Niente che viva sulla Terra è così umile da non restituire qualcosa di buono
alla Terra. E niente è così buono che, se stravolto dal suo uso lecito, non si
ribelli fino a perdere la sua vera natura. La virtù stessa diventa vizio se male
indirizzata e il vizio talvolta può essere riscattato.
(…)
Così due re rivali sono accampati nell’uomo come nelle erbe: la grazia e la
violenza. E dove la peggiore è predominante, ben presto il tarlo della morte
divora quella pianta.
(Romeo + Giulietta, frate Lorenzo)
-Allora?-.
Avevamo appena posto i nostri piatti e le posate nel lavandino e ci eravamo
seduti di nuovo al tavolo. Il neon mi costrinse a chiudere temporaneamente gli
occhi, come una colomba che vola contro il cielo.
-Allora cosa?-, chiese Yamazaki alzando un sopracciglio.
-Non so… Parlami di te. Come va con Chiharu?-. Ovviamente sapevo perfettamente
che si erano lasciati, ma volli fingere ignoranza per farmi spiegare i motivi
del loro allontanamento. Non che volessi ficcare il naso, ma avevo la nettissima
sensazione che ciò riguardasse anche me. Che acutezza…
Uno sciame di ronzanti pensieri subito mi avvolse nel suo formicolante
abbraccio: in effetti non mi ero mai interessata a Yamazaki e Chiharu, ma ora
ero costretta a farlo. Perché? Perché molto probabilmente la fine del loro
fidanzamento era stato provocato da me. Io ero colpevole. Io avevo estirpato un
amore. Io avevo reciso un sentimento. Io avevo morso il filo carnoso che li
univa, avevo amputato un organo così fondamentale, disperatamente e
universalmente basilare, facendo sanguinare entrambi. Come avevo potuto pensare
che Chiharu non mi avrebbe più detestata? Stupida, stupida, stupida. Mi avrebbe
odiata ancora di più, sempre di più, finché anche lei non mi avrebbe amputata.
La vita, l’amore, le relazioni erano delle continue operazioni chirurgiche,
delle costanti perdite di sangue prezioso, non sangue normale, non
necessariamente vermiglio e denso: questo non si sarebbe mai rigenerato. Mai. Ed
era proprio questo che concorreva a prosciugare una persona, la sua mente, il
suo cuore. La vita era un incessante e crudele salasso.
Forse costringere Yamazaki a raccontarmi ciò che era successo quando non ce
n’era minimamente bisogno avrebbe disseccato ulteriormente i suoi tessuti? Io
stavo forse succhiando il suo sangue dalle sue umili vene? Stavo masticando la
sua carne per ricavarvi più liquido possibile? Stavo bevendo allegramente dal
calice del suo collo come un gattino lecca innocentemente del latte vergine e
vitale da una ciotola solitaria?
-Certo che te ne parlo. Tu mi hai detto tutto di te… Sarebbe il minimo.-.
Aveva notato i miei occhi che scorrevano freneticamente in tutte le direzioni,
il mio frettoloso brancolare nel buio, le mie espressioni sconnesse come
disarmoniche e caotiche pennellate disordinate su una tela strappata.
Gli sorrisi confortata: ero felice che capisse anche le mie reazioni più
spicciole e neonate. Ero felice.
-Non è una storia avvincente come la tua,-, ammiccò, -ma se la vuoi sapere…-.
Annuii convintamente per capire subito fino a che punto fossi rea e fustigatrice
in quella vicenda.
Poggiò i gomiti sul tavolo, cosa che feci anch’io per avvicinarmi ulteriormente
e ascoltarlo meglio.
-Io e Chiharu ci siamo fidanzati quasi cinque anni fa. Per noi era la prima
volta e in effetti la nostra storia è stata una specie di apprendistato, di
tirocinio, o almeno così la vedo ora. Ovviamente quando ci siamo fidanzati non
ci amavamo, ma ci piacevamo molto. L’amore è venuto dopo, verso i quindici anni.
All’inizio non era né affetto, né passione… Semplicemente, stavamo insieme per
attrazione fisica e mentale, dato che, come ti ho detto, per noi si trattava
della prima esperienza.-. Si fermò un attimo e mi fissò. –Ma forse non
t’interessa sapere tutto dall’inizio.-, constatò.
-Continua pure, mi interessa molto.-. E in effetti era vero. Immergermi in
un’altra storia, in altre vite per me sconosciute non fungeva solo da
distrazione, bensì risultava essere un’alienazione piacevole, a suo modo, anche
perché questo faceva parte del mio piano per ricominciare a vivere – e forse
ritornare me stessa, se ci fossi riuscita. Infine, poter conoscere i turbamenti
e le sofferenze dell’unica persona che aveva osato avvicinarsi ad una bestia
marchiata a fuoco, Ex di Shaoran, che
aveva avuto il coraggio di guardarmi in faccia senza ostentare infondati
pregiudizi ed espressioni disgustate mi dava una qualche innominabile speranza
di riscattarmi. Riscattare cosa? Il mio malcelato egoismo, la mia fissazione con
me stessa e le mie parole, i
miei
impulsi, la mia natura.
Semplicemente e monotonamente me. Una litania continua e ininterrotta, due rette
parallele che, con un po’ di sforzo, si incontravano rimanendo tali. Perché ciò
era possibile.
Tossicchiò lievemente e seguitò con il racconto:
-Fino a un anno fa eravamo molto felici, oserei dire in Paradiso. Non mi
vergogno di dire che l’amavo forse più di me stesso: era il mio blocco, l’unica
che riuscisse ad arginare la mia vena fin troppo creativa, ma allo stesso tempo
la sola a capirmi, a non considerarmi solo un bugiardo che si divertiva a
prendere in giro ingenue fanciulle.-,
dichiarando ciò fece un gesto elegante con la mano, come per accompagnare una
frase poetica, e conficcò il suo sguardo mesto e divertito contemporaneamente
sulla mia espressione complice.
Ridacchiai, capendo subito a chi si
stesse riferendo. Abbassai impercettibilmente il capo osservando le lucide
venature del levigato tavolo ligneo con un buffo sorriso stampato in faccia, non
sapendo nemmeno da cosa esso fosse provocato.
-Probabilmente anche tu mi hai catalogato così in passato, vero?-, domandò. Mi
accorsi della massiccia dose di retorica in quel quesito, così non replicai
nulla, anche perché mi sovvenne improvvisamente il motivo di quel sorriso
imbarazzato che aveva teso terribilmente le mie labbra screpolate: scusa. Era
una manifestazione di scusa prima che capissi la mia colpa; avevo scontato anni
e anni di isolamento forzato in una camera pallida, plumbea ed anonima prima di
scoprire perché fossi stata rinchiusa, ma accettando con timida nonchalance gli
ordini impartitimi. Non mi sorpresi così tremendamente: in fondo ero un essere
umano. Luogo comune? Banale nullaosta? Rassegnazione districabile? O cercavo
semplicemente un vetro dietro cui ingenuamente celare la mia più che visibile e
fallosa figura? Comunque fosse, quell’affermazione non era poi così mediocre:
chi non ha mai, consciamente o meno, etichettato coloro che lo circondano
limitandosi ad esaminarne il superficiale spirito lezioso e capriccioso,
dissoluto e sfrenato, afflitto e foderato, giocoso e disinteressato, immorale ed
edonistico, ridente e solare, senza penetrarlo in profondità, con difficoltà,
magari, ma fino in fondo, traendone il più longevo e purificante piacere? Tutti,
almeno una volta nella vita. È ingiusto, sacrilego, devastante, ma non si può
cambiare: pare che l’uomo, più di qualsiasi dio, goda nel infierire efferate
stigmate sulla fragile pelle dei suoi simili, lamentandosi e piangendo poi le
proprie.
Annuii tristemente e Yamazaki subitò mi rassicurò:
-Non c’è problema, l’ho fatto anch’io con te. Siamo pari.-. Se possibile, le sue
iridi mostravano una mestizia più pentita e imbarazzata della mia. Non potevo
restare immobile osservando quei due baratri convincendomi che non fosse colpa
mia e, quindi, nemmeno di mio interesse. Percepivo sotto i polpastrelli le
sensibili righe del tavolo che scorrevano parallele e armoniose. Ne rimasi
estasiata mentre una melodia nuova nel mia mente mi fece sorridere.
Volevo essere sicura che non stessi immaginando tutto o, peggio, che lo stessi
ingigantendo guardando attraverso un’enorme lente d’ingrandimento un’effimera e
angosciosa bolla di sapone, ma la gioia era troppo scoppiettante per ignorarla,
troppo soffocante e profumata.
Ero sensibile. Provavo qualcosa per
un’altra persona, un’emozione: compassione, pietà, comprensione, stupore… Era
tutto così fantascientificamente vivido… Non riuscivo a sopportarne il peso
stando ferma, perciò sorrisi ancora una volta al piano di legno, toccandomi il
viso. Volevo guardare, ascoltare, tastare, odorare, gustare quell’inaspettata ed
eterea magnitudine con tutto il mio ritrovato corpo accartocciato.
In un filiforme attimo di consapevolezza sentii lo sguardo interrogativo ma
sorridente di Yamazaki.
-Nulla.-, risposi senza che la sua lingua si fosse dislocata per creare suoni
interrogatori. Si strinse nelle spalle e io gli feci segno con la mano di
proseguire, ancora beata. Volevo che continuasse a parlarmi di sé.
-Comunque, tutti ci consideravano quasi marito e moglie: avevamo conosciuto le
rispettive famiglie e andavamo molto d’accordo con esse. Inoltre…-, esitò
roteando gli occhi e riflettendo sull’eventualità di affrontare un certo
argomento. Facilitai la sua cernita agitando la testa verticalmente con
tranquillizzante lentezza.
-Inoltre, come dicevo… Fummo i primi della classe a fare l’amore. Non fai caso
nemmeno alle voci di corridoio?-, negai ostentatamente, -Beata te che ci riesci.
Evidentemente molta gente non la pensa così.-.
Notai che l’argomento lo imbarazzava alquanto, ma mi divertiva vederlo
annaspare.
-Come accadde?-, gli domandai, non per puro e piacevole sadismo, ma perché
volevo davvero sapere come avvenisse un fidanzamento
vero, sincero, non cantato, né incantato. Mi ero rapidamente accorta
che le fantasie dei registi e degli scrittori contenevano, anche nonostante la
censura dell’autore, una disumana quantità di sogni e amenità irrealizzabili.
Esemplare.
-Beh…-. Quei tentennamenti imbarazzati, quell’esitazione astringente mi facevano
quasi tenerezza. Quello era il prezzo per essere stata a contatto con una
persona che si esprimeva riguardo a quell’argomento con sfacciata trivialità e
volgare opulenza di indifferenza, no? Fortunatamente non avevo ancora maturato
una soddisfacente idea di sesso da farsi influenzare.
-Eravamo a casa sua e… Dài, ma perché mi fai parlare di queste cose…?-. La
vergogna e l’imbarazzo erano ormai perfettamente tangibili e condensate sulla
sua pelle sottoforma di un sottile e opalescente strato di sudore sulla sua
fronte.
-È stato fin troppo romantico, non esattamente il tuo genere, suppongo.-,
esclamò riprendendosi.
Annuii e lo lasciai continuare.
-Cominciai a preoccuparmi di te dopo il mio compleanno, ti ricordi?-. Notò i
miei occhi strabuzzati e il pallore sui miei zigomi, concludendo che ricordassi
fin troppo bene. –Beh, in realtà mi sentivo colpevole per ciò che era accaduto
in quella stanza durante quello stupido gioco, così m’interessai di più a te e
Shaoran. Forse troppo.-. Mormorò le ultime due parole. Ero confusa… C’era
qualcosa che non quadrava.
-Quando vi siete lasciati… ehm, pardon, quando
tu hai lasciato
Shaoran,-, precisò dopo una mia
occhiata affilata come rigidi petali di inodore cristallo infranto, -mi sono
sentito il dovere di starti vicino, sempre per quella spada di Damocle che mi
pendeva sulla testa. A lungo andare quel dovere non era più tale per me: contro
ogni mia aspettativa, non eri solo una ragazza ingenua, credula, vuota e un po’
ebete. Scusa se sto ammettendo questa pessima opinione che avevo di te, ma non
posso e non voglio mentire.
-Poi non c’è molto da dire. Chiharu non ha mai accettato questo mio strano
avvicinamento a te ed è diventata isterica e gelosa. Non era più l’indulgente e
scherzosa ragazza di cui mi ero innamorato e gli strascichi non mi piacciono,
così l’ho lasciata.-.
Non commentai nulla, ma mi limitai a guardarlo attentamente. Nonostante
conoscessi bene la vicenda, ancora una volta fui sconvolta dal modo in cui venne
narrata.
-Te l’avevo detto che non era avvincente.-, ammise rammaricato.
-Posso chiederti una cosa?-, domandai perplessa. Quella domanda aveva scavalcato
tutti i paramenti nella mia testa senza poter essere ostacoltata. Non aspettai
la sua risposta:
-Tu pensi che Chiharu avesse torto?-.
Ci pensò su per un momento, poi replicò:
-Beh… Forse sì. Perché essere gelosi di una semplice amica?-.
-Da quando fra semplici amici ci si bacia?-, chiesi esterrefatta. Non poteva
essere così ingenuo. Io in effetti capivo benissimo Chiharu, a parte l’eccesso
di isteria (non che la mia fosse sottovalutabile).
-Ma se sei stata tu a baciarmi!-, esclamò sorpreso del mio quesito, come se
serbasse la risposta pronta per l’evenienza.
E come dargli torto?
Bene, cosa avevo concluso ed estratto da quella conversazione, a parte la
scoperta di una mia nuova e più matura sensibilità?
Lettere in grassetto, vermiglie come sangue sacrificale aleggiavano con
noncuranza del paesaggio desolato attorno alla loro ematica cornice: REA.
***
Il vento graffiava le mie gengive luccicanti dietro il mio sorriso, mentre il
sole colpiva con forza i miei capelli sfuggenti. Le energetiche note di
“Celebrity skin” degli Hole scaricavano sfiguranti bolle d’aria nelle mie
orecchie scoperte da quel manto castano e crespo che danzava al vento come quel
lembo di carta a strisce rosse e bianche che pendeva da un antraceo palo
solitario sulla strada per Goromi.
Una breve gita al mare, aveva spiegato Tomoyo, non avrebbe fatto male a nessuno.
Per questo mi trovavo nella sua Nissan rosso metallizzato con la proprietaria,
Shaoran, Yamazaki e Rori. Ma cominciamo dall’inizio.
Era la metà di maggio e l’aria si era leggermente rinfrescata, acquistando
un’umidità appiccicosa e brulicante tipica delle città marittime. Tomoyo mi
aveva subito proposto quella breve visita per farmi rilassare dopo averle
parlato di tutte le scoperte conseguite in quei giorni e le reti che avevo
forato e penetrato. Si esaltò soprattutto quando le menzionai ciò che aveva
detto Yamazaki prima di andare via quel giorno in cui mi rivelò indirettamente
la mia colpevolezza (mio fratello l’aveva cacciato furibondo quando aveva
scoperto che avevamo mangiato senza di lui, dimenticando di chiamarlo a tavolo.
Permaloso): Se vuoi la mia modesta
opinione, ti preferisco ora. Né ingenua, né paranoica; né eccessivamente
magnanima, né estremamente avida; né sciocca, né superba. Secondo me sei
perfetta così. Oserei dire che c’era proprio bisogno di Shaoran, una volta
tanto. Avevo sorriso a quell’ultima affermazione che condividevo pienamente.
Quanto al resto del periodo, non ero sicura che avesse poi così tanto ragione.
Perfetta. Stava decisamente
esagerando. Ero rea di aver interrotto uno splendido amore… Non era quella la
perfezione. Quei pensieri evasero da me prima che riuscissi ad edificare ed
intonacare pareti e soffitti sufficienti a respingerli. E Yamazaki
inaspettatamente aveva risposto che, alla fine, si sarebbero lasciati comunque:
i fidanzamenti a tredici anni, sosteneva lui, non duravano un gran che e per
distruggere il suo era bastato solo il flebile stertore di una
Ex di Shaoran. Sarebbe precipitato lo
stesso, giudicava pacatamente. E, non avrei saputo dire perché e con quale
forza, mi sentii lusingata da quelle parole. Ma quanto potevo essere malvagia?
Non l’avrei mai compreso appieno. Fatto stava che un angelico e compiaciuto
sorriso (che un attimo dopo mi sembrò inopportuno e maligno) deformò il mio
viso. Persino Yamazaki rimase sensibilmente perplesso, ma le colleriche urla di
Touya non gli permisero di chiedere spiegazioni.
Ad ogni modo, Shaoran era venuto a sapere della nostra gita, che in realtà
avrebbe dovuto includere solo me, Tomoyo e Yamazaki, e decise (senza un minimo
di preavviso, giustamente) di partecipare con la sua nuova ragazza, una certa
Rori, una Gothic Lolita (il Goth-Loli è una moda i cui appartenenti indossano
abiti con caratteristiche vittoriane e infantili a carattere piuttosto erotico.
Ad es.: due codine sulla testa fermate con due grandi fiocchi colorati, calze a
rete e biancheria in pizzo nero. È molto popolare in Giappone, cfr. Misa di
“Death Note”. Ndme) con cui passava molto tempo nell’ultima settimana (in realtà
si sarebbero lasciati due giorni dopo, ma non sottilizziamo). Non ci avevo mai
parlato: era una quattordicenne molto silenziosa (quindi non era completamente
colpa della mia asocialità), con capelli neri sempre raccolti in due trecce con
fiocchi rosa e occhi celesti pesantemente truccati. Fissandola la prima volta
che la vidi al fianco di Shaoran mi sembrò una fusione del mio
prima e
dopo Shaoran. Avevo riso a quel pensiero. Tutto sommato, comunque,
poteva essere la ragazza giusta per Shaoran (alla cui presenza ormai non
pronunciavo un solo vocabolo): poche parole e molti fatti. E la seconda parte
era molto più evidente della prima, dato che durante il viaggio di andata a
Goromi mi cadde l’occhio sullo
specchietto laterale dal quale potevo benissimo ammirare le loro silenziose e
struscianti acrobazie accanto ad uno Yamazaki così irrigidito che temevo si
sarebbe sbriciolato entro pochi secondi.
Dopo aver accostato Tomoyo ribadì di non voler
sporcare
la sua auto (sicuramente si era accorta
che Yamazaki stava iniziando a faticare a respirare per lo sgomento) e ordinò a
Shaoran di sedersi al mio posto sul sedile anteriore. Rori non protestò affatto,
al contrario del fidanzato, naturalmente, che iniziò a urlare come un dannato.
Alla fine la situazione si risolse e io e Yamazaki fummo intervallati da
un’indifferente e lontana Rori.
Voltandomi improvvisamente verso l’interno dell’auto notai che la mano che
Yamazaki poggiava sul sedile era quasi completamente ricoperta dalla pallida
coscia nuda della Gothic Lolita, che non si era accorta di nulla. Inizialmente
scoppiai sommessamente a ridere con una mano a coprirmi il desiderato riso
scrutando il suo volto intorpidito e più roseo del solito nel cercare di sfilare
la mano senza farsi notare. Ma all’improvviso ciò che non riuscii più a
trattenere non fu l’ilarità sormontante, bensì un’altra sensazione, più
profonda, immersa ma emergente, rabbiosa, selvaggia. Con molto sforzo la
ignorai, senza accorgermi di aver indebolito le mie difese. Infatti Yamazaki si
rese subito conto di quel mutamento sostanziale e, liberato delicatamente
l’arto, tornando serio, mi fissò attraverso i ciuffi notturni di Rori.
Voltai la testa nascondendo imbarazzata il viso con i capelli, vergognandomi
della mia reazione… o di chissà cosa.
L’innaturale biancore del cielo mi accecò molto più del baluginante bagliore
solare. La brezza sfregò il mio viso come lacrime estranee e stentoree. Odore di
sale, pungente, affilato, rincuorante.
Non essere una vittima mi attanagliò con forza facendomi notare il lato positivo
di quella sofferenza: non avrei provato dolore. E allora perché il mio corpo, la
mia testa, il mio petto, le mie mani dolevano lo stesso?
Ero rea e lieta, non
felice.
Alla rugiada che si posa sui fiori
quando s'annuncia l'autunno
assomiglio
io che devo svanire
e vorrei
sospendermi nel nulla,
ridurmi
e diventare nulla.
(“Haiku”, Franco Battiato)
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Salve! Spero vi sia piaciuto questo nuovo capitolo. Ribadisco che siamo quasi
alla fine di questa vicenda, durata quasi due anni… Ora la finisco, altrimenti
mi commuovo.
Ecco i ringraziamenti:
Sakura bethovina:
La determinazione non deve mancare, fai bene a sperare, te lo garantisco, ma… Va
beh, non dico nulla, che è meglio. A presto, grazie per la recensione e fammi
sapere cosa pensi di questo capitolo!
Sakura93thebest:
Shaoran non cambierà mai. Non credo sarebbe bastata Sakura a mutarlo. Mi
dispiace di aver deluso le tue aspettative, ma non credo che si sarebbe lasciato
coordinare… Grazie per la recensione, spero che continuerai a commentare!
Sakura182blast:
Guarda, è più facile trovare un’utilità per Uobafet che per Shaoran: si lamenta
sempre! Insopportabile.. Povera Rori (oddio, non ci conterei poi tanto…)
Comunque sono d’accordissimo con te riguardo a Yamazaki. Purtroppo in questo
capitolo quella palla di pelo di Shaoran fa la sua sporca comparsa mentre si
avvinghia con la suddetta nell’auto di Tomoyo… È una martire quella ragazza.
Evviva Alacabam!!! A presto, grazie mille per la recensione!
Bene, spero di sentire presto le vostre opinioni. Grazie anche a chi legge
solamente. Ciao!
Francy