Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: thefireplanet    23/05/2014    0 recensioni
Ci sono dei pesi, quando sei regina, che non hanno niente a che fare con una maledizione. Ci sono dei doveri, quando sei principessa, che non hanno niente a che fare con l'essere una sorella. E la strada per il vero amore non è mai stata in discesa.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9

 

 

 

Bussano alla porta della biblioteca.

A Elsa balza il cuore in petto. Quando inizia a battere di nuovo in maniera normale, è un ritmo lento e irregolare. Posa la penna con attenzione, lisciando l'estremità storta della piuma, mezza masticata, e le ci vogliono tre secondi interi per far ritirare il ghiaccio che era spuntato dalle mani strette a pugno. Le venature del legno diventano di nuovo visibili.

"Sì?" risponde, stringendosi le mani in grembo e volgendo lo sguardo alle porte bianche della biblioteca.

Si aprono lentamente, cigolando. Riesce a sentire il proprio futuro nello scricchiolio dei cardini. Subito dopo Kai entra, con l'aria seccata, e a corto di parole, ed Elsa chiude gli occhi. Respira—dentro, fuori, dentro—e quando li apre coglie il vapore del proprio respiro fluttuare in alto in nuvolette.

"Vostra maestà," Kai comincia, e lei, appollaiata sul bordo della sedia, ha paura di quello che sta per dire. "Scusate per il disturbo."

"Kai, nessun disturbo, affatto," risponde educata, coprendo con una mano tremante l'angolo arricciato della pergamena su cui era scritto il dettaglio spese che stava esaminando, nascondendo di soppiatto la caricatura di un pupazzo di neve.

Kai si guarda alle spalle, si lecca le labbra. C'è uno sciame di farfalle che si scatenano nel suo petto, ed è certa che uno di questi giorni si sarebbe spezzata, e che sarebbe crollata; che uno di questi giorni le sue fragili vene di ghiaccio sarebbero giunte, infine, al limite di sopportazione. "Maestà, due—"

Non dire navi, non dire ambasciatori, non dire navi, non dire ambasciatori—

"—bambini sono riusciti a intrufolarsi nel cortile del palazzo."

Sbatte le palpebre, il nodo nel petto che si scioglie come la schiuma di un'onda sulla sabbia. Chiede, "Bambini?"

"Sì, vostra maestà." Kai risponde di nuovo, impacciato.

"Beh," inizia, lentamente, chiedendosi come rendere trova i genitori e falli andare via senza sembrare troppo—fredda. "Beh, avete trovato i loro genitori?"

"Sono venuti da soli, vostra maestà"

Il silenzio si insinua tra di loro. Elsa sbatte di nuovo le palpebre, si lecca le labbra, dice dopo un momento, "Kai, temo di non capire del tutto dove sia il problema—"

"Uno di loro—la ragazza—è riuscita a—ah—eludere le guardie. E' alla ventura nel castello."

Elsa sbatte i denti con un clack, principalmente per tenere sotto controllo la risata che le stava salendo alla gola. Azzarda, "Alla ventura?"

"Sì, vostra maestà," Kai afferma, le guance che diventano scarlatte. "Ma l'altro," risponde, in fretta, "è stato catturato." Guarda dietro di sé, in tralice, uno sguardo pungente, da dietro quel naso grosso. "Vieni qui, ragazzo."

Si sentono passi piccoli, timidi, e un viso che le richiama qualcosa alla mente, lieve come un sussurro al margine dei pensieri, entra nella biblioteca, gli occhi fissi sui piedi. Kai incrocia le braccia e considera il bambino con uno sguardo severo. Dove l'aveva visto prima? si chiede, battendo veloce le ciglia. Riesce a sentire la mancanza di sonno come un dolore fisico che le percorre le spalle, su per il collo, che si accumula attorno agli occhi; insieme alla paura costante che il principe Albert non avrebbe fatto in tempo ad andarsene per intercettare gli ambasciatori, presente giù nello stomaco, nelle punte tremanti delle dita. Dove l'aveva già visto?

Oh.

"Petter?" azzarda piano, alzandosi in piedi, e il bambino sobbalza, colpevole. Riesce ad assorbire appieno più particolari del viso che aveva visto il giorno prima, appollaiato su una pila storta e vacillante di casse e scatole—è magro, quasi come un elfo, con una matassa di capelli ricci e rossastri al di sopra di un paio di occhi azzurri vividi. Il ragazzo. Il principe della torre. Gira intorno al tavolo, avvicinandosi lentamente, piano, fermamente. A un metro di distanza, più o meno, si piega, le ginocchia sfiorano il pavimento. Kai sussulta. "Conosce questo furfante?" le chiede; e non c'è cattiveria, solo shock.

"E' una mia conoscenza, sì," fa con un sorriso dolce, appena una piega delle labbra. "Petter, sei venuto assieme a Klara?"

Risponde, guardandosi i piedi, "Sissignora." Poi si inchina, goffo. "Maestà."

"Petter, alza lo sguardo."

Lo fa, accigliato, scattando—nervoso. Prova ad allargare il sorriso, ma i bambini erano—erano—

Beh.

"I tuoi genitori sanno che sei scomparso?"

"Nossignora. Maestà. No, maestà. Colpa di Klara," mormora, tirando su col naso e pulendosi la bocca col braccio. "Ha detto che dovevamo venire da te."

Elsa non riesce a immaginare proprio perché. Si raddrizza, e guarda Kai. "Puoi comunicare, a tutti i servitori, di cercarla?"

"Sì, vostra maestà." Kai si inchina. "E il ragazzo?"

"Beh," dice, tendendo la mano, "lui e io la cerchiamo assieme. Va bene, Petter?"

Occhieggia la mano profferta. Un respiro, due, tre, quattro—

La prende. Le sue dita sono piccole e appiccicaticce. "Penso che va bene," mormora, rivolto ai propri piedi.

"Conducimi," gli dice, facendo cenno con l'altra mano al corridoio dei ritratti, in ombra. Superando Kai, che ancora se ne sta in piedi piuttosto scioccato, sulla soglia, gli dice, con fare serio, "Devo dirtelo, questo non ha niente a che fare con una mia possibile fuga dalla lista dei conti." O con l'essere stanca di preoccuparsi di navi, ambasciatori, principi—

Kai risponde, accennando un sorriso incredulo, "Ma certo, vostra maestà."

Si sente gli occhi dei propri genitori sulla schiena mentre cammina lungo il corridoio.


"Che stai facendo?" Kristoff fa, inespressivo.

"Che? Oh, ehi!"

Ha la slitta piena di ghiaccio destinato agli ambienti refrigeratori del castello, che già inizia a evaporare e a sfrigolare ai bordi, anche se il sole è quello del pomeriggio, tiepido, ma in qualche modo, pensa, le sopracciglia che si sollevano dall'incredulità, Anna a cavalcioni sulla balaustra della propria balconata trenta piedi più su è più importante.

"Ehi, non ti—non ti avevo nemmeno visto, laggiù. Quando sei tornato?" gli chiede voltando la testa, facendo conversazione. "Come è andato il viaggio?"

Un paio di guardie alle sue spalle lo superano, sussurrando furtive e spiando sotto i cespugli, come se stessero cercando qualcosa. Sta iniziando ad avere caldo, con gli abiti invernali. Si dà uno strattone al colletto. Ma perché non la  fermavano? Era qualcosa che faceva spesso—penzolare dalle finestre e saltar giù dai palazzi e cadere nei crepacci—

"Scendi da lì."

"Che? No, no, no, sono totalmente al sicuro quassù, Kristopher, l'ho fatto un migliaio di volte—hai detto che non mi so arrampicare sulle montagne, ma so scalare i palazzi. E' facile, scivoli solo fino al bordo qui e—oops! Non così, non lo fare—"

Kristoff sta cercando di decidere quando sia diventata una maniaca suicida, e poi si accorge con un sussulto che è sempre stata una maniaca suicida, se si pensa a portami alla Montagna del Nord e prendimi! e ci limiteremo soltanto a parlare con mia sorella, la pazza regina delle nevi—si sfila i guanti e si pianta sotto di lei, braccia protese in avanti per parare la sua inevitabile caduta. Una cameriera si affretta e li supera.

Sul serio, ma era normale?

"Anna."

"Per favore, Kristopher," agita la mano con fare drammatico, spazzando via la sua preoccupazione. "Potrei farlo anche mentre dormo." E con questo si alza, solleva l'altra gamba portandola via dalla sicurezza del balcone, scavalca la ringhiera e la poggia sul cornicione sottile, cercando di arrivare al bordo di una finestra giusto poco sopra di lei.

E scivola.

E cade.

E atterra su di lui col peso di una renna.

"Porca—" rantola, cercando di riprendere fiato mentre lei gli rotola via di dosso. Apre la bocca esasperato, gesticolando incredulo e indica lei, e il balcone e il tetto e che c—

"Beh, di solito non cado," Anna tira su col naso, rigida, inginocchiandosi e spolverandosi la gonna. Allunga il braccio e gli dà delle pacche sullo stomaco con cautela, che riesce appena a sentire attraverso gli strati spessi del giaccone. "Mi hai messo tensione. Tutto ok?"

"Sono stato meglio."

"Ma respiri ancora," fa notare lei.

"Uno di questi giorni mi ucciderai."

"Ancora non ci sono riuscita," risponde sfacciata, con un ghigno fulmineo. Porge la mano e cerca di tirarlo su, ma dopo un po' si arrende e crolla accanto a lui. "Cielo, sei una montagna. Ehi, questo cos'è?"

E prima che possa mettere assieme abbastanza falsa rabbia per l'insulto, lei sta già allungando la mano verso un luccichio arancione che spunta dalla sua sacca. Lui la scaccia con un buffetto. "Niente. Non è niente. Non è per te, perché mai dovresti anche pensarlo?"

Stringe gli occhi, insospettita. "Kristoff—"

"Perché cercavi di arrampicarti sul tetto?"

"Beh, non sapevo quando saresti tornato," dice col viso rivolto al cielo. Sente un altro drappello di guardie superarli affrettandosi, e immagina che quadretto debbano essere, principessa e venditore di ghiaccio reale distesi sul terreno erboso pieno di ciottoli. "E ho pensato, perché non godersi questa bellissima giornata?"

"Avresti potuto godertela sul balcone."

"No, ho un posto speciale, ma ci si può arrivare solo arrampicandosi."

"Tu sei pazza."

"Forse?"

"Non hai—che ne so, roba da principessa da fare o cose così—"

"No. Non—Cioè. Non lo so." La voce si affievolisce, stringe le labbra. "No. Non io. Sono qui e basta."

Volta la testa per guardarla, prendendo in considerazione l'idea di scavare più a fondo, ma lei se lo butta presto alle spalle e si inginocchia di nuovo, riuscendo a colpirgli la testa mentre lo fa.

"Ohi—"

"Scusa!"

"Kristopher?" Un'altra voce. Lui si sfrega la mascella, alzandosi in piedi e volgendo lo sguardo al sentiero che porta al cortile centrale. Là c'è un uomo corpulento, con il naso grosso, e una familiare occhiata di quasi-disgusto. Kai. Quasi-disgusto probabilmente perché lui puzzava e Sven stava esaurendo le loro scorte di fieno e spazio, e lui era solo un venditore di ghiaccio, dopo tutto, anche se un venditore reale.

"Mi chiamo Kristoff," Kristoff dice.

"Sì, beh, il tuo ghiaccio si sta sciogliendo. Ti dispiace rivolgere la tua attenzione a esso, e sistemarlo nelle celle in cucina?" chiede.

"Certo." Kristoff risponde, senza sforzarsi più di tanto a rispondere. Invece si volta verso Anna, ancora in ginocchio a terra, e la afferra da sotto le braccia, alzandola in piedi.

"Oh, grazie, grazie di tutto, non avevo—ha!" ride nervosa, stringendosi la destra con la sinistra.

"Di niente," dice, e questa volta si sforza più di tanto a rispondere—un sorriso, piccolo e nervoso.

"Devo informarvi," Kai fa un educato colpetto di tosse, e rompono il contatto visivo, "che c'è una ragazza scomparsa che stiamo cercando di trovare. Sette, forse otto anni."

"Ragazza scomparsa? Ci penso io! Sì, sì, signore!" Anna offre il saluto, quando invece, Kristoff pensa, battendo velocemente le palpebre, quello che avrebbe dovuto fare era chiedere, no, come ci fosse arrivata lì la ragazza, da dove veniva, che ci faceva nel palazzo. Pensa che quest'atteggiamento nonchalant verso tutte le situazioni insolite debba davvero dipendere solamente dalla questione dei cancelli chiusi e della magia del ghiaccio.

Sì, quello.

Kai le fa un sorriso affettuoso, prima di rivolgere a Kristoff un'ultima occhiata, quasi fulminante—doveva riconoscerglielo, sapeva nascondere bene le proprie emozioni—e torna da dove è venuto.

"Beh, devo andare—il ghiaccio e—già." Le dà un bacio sulla guancia leggero, veloce, insicuro. Lei sorride.

"Ehi, Kristoff?"

"Sì?" si ferma, voltandosi a metà.

"Il mio nascondiglio segreto. Più tardi te lo mostrerò."

"E' un appuntamento," fa senza pensare, e poi impallidisce. "Voglio dire, potrebbe essere un appuntamento, se tu volessi—voglio dire, umire con sce—no, voglio dire, uscire con me—"

"Kristoff!" Anna ride, con gli occhi che brillano. "E' un appuntamento."

Lui annuisce, un lato della bocca che si solleva.

Kristoff ritorna nel cortile saltellando.


"A che gioco stavate giocando, ieri?" Elsa chiede piano. Stanno controllando dietro tutte le tende della sala dei banchetti, attenti in ascolto del più piccolo passo, del più lieve respiro. All'improvviso il palazzo sembra come infestato—le tende che ondeggiano, il baluginio delle candele, quel qualcosa che guizza negli specchi quando passano—tutto potrebbe essere una ragazzina che si nasconde nell'ombra.

Ma quando si avvicinano, e non trovano nessuno, Elsa riesce solo a pensare ai fantasmi.

"Salva il Principe," Petter risponde serio. "Qualche volta è Salva la Principessa, ma a Klara quello non va tanto."

"Capisco."

Dietro le tende non c'è altro che muro. Sospira.

"Beh, Petter. Suppongo che dovemmo provare nell'atrio, adesso."


"Oh," Anna dice, sorridendo lentamente. "Salve."

"Salve," la bambina tira su col naso.

Era bello il suo posto segreto, e sarebbe stata una giornata piacevole se l'avesse passata a fissare il cielo da lì, senza dubbio, ma qualcosa del fatto che quella sera l'avrebbe mostrato a Kristoff le faceva venire le farfalle allo stomaco, e tendere i nervi come corde di violino, quindi era andata nel suo secondo posto segreto, che non era proprio un posto segreto, era più la galleria d'arte—

"Sei tu quella che cercano tutti?" chiede, facendo un passo avanti. Conosceva ogni centimetro di quella stanza, ogni quadro, ogni panca, ogni pannello dell'intricato parquet. La luce pomeridiana irrompeva dai vetri a piombo. C'era una ragazzina che fissava uno dei dipinti più grossi, la testa piegata di lato, e Olaf era in piedi accanto a lei.

"Anna," inizia il pupazzo di neve, "Non so se dovresti esserne al corrente, ma ho trovato una bambina."

"Lo vedo," Anna dice, con un passo avanti. "Hai messo in agitazione tutto il palazzo," continua. "Voglio dire, quasi come la volta in cui mi sono chiusa nella credenza da sola e dovettero, ecco, tirarmi fuori con una sega—ovvio che fu un incidente, volevo solo un po' di pudding al mou, voglio dire, quella roba è fantastica, l'hai mai mangiata?"

"No."

"Huh, sul serio? E comunque penso proprio che fosse stantio." Anna fa spallucce. "Cheffai?"

"Guardo i quadri."

"Hm," Anna si ferma, in piedi accanto alla ragazzina e al pupazzo di neve, e guardando in alto uno dei suoi preferiti—la ragazza sull'altalena. "Questo lo adoro."

"Le stavo proprio raccontando di come tu ed Elsa li abbiate dipinti tutti," Olaf fa, battendo le mani. "Non sono artiste fantastiche?" sussurra a mezza bocca.

"Ma per niente 'sti qua li hai fatti tutti te," afferma la bambina.

"No, io ne ho dipinti solo, tipo, sei." Anna si esamina le unghie. Poi sorride. "Scherzavo! Li abbiamo presi tutti da—commercianti o cose così, non lo so. A mia mamma piacevano un sacco i dipinti."

"Chi è tua mamma?"

"La Regina."

"La Regina?"

"Beh, la regina di prima. Adesso la regina è mia sorella. Quindi, mia mamma era la vecchia regina—apprezzava l'arte," Anna dice, inclinando la testa in alto verso la fanciulla felice, le delicate sfumature di rosa e verde. Era stata sul punto di dire, apprezzava la bellezza, ma poi pensa ai poteri di Elsa, e cambia in, apprezzava la bellezza sotto controllo.

"Tu non sei la principessa."

"Perché no?" Anna chiede, imperturbata

"Perché le principesse indossano corone e vestiti eleganti. Tu invece hai la terra sopra la gonna."

Anna si guarda il corsetto informale, la veste sotto di esso ancora più informale, e la gonna stropicciata e spiegazzata. E ti pareva, c'era una macchia d'erba su un fianco, e una marroncina su un ginocchio, che si era fatta quando era atterrata su Kristoff. Cosa che stava diventando un'abitudine. Probabilmente avrebbe dovuto smettere.

"Hai ragione."

"E quindi tu chi sei?"

"Chi sei tu?"

"'So' Klara."

"Io sono Anna."

"E io sono Olaf!"

"Che lo so ," scatta la bambina, rivolgendosi al pupazzo di neve.

"Ti diverti, a guardare i ritratti?" Anna chiede. La bambina la considera, con le labbra premute, un broncio testardo.

"Sì."

Anna sorride. "Mi piacevano un sacco perché ti potevano portare altrove. Non sono mai stata brava con l'arte, però."

"Già."

Anna la guarda in maniera furbetta, e dice, "Vuoi divertirti  di più?"

Klara annuisce.


Elsa guarda, in basso, Petter. Il bambino sembra infelice, e stanco; e i suoi genitori, ovunque essi siano, sicuramente sono preoccupati da morire.

"Solo quest'ultima sala," dice, mentre voltano l'angolo ed entrano nel corridoio con la porta che porta galleria dei ritratti. "Sono sicura che è qui."

"Mhm."

Si ferma col piede a mezz'aria, perché la porta in questione è aperta, e si sentono riecheggiare delle risate.

Elsa avanza in fretta.

Voleva solo trovare la sua amica, per farlo contento, ma beh, è che solo—è che non—era—

Anna rimbalza su e giù sui cuscini decorati delle panche, Klara accanto a lei, e ridacchiano tutte e due come matte. Olaf galleggia sul pavimento di legno, urlando, "Più in alto, alto! Scivola e gira, scivola e gira!"

—era la sorella inadatta a quel compito.

"Klara, sei in  groooooossi guai!" Petter le urla, a mò di saluto.

"Non è vero!" Klara urla di rimando. "Da dove sei spuntato?"

"Ehi, Elsa, ho trovato la ragazza!" Anna ghigna. La panca si sposta, scivolando via dalla loro traiettoria, e finiscono con l'essere un groviglio al suolo. "Cavolo, oggi sono praticamente sempre a terra da tutte le parti, e che cos' è—"

"Vedi, non puoi essere na principessa, vedi che continui a cadere."

"Sì, si, infierisci, perché no—"

Elsa allaccia le mani avanti a sé, osservando la scena. Petter pattina in avanti, inciampando per la fretta su Olaf cosicché il pupazzo si rompe in tre parti e scivola lungo il pavimento. Il bambino atterra pesantemente sul sedere a parecchi metri dalla sua amica, e continua, all'istante, a urlare, "Non ti puoi intrufolare nei posti—"

"E invece si!"

"E invece no! Hai costretto la maestà-regina a cercarti dappertutto—"

Klara si stropiccia gli occhi, alzando il mento in direzione di Elsa. Si alza in piedi, e ad Elsa all'improvviso tornano in mente le parole del Principe Albert, il giorno prima—Credo proprio che Klara un giorno si unirà alla Sua guardia Reale

"Devi far venire Albert a trovarci," fa la ragazzina.

Elsa sbatte le palpebre, attonita. Era stato questo a provocare tutto il grande fiasco? Anna la guarda confusa, ancora spaparanzata a terra senza grazia.

"Se ne è andato e ha detto che non  poteva tornare più," Klara spiega, "ma non abbiamo finito la partita. E ha perso questa." Klara ripesca da una delle ampie tasche del vestito troppo grosso un pezzo ripiegato di pergamena. E' stropicciato dal correre, e dai giochi; spiegazzato, e sporco. Ma c'è il sigillo di Arendelle impresso inconfondibilmente sul retro in ceralacca viola sontuoso. "Mamma l'ha presa e ha detto che oggi veniva a palazzo, ma poi ho visto che la nascondeva sotto il cuscino, quindi l'ho presa io."

Elsa ha freddo, dalle punte delle dita alla pianta dei piedi. La temperatura nella stanza cala vertiginosamente. Sua sorella se ne accorge subito, si tira su e fa un passo avanti. "Elsa?" chiede. "Cosa c'è?"

La lettera che aveva scritto lei. La sua lettera. Ovvio, il principe Albert l'avrebbe opportunamente persa, ovvio, sperava che sparisse—era stata una stupida a credergli sulla parola, troppo ingenua, troppo—troppo tutto—doveva essere una regina forte, una regina giusta, e questo voleva dire mandare i propri ambasciatori, risolvere la questione, e niente più Isole del Sud

"Elsa!" La voce di Anna è tagliente. C'è della brina lungo la cornice della porta, sui pannelli delle finestre. Il ghiaccio incede dagli angoli della stanza, minacciando i dipinti. Con un respiro veloce recede. Scompare. Alza gli occhi. Incrocia lo sguardo allarmato della sorella.

"Sì," fa distratta. "Sì, dovremmo andare dal principe Albert."

Klara batte le mani eccitata, dimenticando la lettera, che cade a terra come una foglia morta. La ragazzina inizia a parlare con Petter, grida di avventura e divertimento. Elsa si avvicina alla cosa caduta a terra come un cadavere, chinandosi, raccogliendola in modo alquanto meccanico. La ripiega e la intasca.

"Stai andando dal principe Albert?" Anna chiede.

Elsa va verso la porta.

"Elsa!" Sua sorella urla, abbastanza disperata. Lei si volta, scossa dalla sua trance. "Elsa, che c'è?"

"Devo parlare con il principe."

"Non puoi lasciarlo perdere? Per favore?"

Elsa tasta la lettera. "No. No, non posso."
"Beh, lascia che porti io Klara e—e—diamine, non—beh, lascia che porti tutti e due da lui e poi a casa propria, perché tu invece non—"

"No. No, devo risolvere la questione." Pensava di aver risolto la questione.

"Elsa, lascia che ti aiuti, ti prego!"

"Non puoi, Anna," Elsa sospira. "Sono io la regina."

Anna rimane a bocca aperta. Avevano davvero fatto pupazzi di neve solo la scorsa notte? Sua sorella rimane a bocca aperta, ed Elsa sa perché—perché Sono io la regina era solo un modo per dire tu sei la figlia di troppo, o qualcosa del genere—che non era quello che—non era quello che voleva implicare, solo che non riusciva a organizzare i pensieri. Si sentiva così sottile, come un velo di burro strusciato su troppo pane—

"Terrò la bocca chiusa davanti a lui." La voce di Anna è sottile. "Te lo prometto."

Elsa scuote la testa. "A breve sarò di ritorno. Petter. Klara," chiama, cercando di contenere il gelo che trapela dal suo tono.

Vuole dormire.

Si volta via, verso l'atrio. Il suo volto è teso. E' così stanca.

"Sono io la regina," sussurra.

 

  
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