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Autore: MillenniumEarl    01/06/2014    1 recensioni
"Piove, ma se hai un cappello in testa, è come se non piovesse"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piove, ma se hai un cappello in testa, è come se non piovesse.

Ripetevo dentro di me queste parole come se fosse un mantra, come se volessi sfidare il cielo plumbeo di quella sera di novembre a mandare ancora più acqua di quella che già stava vomitando sulle strade.

Camminavo con le mani in tasca, le spalle strette e lo sguardo basso, cercando di tenere un'andatura spedita in modo da arrivare prima a casa, tuttavia, proprio quando passai davanti alle porte del Wallace Pub, il cielo sembrò accettare la mia sfida e una violenta scarica di grandine mi colse in pieno mentre qualcuno, da una macchina, suonava il clacson come per darmi dell'idiota.
Fui costretto a entrare per ripararmi dal cielo.

 

Me lo immaginavo che esultava e prendeva in giro il mio cappello, che nel frattempo, mi aveva comunque riparato la testa ed evitato di bagnarmi anche i capelli. Magra consolazione, pensai, ma meglio che niente. La prossima volta mi sarei preso la mia rivincita.

Mi sedetti al bancone del pub. Il locale non era molto pieno, di solito si riempiva nel fine settimana mentre il mercoledì era raro trovarci più di venti, venticinque persone.

La cameriera, una ragazza di cui non ricorderò mai il nome, ma che di sicuro inizia con la S, aveva messo su un cd dei Pink Floyd nel piccolo stereo posto accanto alla macchinetta del caffè. Mi sorrise e mi chiese cosa volessi da bere.

Presi una birra, rossa, tedesca, in bottiglia. Come sempre. E mentre la sorseggiavo, canticchiavo a modo mio, cercando di seguire la melodia di Wish you were here. Poi, lei mi chiese se avessi da accendere.

Lei era una donna che a vederla non poteva avere più di 35 anni. Aveva dei lunghi capelli neri, mossi, molto curati e anche nel vestirsi si notava una certa attenzione ai particolari. La cosa che risaltava subito all'occhio era il suo estremo fascino, non si trattava di bellezza in senso stretto, ma di quel magnetismo che poche donne hanno e con il quale sono capaci di essere attraenti semplicemente per come si pongono, anche se sono vestite con una tuta, vecchia e sporca e indossano delle improbabili ciabatte.

Lei, il cui nome non mi ha mai detto, mi chiamò con una certa aria d'arroganza e mi chiese se avessi da accendere. Nello stesso momento S le porse un bicchiere di irish mist e lei posò le monete sul banco per pagare la consumazione. Non aveva tirato fuori nessun portafogli, aveva semplicemente messo i soldi, precisi, sul tavolo, come un gesto abitudinario, come se sapesse già quanto doveva spendere.

La guardai e le dissi semplicemente :- Non fumo, mi dispiace – e tornai alla mia birra.
-E se non fumi perché sei entrato qua dentro?- Rispose la donna, come per chiedere una cosa ovvia.
-Beh....sono uscito di casa per fare due passi, ha cominciato a piovere e mentre stavo tornando indietro ho deciso di riparami qua. Di solito ci vengo il venerdì sera con gli amici...loro fumano, e questo è uno dei pochi locali dove non hanno ancora messo i divieti. Tutto qua. Poi la birra è buona, il posto è accogliente...-
Non mi fece finire di parlare che si alzò e chiese di accendere a una ragazza che stava parlando con un tipo. Non sembrava il suo fidanzato, né un amico. C'era della visibile tensione sessuale tra i due. Pensai che forse erano al primo appuntamento, o il secondo. Lei tornò a sedersi vicino a me con la sigaretta accesa. Bevve un sorso di irish mist e continuò a parlarmi:- Scusa se te lo chiedo, ma sei uscito di casa con questo tempo e non hai nemmeno un ombrello? O un cappuccio nella giacca?-
-Oh, no, odio gli ombrelli, sono ingombranti e i cappucci li trovo antiestetici. Poi ho il cappello-
-Il cappello?-
-Si, sa, con il cappello in testa, anche se piove, è come se non piovesse...l'acqua ti bagna tutto ma la testa rimane asciutta ed è la cosa che odio di più, avere la testa bagnata, quando piove. Poi si...per carità, se piove come stasera anche i jeans inzuppati d'acqua che si attaccano alle gambe non sono propriamente comodi...però...-
-Però?-
-Niente...era un però di fine frase-
-Ti piace lasciare le cose in sospeso-


Non era una domanda, era un'affermazione.

-Lei è per caso una psicologa?-
-No, un avvocato-
-Pensavo che gli avvocati se ne stessero in posti più “in”.....-
-E gli psicologi no? - Sorrise – Il fatto è che non sopporto i posti, come hai detto tu, “in”, sono diventata avvocato per passione, non per i soldi....anche se ho un discreto stipendio, ammetto, ma non mi interessa. Mi piace venire qua tutti i mercoledì sera, è un po' un'abitudine, prendo il mio irish mist, fumo e magari scambio due parole con il primo che mi si siede accanto-

La scrutai un attimo poi mi girai e guardai fuori dalla finestra. La grandine aveva lasciato il posto alla neve. Candidi fiocchi di neve che il cielo mandava già come se volesse riappacificarsi con la terra dopo averla violentata. Non sono mai stato uno che crede nel destino, ma pensai quasi che quella grandine non fosse scesa per caso, forse qualcuno voleva farmi essere lì, in quel posto, in quel momento. O forse no.

-Nevica!-
-Mi pare naturale, siamo in inverno, è un po' normale che nevichi....almeno, nell'immaginario collettivo-
Risi e bevvi tutta la birra che era rimasta d'un fiato
-Comunque piacere, mi chiamo...-
-Non mi interessa. Scambiarsi i nomi è come voler dire più di quello che si può sapere semplicemente parlando. Ti ho detto, poco fa, che vengo qua tutti i mercoledì. Se sei intenzionato a rivedermi, per qualunque motivo, puoi tornare qua quando sai che ci sono. Non è necessario che io sappia il tuo nome.....né che tu sappia il mio- Finì il suo irish mist – Non trovi?-
 

Rimasi un attimo sbigottito da quelle parole, e devo dire che ne ho capito il senso solo oggi, a distanza di quattro anni, e ricordo che tenni la mano tesa verso di lei per qualche secondo prima di ritirarla indietro. Mi girai verso S e pagai il conto della birra, poi presi il cappello bagnato che avevo appoggiato sul bancone e me lo infilai in testa.
-La saluto, è stato un piacere. Chissà che no ci si riveda, qua, un mercoledì sera, o da un'altra parte. Magari la prossima volta avrò un accendino con me-
Lei non si scompose – Potresti prendere un ombrello, invece, la tua teoria del cappello mi sembra un po' stupida e forzatamente filosofica-
-Beh, è una sensazione mia personale, non la deve condividere per forza, né pretendo che sia una massima da citare. Per quel che riguarda la filosofia, la lascio a chi ha voglia di perdersi in discorsi e pensieri invece di vivere. Arrivederci-
Lei salutò con la mano, senza accennare niente di più che un sorriso, anche se, a ripensarci ora, sono convinto che avesse strizzato l'occhio.

Presi la porta del Wallace e mi immersi, ancora bagnato, nella pioggia bianca che stava scendendo dal cielo. Gli stivali neri che indossavo ballettavano sulla strada bagnata e iniziai a sentire un gemito di freddo, che non proveniva solo dal vento gelido della stazione, ma da dentro di me.
Le ossa erano totalmente congelate e pensai che avevo bisogno di una doccia calda, per evitare di prendermi un malanno. Eppure non era solo quello. Quella donna, mi aveva lasciato qualcosa.

Ma non sapevo dire cosa, e non lo so nemmeno oggi. Inizialmente detti la colpa al suo modo di porsi, al suo fascino, ai suoi grandi occhi verdi, ma non c'era, in quello che sentivo, niente di simile all'eccitamento, nemmeno alla felicità di aver conosciuto qualcuno.....quella persona mi aveva totalmente lasciato spiazzato, con poche parole. Mi aveva raccontato di lei e forse mi aveva detto molte più cose di quelle che sembrava, con quelle poche frasi, precise, studiate, con cui aveva cercato di indagare su di me, di mettermi in dubbio sempre stando distaccata.

Arrivai casa. Posai le chiavi sul comodino e andai diretto in bagno per farmi una doccia calda.
Mentre l'acqua scrosciava dal telefono ripensai a quel poco tempo passato con quella donna e iniziai a convincermi che forse dovevo rivederla, per capire meglio e dare un nome a quelle sensazioni che mi ha aveva lasciato, tuttavia era come se la sua presenza mi avesse in qualche modo turbato nel profondo per cui, se da una parte volevo rivederla, dall'altra volevo tenerla lontana a tutti i costi dalla mia vita.

Non sono più tornato al Wallace, nemmeno il venerdì con gli amici. Mi sono inventato scuse sul fatto di aver avuto problemi con S e di non volerla rivedere. Non sono mai stato bravo a mentire, ma ho degli amici che non fanno domande e mi lasciano stare quando capiscono che non voglio parlare di qualcosa.

Ogni tanto ci sono passato davanti il mercoledì e ho guardato dalla finestra per vedere se c'era. E l'ho sempre trovata là, a sedere sul solito sgabello, con la sigaretta e l'irish mist. E ogni volta che ci passavo e la vedevo cercavo di scrutare da lontano chi fosse realmente. Era davvero chi mi aveva detto di essere, o era un personaggio che si era creata per qualche assurdo motivo? O forse in lei vedevo qualcosa di me che non andava e a cui non sapevo dare un nome? O magari, semplicemente, era una persona sola che aveva bisogno di parlare ma che non aveva voglia di spendersi troppo con gli altri?

Non ho mai trovato la risposta, forse perché non ho mai avuto il coraggio di tornare al Wallace per chiederglielo. Anche se ricordo che al tempo più di una volta mi sono fatto dei film mentali su come sarebbe andata un'altra possibile conversazione, sicuramente avremmo parlato del mio cappello, almeno, così mi piaceva immaginare.

Sono passati quattro anni, ed strano come, ad avere un pensiero fisso, il tempo passa e non te ne accorgi. Fatto che sta che è passato davvero, incurante delle persone. D'altronde ognuno ha un suo ruolo nel mondo e quello del tempo riguarda l'essere impietoso con tutto il resto del creato. Lui passa, ti si concede e poi va via, e quando ti lascia, sembra che non siano trascorsi che pochi giorni quando invece il sole è sorto per chissà quante volte. E quando finisce si riprende tutto e si concede a qualcun altro, sempre nello stesso modo, con la crudeltà che lo ha sempre contraddistinto fin dall'inizio della storia.
 

Oggi è una giornata piovosa, come quel mercoledì di quattro anni fa. Ho il mio cappello in testa, le mani in tasca e sto guardando la sua lapide, con su scritto il suo nome. Ho appreso la notizia dal giornale, c'era la sua foto e nell'articolo spiccavano i suoi dati anagrafici. Un brutto incidente, diceva. Che strano venire a conoscenza del nome di una persona in questo modo, ma forse, è ancora più strano il fatto di essere qua, a fissare la sua tomba come se fossi un suo amico o un suo conoscente, quando invece sono solo uno qualunque che si è imbattuto in lei...e chissà, forse non l'unico che è rimasto sconvolto dal suo modo di fare.

Il destino, se esiste, ha uno strano modo di fare....e se non esiste, a volte sembra incredibile che non possa davvero esserci.

   
 
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