dieci minuti … sì?»
Ezio lo guardò dispiaciuto.
«Mi rincresce che tu sia così deluso, ma
sì. Spallaci ha qualcosa in più, ovvero una
determinazione e una voglia di mettersi in gioco che a voi
manca.»
«Che però ha Cesco. O Chiara»,
commentò acidamente Laura.
«Laura», la rimproverò subito
Bengiamino, chinando il capo di lato con un’espressione
sorpresa.
Lei ricambiò lo sguardo con una smorfia stizzita.
«Sei soltanto invidiosa!», la schernì
Spallaci, tronfio della sua nuova posizione.
«Perché noi cinque siamo stati scelti e tu sei
rimasta indietro, come al solito!»
«Sta’ zitto, Augusto!», lo
ribeccò Cristiano, scrollando i suoi riccioli biondi.
«Questa è la nostra ultima giornata
assieme», fece notare Chiara, alzando di poco la sua vocina
di solito timida e contenuta. «Non dovremmo passarla a
litigare.»
Improvvisamente, tutti parvero realizzare l’imminente
partenza di chi era stato scelto.
Cristiano si incupì di colpo, ma si riprese nel tempo che
gli richiese scrollare le spalle.
«Finalmente un’idea intelligente»,
commentò, tirando fuori un sorriso che, seppur poco
convinto, ridestò un po’ gli animi.
«Propongo una visita all’osteria!»
«Bell’idea! Bere fa dimenticare!», lo
appoggiò Corella.
Laura alzò un sopracciglio.
«Ma il sole non è ancora sorto!»
«Motivazione ancor più valida per andare
subito», Alessandro si alzò, prendendo a braccetto
Cristiano e aprendo strada con lui. «Rimaniamo soli, vecchio
mio. Consoliamoci: mentre loro si ammazzano di lavoro, noi potremo
continuare a non far nulla!»
Laura si alzò a sua volta, diretta verso le camerate.
Chiara provò a fermarla, chiamandola per nome.
«La nostra ultima giornata insieme, non essere
triste», le disse con un sorriso.
La milanese quasi le rise in faccia.
«Chiara, sei stata scelta ma sei solo una bambina. Non
è l’ultima per sempre, solo per adesso.»
E detto ciò si chiuse nelle stanze delle ragazze.
Violante sospirò, portando un braccio attorno alle spalle di
Chiara. Dietro di lei, Augusto si lasciò scappare un urletto
in seguito al marchio.
«Vieni, andiamo. Possiamo divertirci anche senza di
lei.»