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Autore: Laylath    31/05/2014    4 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 65. Ritorno agli studi.

 
 
Ritornare in classe comporta sempre un miscuglio di emozioni: delusione per la fine delle vacanze, aspettative per il nuovo anno scolastico, timore per le nuove materie che si dovranno affrontare, sollievo perché in fondo c’è la certezza di nove mesi assieme a persone che si conoscono bene.
Kain non aveva mai vissuto tutte queste sensazioni, in genere in lui ne convivevano solo due: gioia per avere tantissime nuove cose da imparare e terrore per le sevizie che avrebbe subito da parte degli altri ragazzi.
Per questo motivo stare seduto sul proprio banco, i docenti presenti, per lui costituiva una grande forma di sollievo: quegli adulti, fonte di sapere e dunque degni della sua ammirazione, erano la parte sicura della scuola, quella per la quale era felice di alzarsi la mattina.
O almeno questo era quello che provava un anno prima.
Adesso, per la prima volta, nonostante fosse innegabilmente felice di essere tornato a sedere in un banco, iniziava a capire la nostalgia per il tempo libero, per gli scherzi e le risate estive, per quella libertà che gli consentiva di stare con i suoi amici.
Tuttavia questi pensieri erano tranquillamente controllati dal bambino che, sotto l’occhio vigile di due docenti, continuava a scrivere sui fogli delle verifiche. La sua mano si muoveva agile, la penna lasciava un tratto sicuro sull’espressione di matematica: per quelle prove aveva deciso di usare la penna di suo padre. Non l’avrebbe portata a scuola per altre occasioni, ma in quel caso riteneva che fosse giusto così. Del resto era per quell’oggetto che si era fatto così male, perdendo tanti giorni di lezione.
Scrivendo il risultato finale del problema di matematica si arrischiò a lanciare un’occhiata all’altro studente che stava a pochi banchi di distanza dal suo e notò con piacere che non stava avendo problemi in quelle verifiche di recupero.
Effettivamente era strano trovarsi da soli in classe, consapevoli che nessun altro studente era nella scuola dato che era domenica. A dire il vero era la prima volta che succedeva una cosa simile. Ma più di un mese di scuola saltato comportava delle lacune e lui ed Henry dovevano dimostrare di averle colmate durante l’estate.
“Hai finito, Kain?” gli chiese la docente di lettere con un sorriso.
“Sì, signora – annuì lui, alzandosi in piedi – adesso consegno.”
La donna fece per alzarsi a sua volta, credendo che avesse bisogno d’aiuto: era un effetto collaterale dei pantaloncini corti dai quali sporgeva la fasciatura che copriva la cicatrice. Ma il bambino aveva dimostrato a tutti che era perfettamente in grado di correre e camminare senza alcun dolore a tormentarlo: due giorni prima era andato ad East City per l’ultimo controllo ed i medici l’avevano dichiarato completamente guarito.
Quasi contemporaneamente anche Henry si alzò dal suo banco e andò a consegnare le sue verifiche.
I due ragazzini si scambiarono un’occhiata mentre osservavano i loro professori che iniziavano la correzione: considerato che erano solo in due non ci sarebbe voluto molto tempo e l’esito si sarebbe saputo entro dieci minuti.
“Ti ha dato ventisei l’espressione?” sussurrò Henry.
“Sì.”
“Molto bene.” il rosso annuì compiaciuto e riprese a guardare gli insegnanti intenti nel loro lavoro.
Kain ne approfittò per squadrarlo con attenzione, scoprendo quanto assomigliasse a sua madre, specie ora che aveva perso buona parte dell’aria cattiva che aveva avuto fino a un paio di mesi prima. Ora, non sapeva nei dettagli quello che era successo alla famiglia Breda: i suoi genitori gli avevano raccontato che il padre di Heymans non era una persona molto buona e così era stato mandato via. Era successo quando lui stava male e dunque non aveva potuto essere partecipe come gli altri ragazzi, ma non era così ingenuo da non capire che sicuramente quell’uomo aveva fatto del male alla moglie e ai figli.
Era per colpa sua che Henry era così cattivo?
Sembrava incredibile, ma era così. O per lo meno l’atteggiamento del ragazzino era molto cambiato dopo quell’episodio. Ora lo salutava, parlava tranquillamente con lui e pur non essendo veramente amici c’era un’interazione cordiale e pacifica.
“Molto bene, ragazzi – la voce del docente gli fece riportare l’attenzione al motivo per cui erano lì – non avevo molti dubbi che due bravi studenti come voi non avrebbero avuto problemi. Le verifiche sono perfette e direi che non c’è motivo per non considerarvi studenti di seconda media a tutti gli effetti. Complimenti ad entrambi.”
A quelle parole i due ragazzi si scambiarono un’occhiata e sorrisero con estrema soddisfazione: era come se quell’atto chiudesse definitivamente la brutta storia dell’incidente alla miniera.
 
Ad aspettare nel cortile della scuola c’erano sia Heymans che Riza.
Nessuno dei due era molto ansioso riguardo l’esito di quelle verifiche di recupero, sapevano bene quanto i due ragazzini fossero intelligenti. Tuttavia la bionda notò che l’amico era lievemente preoccupato.
“Qualcosa non va?” gli chiese.
“Non proprio – rispose lui, mettendosi a braccia conserte – o per lo meno per quanto riguarda le verifiche. Ho aiutato Henry a recuperare tutto il programma e sono sicuro che se la caverà egregiamente.”
“E allora che cosa ti preoccupa?”
“L’atteggiamento degli insegnanti.”
“Credi che ce l’abbiano ancora con lui?”
“Non ce la dovevano avere con lui a prescindere – scosse il capo con disappunto – quando Henry è tornato a scuola, l’ultimo giorno, diversi di loro sono stati molto freddi nei suoi confronti. So che la situazione era molto difficile e confusa, che tutti erano molto più preoccupati per Kain, ma…”
“Mi dispiace.”
“Sono felice che sia tornato solo per quelle ultime tre ore, se fosse accaduto in pieno anno scolastico sarebbe stata ancora più difficile, lo so. Per fortuna ha avuto tutta l’estate per riprendersi dalla balbuzie e liberarsi della figura di nostro padre.”
“L’ha fatto davvero? – chiese Riza con curiosità – Te lo chiedo perché in fondo io credo che non riuscirò a liberarmi del tutto dal mio.”
“E’ diverso – ammise Heymans – tuo padre in fondo non ti ha mai fatto niente di male… da noi è stata una vera e propria violenza fisica e mentale. C’è stato un trauma che ha spezzato tutto quanto e questo fa una grande differenza.”
“Anche un padre che non ti considera può essere dannoso, sai?”
“Vuoi fare a gara?” la prese in giro il rosso con un’occhiata sarcastica.
“Non volevo dire questo, scusa.”
“Tranquilla, capisco che nemmeno per te è stato facile gestire quell’uomo. E dopo la morte di tua madre sei rimasta sola con lui in quella casa… almeno la mia è sempre stata accanto a me ed Henry. Non so cosa avremmo fatto senza di lei.”
“E’ strano, sai? Insomma penso che sarebbe molto diverso se lui fosse andato via come tuo padre; invece è ancora lì, nella nostra villetta, che prosegue a studiare come se io non fossi mai andata via…”
“Senti, è vero che Roy sta studiando alchimia?”
La domanda cadde pesante fra di loro, il punto dolente della questione che veniva finalmente toccato. Berthold continuava ad essere presente nella vita di Riza e adesso c’era un nuovo e pesante legame che la incatenava a lui.
“Sì, è vero.”
Ma non aggiunse altro e si costrinse a sorridere nel vedere Kain ed Henry che uscivano dalla scuola annunciando a gran voce la bella notizia delle verifiche passate.
 
Proprio quel pomeriggio, quasi a dare conferma ai timori di Riza, Roy aprì la porta di casa Hawkeye tenendo tra le mani il libro di alchimia che aveva preso in prestito un paio di settimane prima.
L’aveva letto due volte da cima a fondo, sempre di sera quando rientrava a casa.
Aveva promesso a Riza che lo studio di questa materia non l’avrebbe reso una persona chiusa in se stessa come Berthold Hawkeye: era per questo che preferiva dedicarsi ad essa quando non era visto da nessuno. Se avesse trascurato i suoi amici per l’alchimia sicuramente gli sarebbero tutti piombati addosso come dei falchi: in determinate situazioni era meglio essere discreti, anche con le persone a cui si voleva bene.
Mentre percorreva il corridoio silenzioso e modificava la presa sul libro rifletté sul suo contenuto.
Se doveva essere sincero si era aspettato un primo approccio più entusiasmante: certo era da ingenui aspettarsi che quel libro di basi potesse già insegnargli l’uso dell’alchimia, ma aveva sperato in qualcosa di più. Tuttavia sarebbe stato sciocco non approfittare dell’occasione che gli veniva offerta e così aveva assorbito tutto quello che le pagine ingiallite potevano offrirgli, sperando che il prossimo testo si dimostrasse più avvincente.
Perché ovviamente ci sarebbe stato un secondo libro: Berthold Hawkeye non poteva mettergli la pulce nell’orecchio e poi lasciarlo con un pugno di mosche in mano. Se gli aveva prestato quel libro c’era una ragione e cioè che, in fondo, era interessato a lui.
Devo giocarmela al meglio: devo uscire da questa casa come suo allievo!
Arrivato davanti allo studio dell’alchimista bussò due volte prima di aprire la porta.
Aveva già iniziato a pensare ad un modo per attirare l’attenzione dell’uomo, ma rimase sorpreso nel vederlo voltarsi di sua spontanea iniziativa.
“Signore – mormorò, riprendendosi e mostrando il volume – sono venuto a riportarle il libro di alchimia che mi aveva prestato. Lo metto nella scrivania?”
“No – rispose Berthold, gli occhi azzurri e febbrili sempre fissi su di lui – mettilo nel terzo ripiano dell’ultima libreria.”
Annuendo lievemente Roy eseguì quanto gli veniva richiesto, intimamente sollevato di interrompere per almeno qualche secondo il contatto visivo a cui era stato costretto. Ma quegli occhi sembravano trafiggergli la schiena mentre sistemava il volume al suo posto.
Dovette trarre un lieve respiro per recuperare la calma e portarsi davanti alla scrivania.
Dannazione, ma perché mi guardi così? Dove è finita tutta la tua indifferenza?
Eppure questa attenzione che gli veniva data avrebbe dovuto fargli piacere: voleva dire che in qualche modo Berthold Hawkeye era interessato a lui e forse c’era la minima possibilità che lo accettasse come allievo.
Era un’idea che ormai aveva maturato da tempo: prima era solo una speranza, ma dal periodo successivo alla piena si era ripromesso che, in un modo o nell’altro, avrebbe convinto quell’uomo ad insegnargli l’alchimia. La vicenda del nonno di Riza e quanto ne era conseguito avevano spianato una strada del tutto nuova ed inaspettata.
E sarebbe da folli non approfittarne…
“Ebbene?” la voce dell’alchimista lo fece trasalire e Roy capì di essere davanti ad un insegnante che lo interrogava su quanto era stato appena studiato.
“Ho bisogno di altri libri.”
“Perché?”
“Perché voglio andare oltre le basi e…”
La risata di Berthold lo interruppe e un brivido percorse la schiena del ragazzo: non credeva che quell’uomo fosse capace di fare una risata tanto sgradevole. L’aveva già sentita un’altra volta durante la piena, ma si era dimenticato di quanto potesse essere carica di amarezza e disillusione: era come se lo prendesse in giro per il solo fatto di esistere.
“Oltre le basi, eh? Dimmi, pretendi anche di saper già fare qualcosa per un solo libro letto?”
“Non ho detto questo!” si difese Roy.
“Ascoltami bene, ragazzino – si alzò in piedi, dimostrando di essere una persona più alta del previsto. Era la posizione china che traeva in inganno – quello che hai letto è solo una briciola di quello che è l’alchimia. E paragonato a quello che ho creato io è ancora di meno… cosa pretende di fare una mente come la tua? Volevi già usarla durante la piena del fiume, lo so bene, lo leggevo nei tuoi occhi, ma se pensi che sia così facile ti sbagli di grosso.”
“E allora la prego di accettarmi come suo allievo!”
Roy fece un passo avanti e con un gesto della mano bloccò il discorso di quell’uomo.
Non gli piaceva, assolutamente: lo considerava un pessimo padre ed era felice che Riza non vivesse più con lui. Ma quello che gli bruciava di più era che avesse a disposizione tutto quel sapere e non volesse condividerlo con nessuno… con lui.
“Dammi una motivazione valida.”
“Per uno scambio equivalente!”
“Che c’è? – sogghignò l’altro – Vuoi dimostrarmi di aver imparato a memoria i concetti di quel libro? Scambio equivalente… probabilmente non hai nemmeno capito che…”
“Morirà con lei, è questo che vuole?” ancora una volta Roy lo bloccò.
Ed ebbe la soddisfazione di vedere un briciolo di paura nei suoi occhi: aveva trovato il punto debole di quell’uomo. Le sue notti passate a meditare erano servite a qualcosa. Forte di questa convinzione trovò il coraggio di continuare con una certa sfacciataggine:
“Lo scambio equivalente dice che per avere qualcosa bisogna sacrificare qualcosa del medesimo valore. E’ semplicemente un dare per avere, no? Io do me stesso come allievo – si mise una mano sul petto a sottolineare quanto diceva – e lei mi insegna tutto quello che sa.”
“Dare per avere, eh?”
“Che cosa succederà quando morirà? – continuò Roy imperterrito, facendo un ampio gesto con la mano ad includere tutta la stanza colma di libri e di fogli – Le sue ricerche, quello per cui ha tanto lavorato e sacrificato moriranno assieme a lei… è questo che vuole? Anni di lavoro destinati a sparire per sempre?”
Berthold sorrise lievemente e si risedette, posando i gomiti sulla scrivania e usando le mani come appoggio per il mento.
“E perché proprio tu?”
“Perché non ha scelta, altrimenti sarebbe già andato via. Sono l’unico in questo paese disposto a diventare suo allievo… anzi, a voler diventare suo allievo.”
“Mh.”
“Riza è da escludere – disse con fermezza – con il suo atteggiamento l’ha allontanata così tanto che prova ribrezzo per l’alchimia e…”
“E se provasse ribrezzo anche per te?”
C’era un non so che di amabile nel tono con cui gli venne rivolta quella domanda, tanto che Roy ne rimase spiazzato: quell’uomo era in grado di cambiare atteggiamento con una velocità disarmante. Era come avere a che fare con più personalità.
Che cosa mi vuoi far dire? Vuoi che arrivi a dirti che io non sarò mai pessimo come te?
Iniziò ad aprire bocca ma si fermò… e se era una trappola? Una scusa per non accettarlo? Possibile che gli stesse chiedendo di essere come lui come condizione per diventare suo allievo?
“I rapporti con le persone che stanno attorno a me ho intenzione di gestirli a modo mio, signore – disse infine – l’alchimia non condizionerà quello che sono.”
“Ne sei certo? Eppure tenevi il libro con una brama tale… pensi che non ti abbia visto? Ed erano solo le basi. Se arrivassi a quanto c’è dopo saresti sicuro di poter affermare sempre le stesse cose?”
“Mi sta dicendo che è destino di ogni alchimista essere solo?”
“Ti sto dicendo che per imparare tutto quello che vuoi sapere devi dare molto di più che l’impegno. Non è una stupida materia scolastica.”
“Non l’ho mai pensato. Mi metta alla prova.”
Rimasero dieci secondi a guardarsi, gli occhi neri che non esitavano a tenere lo sguardo di quelli azzurri.
“Andata, ragazzo – disse infine Berthold – ti concedo una settimana di prova: vieni ogni giorno alle sei e vediamo quanto vali.”
“Grazie, signore! – esclamò Roy con gioia – Le assicuro che non avrà di che pentirsene.”
 
Il giorno dopo ricominciò la scuola ed i ragazzi si dovettero riabituare ai ritmi imposti dalle cinque ore di lezione mattutine ed i compiti dati a casa. Trattandosi della prima settimana i docenti erano ancora propensi ad andare leggeri, preferendo fare un ripasso generale prima di affrontare il nuovo programma e così gli studenti potevano assorbire con più facilità il rientro dalle vacanze.
Ovviamente questo discorso valeva anche per il gruppo di amici: eccetto Kain ed Henry che avevano studiato più del previsto durante quell’estate, gli altri si dovettero lentamente riadattare alla mentalità scolastica. Persino Vato dovette fare i conti con qualche giorno di assestamento, effetto collaterale di aver passato per la prima volta l’estate più fuori che dentro casa.
Ma in ogni caso tutti erano felici di avere di nuovo quell’appuntamento quotidiano.
“E’ bello poter tornare a casa assieme a te.”
Kain sorrise timidamente mentre lui e Riza, alla fine del terzo giorno, si avviavano nel sentiero di campagna che li avrebbe ricondotti a casa.
“Sono le prime volte che facciamo la strada assieme dopo scuola, ci hai mai pensato?”
“Già, però una volta mi avevi rincorso, ti ricordi? Sembra tanto tempo fa – il bambino fece un saltello per andare a sfiorare con le dita un ramo pendente sul sentiero – invece non è nemmeno un anno. Sai, mi sono sentito tanto felice di scoprire che volevi diventare mia amica.”
“In un anno ne cambiano di cose, vero? Adesso sono tua sorella.”
“Già e poi per te è un vantaggio, no? Se hai problemi con la trigonometria hai papà a disposizione per spiegartela.”
“Trigonometria – sospirò lei con delusione – ci ha già dato dei compiti di ripasso, te ne rendi conto? Il terzo giorno di scuola… penso sia stato l’unico insegnante.”
“Ma sono sicuro che papà ti aiuterà volentieri. E quando la studierò, ti darò una mano pure io.”
Riza sorrise e gli arruffò i capelli neri: Kain non aveva perso minimamente la sua capacità di farla sentire bene e amata in una maniera assoluta. La sua semplice spontaneità, priva di qualsiasi sottinteso, le illuminava la giornata anche quando c’erano dei problemi ad assillarla.
Ed effettivamente ne ho uno anche bello grosso.
“Suvvia! – esclamò, rifiutandosi di cedere alla preoccupazione almeno in quei momenti spensierati – Facciamo una gara a chi arriva prima al ponte?”
“Ti avviso che sono veloce!” annuì lui, scattando in avanti in maniera davvero improvvisa.
“Così non vale!” rise correndogli dietro e godendosi il sole settembrino.
 
“Su B?” l’indice di Andrew si posò sulla matita che Riza stava maneggiando.
“Beh sì…” ammise lei guardando il cerchio disegnato sul quaderno.
“Attenta.”
La ragazzina arrossì mentre l’uomo le dava un leggero colpetto sulla testa e la invitava a guardare con attenzione il problema di trigonometria. Più ne faceva e più si convinceva che quella materia sarebbe stata il suo punto debole fino alla fine della sua vita scolastica.
“Stiamo parlando del…?” Andrew la incitò, mettendosi a braccia conserte.
“Del seno.” un lieve broncio le comparve nei lineamenti sentendosi presa in giro.
“E qual è la formula?”
“Seno uguale BC”
“Appunto, e allora come fa ad andare in B se da B deve partire?”
“Oh! – arrossì lei – Dannazione, ho ancora confuso con il coseno!”
Si affrettò a correggere la formula e a terminare l’esercizio.
“Non è proprio un ottimo inizio di anno scolastico, eh? – Andrew prese il quaderno e controllò che gli esercizi fossero tutti fatti correttamente – Con quell’insegnante non concludi molto, vero?”
“Mi odia, si capisce.”
“Che parolone – la prese in giro lui – Laura diceva le stesse cose per il docente di lettere. Ma ammetto che quell’uomo non era simpatico alla maggior parte degli studenti.”
“Una persona che ti dà dei compiti i primi giorni non è proprio degna di simpatia – commentò la ragazzina alzandosi dal tavolo di cucina e radunando il suo materiale scolastico – scusa, papà, ti ho impegnato tutto il dopo cena.”
“Tranquilla, tesoro – la consolò lui – direi che ci dovremo andare sotto con la trigonometria.”
“Che?”
“Non hai una mentalità molto scientifica, vero? Sei più portata per le materie letterarie.”
“In matematica e geometria piana non sono male.”
“Già, resta solo la tua bestia nera: per quella vedremo di ripartire dalle basi così smetti di fare simili errori.”
“Ripetizioni?” sospirò.
“Niente di pesante, te lo prometto – le strizzò l’occhio lui – un paio di ore alla settimana io e te. E vedrai che seno e coseno non avranno più segreti.”
“Un paio di ore alla settimana, eh? Beh, ovviamente… la trigonometria non è come l’alchimia.”
Non si accorse nemmeno di aver detto quella frase a voce alta e subito se ne pentì: non gli piaceva che suo padre entrasse in quella casa, nemmeno in forma di discorso. Le sembrava di fare un torto alla sua nuova famiglia, in particolare ad Andrew.
“Come mai una simile osservazione?”
La ragazza era quasi arrivata alla porta della cucina e si girò.
Andrew si era seduto di nuovo e accarezzava la testa di Hayate che si era alzato su due zampe per ricevere attenzioni.  Forse non era bello parlarne proprio con lui, ma effettivamente Riza sentiva l’esigenza di confidare le sue paure a qualche adulto e se si trattava proprio della persona che più aveva avuto a che fare con suo padre era ancora meglio.
“Ieri sera sono andata a casa per sistemare un po’ in cucina… e ho incontrato Roy.”
“Roy? A casa tua?”
“Ecco, io credo che voglia convincere mio padre a prenderlo come allievo.”
“Studiare l’alchimia? – Andrew sgranò lievemente gli occhi a quella notizia – Non sapevo che avesse un simile interesse.”
“Ce l’ha da quando lo conosco, anche se a dire il vero non ha mai affrontato seriamente l’argomento con me – confessò lei, risedendosi – credo che non volesse per via di mio padre e della difficile situazione che avevo a casa. Però, adesso che sto assieme a voi è come se quell’interesse fosse di colpo riaffiorato.”
“Ti ha detto qualcosa in merito?”
“Beh, mi ha detto che anche se inizierà a studiare l’alchimia io non mi devo preoccupare, che lui rimarrà quello di sempre… però…”
“Però non ti piace il fatto che frequenti tuo padre.”
“Esatto, specie quando non ci sono io.”
“Tranquilla, piccola mia, Roy ha la testa sulle spalle e non è certo tipo da farsi influenzare.”
Riza annuì, cercando di convincersi di quelle parole: aveva tutte le ragioni del mondo per credere che Roy non sarebbe mai diventato come quell’uomo che aveva sacrificato la propria famiglia per correre dietro ai suoi studi.
Però…
 
“… però non ti preoccupare, zia, mangerò qualcosa più tardi.”
Congedandosi dalla donna, Roy salì di corsa le scale e andò nella sua camera.
Come la porta venne chiusa alle sue spalle si concesse di ridere con gioia e di buttarsi nel letto.
Solo quando ebbe sfogato la sua felicità recuperò la tracolla che aveva gettato a terra e da essa tirò fuori un nuovo libro che il maestro Hawkeye gli aveva prestato.
Non sentiva fame o sete, quello che aveva imparato quella sera era stato così entusiasmante che si era scordato di qualsiasi necessità fisica. Non l’avrebbe mai detto, ma quell’uomo in genere così scontroso ed irritante si stava rivelando un grande maestro.
Sentirlo parlare voleva dire imparare in maniera del tutto nuova e produttiva quanto aveva letto nei libri: se come padre gli si poteva dire di tutto, come insegnante ed alchimista era veramente fuori dall’ordinario.
E la sua alchimia va ben oltre quella ordinaria, si capisce.
Aveva letto da qualche parte che spesso gli alchimisti riuscivano a creare una propria e speciale esternazione di quella scienza. Era sicuro che anche Berthold Hawkeye fosse arrivato ad un traguardo simile, altrimenti non avrebbe speso gran parte della sua vita a studiare così tanto.
Voglio arrivare pure io a quell’alchimia. Voglio conoscerne ogni segreto e dominarla.
Andando alla scrivania, scostò con un gesto seccato i quaderni di scuola per fare spazio al nuovo libro e ai fogli che stava usando per annotare gli appunti.
Doveva mettere per iscritto tutto quello che aveva imparato quella sera: col tempo avrebbe imparato a capire cosa gli era indispensabile e cosa no, ne era certo, ma per il momento non si poteva permettere alcun errore.
 
“E così vai da mio padre ogni sera.” mormorò Riza.
Si era fatta forza e durante l’intervallo aveva fatto capire a Roy di voler parlare con lui da sola.
Si sentiva molto stupida per il discorso che stavano affrontando, tuttavia la preoccupazione non accennava a diminuire, nemmeno dopo le rassicurazioni da parte del signor Fury. Aveva passato tutta la notte a rigirarsi nel letto, scoprendo con sommo disappunto di essere anche gelosa delle attenzioni che suo padre stava dedicando a Roy. In quattordici anni lei non aveva mai ricevuto un trattamento simile.
Solo perché non sono interessata all’alchimia. E poi arriva lui e cambia atteggiamento…
Suo nonno le aveva detto che l’alchimia era l’amante ed Elisabeth la moglie: stava succedendo la medesima cosa, con la differenza che ora c’era un allievo, un figlio a cui dedicare le attenzioni.
E quel figlio era l’ultima persona che Riza voleva vicino a suo padre.
Ma lui, al contrario, sembrava intenzionato a proseguire per la sua strada.
“Sì – ammise Roy, mettendosi le mani in tasca – se tutto va bene tra poco finirà il periodo di prova e mi prenderà come allievo.”
A quelle parole la ragazza abbassò lo sguardo con un sospiro.
Dannazione, non posso proteggerlo da mio padre se non sono a casa con loro.
Era così impanicata all’idea di non poter avere la situazione sotto controllo che decise di agire d’impulso, proponendo la soluzione che aveva preso forma la notte.
“Che hai?” le chiese Roy, vedendola così pensierosa.
“Chiederò a mamma e pap… chiederò ai signori Fury di poter tornare a casa.”
“Che? – il moro sgranò gli occhi, non aspettandosi minimamente una simile dichiarazione – Ma sei matta? Proprio ora che sei finalmente felice!”
“Stai andando a casa mia tutti i giorni ed io non ci sono. Stai con lui…”
“Non ho mai fatto mistero che l’alchimia mi interessava – si difese – e ti ho promesso che non diventerò mai come lui. Non ho bisogno di te che mi fai da balia.”
“Perché devi andare a casa? – continuò lei, intestardendosi – Non può prestarti i libri e basta?”
“Se mi basassi solo sui libri perderei almeno sessanta volte quello che mi può insegnare lui… mi è bastato un giorno per capirlo! Riza – la prese per le spalle – tuo padre è un dannato genio dell’alchimia! Ma questo non vuol dire che…”
“Ci ho provato… maledizione, ci ho provato per più di tre anni. Lo sapevo che eri attratto da quella materia, ma ho sperato in ogni modo che… che ti bastasse altro.”
“Non mi distruggerà – sussurrò lui, posando la fronte contro la sua – stupida colombina, come puoi pensare che io diventi come quella persona, eh?”
La sua presa era forte e rassicurante come sempre, eppure questa volta Riza non riusciva a sentirsi tranquilla. Capiva che, nonostante tutto, Roy aveva quindici anni ed era perfettamente influenzabile da suo padre, specie ora che era altamente entusiasta di questo primo approccio all’alchimia.
E capiva benissimo che lei non poteva fare da contraltare, non ne avrebbe mai avuto la forza.
Un contraltare… ma certo!
“Parlane col capitano Falman.” propose all’improvviso.
“Che? – Roy sgranò lievemente gli occhi a quella richiesta – Ma perché mai dovrei…”
“E’ l’unico favore che ti chiedo. Digli che cosa stai facendo e senti il suo parere… per favore, Roy, è importante, sul serio…”
Era l’unica soluzione che le restava: sapeva che il capitano aveva un grande ascendente su di Roy e, al contrario di suo padre, era una persona buona e di cui ci si poteva fidare. Era l’uomo perfetto per evitare che il suo amico si facesse deviare troppo dall’alchimia, perdendo il contatto con la realtà.
Tuttavia, dallo sguardo irritato degli occhi scuri, era chiaro che l’idea non entusiasmava molto il diretto interessato. Ma questa volta Riza non era disposta a cedere.
“E’ importante, credimi.”
  
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