Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: thefireplanet    01/06/2014    0 recensioni
Ci sono dei pesi, quando sei regina, che non hanno niente a che fare con una maledizione. Ci sono dei doveri, quando sei principessa, che non hanno niente a che fare con l'essere una sorella. E la strada per il vero amore non è mai stata in discesa.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10

 

 

 

"Ho bisogno di parlare col principe Albert."

"Beh, scusasse tanto, maestà, ma adesso sta sottocoperta che esamina lo scafo—"

"Immediatamente."

"Sissignora."

Il marinaio si affretta alla plancia. La rabbia della regina è palpabile, non importa quanto cerchi di controllarla—filtra attraverso il molo e si inarca sull'acqua, scritta nella linea sottile delle labbra, e la posizione rigida delle mani. Sono rimasti due bambini, nella piazza, che, controllati da due guardie, vogliono vedere quest'uomo. Questo sciatto, privo di fascino, buono a nulla—

Nemmeno l'amabile Mastro Olin osava avvicinarsi. Riesce a sentire lo sguardo del capitano di porto da lontano, lungo il molo, dove senza dubbio aspettava in attesa di intervenire qualora ce ne fosse bisogno—

"Regina Elsa?" La testa scompigliata del principe Albert emerge da dietro il parapetto. Ha il respiro un po' corto, e sembra che abbia del catrame, o della pece, appiccicata sotto l'occhio sinistro. Appare anche il resto del corpo, ed è del tutto impresentabile—una camicia bianca larga con le maniche arrotolate fino ai gomiti, e i pantaloni strappati su un ginocchio. Si pulisce le mani con uno straccio. Evita una grossa asse di legno che viene trasportata lungo il ponte passandoci sotto, e si affretta giù per la plancia fino al molo, quasi inciampando sui propri piedi per la fretta. Le labbra sono piegate in un sorriso timido. "Non credevo—voglio dire, dopo—ciao! Voglio dire, salve, sua maestà”. Si inchina impacciato, una volta arrivato allo stesso livello. "Come sta?" Tenta di appoggiarsi all'indietro contro la nave, ma lo spazio è troppo; quasi cade.

Non risponde, mantenendo il viso piatto, inespressivo. Uno scricchiolio, e il ghiaccio si forma in furiose lastre rossastre sull'acqua sotto di loro.

"C'è—c'è qualche problema?" Chiede il principe Albert, col sorriso che si spegne. Glielo fa fare un sacco di volte, non è così? Elsa pensa cupa, e poi si accorge che non importa, perché premuta contro il suo fianco c'è la lettera, perché era—era suo fratello—nessuno aveva possibilità con lei—e nessuno poteva sul serio essere così stupido, vero?

Vero?

Quegli occhi—i suoi occhi—sono confusi. Elsa fa un respiro profondo.

"Questo," risponde, fredda. Si sfila la lettera dalla tasca, reggendola come un soldato ferito. "Questo è il problema."

"Che cos'è?" il Principe Albert chiede, accigliato, e poi le sopracciglia gli arrivano fino in mezzo alla fronte, e si tasta le tasche. "Oh, cielo."

"Confidavo nel fatto che l'avrebbe riportata al sicuro alle sue rive, ma se insiste continuando a buttarla via, allora posso solo presumere che ciò rifletta le posizioni su cui siamo—"

"No, non è—io non—"il principe si passa una mano tra i capelli che cascano sulla fronte. "Non volevo—"

"Le ho garantito porto sicuro, ma posso ritirare—"

"No, Regina Elsa, io non—"

"E non desidero intrattenere ulteriori rapporti con alcun membro delle Isole del Sud—"

"Regina Elsa!". Le stringe le braccia tra le mani. Sono calde, molto, e il ghiaccio attorno ai suoi piedi all'improvviso si ferma. Sbatte le palpebre, colpita, e poi lui sbatte le palpebre, colpito, fissandola a bocca aperta, e le guardie erano nella piazza che sorvegliavano Klara e Petter, altrimenti gli sarebbero state addosso in un attimo—

La lascia andare immediatamente, praticamente saltando via, come se si fosse scottato. Deglutisce dopo un respiro profondo, indicando la lettera ancora stretta tra le mani di lei.

"Le giuro che non ho fatto cadere quella lettera di proposito."

E i suoi occhi—quegli occhi

Riesce a leggerli come un libro aperto. C'è rabbia, ma avverte, dall'arco ricurvo delle spalle, che è per la maggior parte diretta a se stesso; un po' di incredulità; un sacco di nervosismo dovuto alla timidezza; e qualcosa al margine, qualcosa che trapela quando le fissa il viso; qualcosa che sembra meraviglia. E lui non dice niente della neve accumulata attorno ai suoi piedi, o del ghiaccio nel porto, o del modo in cui la temperatura cala di dieci gradi quando le si avvicina. Sente ancora l'impronta delle dita sulle proprie braccia.

La lettera sta tra di loro come polvere da sparo.

Scuote la testa, sbatte le ciglia. Sussurra, "E' solo che non credo di potermi fidare di lei." C'è una parte di lei che vuole sinceramente fidarsi di qualcuno, e una parte di lei che urla vai via, vai via, vai via

"Abbiamo questa cosa, giù a—giù, a casa,” fa lui dopo un momento, quando le urla lungo il molo si intrecciano tra di loro, e parla in tono ugualmente basso, cosicché è costretta ad avvicinarsi per riuscire a sentirlo al di sotto delle voci degli uomini che strillano sul ponte sopra di loro, "Io e i miei fratelli—"

"Non ho alcuna voglia di sentir parlare dei —"

"No, non è—senta, è solo—da dove vengo io, i giuramenti contano. Sei vincolato. Si dice, giura su qualcosa a cui tieni. Io giuro" inizia, guardandola finalmente negli occhi con quegli occhi, quelli che non riesce a decifrare, che non stanno bene sul suo viso lentigginoso, sul naso storto, e per la prima volta quegli occhi non scattano verso l'avambraccio in cerca di aiuto. Pensa che stia per dire l'oro. Pensa che stia per dire il suo regno. Il suo titolo di principe. La sua vita. Invece dice, "giuro sul per sempre felici e contenti che non le sto mentendo".

Si raddrizza, il pugno che involontariamente si serra attorno alla propria scrittura ordinata, sgretolando l'emblema di Arendelle. Nella sua incredulità, il ghiaccio si ritira. "Per sempre felici e contenti?" Mi stai prendendo in giro? vuole dire, ma non è—non riesce a essere—Anna.

Lui arrossisce, da una parte all'altra del naso storto, e adesso si strofina l'avambraccio quasi con violenza, come pregando che un discorso vi appaia per magia. "E' la cosa a cui tengo di più, perché significa che c'è speranza." Quasi borbotta. Praticamente si mangia le parole. "Hans diceva sempre che i per sempre felici e contenti erano da storielle per bambini e per sogni da femminuccia. Diceva sempre che non—che non avevano spazio nella vita reale. Ma dovevo sperare. Perché se non lo avessi fatto, non ci sarebbe stato più niente." E poi, come ricordandosi che c'è lei lì, si raddrizza e ripete, "Ecco quello su cui giuro."

Momento. Due. "Non la capisco," sospira, ed è tanto, tanto stanca.

Fa un mezzo sorriso. "Va tutto bene. Nemmeno io mi capisco."

"E' una cosa orribile, non capire se stessi."

La guarda per un lungo momento, poi tossisce a disagio. Giocherella di nuovo con la manica. "Sono sicura di averla fatta cadere mentre me ne andavo. Perdo sempre le cose. Felix diceva sempre che avrei perso la testa, se non fosse che è attaccata al collo, ma poi lui—beh, non importa, non è—devo averla persa vicino al—" e poi si rende conto. "Ma come l'ha trovata?"

"Petter e Klara sono venuti al castello a sgridarmi, per averla confinata alla sua nave," Elsa quasi sorride guardando la lettera, anche se le viene parecchio da vomitare. "Klara ce l'aveva. Aveva intenzione di restituirgliela."

"Sono—" si guarda attorno, gli occhi che esaminano gli uomini che brulicano nel porto.

"Sono nella piazza del mercato, non volevo—che vedessero," finisce.

"Vedermi impalato?" Sorride, dando un colpetto al ghiaccio accanto al suo piede, poi—"Scusi, non è divertente, è che. Già. Sì, voglio dire." Si volta a guardare gli uomini che sciamano sulla sua nave. "Posso riportarli a casa, se vuole. Può farmi sorvegliare da una guardia e tutto il resto."

"No, io li—" ma mentre sta per finire si accorge con un sussulto che non avrebbe potuto riportare i bambini a casa, anche volendo; non poteva trovare la piazza senza chiedere indicazioni. Stringe le mani, sentendo tra di esse la carta ruvida della lettera. Un saporaccio in bocca. C'erano state così tante porte chiuse, per così tanto tempo, e lei fluttuava al di fuori di esse. Anna era da qualche parte, al castello. Avrebbe dovuto andare a scusarsi—

Ma Petter, e Klara—

Ma il Principe Albert—

"Mi permette?" chiede piano, dopo un momento. Accenna alla lettera sgualcita. Gliela lascia prendere, e lo osserva mentre la liscia con attenzione appoggiandola al ginocchio. "Ecco. Praticamente nuova."

Controllati, pensa, guardando il porto, osservando il ghiaccio crollare nelle tiepide acque estive, controllati.

"No, manderò le guardie a prenderli," fa alla fine.

"D'accordo. Beh, dite loro—dite loro che dico ciao, allora—se non è chiedere troppo. Voglio dire, se non è troppo disturbo."

"Ma certo."

La sua rabbia è quasi esausta, lasciandola ancora una volta scarnificata. Non aveva mai reagito così prima—con rabbia. Non l'aveva riconosciuta, insinuarsi su per la gola, cerchiarle i piedi di ghiaccio, finchè non era uscita fuori dal castello, nell'aria fresca della città, fin quando non si era accorta che aveva parlato troppo bruscamente ad Anna, e aveva, forse, esagerato, e adesso era troppo tardi—

Ma era stato così bello, pensa con un sussulto.  Sentire.

"Regina Elsa," il Principe Albert si azzarda dopo una pausa imbarazzante. "So che non dovrei permettermi. Ma lei—lei sembra—profondamente ferita."

"Ha ragione," sente la rabbia dura, gelida, che ritorna. "Non deve permettersi."

"Prima che mio fratello Fredrik partisse per la guerra," comincia, lanciandole una breve occhiata, come in attesa che scattasse con niente più fratelli—ma lei rimane in silenzio, odiandosi per la sua curiosità, per la sua gentilezza, per la sua diplomazia—"beh, eravamo soliti sgattaiolare via dal castello per andare a dare un’occhiata in giro. Per entrare in contatto con il popolo. Felix ha iniziato a farlo, in realtà, ma era solo un modo per vedere—quello che accadeva e—più o meno dimenticare, forse, che fossimo reali. Per poche ore, almeno."

Il pensiero è spaventoso. Il pensiero è nuovo. Lei è regina. Togliendo quello, cosa sarebbe stata?

Solo Elsa?

Impensabile.

Vattene.

Vattene, subito.

"Arrivederci, Principe Albert." Si gira per andar via. Si ferma. Volta indietro la testa. "Mi dispiace se ci sono stati fraintendimenti."


"Lo so che è la regina," Anna dice a Olaf, stesa a braccia aperte sul pavimento della galleria che osserva il pendolo dell'orologio del nonno. La sembra di avere di nuovo nove anni. "Questo non significa che io non possa, tipo, aiutare o niente—so fare un sacco di cose, come—come—"

"Come scivolare giù dalle montagne!"

"Esatto!" Anna strilla, d'accordo. Olaf si contorce accanto a lei.

"O, sai, trovare puzzolenti re delle renne."

Anna sorride. "Esattamente esatto," sospira, così profondamente e forte che la frangetta per un attimo svolazza e scompare. "Voglio dire," geme, coprendosi gli occhi con un braccio con fare drammatico. "Perché non mi permette di  aiutarla?"


"Per favore, scortereste Petter e Klara fino a casa?"

"Sì, vostra maestà," la guardia replica.

"E Albert?" Klara chiede testarda.

"E' molto occupato in questo momento. Mi dispiace, Klara."

La ragazzina mette il broncio, pestando i piedi, e andava bene, sul serio, non doveva piacere per forza a tutti—

Petter è in piedi davanti a lei, e tende la mano appiccicaticcia. La prende, e lui si inchina, un inchino piccolo e da ragazzo, in mezzo alla piazza. "Maestà," dice, molto formale, e sembra troppo vecchio, troppo piccolo, troppo tutto, "grazie."

Elsa sorride, e non è quasi.


Il re dice, "Stai per compiere un grande servigio alle Isole del Sud, Hans. Una cosa che cancellerà tutti gli errori; che ti eleverà," conclude lentamente, "al di sopra di tutti gli altri fratelli."

Hans si lecca le labbra, e sente, attraverso il guanto, la punta dolorante dell'indice sinistro, che suo fratello aveva punto il giorno prima. Una goccia di sangue, rossa come il tramonto, in una ciotola di legno. Poi un vago, "Puoi andare. Sono sicuro che le tue stanze sono nello stato in cui le hai lasciate."

Hans vuole chiedere, mi eleverà al rango di re, ma non lo fa; evidentemente non riesce a far funzionare la bocca. I suoi giorni delle risposte sono rimasti chiusi nella cella.

Quasi gli mancano.

Dice, "Lieto di esserti utile, fratello."

"Tutto questo parlare di fratelli; sembra quasi che sia morto qualcuno!"

Re Alfons interrompe la sua camminata lenta e sicura. Hans accanto a lui rallenta. Appoggiato alla carta da parati rossa, mezzo nascosto dalle armature e delineato dalla luce del crepuscolo morente, c'è Lukas. Hans non lo vedeva dal giorno in cui era andato a fargli visita nella sua cella, per ammonirlo e sgridarlo nella sua maniera orribilmente ottusa. Sente il disgusto posarsi ai margini dei suoi pensieri, attorno agli angoli della bocca.

Lukas .


 In piedi in mezzo al corridoio, non poteva sembrare di meno il suo gemello, Hans pensa. Il re era bruno, con baffi folti, robusto e muscoloso; Lukas era magro come un fuscello, i capelli biondo sporco che cadevano sui tratti del viso puliti, ben delineati.

Combatteva a suon di bugie e trucchi e ingegno e furbizia. Hans non aveva mai provato alcuna forma di rispetto per quell'uomo.

"Lukas," Re Alfons fa in tono strascicato. "Che ci fai qui?"

"Mi informavo solo dello stato di salute del nostro fratellino liberato di recente. Come te la passi all'aria estiva, Hans?"

"Sto bene, grazie," Hans si inchina rigido.

"Eccellente, eccellente. Proprio eccellente. Dimmi, Alfons," e c'era solo una persona a cui era permesso chiamare il re con questo nome, "A quanto pare mi mancano delle mappe topografiche. Quelle che riportano lo Stretto del Drago, l’Oceano Nero—Arendelle. Le hai viste?"

"Certo che no," il re scatta.

Lukas scrolla le spalle. "Allora controllavo solo." Li supera, scompigliando i capelli di Hans mentre passa. "Adieu, fratellino. Oh, e Alfons?"

"Hm?"

"Notizie di Albert?"

"Sta bene."

"Ah. Che deliziosa notizia."

"Proprio."

"Beh, allora! Ciao ciao, fratello."

I suoi passi riecheggiano lungo il corridoio. Il re esclama, senza tanta emozione, "E' solo un peso."

E Hans chiede, "Perché non lo uccidi e basta, allora?"

"Perché, Hans." Il re scrocca il collo. "A ogni morte, il suo tempo."


Dimenticare che fossimo reali per poche ore—

Poche ore—

Dimenticare—

Elsa osserva le carte sparse sulla scrivania e arriccia le labbra. Curioso, detto da qualcuno—che cos'era, pensa, fredda, dodicesimo in linea di successione? Ovvio che lui poteva farlo. Era un mondo diverso, non avere il peso di un regno. Lei avrebbe potuto volare, senza il peso di un regno. Librarsi, in mezzo alle stelle.

Sente le unghie premere contro i palmi, piccole lune crescenti che scavano nella sua carne. Parole e lettere sulla pergamena si confondono, sciolgono, scorrono—commercio e tasse e mercanti e guardie. Chiude gli occhi, poggiandosi due dita lenitive su ogni tempia e facendo appello alla propria maledizione. Si posa all'altezza degli occhi—freddo, gelato sollievo.

Avrebbe camminato fino all'atrio e sarebbe andata fuori nel cortile. No, scivolata—sarebbe scivolata giù fino all'atrio e fuori nel cortile, e gli sguardi dei regnanti precedenti le sarebbero scivolati addosso come fa l'olio con l'acqua, fluidi, innocui. Ci sarebbe stato il cielo, completamente sveglio sopra di lei, verdibluviola che pulsavano su un oceano di stelle che poteva afferrare e tenere chiuse tra le mani. Sarebbe uscita dai cancelli, attraverso il ponte, e ci sarebbe stata Arendelle, accesa e bellissima e meravigliosamente viva. Avrebbe ascoltato la sua gente e avrebbe sentito i battiti dei loro cuori, le loro speranze, i loro sogni. Avrebbe volato su, su, su

Si costringe ad aprire gli occhi. Il fuoco è quasi spento. Fuori, il cielo si rabbuia al crepuscolo. In un mondo perfetto, pensa, raggruppando le carte davanti a lei in pila e posandovi in cima la piuma, in un mondo perfetto avrebbe governato dal suo palazzo di ghiaccio.

Si chiede, alzandosi con garbo dalla sedia con lo schienale rigido, se sia ancora lì, o se abbia iniziato a sciogliersi, come un fiore appassito, morente. Si chiede cosa gli sarebbe successo, solo sulle montagne, e si chiede se sarebbe rimasto lì per sempre, o se sarebbe andato alla deriva con la sua morte—se si sarebbe sciolto e sarebbe slittato giù lungo il fianco della montagna.

Sarebbe successo? Quando sarebbe morta, tutto sarebbe solo—scomparso?

Olaf apre la porta. Elsa sobbalza. Stava fissando uno dei modellini delle navi in bella mostra sugli scaffali. Detestava le navi.

"Elsa?"

"Ehi, piccolino," sorride. Il secondo sorriso in tutto e per tutto di quel giorno, e già presenta il conto.  E' che è tanto stanca. Profondamente ferita. Ecco cosa aveva detto Albert. Profondamente ferita. Non era per niente profondamente ferita, era totalmente, terribilmente ridicolo—

Si volta, allungando la mano per afferrare un altro ceppo da lanciare nel fuoco, e del ghiaccio schizza dalle punte delle sue dita in cinque perfetti archi congelati. Il ghiaccio sbatte contro la pietra del caminetto e si frammenta, facendo piovere gocce e rugiada e spegnendo il fuoco completamente.

Beh.

"Cosa posso fare per te?" dice in fretta, cercando di nascondere la gaffe, strizzando gli occhi in cerca dei fiammiferi al buio. Ne sfrega uno contro la pietra e lo lancia tra i tizzoni, e un altro ceppo su di essi, e un altro, finchè riesce quasi sentire il calore. Posa le mani vicinissime al fuoco, e poi pensa che è ora di smetterla con questi momenti auto indulgenti.

Si volta.

Olaf la guarda a occhi spalancati e sbattendo le palpebre, davanti a quelle porte bianche della biblioteca. Dice, "Beh, niente, in realtà. Volevo dire ciao. Come te la passi?" La bocca infantile si apre in un sorriso contagioso, e ondeggia fino alla finestra, per spiare fuori dai vetri piombati. " Hai dato a quel tizio principe una bella lavata di quello-che-è?"

"Una che?"

"Si, quella. Beh, allora?" Il naso di Olaf affonda sempre più nella sua testa man mano che preme la faccia contro il vetro.

"Suppongo di no. Forse. Non lo so."

Non vuole sedersi di nuovo su quella sedia. Invece raggiunge il pupazzo di neve, raccogliendo le gonne attorno a sé e appollaiandosi sul davanzale della finestra, come faceva quando era piccola e imparava tutto su commercio e tasse e mercanti e guardie. Fuori la città prende vita come solo di notte può fare, luci che cominciano a splendere alle finestre, uomini che urlano dopo una lunga giornata di lavoro, bambini che corrono fuori a salutare padri, madri, sorelle, fratelli. La famiglia. Olaf dice, a proposito di niente, "Lo sai, Anna è brava a fare un sacco di cose. Come trovare uomini disgustosi e scivolare giù per le montagne."

"E' tutto quello a cui siete riusciti a pensare?" Elsa risponde spensierata, osservando il sole che tramonta luccicare dall'altra parte del fiordo. Guarda Olaf in tralice, ma lui non le presta attenzione, quindi tira su le ginocchia contro il petto e si abbraccia le gambe con le braccia, poggiandoci sopra il mento.

"Fooooooorse," Olaf sussurra.

Elsa ride. Ride perché ancora non si era scusata con la sorella. Ride perché, ovvio, avrebbero pensato solo a quello—"Anna è brava a parlare con la gente. E' brava a essere coraggiosa. A essere espansiva. E' brava a prendersi cura delle persone. E' brava in un sacco di cose."

"Huh. Beh, sai," Olaf si risiede, cercando di afferrare il naso grosso dietro la testa con le impacciate braccia- rametto, "anche tu sei brava in un sacco di cose. Voglio dire, mi hai fatto tu."

Elsa gli spinge il naso attraverso il cranio con delicatezza

"Mi gira la testa!"

"Sono stanca, Olaf," sussurra lei.

"Dormi un po', allora," Olaf afferma con un sorriso e una pacca amichevole sul braccio. "E' il miglior modo di destancarsi."

Elsa, molto velocemente e prima che possa pensarci due volte, si allunga in avanti e stringe il pupazzo di neve in un abbraccio, la  guancia premuta contro il lato della testa; sente il solletico che gli fa la sua nevicata, e sa che la neve le sta cadendo sulle spalle, e sulla gonna.

"Caldi abbracci!" Olaf strilla gioioso, ricambiandola. "Oooh, li amo!"

Dimenticare, Elsa prega, serrando gli occhi.

Dimenticare.


La stanza puzza di urina; carogne e carne in putrefazione. Fuori il sole sta calando. C’è il fuoco acceso nel caminetto e del tè posato davanti a esso. Sembra una presa in giro, la porcellana bianca che splende quasi d'oro nella penombra. Hans osserva il re camminare lentamente in quella direzione; lo osserva raggiungere la prima sedia e voltarla col piede, cosicché sia rivolta verso il centro della stanza; lo guarda iniziare a versare il tè.

"Tè, Hans?"

"No, grazie," Hans risponde, proprio mentre Niels afferma, "Non deve assumere niente, prima." Si materializza da un angolo buio. C'è un corvo sulla sua spalla. Ma i suoi occhi hanno qualcosa di strano. Anche il corpo ha qualcosa di strano, ma Hans non riesce a capire cosa, data la scarsa luce. "Non voglio che vomiti sul pavimento".

E di certo di cose strane ce ne sono un sacco, Hans nota, lottando per mantenere un'espressione neutra, per controllare le capriole che fa il suo stomaco. I tavoli, le bottiglie di sostanze galleggianti, le pile di libri—tutto era stato spinto ai lati della stanza per lasciare un grosso spazio al centro. Ci sono segni di gesso sul legno. Simboli che non capisce. Scritte in rune. Al centro c'è un cerchio più piccolo, e inscritta in esso una stella.

Niels la indica. "Sistemati lì."

Hans osserva lo sguardo freddo, calmo del re. In attesa. Intransigente. Dice. "Certo."


"Sto bene?"

Sven sbatte le palpebre.

"Hai ragione, hai ragione—troppo. Fiori? E' una cosa che si fa, devo portarle i fiori?"

Sven si piega per mangiare altro fieno.

"A volte non sei proprio d'aiuto."


Elsa osserva il piatto coperto davanti a sé. Prende l'acqua, riuscendo a bere un sorsetto prima che le si congeli in mano. Posa il bicchiere. Accanto a lei c'è un posto vuoto, e un altro, e ancora un altro, e lungo tutto il tavolo. Kai è da qualche parte in piedi dietro di lei. Tossisce. Chiede, "Volete che mandi qualcuno—"

"Sarà qui tra poco," Elsa risponde, osservando il vapore alzarsi dal cesto di panini coperto. Appena finisce di parlare la porta della sala da pranzo si apre, e Anna corre dentro. Non è vestita per la cena. E' vestita come se si stesse preparando a scalare la Montagna del Nord. Elsa sbatte le palpebre.

"Ehi, come stai?" Anna si fionda fermandosi dietro la sedia dove è seduta di solito e afferra l'intera cesta di panini. "Prendo questi e—"

"Dove—dove vai?"

"Fuori, solo—niente. Voglio dire, non è niente, è qualcosa, ma non è niente in cui abbia intenzione di fare, tipo, una scalata in mezzo alla natura o cose del genere." Esamina il cesto di panini che tiene premuto contro il fianco. "Il burro è qui?"

"Anna—"

"Lo so, lo so, avrei dovuto accennartelo prima." Anna crolla sulla sedia piuttosto goffamente. "Ma non volevo irritarti."

"Non mi irriti."

Anna solleva le sopracciglia.

"Spesso. Non mi irriti spesso."

Anna fa, "Allora ti dispiace?"

"Ma se non so nemmeno che stai facendo!"

"Forsediciamounappuntamento."

"Un appuntamento?"

"Lo sai! E' quella cosa, quando le persone fanno cose, assieme—tipo, no—tipo cavare il ghiaccio."

"Stai andando a cavare il ghiaccio?"

"No! No, assolutamente no, non credo—tu saresti una brava cavatrice, lo sai? No, sto andando a un picnic! Beh, a un picnic cena coi panini. Conta lo stesso? Dovrebbe contare lo stesso, no—"

"Per quello che vale," Elsa interrompe, guardando il vassoio di metallo che copre la sua cena, "Penso che tu sia brava in un sacco di cose."

"—e voglio dire, il vino, ma credo che quella sia una porcheria—che?" Anna scuote la testa. Ha mezzo panino che le penzola dalla bocca.

"Mi dispiace."

Anna sorride. Le riesce così facilmente, Elsa è quasi gelosa. Quasi. "Ehi. Lo so. Capisco. Beh, voglio dire, capisco più o meno. Immagino che in realtà non potrò mai capire, capire, ma—lo sai." Stende la mano sul tavolo, rovesciando per sbaglio il bicchiere d'acqua ghiacciata con un oops, e afferra la mano di Elsa. "Voglio aiutarti."

Elsa ricambia la stretta. "Lo so." Si guardano per un secondo. Un volto che conosce meglio del proprio. Un volto che non conosce affatto. Anna dice, mettendo giù i panini, "Ehi, sai una cosa, credo che andrò a un appuntamento picnic di dolci. Allora, cosa mangiamo a cena?"

Elsa scuote la testa. "Tu stai andando a fare un bel picnic." Si volta verso Kai, dietro di lei. "Possiamo preparare un cesto per la principessa?"

"Certamente, vostra maestà."

"Acqua, penso,” fa, dandole una stretta finale e lasciandola andare, "al posto del vino."

"Elsa, non posso!"

"Puoi. Ordine della regina. Solo—non fare cose di cui poi ti pentiresti."

Anna ghigna. "Lo so, lo so. Reputazione. Principessa. Afferrato."

E quando sua sorella se ne va, carica di cibo, Elsa finalmente scopre il proprio piatto. C'è una bistecca piatta, al sangue, rosa. Asparagi, e patate. Elsa afferra forchetta e coltello.

Il cozzare delle posate. Il baluginio delle candele.

E' sola.


Kristoff la aspetta davanti alla porta della sua stanza. Il cesto che ha tra le braccia è pesante. Si sente in colpa, a lasciare sua sorella a cena da sola, però, l'avrebbe detto in realtà se non avesse voluto mangiare da sola, giusto? Però, c'era anche da considerare che si trattava di Elsa, che in realtà non diceva mai niente di niente, e—

E' un'idiota, non è così? Non Elsa. Lei. Anna. Era un’idiota. Si morde il labbro e sospira, perché, tipo, come si supponeva che sua sorella dovesse fidarsi, se lei—Anna, lei-Anna—non riusciva nemmeno ad accorgersi di roba del genere—

"Uh, ehi."

Anna si ferma. E' quasi arrivata al corridoio dei ritratti, e non si è fermata, e ha superato Kristoff. Gira i tacchi. "L'ho fatto apposta."

"Davvero?"

"Sì. Decisamente. Come—" si ferma, accorgendosi alla fine di come è vestito. Indossa gli abiti estivi, ed è quasi presentabile. Stringe in mano una margherita, e guarda nervoso di lato, e lei ride, praticamente saltellando in avanti. Gli dà un bacio sulla guancia. "Ciao."

"Ciao. Ho preso il tuo fiore. No, non volevo dire—"

"E' adorabile," ride di nuovo, sorridendo per coprire il rossore che le era apparso sulle guance. "Ho portato la cena."

"Picnic?"

"Lo sai. Forza." Fa scivolare il gomito dietro la maniglia della porta e la spalanca. La stanza è leggermente in disordine. Barcolla in avanti e fa cadere il cesto sul letto, osservando il baldacchino rosa. Molto meglio di blu scuro. Tipo, molto meglio.

Kristoff è in piedi, piuttosto incerto, sulla soglia. Sembra troppo solido, troppo reale, tra il rosemåling delle coperte, del pavimento, del tavolino da belletto, con la margheritina stretta nella grossa mano. Qualcosa si agita nella parte bassa dello stomaco. Si morde il labbro.

"Cosa c'è?" Kristoff chiede, all'improvviso esausto. Guarda i suoi vestiti.

"Niente—non hai niente che non va. Non c'è niente che non va. Sei perfetto. Aspetta, che?" Scuote la testa, e sente il rossore tornare. "No, voglio dire—è mia sorella. Solo che—ti dispiace se mangiamo con lei? Solo la cena. E' che è—tutta sola."

Kristoff sembra pensieroso. Si chiede a cosa pensi. Lui fa spallucce. "Come no."

"Mmmhkay, sarò—torno subito, solo—non ti muovere, non ti muovere di un centimetro—" si lancia nel corridoio, si ferma, quasi si fionda di schianto nella sua schiena, "Se ti muovi lo vengo a sapere!"

"Vai, Anna," ride.

Anna corre fuori dalla porta e nel corridoio e salta sul corrimano. Scivola giù, atterrando di fretta e fiondandosi nella porta della sala da pranzo. "Elsa, andiamo!" urla, ma poi si ferma, perché lì non c'è nessuno tranne alcuni camerieri, che puliscono il tavolo, e Kai.

"Principessa," sobbalza. "C'è qualche problema?"

"Volevo solo invitare Elsa, perché sono una stupida, lo sai?"

"Io—"

"Non devi rispondere, non importa. Dov'è andata?"

"Ha deciso di continuare a cenare in biblioteca. Ha specificatamente chiesto di non essere disturbata."

"Oh," Anna annuisce lentamente. "Oh, ok. Beh, allora io —io vado." Kristoff la aspettava. Kristoff che stringeva quel delicato fiorellino, e sarebbero mai riusciti a mettere le cose a posto? pensa.

E poi si chiede a chi stia pensando davvero.


Elsa si sporge fuori dalla finestra aperta. L'aria sa di fresco, ed è magnifica. Il cielo sopra di lei brilla, invocando la città sottostante, e tutto è sveglio. Si abbassa di più il cappuccio sugli occhi, sentendosi—

Malandrina.

Fa un respiro profondo, guardando indietro, i recessi bui della biblioteca—le pergamene ammassate, i libri, il fuoco nel caminetto. E poi fuori, Arendelle. Le stelle che trapuntano il cielo. Allarga le dita. Il ghiaccio copre il tetto, rendendolo scivoloso. Elsa si arrampica sul davanzale e fuori sul ballatoio, cosicché i piedi dondolano nel vuoto, e prima di poter pensare ad altro, salta giù.

Dimenticare.


 

Da qualche parte, lontano, Niels afferma, "Non preoccuparti, fratello. Non dovrebbe fare male."

Da qualche parte, lontano, Niels ride.

Da qualche parte, lontano, Niels corregge. "Molto."

 

  
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