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Autore: Dracaryser    31/05/2014    2 recensioni
Un incontro con una donna dai capelli rossi che toglie il fiato e allo stesso tempo potrebbe essere l'unica in grado di aiutare la protagonista a respirare di nuovo.
Crossover tra Grey's Anatomy e Scandal, telefilm targati Shondaland. Il titolo di ogni capitolo è anche il titolo della canzone che consiglio di ascoltare durante la lettura dello stesso.
Dal testo:
"Decisi di abbracciarla e lei si fece piccola piccola.
Le asciugai le lacrime, lei chiuse gli occhi e il viso le si fece più sereno. Passarono i minuti e lei smise di piangere, ma nessuna delle due aveva intenzione di rompere il silenzio. Guardai i suoi capelli, le sue guance, le sue caviglie e una cosa mi fu chiara: sarei andata all'inferno per proteggerla."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Passarono tre settimane e a quel primo incontro in mensa ne seguirono altri.

Ogni giorno, o quasi, ci trovavamo per pranzare insieme.

Non lo avevamo deciso. Era un meccansimo innescatosi automaticamente.Tutto effettivamente era naturale con lei, ogni movimento, ogni parola ed ogni sguardo.
Ma percepivo, lo sentivo con ogni cellula del mio corpo, che l'intensità dei suoi sentimenti non era minimamente paragonabile alla mia.

Attesi con ansia l'ora di pranzo e, una volta giunta, mi affrettai per raggiungere la mensa. Quell'ansia mi divorava ogni giorno.
Mi sedetti ed ero terrorizzatta dall'idea che non si presentasse.


-"Sono esausta, e siamo solo a metà giornata." Mi disse abbandonansi sulla sedia.

-"Ciao anche a te." Le risposi con una stizza di ironia.

-"Ciao, scusa. Ho passato cinque ore in sala conferenze con il consiglio che non riesce ad accordarsi

sulla decisione da prendere. Ripeto gli stessi concetti dalle otto di questa mattina, salvami."

-"Di' loro che ho richiesto una consulenza legale e di chiamarti quando hanno finito. Per qualche motivo hanno soggezione di me. Non obietteranno. "

-"Per qualche motivo?" sbuffò sorridendo.

"Che intendi?" Chiesi infastidita.

-"Tu hai quest'aria di superiorità e noncuranza. Penso dipenda dai muri che erigi intorno a te continuamente. E non sono semplici muri di mattoni, sono in titanio rinforzato, sorvegliati da cani da guardia addestrati. Mi chiedo come tu mi abbia permesso di avvicinarmi ."

-"Per via del libro." Risposi accenando un mezzo sorriso, movimento che avevo assimilato involontariamente guardandola così attentamente giorno per giorno.

Sorrise anche lei e restammo per qualche minuto in silenzio.


-"Per chi era quel libro?" Trovai finalmente il coraggio di chiedere.

-"Per una mia vecchia collega per la quale non ho mai avuto molta simpatia. Non gliel'ho mai nemmeno spedito."

-"Hai fatto bene, è un libro splendido e dovresti leggerlo tu."

-"Ricordi quale libro ho preso?" Mi chiese sorpresa.

-"Ho una buona memoria io."

Come avrei potuto dirle che ogni sera, prima di addormentarmi, l'ultima cosa a cui pensavo era la massa di capelli rossi ondeggiare e allontanarsi dalla mia visuale?

-"Hai la giornata libera domani?" Chiese destandomi dal mio momento di melanconia.

-"Sì. E' stata una settimana devastante. Odio insegnare agli specializzandi. Voglio dormire per diciotto ore filate."

-"Con chi mi lamenterò della mia giornata?"

-"Puoi venire la sera a casa mia e lamentarti di tutto ciò che vuoi." Dissi scherzando.

-"D'accordo. Sarò da te per le otto. Preparati ad uno sproloquio di circa mezz'ora, domani chiudiamo il caso Bitten. Mandami un messaggio con l'indirizzo."

Rimasi sorpresa dalla sua risposta ma non mi dispiacque per niente che non avesse colto l'ironia nella mia voce, al contrario, mi sentii elettrizzata.

"Lo farò. Vado, ho un intervento." E mi allontanai.

 

Il suono dell campanello, atteso da quando la lancetta corta dell'orologio si era posizionata sul numero otto del quadrante, mi giunse ottavato nella camera da letto.

Mi precipitai ad aprire e la invitai ad entrare.

-"Hai fame? Hai cenato?" Chiesi vedendola sfinita.

-"Sì tranquilla, grazie. Voglio solo sedermi, sono esausta. L'ascensore non funziona."

-"Lo so, capita spesso."

-"Davvero? Cambia appartamento!"

-"No, mi piace questo." Dissi stringendomi alla poltrona, come se qualcuno  stesse cercando di  portarmela via.

-"Certo, sarebbe un peccato lasciare questa casa piena di foto di amici e familiari." Disse Abby indicando le cornici vuote adagiate nella libreria che il padrone di casa mi aveva regalato a Natale e che vuote erano rimaste.

-"Ho visto che hai un piano ed una chitarra, suoni? " Mi disse, per rimediare al suo colpo basso.

-"Sì. O almeno ero solita farlo. Non ho molto tempo."

Esitai per qualche attimo e continuai.

-"In realtà è una scusa. Quando abiti da sola all'inizio la musica è la migliore compagnia, ma poi, ogni volta che una nota rimbomba nella casa vuota ti ricorda quanto tu sia sola. E tu? Suoni?"

"Ho provato per un po' ma non tocco un piano da anni. Ne avevo uno, ma poi ho odiato quel piano e tutto ciò che quella casa conteneva."

-"Ti andrebbe di ricominciare?"

Le dissi, invitandola con la mano a seguirmi nel mio piccolo angolo di paradiso in cui ormai non entravo da un po'.

Ci sedemmo sullo sgabello, stringendosi un po' ci si stava benissimo in due.
Poggiò le sue mani cautamente sui tasti, come se fossero roventi.
La posizione era sbagliata, contorsi le labbra in una smorfia di dissenso e le mostrai la posizione esatta, ma il suo pollice finiva sempre da tutt'altra parte.
Pigiò qualcuno dei tasti con le sue dita sottili e quando emisero dei flebili suoni si alzò di scatto, come se si fosse realmente bruciata.

-"Suona qualcosa tu per favore." Mi disse con uno sguardo pieno di sofferenza.

Le sorrisi, tentando di compensare la tristezza dei suoi occhi con la gioia dei miei.Lei mi lasciò lo sgabello appoggiandosi alla parete.

Non avevo idea di cosa suonare. Il suo sguardo pesante si posò fisso su di me ed offuscava la mia mente.
Sfogliai nervosamente gli spartiti che per poco non si sparpagliarono sul pavimento. Ne presi uno a caso e respirai profondamente sgranchendo le dita.

Azzardai una nota.
Troppo bassa.
Mi spostai di un'ottava.
Perfetto.

Dopo qualche timidio tentativo presi coraggio. La melodia e il profumo dei suoi capelli riempirono la stanza e mi sembrò che l'enorme macigno che gravava sul mio cuore si desintegrasse.

Quando finii si avvicinò con una smorfia di dolore.
Sfiorò i tasti del piano con le dita, ne suonò uno e chiuse gli occhi.

-"Una volta suonavo, niente di che in realtà. Mio marito però non apprezzava e mi chiedeva di smettere. Io facevo finta di non sentirlo, allora lui veniva verso di me, mi prendeva le dita e me le stringeva fino a farmi quasi svenire dal dolore, poi premeva la mia testa sui tasti finchè non iniziava a sanguinarmi il naso."

Continuò a raccontare e le gambe le si fecero estremamente deboli. Andò a sedersi sul divano ed iniziò a piangere.

Non sapevo cosa fare. Avevo sempre odiato i piagnistei: quando qualcuno piangeva io ero solita allontanarmi. Ma in quel momento non c'era nessun altro posto in cui volessi essere.

Decisi di abbracciarla e lei si fece piccola piccola. Le asciugai le lacrime, chiuse gli occhi e il viso le si fece più sereno.
Passarono i minuti e lei smise di piangere ma nessuna delle due aveva intenzione di rompere il silenzio.
Guardai i suoi capelli, le sue guance, le sue caviglie e in un attimo una cosa mi fu chiara: sarei andata all'inferno per proteggerla.

  
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