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Autore: Alex e Finger    28/05/2014    1 recensioni
— Non mi sono mai sentito così poco Mentore come vicino a lui. —
— Diceva che sei così disposto ad imparare. Diceva che gli ricordavi Ishak, in qualcosa, anche se siete profondamente diversi. —
Lo sguardo di Ezio scivolò verso il tumulo e si velò per un attimo, mentre percepiva gli occhi di lei fissi sul suo viso.
— Perché mi cercavi? —
Ràhel si prese un attimo prima di rispondere, come se stesse raccogliendo le forze.
— Perché lo amavo. E perché sento che in questo breve tempo, anche tu lo hai amato. Vorrei parlarti di lui. —
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio, Sofia Sartor, Yusuf Tazim
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Istanbul,

Dhul-hijja 908

(Giugno 1503)

 











l silenzio dello studiolo era rotto solo dal grattare del pennino sulla carta. Anche l’aria era immobile e ogni oggetto lì dentro sembrava assistere come un muto spettatore alle parole che Amir stava vergando con mano sicura, alla velocità dello scrivano del Sultano. I caratteri ordinati si specchiavano nei suoi occhi neri e un po’ lucidi, l’inchiostro creava linee sinuose sul fondo giallo delle pagine. Il lucernario sul soffitto ritagliava un cerchio perfetto nel cielo limpido e un uccellino curioso vi si era affacciato. Il suo canticchiare gli aveva tenuto compagnia per un po’ mentre compilava i registri, ma quando la porta dello studiolo si aprì di colpo, volò via in un frullo d’ali.

Yusuf, sorpreso di trovarlo lì, s’immobilizzò con la maniglia in mano. — Che ci fai qui? — chiese, interdetto. Insieme a lui aveva fatto capolino nello studiolo l’eco della confusione che animava il salone centrale, dove gli Assassini rientrati dalla Grecia erano stati risucchiati dalle cerimonie dei loro compagni.

— Bentornato, — disse Amir senza staccare gli occhi dal registro.

Yusuf ridacchiò. — Alla faccia! Il Covo è una festa e tu fai il solito eremita. Sei il mio migliore amico: hai il dovere di accogliermi decentemente. —

Il siriano stirò le labbra in un sorriso. — Ho quasi finito. —

— Vorrà dire che andrò a festeggiare con qualcun altro. Ràhel? —

— Non riusciva a stare ferma per l’emozione e l’ho mandata a sbrigare una faccenda nel Gran Bazar. La vedrai ‘sta sera. —  e poi, senza bisogno di sbirciare la faccia contrariata di Yusuf, aggiunse con scherno: — Ma se proprio non puoi aspettare ci appartiamo. —

Yusuf scoppiò in una fragorosa risata. — Ti prego, risparmiamelo. Zuhre? — 

La penna si fermò. Amir la posò lentamente e senza rumore accanto alle pagine e si lasciò cadere sullo schienale. L’espressione, più scura del solito, era comunque indecifrabile. Il sorriso di poco prima morto in tragedia sulle sue labbra.

— Chiudi la porta. —

Yusuf fu attraversato da un brivido, ma fece come chiesto.

Il resto del Mondo poteva aspettare fuori da quello studiolo.

 

Ezio era rimasto in silenzio e Ràhel poteva leggergli negli occhi le parole che stava tenendo per sé, come se avesse intuito ogni cosa e ne fosse stato trafitto all’improvviso.

Dopo aver preso un profondo respiro lei continuò.

— Il nostro Gran Maestro ci aveva lasciati nel mese precedente. Nessuno degli Assassini impegnati in Grecia ne era stato messo al corrente per non compromettere l’esito della missione, ma soprattutto per umanità. La Guerra era finita, la Pace firmata e non si contavano perdite. La Confraternita doveva festeggiare, unanimemente, il successo della missione. L’occasione per commemorare la nostra vecchia guida e presentare la nuova si offrì ufficialmente quella sera, nel cortile degli allenamenti che era stato disposto come un anfiteatro attorno ad un grande fuoco… —

 

Amir si fece avanti raggiungendo il centro del cortile, e camminando attorno al focolare per accogliere gli sguardi commossi di tutti i presenti, celebrò il Gran Maestro con parole che sembravano poesia. Quando finì, uno scrosciare di applausi riempì il cortile degli allenamenti e nel nuovo silenzio, rotto solo delle fiamme scoppiettanti, un barbat (strumento a corde simile alla lira) attaccò una musica soffusa e dolcissima. Era Serdar, che nei giorni successivi alla morte di Zuhre aveva composto quella melodia dedicandola al Maestro. Esaurite le note Kasim si permise di schernirlo, insinuando il sospetto che fosse stato per tutto quel tempo un pretendente alla sua mano, ma Serdar accampò una verità ben diversa, cogliendo la solennità della serata per dichiararsi ad una giovane Assassina, che in preda all’euforia, lo baciò.

Amir lasciò correre ogni cosa. La figura stagliata contro le fiamme del focolare, le braccia conserte, un sorriso tremolante. Giustificava ogni spontaneità o leggerezza dei suoi compagni e anzi la condivideva con un luccichio inconfondibile negli occhi.

Incontrò lo sguardo di Ràhel, che era comparsa in quel momento sotto la porta che conduceva al Covo, e quasi senza accorgersene Amir si ritrovò a tergersi gli occhi col pollice. Dietro di lei, prima solo un’ombra, c’era il loro nuovo Maestro.

 

— Quand’è successo? — gli aveva chiesto Yusuf sedendosi, con una lentezza straziante, di fronte a lui.

— Il mese scorso, — la risposta di Amir da dietro la scrivania, dove ora sembrava quasi sprofondare. — Era malata, e da tempo. —

— Da quanto tempo? Non sapevo nulla. —

 

Yusuf lo raggiunse al centro del cortile e la sua ombra si allungò accanto a quella di Amir. Il siriano fece un passo indietro, allontanandosi cerimonioso dal fuoco, e quella di Yusuf divenne l’ombra più lunga.

 

— Quindi adesso sei tu. —

Amir aveva scossa la testa.

— Serdar? —

Con la mezza risata di chi si aspettava di sentir proporre quel nome, Amir aveva negato di nuovo, e il silenzio era stato una risposta eloquente.

 

Gli occhi del cortile erano puntati tutti su di lui. Si aspettavano qualcosa, ma una parola di conforto o qualcuna delle sue uscite esilaranti?

Yusuf si schiarì la gola. — L’ho già detto a lui e lo ripeterò a voi, — cominciò alludendo ad Amir. — Chi era con me in Grecia può garantire che le piaghe sui miei piedi sono vere. —

Un po’ di risate qua e là tra le panche alleggerirono l’atmosfera. Quelle di Kasim erano sempre le più chiassose.

 

— Mi sono fatto un eşek (culo) così in Grecia, e ora questo! — aveva sbottato il turco alzandosi di colpo dalla sedia, dopodiché aveva iniziato a fare avanti e indietro nel poco spazio libero dello studiolo.

— Yusuf, non hai dodici anni. Controllati. —

— Cos’è, uno scherzo? Amir, non prendermi in giro! —

Il siriano lo aveva guardato inarcando un sopracciglio. Mi conosci da vent’anni. Ti sembro il tipo?

 

— Non è stato facile, — continuò Yusuf serio, voltandosi per abbracciare con gli occhi tutti i presenti. — Giorno dopo giorno la terra si faceva più calda e l’alito dell’Impero sul nostro collo più pesante. E dall’odore poco gradevole. —

Questa la capirono solo gli Assassini che lo avevano seguito in Grecia, che si abbandonarono ad altre risate nostalgiche.

 

— Fammi indovinare, — aveva cominciato Yusuf, arrabbiato. — Sono stato l’ultimo a saperlo. —

— Di che parli? — gli aveva chiesto il siriano massaggiandosi la radice del naso.

— Del matrimonio del medico con la fioraia… Secondo te?! — aveva sbattuto i palmi sulla scrivania e c’era mancato poco che facesse volare via tutti i fogli in equilibrio precario.

Amir aveva continuato a guardarlo, impassibile, senza capire.

Gli occhi chiari di Yusuf, cerchiati dalle fatiche della Grecia, erano grandi e profondi come pozzi. — Gran Maestro dell’Ordine degli Assassini Ottomani Yusuf Tazim… Suona anche male! — aveva sbottato, lamentandosi come di un brutto abito.

 

— Abbiamo riportato una duplice vittoria: — continuò Yusuf. — Contribuire alla fine della Guerra ha rimesso in buona luce la Confraternita agli occhi del Divano e confinato l’egemonia Templare lontano dalle nostre coste. In questo l’alleanza con gli Assassini Veneziani, allarmati quanto noi dalla scesa in campo del Papa Spagnolo al fianco della loro Serenissima, ha giocato un ruolo cruciale e voglio che sia noto. I Confratelli italiani si sono dimostrati validi alleati, nonché abili cuochi! Senza il loro supporto sul campo sarebbero tornati meno della metà di noi. — Si accorse troppo tardi di aver insediato involontariamente altra inquietudine nella sua platea e perciò si affrettò ad aggiungere: — Oppure saremmo tornati tutti lo stesso, ma con qualche okka (unità di misura del peso) di meno. —

Altre risate.

Non riuscì a non notare lo sguardo indagatore di Ràhel, che dopo quella confessione aveva preso a studiarlo di sottecchi, come se i danni da banchetto fossero quantificabili anche attraverso i vestiti…

Tranquilla, dopo mi lascio controllare per bene, ridacchiò Yusuf tra sé e sé e la ragazza, come leggendogli quel pensiero sulla faccia, distolse lo sguardo mal celando l’imbarazzo.

 

— Zuhre aveva le idee piuttosto chiare già da prima della tua partenza, — aveva azzardato il siriano. — Metterti alla testa della squadra è stata una sua idea e sarebbe stato il tuo esame. Ha lottato finché ha potuto. Sapere della Pace firmata deve esserle bastato. —

— Questo, — aveva scandito Yusuf puntandogli contro il dito come se fosse un’arma. — Questo non è di conforto, Amir. —

— Allora cosa vuoi che faccia? — aveva sbottato l'altro lasciandosi cadere contro lo schienale e alzando le mani.

— Tanto per cominciare potresti offrirti di scambiarci di posto, o non ci avevi ancora pensato? — 

— Ma certo, accomodati! — Amir si era alzato scostando rumorosamente la poltrona ed era uscito dallo studiolo sbattendo la porta. Una scena che si ripeteva.

Ma che…Yusuf si era voltato sulla sedia, interdetto. Stavo scherzando, razza di permaloso!

 

— L’Ordine e ciò che rappresenta ci insegnano a trascendere le differenze etniche e a guardare sempre in un’unica direzione: la libertà. Ebbene io vi dico che liberamente quegli uomini e quelle donne hanno scelto di affiancarci, staccandosi dalla loro stessa patria e dai suoi interessi a sostegno di una causa più giusta, la nostra causa; quella che nessun governante o politico, da ambedue le parti, si è degnato di guardare e che ancora una volta è toccato a noi soli difendere; la stessa libertà che anni di Guerra ci hanno portato via e che lo zampino Templare rischiava di soffocare per sempre. —

Ora tra le panche non volava una mosca, e lo scoppiettio del grande fuoco alle spalle del Maestro era l’unico suono.

 

Era rimasto a fissare lo scranno vuoto davanti a sé per un tempo infinito, prima di alzarsi anche lui e avventurarsi con la cautela di un cerbiatto dall’altra parte della scrivania. Quando si era seduto aveva percepito l’imbottitura della poltrona ancora calda. Aveva stretto i braccioli così forte da sentirli scricchiolare e finché il legno non gli era entrato sotto le unghie, con il cuore che cercava di sfondargli il petto come i colpi di un cannone. Lottando contro la vista che aveva cominciato ad annebbiarsi, aveva sfogliato gli ultimi registri, ma aveva letto inutilmente e con distrazione: le parole gli scivolavano davanti agli occhi e la stanchezza del viaggio gli piombava addosso tutta in una volta. Si era abbandonato sulla poltrona in una posa da marionetta dai fili tagliati e non si era mosso per ore, fino a sera inoltrata, quando Ràhel era venuta a cercarlo proprio lì, dove si era rivolta a lui, e per la prima volta, con il nome di Maestro

 

— Dopo la morte del Mentore Ishak, di cui alcuni di voi conosceranno solo l’eco della leggenda, Zuhre ci ha guidati in anni difficili e di confusione per la Confraternita. Il nostro ruolo agli occhi del Divano si assottigliava, la nostra presenza sfumava come consumata dai bollori di un conflitto che durava da anni e stava per esplodere! — prese del terriccio e lo lanciò con foga nel fuoco, risvegliando un guizzo di scintille tra i ciocchi. — La Guerra con Venezia ci ha spinti lontano mentre come le onde di un mare in tempesta inghiottiva le nostre risorse migliori, troncandoci i contatti con le Confraternite dell’Occidente ed estraniandoci alla politica. —

— Grazie a Dio! — esultò un Assassino, suscitando qualche magra risata.

Yusuf si costrinse a sorridere. — In questo senso noi diventiamo nemici della politica. — Fece una pausa, quindi riprese con più calma. — Ma Ishak è stato entrambe le cose, Visir e Mentore, riuscendo a far convivere dentro di sé due uomini inconciliabili. La sua missione è stata dimostrarci che questo ruolo è spesso necessario. Zuhre, invece… lei è stata il trapasso di un’epoca. Ha afferrato con forza le redini della Confraternita nel momento in cui tutto sembrava vacillare e sotto di lei la minaccia delle Quattro Code è stata estinta per sempre. La pace che vivremo ora è merito delle forze congiunte di tutti i Mentori che mi hanno preceduto. Non vi prometto che sarà eterna e i nostri nemici attendono solo di potercela guastare, ma come vostro nuovo Maestro prendo l’impegno di salvaguardarla nel ricordo di chi ha lottato per farcela avere. Da questa sera si è chiuso un capitolo amaro nella storia del nostro Ordine, e adesso è ora di goderci un po’ di dolce Şarap! —

Le sue ultime parole furono accolte con un’ovazione che fece tremare le tettoie.

— Cominci già con promesse che non puoi mantenere, Maestro? — lo ammonì Amir. — Non penso ce ne sia per tutti. —

— Di che ti preoccupi? Tu neanche puoi, — rimbeccò Yusuf prendendo Ràhel sottobraccio. — Ma i miei ragazzi se lo meritano. In alternativa inventeremo qualcosa, un gioco con le carte, un balletto. —

Amir si permise una risata. — Dove stai andando? —

— Fatti i fatti tuoi, — lo schernì Yusuf, un braccio di Ràhel attorno alla vita mentre tornavano con lo stesso passo dentro il Covo.

— Non sei Maestro neanche da un giorno e già scarichi responsabilità, — commentò il siriano, sarcastico.

— Credevo ti piacesse dare ordini, quindi se non hai idee puoi bacchettarli tutti sul didietro e mandarli a letto come sai fare fin troppo bene, — ribatté Yusuf.

Amir lasciò cadere le spalle, sconfitto, senza riuscire a rimproverare nulla a quei due che erano stati lontani per quasi un anno, e che andavano sfacciatamente ad appartarsi con tutto il diritto di festeggiare nel modo che preferivano.

 

 

 

 

Il fuoco si abbassava, gli Apprendisti lasciavano le panche chi per raggiungere il proprio letto e chi, con un atteggiamento tutto diverso, per avviarsi al proprio turno di guardia. Quando del focolare non rimase che un grumo di cenere in un cerchio di pietre annerite, Amir stava rientrando per ultimo nel Covo, dietro a Serdar con in braccio la nuova amante.

Andate e moltiplicatevi, pensò il siriano tenendo per sé una risata, mentre augurava un buon sonno ad entrambi ma senza crederci troppo. Anche per lui la notte sarebbe stata ancora lunga.

Tornò nella biblioteca, che preferì allo studiolo quando vi si appartò a lume di candela per ultimare il lavoro interrotto da Zuhre su alcuni registri, di cui si era occupato solo provvisoriamente dopo la sua morte e in assenza di Yusuf, ma qualcosa gli diceva che era un compito che sarebbe spettato per sempre a lui. Qualche ora più tardi non fu sorpreso di vedere il loro nuovo Maestro ancora sveglio, sgattaiolare nel salone centrale e accorgersi di lui.

— Instancabile, — lo canzonò Yusuf allacciandosi la vestaglia.

Amir ricaricò il pennino d’inchiostro e gli lanciò giusto un’occhiata. — Potrei dire la stessa cosa di te, — sghignazzò.

— Io ho i miei buoni motivi. Tu che scusa hai? —

— La scusa di aver bisogno di molto meno sonno di te, — disse Amir voltando pagina. — Hai intenzione di aspettare sveglio la tua prima alba da Maestro? — gli chiese.

— Veramente ho dimenticato di fare una cosa, — mormorò Yusuf, — e speravo che tu potessi accompagnarmi. —

L'altro fermò la penna. — Nel bel mezzo della notte? E dove? —

Yusuf piantò gli occhi nei suoi e Amir poté leggerli come le pagine di un libro.

— Va bene, — acconsentì il siriano con un sorriso. — Ma non fare il sacrilego e mettiti qualcosa addosso. —

 

Ràhel si alzò. Era la prima volta da quando aveva cominciato il suo racconto ed Ezio la imitò non senza trattenere una certa fatica, dopo tanto tempo di immobilità, nel risvegliare le ossa. La ragazza gli mostrò il luogo per il riposo eterno del loro trascorso Gran Maestro, dove senza sforzo nel tradurre i caratteri arabi che erano scolpiti sulla lapide, Ràhel lesse il nome di Zuhre in appena un sussurro, come se altrimenti avesse potuto svegliarla.

— Una donna alla guida di una Confraternita, — disse Ezio mentre tornavano seduti dove la terra era ancora calda. — La storia del nostro Ordine ne ha viste forse troppe poche, ma davvero valide. —

— Tua sorella ne è un esempio? — chiese lei.

— Claudia ha coltivato una grande saggezza che purtroppo è spesso vacillante; ha guidato i Confratelli di Roma in mia assenza, ma non porterà lei questo fardello. Stabilire una successione è il più arduo dei doveri di un Maestro: della tua scelta dipenderanno le sorti future, e poiché non siamo cartomanti ma uomini liberi, imporre è sempre un azzardo e una limitazione. —

Ràhel ne convenne, seppur con distrazione. — Quella sera Yusuf e Amir vennero qui, e vi rimasero a lungo, — disse, e le sue parole fluttuarono come i fumi degli incensi, salendo nel cielo stellato.

Limpido come lo era allora.

 

Il canto dei grilli e l’ultima parola di una soffusa preghiera, poi Amir si alzò silenzioso come un gatto, stringendogli una spalla, e lasciò il cimitero.

Perso nel tempo Yusuf guardò ad est, dove il sole si stava affacciando timidamente, rischiarando una porzione di cielo mentre la coperta di stelle veniva ritirata via ad Occidente.

In un battere di ciglia il silenzio immobile e sacro del nuovo giorno fu pieno di rumori, di voci, di musica. Il passato, un vecchio libro polveroso e dalle pagine scricchiolanti, si chiudeva già pieno di emozioni, insegnamenti e ricordi e il futuro, un foglio bianco, attendeva solo di essere scritto.

Odio questa parte: mi ci vorrà minimo una settimana per scrivere quel rapporto, pensò Yusuf alzandosi e sgranchendosi la schiena. Ma aspetta un attimo… Poi un'idea parve passargli per la mente e un sorrisetto perfido gli stirò le labbra.

Adesso posso ordinare a qualcuno di farlo per me.

 

 

  La mattina dopo, Amir entrò nello studiolo portando sottobraccio un registro nuovo di zecca e si stupì di trovarvi Yusuf che sonnecchiava sulla poltrona.

— Buongiorno, Maestro. — esordì, mentre l’altro si stirava come un gatto. — Non credevo di trovarti già in piedi. —

— E infatti non lo sono. Non sono neanche del tutto sveglio, — Fece una smorfia e sbadigliò. — ma come puoi vedere, non mi sottraggo ai miei doveri. Cos’hai lì? —

Amir depose il registro sulla scrivania. — Visto che hai parlato di doveri, eccotene qui uno: devi scrivere il rapporto della missione. Spero che avrai preso appunti sul campo. —

Yusuf aggrottò le sopracciglia.

— Cos’è, una domanda trabocchetto, Amir? È ovvio che non ho preso appunti sul campo, era una missione segreta! E in quanto al rapporto, be’, sarà molto divertente fare rapporto a me stesso. Una specie di dialogo interiore… —

Il siriano sorrise soddisfatto e Yusuf sospirò. — Vedo che non hai perso la maledetta abitudine di interrogarmi come quando eravamo Apprendisti, o solo semplici Assassini; mi sei sempre stato superiore di rango. — Parve riflettere su questo punto. — Amir, non ti sembra un po’ strana questa situazione? —

L’altro si limitò a rivolgergli uno sguardo indecifrabile, poi posò la punta dell’indice sulla copertina del registro.

— Scrivi qualcosa, Yusuf. È tradizione che il nuovo Maestro apra il suo mandato con un registro nuovo. — disse, e voltandogli le spalle, lo lasciò da solo con i suoi dubbi e le sue domande.

Nel silenzio, il Gran Maestro dell’Ordine degli Assassini Ottomani Yusuf Tazim rimase a lungo a fissare quel pesante tomo di carta intonsa, che sembrava sfidarlo con i delicati fregi impressi a fuoco sul cuoio che lo racchiudeva. Non aveva la minima idea di cosa avrebbe potuto mai scrivere per aprire il suo mandato, così come gli sfuggiva che cosa avrebbe dovuto fare ora che quel ruolo gli era precipitato addosso come una frana. Aiuto, pensò, ma non c’era nessuno più in alto di lui a cui rivolgersi; fu preso da un senso di vertigine. Almeno Ishak aveva il suo Dio. Per un attimo rimpianse di non aver ricevuto un’educazione religiosa, mentre apriva il registro con l’atteggiamento mentale di chi si pone di fronte a un avversario impegnativo.

C’era un foglio di carta pregiata, ripiegato e chiuso dal sigillo del Maestro, in ceralacca porpora. Lo spezzò con l’inquietudine che gli accelerava i battiti e un pizzicore in fondo alla gola. Deglutì un paio di volte e prese un respiro profondo prima di spiegare il foglio e posare gli occhi sulle fitte righe che lo ricoprivano.

 

 

 

Istanbul,

29 Dhul-Qa`da 908

 

Yusuf,

ti scrivo come tuo Maestro, come una madre e come un’amica.

Ricordo come fosse accaduto ieri quando arrivasti al Covo. Eri un bambino impaurito e sconvolto dal dolore, che sembrava non avere più niente a cui aggrapparsi, a parte un padre che quasi non conosceva e un futuro incerto.

La scelta di Yalìm di unirsi a una donna che non fosse un’Assassina, di sposarla e di crescere suo figlio al di fuori della Confraternita è stata inusuale e in alcuni casi anche criticata, ma agli occhi dell’Ordine, non poteva che essere rispettata. Tuo padre era un uomo che non smetteva mai di farsi domande e di cercare con impegno e costanza le risposte. Voleva che conoscessi qual era la sua vita, i principi che la regolavano e su cui si reggeva, ma anche che avessi ben chiaro che poteva esserci qualcos’altro per te, per quanto ritenesse che onore, forza e lealtà dovessero essere i fondamenti di qualunque vita.

Gli somigli molto, anche se la vitalità, l’irruenza e lo spirito a volte sfacciato che hai ereditato da tua madre insieme agli occhi, nasconde spesso la complessità e l’assennatezza che ti viene da lui.

So quello che stai pensando.

Sei stanco per il viaggio e per una missione difficile che ti ha tenuto lontano a lungo. Immaginavi di tornare a casa e goderti il riposo, la pace tanto duramente raggiunta e il tuo successo, e invece ti ritrovi caricato di una responsabilità maggiore, per la quale non ti senti pronto e che pensi di non meritare.

Non è così.

In te c’è tutto quello che serve.

Hai avuto il coraggio di rifiutare l’Ordine e quello di unirti ad esso.

L’umiltà di accettare che avevi una lunga strada da percorrere e la forza di lavorare senza risparmiarti.

La volontà di discutere e la determinazione nel confronto.

L’ardimento per sfidare l’autorità e l’intelligenza di accoglierne le conseguenze.

Quel bambino spaventato è diventato l’uomo a cui avrei affidato la vita ogni giorno e a cui mi sento oggi di affidare la guida della Confraternita.

Abbine cura, Yusuf. Reggi questa famiglia con giustizia e verità, con autorità e comprensione, con la mente, con le mani e con il cuore.

E senza perdere mai il tuo sorriso.

 

Questa è la mia Scelta e questo Stabilisco e Impongo.

 

ﻴﺠﻴﺎﺮﺍ ﺖﺎﻘﻴﻘﺎﺣ ﻪﺮﻌﻮﺫ

ﻰﺼﺎﺠﻮﺣ ﻞﻴﻘﺍ ﻖﻴﻠﺸﺀﺬﺮﺎﻗ ﻰﻠﻨﺎﻤﺼﻭ ﻦﻴﺮﻬﻠﻴﺸﺎﺧﺸﺎﺣ

 

Zuhre Hakikat Arayıcı 

Gran Maestro dell’Ordine degli Assassini Ottomani

 

 

Rimase a fissare la frase di rito che chiudeva la lettera, quella che suggellava la successione, attribuendole valenza di legge all’interno dell’Ordine. La Scelta del Maestro era irrevocabile e niente avrebbe potuto scalzare il successore dal suo posto, a parte la morte o la rinuncia volontaria. Secondo quanto Yusuf sapeva dalla storia della Confraternita, nessuno aveva mai rinunciato e per quanto continuasse a considerarsi immeritevole, nemmeno lui l’avrebbe fatto. Non avrebbe sfidato un’altra volta la sua autorità, né sarebbe venuto meno alla fiducia che lei gli aveva concesso. Quella donna, che era stata il suo Maestro, una madre e un’amica, non meritava questo, anche se le motivazioni della sua decisione ancora gli risultavano oscure.

L’assenza di Zuhre era come un nodo dentro il suo cuore, che lo faceva sentire solo e, ancora una volta, privo di direzione.

Stringendo la lettera in mano si alzò, e aperta la porta dello studiolo gridò: — Amir! —

Gli Assassini che si trovavano in biblioteca si voltarono allarmati e il siriano comparve da dietro una libreria, con alcuni volumi tra le braccia e l’aria di chi si aspettava quell’imperiosa convocazione.

— Lo sapevi vero? — chiese Yusuf mostrando la lettera quando furono di nuovo nell’intimità dello studiolo.

— Sì. L’ha scritta il giorno prima di andarsene. —

Questa è la mia Scelta — citò Yusuf. — e questo Stabilisco e Impongo.

L’altro annuì.

— Quindi è ufficiale, non ho nessuna scappatoia. —

— Pensavi di averla? —

— No. —

Amir lo guardò strofinarsi gli occhi per scacciarne la stanchezza e la commozione, sedersi alla scrivania, stappare una boccetta d’inchiostro e prendere la penna. Sembrava non volersi separare dalla lettera, che ancora teneva stretta fra le dita della sinistra.

 

Istanbul,

20 Dhul-hijja 908

 

Io, Yusuf Tazim, Gran Maestro dell’Ordine degli Assassini Ottomani,

 

Stabilisco e Impongo che il Maestro Assassino Amir bin Saad al-Suriyâī al-Wadid

sia da oggi il mio Secondo in Comando.

 

Il mandato era stato aperto.

 

 

  
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