Capitolo
10
"Ho
bisogno di parlare col principe Albert."
"Beh,
scusasse tanto, maestà, ma adesso sta sottocoperta che
esamina
lo scafo—"
"Immediatamente."
"Sissignora."
Il
marinaio si affretta alla plancia. La rabbia della regina è
palpabile,
non importa quanto cerchi di controllarla—filtra attraverso
il molo e si inarca
sull'acqua, scritta nella linea sottile delle labbra, e la posizione
rigida
delle mani. Sono rimasti due bambini, nella piazza, che, controllati da
due
guardie, vogliono vedere quest'uomo. Questo sciatto, privo di fascino,
buono a
nulla—
Nemmeno
l'amabile Mastro Olin osava avvicinarsi. Riesce a sentire lo
sguardo del capitano di porto da lontano, lungo il molo, dove senza
dubbio
aspettava in attesa di intervenire qualora ce ne fosse
bisogno—
"Regina
Elsa?" La testa scompigliata del principe Albert emerge
da dietro il parapetto. Ha il respiro un po' corto, e sembra che abbia
del
catrame, o della pece, appiccicata sotto l'occhio sinistro. Appare
anche il
resto del corpo, ed è del tutto
impresentabile—una camicia bianca larga
con le maniche arrotolate fino ai gomiti, e i pantaloni strappati su un
ginocchio. Si pulisce le mani con uno straccio. Evita una grossa asse
di legno
che viene trasportata lungo il ponte passandoci sotto, e si affretta
giù per la
plancia fino al molo, quasi inciampando sui propri piedi per la fretta.
Le labbra
sono piegate in un sorriso timido. "Non credevo—voglio dire,
dopo—ciao!
Voglio dire, salve, sua maestà”. Si inchina
impacciato, una volta arrivato allo
stesso livello. "Come sta?" Tenta di appoggiarsi all'indietro contro
la nave, ma lo spazio è troppo; quasi cade.
Non
risponde, mantenendo il viso piatto, inespressivo. Uno scricchiolio, e
il ghiaccio si forma in furiose lastre rossastre sull'acqua sotto di
loro.
"C'è—c'è
qualche problema?" Chiede il principe Albert, col
sorriso che si spegne. Glielo fa fare un sacco di volte, non
è così? Elsa pensa
cupa, e poi si accorge che non importa, perché premuta
contro il suo fianco c'è
la lettera, perché era—era suo
fratello—nessuno aveva possibilità con
lei—e nessuno poteva sul serio essere
così stupido, vero?
Vero?
Quegli
occhi—i suoi occhi—sono confusi.
Elsa fa un respiro profondo.
"Questo,"
risponde, fredda. Si sfila la lettera dalla tasca,
reggendola come un soldato ferito. "Questo è il problema."
"Che
cos'è?" il Principe Albert chiede, accigliato, e poi le
sopracciglia gli arrivano fino in mezzo alla fronte, e si tasta le
tasche.
"Oh, cielo."
"Confidavo
nel fatto che l'avrebbe riportata al sicuro alle sue rive,
ma se insiste continuando a buttarla via, allora posso solo presumere
che ciò
rifletta le posizioni su cui siamo—"
"No,
non è—io non—"il principe si passa una
mano tra i capelli
che cascano sulla fronte. "Non volevo—"
"Le
ho garantito porto sicuro, ma posso ritirare—"
"No,
Regina Elsa, io non—"
"E
non desidero intrattenere ulteriori rapporti con alcun
membro delle Isole del Sud—"
"Regina
Elsa!". Le stringe le braccia tra le mani. Sono calde,
molto, e il ghiaccio attorno ai suoi piedi all'improvviso si ferma.
Sbatte le
palpebre, colpita, e poi lui sbatte le palpebre, colpito, fissandola a
bocca
aperta, e le guardie erano nella piazza che sorvegliavano Klara e
Petter,
altrimenti gli sarebbero state addosso in un attimo—
La
lascia andare immediatamente, praticamente saltando via, come se si
fosse scottato. Deglutisce dopo un respiro profondo, indicando la
lettera
ancora stretta tra le mani di lei.
"Le
giuro che non ho fatto cadere quella lettera di proposito."
E
i suoi occhi—quegli occhi—
Riesce
a leggerli come un libro aperto. C'è rabbia, ma avverte,
dall'arco
ricurvo delle spalle, che è per la maggior parte diretta a
se stesso; un po' di
incredulità; un sacco di nervosismo dovuto alla timidezza; e
qualcosa al
margine, qualcosa che trapela quando le fissa il viso; qualcosa che
sembra
meraviglia. E lui non dice niente della neve accumulata attorno ai suoi
piedi,
o del ghiaccio nel porto, o del modo in cui la temperatura cala di
dieci gradi
quando le si avvicina. Sente ancora l'impronta delle dita sulle proprie
braccia.
La
lettera sta tra di loro come polvere da sparo.
Scuote
la testa, sbatte le ciglia. Sussurra, "E' solo che non credo di
potermi fidare di lei." C'è una parte di lei che vuole
sinceramente
fidarsi di qualcuno, e una parte di lei che urla vai
via, vai via,
vai via—
"Abbiamo
questa cosa, giù a—giù, a
casa,” fa lui dopo un momento,
quando le urla lungo il molo si intrecciano tra di loro, e parla in
tono
ugualmente basso, cosicché è costretta
ad avvicinarsi per riuscire a
sentirlo al di sotto delle voci degli uomini che strillano sul ponte
sopra di
loro, "Io e i miei fratelli—"
"Non
ho alcuna voglia di sentir parlare
dei —"
"No,
non è—senta, è solo—da dove
vengo io, i giuramenti contano. Sei vincolato.
Si dice, giura su qualcosa a cui tieni. Io giuro"
inizia,
guardandola finalmente negli occhi con quegli occhi,
quelli che non
riesce a decifrare, che non stanno bene sul suo viso lentigginoso, sul
naso
storto, e per la prima volta quegli occhi non scattano verso
l'avambraccio in
cerca di aiuto. Pensa che stia per dire l'oro. Pensa che stia per dire
il suo
regno. Il suo titolo di principe. La sua vita. Invece dice, "giuro sul
per
sempre felici e contenti che non le sto mentendo".
Si
raddrizza, il pugno che involontariamente si serra attorno alla propria
scrittura ordinata, sgretolando l'emblema di Arendelle. Nella sua
incredulità,
il ghiaccio si ritira. "Per sempre felici e contenti?" Mi
stai
prendendo in giro? vuole dire, ma non
è—non riesce a essere—Anna.
Lui
arrossisce, da una parte all'altra del naso storto, e adesso si
strofina l'avambraccio quasi con violenza, come pregando che un
discorso vi
appaia per magia. "E' la cosa a cui tengo di più,
perché significa che c'è
speranza." Quasi borbotta. Praticamente si mangia le parole. "Hans
diceva sempre che i per sempre felici e contenti erano da storielle per
bambini
e per sogni da femminuccia. Diceva sempre che non—che non
avevano spazio nella
vita reale. Ma dovevo sperare. Perché se non lo avessi
fatto, non ci sarebbe
stato più niente." E poi, come ricordandosi che
c'è lei lì, si raddrizza e
ripete, "Ecco quello su cui giuro."
Momento.
Due. "Non la capisco," sospira, ed è tanto, tanto
stanca.
Fa
un mezzo sorriso. "Va tutto bene. Nemmeno io mi capisco."
"E'
una cosa orribile, non capire se stessi."
La
guarda per un lungo momento, poi tossisce a disagio. Giocherella di
nuovo con la manica. "Sono sicura di averla fatta cadere mentre me ne
andavo. Perdo sempre le cose. Felix diceva sempre che avrei perso la
testa, se
non fosse che è attaccata al collo, ma poi
lui—beh, non importa, non
è—devo averla persa vicino al—" e poi si
rende conto. "Ma come l'ha
trovata?"
"Petter
e Klara sono venuti al castello a sgridarmi, per averla
confinata alla sua nave," Elsa quasi sorride guardando la lettera,
anche
se le viene parecchio da vomitare. "Klara ce l'aveva. Aveva intenzione
di
restituirgliela."
"Sono—"
si guarda attorno, gli occhi che esaminano gli uomini che
brulicano nel porto.
"Sono
nella piazza del mercato, non volevo—che vedessero,"
finisce.
"Vedermi
impalato?" Sorride, dando un colpetto al ghiaccio
accanto al suo piede, poi—"Scusi, non è
divertente, è che. Già. Sì, voglio
dire." Si volta a guardare gli uomini che sciamano sulla sua nave.
"Posso riportarli a casa, se vuole. Può farmi sorvegliare da
una guardia e
tutto il resto."
"No,
io li—" ma mentre sta per finire si accorge con un sussulto
che non avrebbe potuto riportare i bambini a casa,
anche volendo; non
poteva trovare la piazza senza chiedere indicazioni. Stringe le mani,
sentendo
tra di esse la carta ruvida della lettera. Un saporaccio in bocca.
C'erano
state così tante porte chiuse, per così tanto
tempo, e lei fluttuava al di
fuori di esse. Anna era da qualche parte, al castello. Avrebbe dovuto
andare a
scusarsi—
Ma
Petter, e Klara—
Ma
il Principe Albert—
"Mi
permette?" chiede piano, dopo un momento. Accenna alla
lettera sgualcita. Gliela lascia prendere, e lo osserva mentre la
liscia con
attenzione appoggiandola al ginocchio. "Ecco. Praticamente nuova."
Controllati,
pensa,
guardando il porto, osservando il ghiaccio
crollare nelle tiepide acque estive, controllati.
"No,
manderò le guardie a prenderli," fa alla fine.
"D'accordo.
Beh, dite loro—dite loro che dico ciao, allora—se
non è
chiedere troppo. Voglio dire, se non è troppo disturbo."
"Ma
certo."
La
sua rabbia è quasi esausta, lasciandola ancora una volta
scarnificata.
Non aveva mai reagito così prima—con rabbia.
Non l'aveva riconosciuta,
insinuarsi su per la gola, cerchiarle i piedi di ghiaccio,
finchè non era
uscita fuori dal castello, nell'aria fresca della città, fin
quando non si era
accorta che aveva parlato troppo bruscamente ad Anna, e aveva, forse,
esagerato, e adesso era troppo tardi—
Ma
era stato così bello, pensa con un sussulto. Sentire.
"Regina
Elsa," il Principe Albert si azzarda dopo una pausa
imbarazzante. "So che non dovrei permettermi. Ma lei—lei
sembra—profondamente ferita."
"Ha
ragione," sente la rabbia dura, gelida, che ritorna.
"Non deve permettersi."
"Prima
che mio fratello Fredrik partisse per la guerra,"
comincia, lanciandole una breve occhiata, come in attesa che scattasse
con niente
più fratelli—ma lei rimane in silenzio,
odiandosi per la sua curiosità, per
la sua gentilezza, per la sua diplomazia—"beh, eravamo soliti
sgattaiolare
via dal castello per andare a dare un’occhiata in giro. Per
entrare in contatto
con il popolo. Felix ha iniziato a farlo, in realtà, ma era
solo un modo per
vedere—quello che accadeva e—più o meno
dimenticare, forse, che fossimo reali.
Per poche ore, almeno."
Il
pensiero è spaventoso. Il pensiero è nuovo. Lei
è regina. Togliendo
quello, cosa sarebbe stata?
Solo
Elsa?
Impensabile.
Vattene.
Vattene,
subito.
"Arrivederci,
Principe Albert." Si gira per andar via. Si ferma.
Volta indietro la testa. "Mi dispiace se ci sono stati
fraintendimenti."
"Lo
so che è la regina," Anna dice a Olaf,
stesa a braccia
aperte sul pavimento della galleria che osserva il pendolo
dell'orologio del
nonno. La sembra di avere di nuovo nove anni. "Questo non significa che
io
non possa, tipo, aiutare o niente—so fare
un sacco di cose,
come—come—"
"Come
scivolare giù dalle montagne!"
"Esatto!"
Anna strilla, d'accordo. Olaf si contorce accanto a
lei.
"O,
sai, trovare puzzolenti re delle renne."
Anna
sorride. "Esattamente esatto," sospira,
così
profondamente e forte che la frangetta per un attimo svolazza e
scompare.
"Voglio dire," geme, coprendosi gli occhi con un braccio con fare
drammatico. "Perché non mi permette di aiutarla?"
"Per
favore, scortereste Petter e Klara fino a casa?"
"Sì,
vostra maestà," la guardia replica.
"E
Albert?" Klara chiede testarda.
"E'
molto occupato in questo momento. Mi dispiace, Klara."
La
ragazzina mette il broncio, pestando i piedi, e andava bene, sul serio,
non doveva piacere per forza a tutti—
Petter
è in piedi davanti a lei, e tende la mano appiccicaticcia.
La
prende, e lui si inchina, un inchino piccolo e da ragazzo, in mezzo
alla
piazza. "Maestà," dice, molto formale, e sembra troppo
vecchio,
troppo piccolo, troppo tutto, "grazie."
Elsa
sorride, e non è quasi.
Il
re dice, "Stai per compiere un grande servigio alle Isole del Sud,
Hans. Una cosa che cancellerà tutti gli errori; che ti
eleverà," conclude
lentamente, "al di sopra di tutti gli altri fratelli."
Hans
si lecca le labbra, e sente, attraverso il guanto, la punta dolorante
dell'indice sinistro, che suo fratello aveva punto il giorno prima. Una
goccia
di sangue, rossa come il tramonto, in una ciotola di legno. Poi un
vago,
"Puoi andare. Sono sicuro che le tue stanze sono nello stato in cui le
hai
lasciate."
Hans
vuole chiedere, mi eleverà al rango di re,
ma non lo fa;
evidentemente non riesce a far funzionare la bocca. I suoi giorni delle
risposte sono rimasti chiusi nella cella.
Quasi
gli mancano.
Dice,
"Lieto di esserti utile, fratello."
"Tutto
questo parlare di fratelli; sembra quasi che sia morto
qualcuno!"
Re
Alfons interrompe la sua camminata lenta e sicura. Hans accanto a lui
rallenta. Appoggiato alla carta da parati rossa, mezzo nascosto dalle
armature
e delineato dalla luce del crepuscolo morente, c'è Lukas.
Hans non lo vedeva
dal giorno in cui era andato a fargli visita nella sua cella, per
ammonirlo e
sgridarlo nella sua maniera orribilmente ottusa. Sente il disgusto
posarsi ai
margini dei suoi pensieri, attorno agli angoli della bocca.
Lukas
.
In piedi in mezzo al corridoio, non poteva sembrare di meno
il suo
gemello, Hans pensa. Il re era bruno, con baffi folti, robusto e
muscoloso;
Lukas era magro come un fuscello, i capelli biondo sporco che cadevano
sui
tratti del viso puliti, ben delineati.
Combatteva
a suon di bugie e trucchi e ingegno e furbizia. Hans non
aveva mai provato alcuna forma di rispetto per quell'uomo.
"Lukas,"
Re Alfons fa in tono strascicato. "Che ci fai
qui?"
"Mi
informavo solo dello stato di salute del nostro fratellino
liberato di recente. Come te la passi all'aria estiva, Hans?"
"Sto
bene, grazie," Hans si inchina rigido.
"Eccellente,
eccellente. Proprio eccellente. Dimmi, Alfons," e
c'era solo una persona a cui era permesso chiamare il re con questo
nome,
"A quanto pare mi mancano delle mappe topografiche. Quelle che
riportano lo Stretto del Drago, l’Oceano
Nero—Arendelle. Le hai viste?"
"Certo
che no," il re scatta.
Lukas
scrolla le spalle. "Allora controllavo solo." Li supera,
scompigliando i capelli di Hans mentre passa. "Adieu, fratellino. Oh, e
Alfons?"
"Hm?"
"Notizie
di Albert?"
"Sta
bene."
"Ah.
Che deliziosa notizia."
"Proprio."
"Beh,
allora! Ciao ciao, fratello."
I
suoi passi riecheggiano lungo il corridoio. Il re esclama, senza tanta
emozione, "E' solo un peso."
E Hans
chiede, "Perché non lo uccidi e basta, allora?"
"Perché,
Hans." Il re scrocca il collo. "A ogni morte, il
suo tempo."
Dimenticare
che fossimo reali per poche ore—
Poche
ore—
Dimenticare—
Elsa
osserva le carte sparse sulla scrivania e arriccia le labbra.
Curioso, detto da qualcuno—che cos'era, pensa,
fredda, dodicesimo in
linea di successione? Ovvio che lui poteva farlo. Era un mondo diverso,
non
avere il peso di un regno. Lei avrebbe potuto volare, senza il peso di
un
regno. Librarsi, in mezzo alle stelle.
Sente
le unghie premere contro i palmi, piccole lune crescenti che scavano
nella sua carne. Parole e lettere sulla pergamena si confondono,
sciolgono,
scorrono—commercio e tasse
e mercanti e guardie.
Chiude gli occhi, poggiandosi due dita lenitive su ogni tempia e
facendo
appello alla propria maledizione. Si posa all'altezza degli
occhi—freddo,
gelato sollievo.
Avrebbe
camminato fino all'atrio e sarebbe andata
fuori nel cortile. No, scivolata—sarebbe scivolata
giù fino all'atrio e fuori nel cortile, e
gli sguardi dei regnanti precedenti le sarebbero scivolati addosso come
fa
l'olio con l'acqua, fluidi, innocui. Ci sarebbe stato il cielo,
completamente
sveglio sopra di lei, verdibluviola che pulsavano su un oceano
di stelle
che poteva afferrare e tenere chiuse tra le mani. Sarebbe uscita dai
cancelli,
attraverso il ponte, e ci sarebbe stata Arendelle, accesa e bellissima
e
meravigliosamente viva. Avrebbe ascoltato la sua
gente e avrebbe sentito
i battiti dei loro cuori, le loro speranze, i loro sogni. Avrebbe
volato su,
su, su—
Si
costringe ad aprire gli occhi. Il fuoco è quasi spento.
Fuori, il cielo
si rabbuia al crepuscolo. In un mondo perfetto, pensa, raggruppando le
carte
davanti a lei in pila e posandovi in cima la piuma, in un mondo
perfetto
avrebbe governato dal suo palazzo di ghiaccio.
Si
chiede, alzandosi con garbo dalla sedia con lo schienale rigido, se sia
ancora lì, o se abbia iniziato a sciogliersi, come un fiore
appassito, morente.
Si chiede cosa gli sarebbe successo, solo sulle montagne, e si chiede
se
sarebbe rimasto lì per sempre, o se sarebbe andato alla
deriva con la sua
morte—se si sarebbe sciolto e sarebbe slittato giù
lungo il fianco della
montagna.
Sarebbe
successo? Quando sarebbe morta, tutto sarebbe solo—scomparso?
Olaf
apre la porta. Elsa sobbalza. Stava fissando uno dei modellini delle
navi in bella mostra sugli scaffali. Detestava le navi.
"Elsa?"
"Ehi,
piccolino," sorride. Il secondo sorriso in tutto e per
tutto di quel giorno, e già presenta il conto. E'
che è tanto stanca. Profondamente
ferita. Ecco cosa aveva detto Albert. Profondamente
ferita. Non era
per niente profondamente ferita, era totalmente, terribilmente
ridicolo—
Si
volta, allungando la mano per afferrare un altro ceppo da lanciare nel
fuoco, e del ghiaccio schizza dalle punte delle sue dita in cinque
perfetti
archi congelati. Il ghiaccio sbatte contro la pietra del caminetto e si
frammenta,
facendo piovere gocce e rugiada e spegnendo il fuoco completamente.
Beh.
"Cosa
posso fare per te?" dice in fretta, cercando di nascondere
la gaffe, strizzando gli occhi in cerca dei fiammiferi al buio. Ne
sfrega uno
contro la pietra e lo lancia tra i tizzoni, e un altro ceppo su di
essi, e un
altro, finchè riesce quasi sentire il
calore. Posa le mani vicinissime
al fuoco, e poi pensa che è ora di smetterla con questi
momenti auto
indulgenti.
Si
volta.
Olaf
la guarda a occhi spalancati e sbattendo le palpebre, davanti a quelle
porte bianche della biblioteca. Dice, "Beh, niente, in
realtà. Volevo dire
ciao. Come te la passi?" La bocca infantile si apre in un sorriso
contagioso, e ondeggia fino alla finestra, per spiare fuori dai vetri
piombati.
" Hai dato a quel tizio principe una bella lavata di
quello-che-è?"
"Una
che?"
"Si,
quella. Beh, allora?" Il naso di Olaf affonda sempre più
nella sua testa man mano che preme la faccia contro il vetro.
"Suppongo
di no. Forse. Non lo so."
Non
vuole sedersi di nuovo su quella sedia. Invece raggiunge il pupazzo di
neve, raccogliendo le gonne attorno a sé e appollaiandosi
sul davanzale della
finestra, come faceva quando era piccola e imparava tutto su commercio
e
tasse e mercanti e guardie.
Fuori la città prende vita
come solo di notte può fare, luci che cominciano a splendere
alle finestre,
uomini che urlano dopo una lunga giornata di lavoro, bambini che
corrono fuori
a salutare padri, madri, sorelle, fratelli. La famiglia. Olaf dice, a
proposito
di niente, "Lo sai, Anna è brava a fare un sacco di cose.
Come trovare
uomini disgustosi e scivolare giù per le montagne."
"E'
tutto quello a cui siete riusciti a pensare?" Elsa risponde
spensierata, osservando il sole che tramonta luccicare dall'altra parte
del
fiordo. Guarda Olaf in tralice, ma lui non le presta attenzione, quindi
tira su
le ginocchia contro il petto e si abbraccia le gambe con le braccia,
poggiandoci sopra il mento.
"Fooooooorse,"
Olaf sussurra.
Elsa
ride. Ride perché ancora non si era scusata con la sorella.
Ride perché,
ovvio, avrebbero pensato solo a quello—"Anna è
brava a parlare con la
gente. E' brava a essere coraggiosa. A essere espansiva. E' brava a
prendersi
cura delle persone. E' brava in un sacco di cose."
"Huh.
Beh, sai," Olaf si risiede, cercando di afferrare il naso
grosso dietro la testa con le impacciate braccia- rametto, "anche tu
sei
brava in un sacco di cose. Voglio dire, mi hai fatto
tu."
Elsa
gli spinge il naso attraverso il cranio con delicatezza
"Mi
gira la testa!"
"Sono
stanca, Olaf," sussurra lei.
"Dormi
un po', allora," Olaf afferma con un sorriso e una pacca
amichevole sul braccio. "E' il miglior modo di destancarsi."
Elsa,
molto velocemente e prima che possa pensarci due volte, si allunga in
avanti e stringe il pupazzo di neve in un abbraccio, la
guancia premuta
contro il lato della testa; sente il solletico che gli fa la sua
nevicata, e sa
che la neve le sta cadendo sulle spalle, e sulla gonna.
"Caldi
abbracci!" Olaf strilla gioioso, ricambiandola. "Oooh,
li amo!"
Dimenticare,
Elsa prega, serrando gli occhi.
Dimenticare.
La
stanza puzza di urina; carogne e carne in putrefazione. Fuori il sole
sta calando. C’è il fuoco acceso nel caminetto e
del tè posato davanti a esso.
Sembra una presa in giro, la porcellana bianca che splende quasi d'oro
nella
penombra. Hans osserva il re camminare lentamente in quella direzione;
lo
osserva raggiungere la prima sedia e voltarla col piede,
cosicché sia rivolta
verso il centro della stanza; lo guarda iniziare a versare il
tè.
"Tè,
Hans?"
"No,
grazie," Hans risponde, proprio mentre Niels afferma,
"Non deve assumere niente, prima." Si materializza da un angolo buio.
C'è un corvo sulla sua spalla. Ma i suoi occhi hanno
qualcosa di strano. Anche
il corpo ha qualcosa di strano, ma Hans non riesce a capire cosa, data
la
scarsa luce. "Non voglio che vomiti sul pavimento".
E
di certo di cose strane ce ne sono un sacco, Hans nota, lottando per
mantenere un'espressione neutra, per controllare le capriole che fa il
suo
stomaco. I tavoli, le bottiglie di sostanze galleggianti, le pile di
libri—tutto era stato spinto ai lati della stanza per
lasciare un grosso spazio
al centro. Ci sono segni di gesso sul legno. Simboli che non capisce.
Scritte
in rune. Al centro c'è un cerchio più piccolo, e
inscritta in esso una stella.
Niels
la indica. "Sistemati lì."
Hans
osserva lo sguardo freddo, calmo del re. In attesa. Intransigente.
Dice. "Certo."
"Sto
bene?"
Sven
sbatte le palpebre.
"Hai
ragione, hai ragione—troppo. Fiori? E' una cosa che si fa,
devo
portarle i fiori?"
Sven
si piega per mangiare altro fieno.
"A
volte non sei proprio d'aiuto."
Elsa
osserva il piatto coperto davanti a sé. Prende l'acqua,
riuscendo a
bere un sorsetto prima che le si congeli in mano. Posa il bicchiere.
Accanto a
lei c'è un posto vuoto, e un altro, e ancora un altro, e
lungo tutto il tavolo.
Kai è da qualche parte in piedi dietro di lei. Tossisce.
Chiede, "Volete
che mandi qualcuno—"
"Sarà
qui tra poco," Elsa risponde, osservando il vapore alzarsi
dal cesto di panini coperto. Appena finisce di parlare la porta della
sala da
pranzo si apre, e Anna corre dentro. Non è vestita per la
cena. E' vestita come
se si stesse preparando a scalare la Montagna del Nord. Elsa sbatte le
palpebre.
"Ehi,
come stai?" Anna si fionda fermandosi dietro la sedia dove
è seduta di solito e afferra l'intera cesta di panini.
"Prendo questi
e—"
"Dove—dove
vai?"
"Fuori,
solo—niente. Voglio dire, non è niente,
è qualcosa, ma non è
niente in cui abbia intenzione di fare, tipo, una scalata in mezzo alla
natura
o cose del genere." Esamina il cesto di panini che tiene premuto contro
il
fianco. "Il burro è qui?"
"Anna—"
"Lo
so, lo so, avrei dovuto accennartelo prima." Anna crolla
sulla sedia piuttosto goffamente. "Ma non volevo irritarti."
"Non
mi irriti."
Anna
solleva le sopracciglia.
"Spesso.
Non mi irriti spesso."
Anna
fa, "Allora ti dispiace?"
"Ma
se non so nemmeno che stai facendo!"
"Forsediciamounappuntamento."
"Un
appuntamento?"
"Lo
sai! E' quella cosa, quando le persone fanno cose,
assieme—tipo,
no—tipo cavare il ghiaccio."
"Stai
andando a cavare il ghiaccio?"
"No!
No, assolutamente no, non credo—tu saresti una brava
cavatrice,
lo sai? No, sto andando a un picnic! Beh, a un picnic cena coi panini.
Conta lo
stesso? Dovrebbe contare lo stesso, no—"
"Per
quello che vale," Elsa interrompe, guardando il vassoio di
metallo che copre la sua cena, "Penso che tu sia brava in un sacco di
cose."
"—e
voglio dire, il vino, ma credo che quella sia una
porcheria—che?" Anna scuote la testa. Ha mezzo panino che le
penzola dalla
bocca.
"Mi
dispiace."
Anna
sorride. Le riesce così facilmente, Elsa è quasi
gelosa. Quasi.
"Ehi. Lo so. Capisco. Beh, voglio dire, capisco più o meno.
Immagino che
in realtà non potrò mai capire, capire,
ma—lo sai." Stende la mano
sul tavolo, rovesciando per sbaglio il bicchiere d'acqua ghiacciata con
un oops,
e afferra la mano di Elsa. "Voglio aiutarti."
Elsa
ricambia la stretta. "Lo so." Si guardano per un secondo. Un
volto che conosce meglio del proprio. Un volto
che non conosce
affatto. Anna dice, mettendo giù i panini, "Ehi, sai una
cosa, credo che
andrò a un appuntamento picnic di dolci. Allora, cosa
mangiamo a cena?"
Elsa
scuote la testa. "Tu stai andando a fare un bel
picnic." Si volta verso Kai, dietro di lei. "Possiamo preparare un
cesto per la principessa?"
"Certamente,
vostra maestà."
"Acqua,
penso,” fa, dandole una stretta finale e lasciandola andare,
"al posto del vino."
"Elsa,
non posso!"
"Puoi.
Ordine della regina. Solo—non fare cose di cui poi ti
pentiresti."
Anna
ghigna. "Lo so, lo so. Reputazione. Principessa. Afferrato."
E
quando sua sorella se ne va, carica di cibo, Elsa finalmente scopre il
proprio piatto. C'è una bistecca piatta, al sangue, rosa.
Asparagi, e patate.
Elsa afferra forchetta e coltello.
Il
cozzare delle posate. Il baluginio delle candele.
E'
sola.
Kristoff
la aspetta davanti alla porta della sua stanza. Il cesto che ha
tra le braccia è pesante. Si sente in colpa, a lasciare sua
sorella a cena da
sola, però, l'avrebbe detto in realtà se non
avesse voluto mangiare da sola,
giusto? Però, c'era anche da considerare che si trattava di
Elsa, che in realtà
non diceva mai niente di niente, e—
E'
un'idiota, non è così? Non Elsa. Lei. Anna. Era
un’idiota. Si morde il
labbro e sospira, perché, tipo, come si supponeva che sua
sorella dovesse
fidarsi, se lei—Anna, lei-Anna—non riusciva nemmeno
ad accorgersi di roba del
genere—
"Uh,
ehi."
Anna
si ferma. E' quasi arrivata al corridoio dei ritratti, e non si
è
fermata, e ha superato Kristoff. Gira i tacchi. "L'ho fatto apposta."
"Davvero?"
"Sì.
Decisamente. Come—" si ferma, accorgendosi alla fine di come
è vestito. Indossa gli abiti estivi, ed è quasi
presentabile. Stringe in mano
una margherita, e guarda nervoso di lato, e lei ride, praticamente
saltellando
in avanti. Gli dà un bacio sulla guancia. "Ciao."
"Ciao.
Ho preso il tuo fiore. No, non volevo dire—"
"E'
adorabile," ride di nuovo, sorridendo per coprire il rossore
che le era apparso sulle guance. "Ho portato la cena."
"Picnic?"
"Lo
sai. Forza." Fa scivolare il gomito dietro la maniglia della
porta e la spalanca. La stanza è leggermente in disordine.
Barcolla in avanti e
fa cadere il cesto sul letto, osservando il baldacchino rosa. Molto
meglio di
blu scuro. Tipo, molto meglio.
Kristoff
è in piedi, piuttosto incerto, sulla soglia. Sembra troppo
solido,
troppo reale, tra il rosemåling
delle coperte, del pavimento, del tavolino da belletto, con la
margheritina
stretta nella grossa mano. Qualcosa si agita nella parte bassa dello
stomaco.
Si morde il labbro.
"Cosa
c'è?" Kristoff chiede, all'improvviso esausto. Guarda i
suoi vestiti.
"Niente—non
hai niente che non va. Non c'è niente che non va. Sei
perfetto. Aspetta, che?" Scuote la testa, e sente il rossore tornare.
"No, voglio dire—è mia sorella. Solo
che—ti dispiace se mangiamo con lei?
Solo la cena. E' che è—tutta sola."
Kristoff
sembra pensieroso. Si chiede a cosa pensi. Lui fa spallucce.
"Come no."
"Mmmhkay,
sarò—torno subito, solo—non ti muovere,
non ti muovere di un
centimetro—" si lancia nel corridoio, si ferma, quasi si
fionda di
schianto nella sua schiena, "Se ti muovi lo vengo a sapere!"
"Vai,
Anna," ride.
Anna
corre fuori dalla porta e nel corridoio e salta sul corrimano. Scivola
giù, atterrando di fretta e fiondandosi nella porta della
sala da pranzo.
"Elsa, andiamo!" urla, ma poi si ferma, perché lì
non c'è nessuno
tranne alcuni camerieri, che puliscono il tavolo, e Kai.
"Principessa,"
sobbalza. "C'è qualche problema?"
"Volevo
solo invitare Elsa, perché sono una stupida, lo
sai?"
"Io—"
"Non
devi rispondere, non importa. Dov'è andata?"
"Ha
deciso di continuare a cenare in biblioteca. Ha specificatamente
chiesto di non essere disturbata."
"Oh,"
Anna annuisce lentamente. "Oh, ok. Beh, allora io —io
vado." Kristoff la aspettava. Kristoff che stringeva quel delicato
fiorellino, e sarebbero mai riusciti a mettere le cose a posto? pensa.
E
poi si chiede a chi stia pensando davvero.
Elsa
si sporge fuori dalla finestra aperta. L'aria sa di fresco, ed
è
magnifica. Il cielo sopra di lei brilla, invocando la città
sottostante, e
tutto è sveglio. Si abbassa di più il cappuccio
sugli occhi, sentendosi—
Malandrina.
Fa
un respiro profondo, guardando indietro, i recessi bui della
biblioteca—le pergamene ammassate, i libri, il fuoco nel
caminetto. E poi fuori,
Arendelle. Le stelle che trapuntano il cielo. Allarga le dita. Il
ghiaccio
copre il tetto, rendendolo scivoloso. Elsa si arrampica sul davanzale e
fuori
sul ballatoio, cosicché i piedi dondolano nel vuoto, e prima
di poter pensare
ad altro, salta giù.
Dimenticare.
Da
qualche parte, lontano, Niels afferma, "Non preoccuparti, fratello.
Non dovrebbe fare male."
Da
qualche parte, lontano, Niels ride.
Da
qualche parte, lontano, Niels corregge. "Molto."