Capitolo
9
Bussano
alla porta della biblioteca.
A
Elsa balza il cuore in petto. Quando inizia a battere di nuovo in
maniera
normale, è un ritmo lento e irregolare. Posa la penna con
attenzione, lisciando
l'estremità storta della piuma, mezza masticata, e le ci
vogliono tre secondi
interi per far ritirare il ghiaccio che era spuntato dalle mani strette
a
pugno. Le venature del legno diventano di nuovo visibili.
"Sì?"
risponde, stringendosi le mani in grembo e volgendo lo
sguardo alle porte bianche della biblioteca.
Si
aprono lentamente, cigolando. Riesce a sentire il proprio futuro nello
scricchiolio dei cardini. Subito dopo Kai entra, con l'aria seccata, e
a corto
di parole, ed Elsa chiude gli occhi. Respira—dentro, fuori,
dentro—e quando li
apre coglie il vapore del proprio respiro fluttuare in alto in
nuvolette.
"Vostra
maestà," Kai comincia, e lei, appollaiata sul bordo della
sedia, ha paura di quello che sta per dire. "Scusate per il
disturbo."
"Kai,
nessun disturbo, affatto," risponde educata, coprendo con
una mano tremante l'angolo arricciato della pergamena su cui era
scritto il
dettaglio spese che stava esaminando, nascondendo di soppiatto la
caricatura di
un pupazzo di neve.
Kai
si guarda alle spalle, si lecca le labbra. C'è uno sciame di
farfalle che si scatenano nel suo petto, ed è certa
che uno di questi
giorni si sarebbe spezzata, e che sarebbe crollata; che uno di questi
giorni le
sue fragili vene di ghiaccio sarebbero giunte, infine, al limite di
sopportazione. "Maestà, due—"
Non
dire navi, non dire ambasciatori, non dire navi,
non dire ambasciatori—
"—bambini
sono riusciti a intrufolarsi nel cortile del palazzo."
Sbatte
le palpebre, il nodo nel petto che si scioglie come la schiuma di
un'onda sulla sabbia. Chiede, "Bambini?"
"Sì,
vostra maestà." Kai risponde di nuovo, impacciato.
"Beh,"
inizia, lentamente, chiedendosi come rendere trova i
genitori e falli andare via senza sembrare
troppo—fredda. "Beh, avete
trovato i loro genitori?"
"Sono
venuti da soli, vostra maestà"
Il
silenzio si insinua tra di loro. Elsa sbatte di nuovo le palpebre, si
lecca
le labbra, dice dopo un momento, "Kai, temo di non capire del tutto
dove
sia il problema—"
"Uno
di loro—la ragazza—è riuscita
a—ah—eludere le guardie. E'
alla ventura nel castello."
Elsa
sbatte i denti con un clack, principalmente per
tenere sotto controllo
la risata che le stava salendo alla gola. Azzarda, "Alla ventura?"
"Sì,
vostra maestà," Kai afferma, le guance che diventano
scarlatte. "Ma l'altro," risponde, in fretta, "è stato
catturato." Guarda dietro di sé, in tralice, uno sguardo
pungente, da
dietro quel naso grosso. "Vieni qui, ragazzo."
Si
sentono passi piccoli, timidi, e un viso che le richiama qualcosa alla
mente, lieve come un sussurro al margine dei pensieri, entra nella
biblioteca,
gli occhi fissi sui piedi. Kai incrocia le braccia e considera il
bambino con
uno sguardo severo. Dove l'aveva visto prima? si
chiede, battendo veloce
le ciglia. Riesce a sentire la mancanza di sonno come un dolore fisico
che le
percorre le spalle, su per il collo, che si accumula attorno agli
occhi;
insieme alla paura costante che il principe Albert non avrebbe fatto in
tempo
ad andarsene per intercettare gli ambasciatori, presente giù
nello stomaco,
nelle punte tremanti delle dita. Dove l'aveva già visto?
Oh.
"Petter?"
azzarda piano, alzandosi in piedi, e il bambino
sobbalza, colpevole. Riesce ad assorbire appieno più
particolari del viso che
aveva visto il giorno prima, appollaiato su una pila storta e
vacillante di
casse e scatole—è magro, quasi come un elfo, con
una matassa di capelli ricci e
rossastri al di sopra di un paio di occhi azzurri vividi. Il ragazzo.
Il
principe della torre. Gira intorno al tavolo, avvicinandosi lentamente,
piano,
fermamente. A un metro di distanza, più o meno, si piega, le
ginocchia sfiorano
il pavimento. Kai sussulta. "Conosce questo furfante?" le chiede; e
non c'è cattiveria, solo shock.
"E'
una mia conoscenza, sì," fa con un sorriso dolce, appena una
piega delle labbra. "Petter, sei venuto assieme a Klara?"
Risponde,
guardandosi i piedi, "Sissignora." Poi si inchina,
goffo. "Maestà."
"Petter,
alza lo sguardo."
Lo
fa, accigliato, scattando—nervoso. Prova ad allargare il
sorriso, ma i
bambini erano—erano—
Beh.
"I
tuoi genitori sanno che sei scomparso?"
"Nossignora.
Maestà. No, maestà. Colpa di Klara," mormora,
tirando su col naso e pulendosi la bocca col braccio. "Ha detto che
dovevamo venire da te."
Elsa
non riesce a immaginare proprio perché. Si raddrizza, e
guarda Kai.
"Puoi comunicare, a tutti i servitori, di cercarla?"
"Sì,
vostra maestà." Kai si inchina. "E il ragazzo?"
"Beh,"
dice, tendendo la mano, "lui e io la cerchiamo
assieme. Va bene, Petter?"
Occhieggia
la mano profferta. Un respiro, due, tre, quattro—
La
prende. Le sue dita sono piccole e appiccicaticce. "Penso che va
bene," mormora, rivolto ai propri piedi.
"Conducimi,"
gli dice, facendo cenno con l'altra mano al
corridoio dei ritratti, in ombra. Superando Kai, che ancora se ne sta
in piedi
piuttosto scioccato, sulla soglia, gli dice, con fare serio, "Devo
dirtelo,
questo non ha niente a che fare con una mia possibile fuga dalla lista
dei
conti." O con l'essere stanca di preoccuparsi di navi, ambasciatori,
principi—
Kai
risponde, accennando un sorriso incredulo, "Ma certo, vostra
maestà."
Si
sente gli occhi dei propri genitori sulla schiena mentre cammina lungo
il corridoio.
"Che
stai facendo?" Kristoff fa, inespressivo.
"Che?
Oh, ehi!"
Ha
la slitta piena di ghiaccio destinato agli ambienti refrigeratori del
castello, che già inizia a evaporare e a sfrigolare ai
bordi, anche se il sole
è quello del pomeriggio, tiepido, ma in qualche modo, pensa,
le sopracciglia
che si sollevano dall'incredulità, Anna a cavalcioni sulla
balaustra della
propria balconata trenta piedi più su è
più importante.
"Ehi,
non ti—non ti avevo nemmeno visto, laggiù. Quando
sei
tornato?" gli chiede voltando la testa, facendo conversazione. "Come
è andato il viaggio?"
Un
paio di guardie alle sue spalle lo superano, sussurrando furtive e
spiando sotto i cespugli, come se stessero cercando qualcosa. Sta
iniziando ad
avere caldo, con gli abiti invernali. Si dà uno strattone al
colletto. Ma perché
non la fermavano? Era qualcosa che faceva
spesso—penzolare dalle
finestre e saltar giù dai palazzi e cadere nei
crepacci—
"Scendi
da lì."
"Che?
No, no, no, sono totalmente al sicuro quassù, Kristopher,
l'ho
fatto un migliaio di volte—hai detto che non mi so
arrampicare sulle montagne,
ma so scalare i palazzi. E'
facile, scivoli solo fino al bordo qui
e—oops! Non così, non lo
fare—"
Kristoff
sta cercando di decidere quando sia diventata una maniaca suicida,
e poi si accorge con un sussulto che è sempre
stata una maniaca suicida,
se si pensa a portami alla Montagna del Nord e prendimi!
e ci
limiteremo soltanto a parlare con mia sorella, la pazza regina delle
nevi—si
sfila i guanti e si pianta sotto di lei, braccia protese in avanti per
parare
la sua inevitabile caduta. Una cameriera si affretta e li supera.
Sul
serio, ma era normale?
"Anna."
"Per
favore, Kristopher," agita la mano con fare drammatico,
spazzando via la sua preoccupazione. "Potrei farlo anche mentre
dormo." E con questo si alza, solleva l'altra gamba portandola via
dalla
sicurezza del balcone, scavalca la ringhiera e la poggia sul cornicione
sottile, cercando di arrivare al bordo di una finestra giusto poco
sopra di
lei.
E
scivola.
E
cade.
E
atterra su di lui col peso di una renna.
"Porca—"
rantola, cercando di riprendere fiato mentre lei
gli rotola via di dosso. Apre la bocca esasperato, gesticolando
incredulo e
indica lei, e il balcone e il tetto e che c—
"Beh,
di solito non cado," Anna tira su col naso, rigida,
inginocchiandosi e spolverandosi la gonna. Allunga il braccio e gli
dà delle
pacche sullo stomaco con cautela, che riesce appena a sentire
attraverso gli
strati spessi del giaccone. "Mi hai messo tensione. Tutto ok?"
"Sono
stato meglio."
"Ma
respiri ancora," fa notare lei.
"Uno
di questi giorni mi ucciderai."
"Ancora
non ci sono riuscita," risponde sfacciata, con un ghigno
fulmineo. Porge la mano e cerca di tirarlo su, ma dopo un po' si
arrende e
crolla accanto a lui. "Cielo, sei una montagna. Ehi, questo
cos'è?"
E
prima che possa mettere assieme abbastanza falsa rabbia per l'insulto,
lei sta già allungando la mano verso un luccichio
arancione che spunta
dalla sua sacca. Lui la scaccia con un buffetto. "Niente. Non
è niente.
Non è per te, perché mai dovresti anche pensarlo?"
Stringe
gli occhi, insospettita. "Kristoff—"
"Perché
cercavi di arrampicarti sul tetto?"
"Beh,
non sapevo quando saresti tornato," dice col viso rivolto
al cielo. Sente un altro drappello di guardie superarli affrettandosi,
e
immagina che quadretto debbano essere, principessa e venditore di
ghiaccio
reale distesi sul terreno erboso pieno di ciottoli. "E ho pensato,
perché
non godersi questa bellissima giornata?"
"Avresti
potuto godertela sul balcone."
"No,
ho un posto speciale, ma ci si può arrivare solo
arrampicandosi."
"Tu
sei pazza."
"Forse?"
"Non
hai—che ne so, roba da principessa
da fare o cose
così—"
"No.
Non—Cioè. Non lo so." La voce si affievolisce,
stringe le
labbra. "No. Non io. Sono qui e basta."
Volta
la testa per guardarla, prendendo in considerazione l'idea di scavare
più a fondo, ma lei se lo butta presto alle spalle e si
inginocchia di nuovo,
riuscendo a colpirgli la testa mentre lo fa.
"Ohi—"
"Scusa!"
"Kristopher?"
Un'altra voce. Lui si sfrega la mascella, alzandosi
in piedi e volgendo lo sguardo al sentiero che porta al cortile
centrale. Là
c'è un uomo corpulento, con il naso grosso, e una familiare
occhiata di
quasi-disgusto. Kai. Quasi-disgusto probabilmente perché lui
puzzava e Sven
stava esaurendo le loro scorte di fieno e spazio, e lui era solo un
venditore
di ghiaccio, dopo tutto, anche se un venditore reale.
"Mi
chiamo Kristoff," Kristoff dice.
"Sì,
beh, il tuo ghiaccio si sta sciogliendo. Ti dispiace rivolgere la
tua attenzione a esso, e sistemarlo nelle celle in cucina?" chiede.
"Certo."
Kristoff risponde, senza sforzarsi più di tanto a
rispondere. Invece si volta verso Anna, ancora in ginocchio a terra, e
la
afferra da sotto le braccia, alzandola in piedi.
"Oh,
grazie, grazie di tutto, non avevo—ha!" ride nervosa,
stringendosi la destra con la sinistra.
"Di
niente," dice, e questa volta si sforza più
di
tanto a rispondere—un sorriso, piccolo e nervoso.
"Devo
informarvi," Kai fa un educato colpetto di tosse, e rompono
il contatto visivo, "che c'è una ragazza scomparsa che
stiamo cercando di
trovare. Sette, forse otto anni."
"Ragazza
scomparsa? Ci penso io! Sì, sì, signore!" Anna
offre il
saluto, quando invece, Kristoff pensa, battendo velocemente le
palpebre, quello
che avrebbe dovuto fare era chiedere, no, come ci fosse arrivata
lì la ragazza,
da dove veniva, che ci faceva nel palazzo. Pensa
che quest'atteggiamento
nonchalant verso tutte le situazioni insolite debba davvero dipendere
solamente
dalla questione dei cancelli chiusi e della magia del ghiaccio.
Sì,
quello.
Kai
le fa un sorriso affettuoso, prima di rivolgere a Kristoff un'ultima
occhiata, quasi fulminante—doveva riconoscerglielo, sapeva
nascondere bene le
proprie emozioni—e torna da dove è venuto.
"Beh,
devo andare—il ghiaccio e—già." Le
dà un bacio sulla
guancia leggero, veloce, insicuro. Lei sorride.
"Ehi,
Kristoff?"
"Sì?"
si ferma, voltandosi a metà.
"Il
mio nascondiglio segreto. Più tardi te lo
mostrerò."
"E'
un appuntamento," fa senza pensare, e poi impallidisce.
"Voglio dire, potrebbe essere un appuntamento, se tu
volessi—voglio dire,
umire con sce—no, voglio dire, uscire con me—"
"Kristoff!"
Anna ride, con gli occhi che brillano. "E' un appuntamento."
Lui
annuisce, un lato della bocca che si solleva.
Kristoff
ritorna nel cortile saltellando.
"A
che gioco stavate giocando, ieri?" Elsa chiede piano. Stanno
controllando dietro tutte le tende della sala dei banchetti, attenti in
ascolto
del più piccolo passo, del più lieve respiro.
All'improvviso il palazzo sembra
come infestato—le tende che ondeggiano, il baluginio delle
candele, quel qualcosa
che guizza negli specchi quando passano—tutto potrebbe essere
una ragazzina che
si nasconde nell'ombra.
Ma
quando si avvicinano, e non trovano nessuno, Elsa riesce solo a pensare
ai fantasmi.
"Salva
il Principe," Petter risponde serio. "Qualche volta è
Salva la Principessa, ma a Klara quello non va tanto."
"Capisco."
Dietro
le tende non c'è altro che muro. Sospira.
"Beh,
Petter. Suppongo che dovemmo provare nell'atrio, adesso."
"Oh,"
Anna dice, sorridendo lentamente. "Salve."
"Salve,"
la bambina tira su col naso.
Era
bello il suo posto segreto, e sarebbe stata una giornata piacevole se
l'avesse passata a fissare il cielo da lì, senza dubbio, ma
qualcosa del fatto
che quella sera l'avrebbe mostrato a Kristoff le faceva venire le
farfalle allo
stomaco, e tendere i nervi come corde di violino, quindi era andata nel
suo secondo
posto segreto, che non era proprio un posto segreto, era più
la galleria
d'arte—
"Sei
tu quella che cercano tutti?" chiede, facendo un passo
avanti. Conosceva ogni centimetro di quella stanza, ogni quadro, ogni
panca,
ogni pannello dell'intricato parquet. La luce pomeridiana irrompeva dai
vetri a
piombo. C'era una ragazzina che fissava uno dei dipinti più
grossi, la testa
piegata di lato, e Olaf era in piedi accanto a lei.
"Anna,"
inizia il pupazzo di neve, "Non so se dovresti
esserne al corrente, ma ho trovato una bambina."
"Lo
vedo," Anna dice, con un passo avanti. "Hai messo in
agitazione tutto il palazzo," continua. "Voglio dire, quasi come la
volta in cui mi sono chiusa nella credenza da sola e dovettero, ecco,
tirarmi
fuori con una sega—ovvio che fu un incidente,
volevo solo un po' di
pudding al mou, voglio dire, quella roba è fantastica, l'hai
mai
mangiata?"
"No."
"Huh,
sul serio? E comunque penso proprio che fosse stantio."
Anna fa spallucce. "Cheffai?"
"Guardo
i quadri."
"Hm,"
Anna si ferma, in piedi accanto alla ragazzina e al pupazzo
di neve, e guardando in alto uno dei suoi preferiti—la
ragazza sull'altalena.
"Questo lo adoro."
"Le
stavo proprio raccontando di come tu ed Elsa li abbiate dipinti
tutti," Olaf fa, battendo le mani. "Non sono artiste
fantastiche?" sussurra a mezza bocca.
"Ma
per niente 'sti qua li hai fatti tutti te," afferma la
bambina.
"No,
io ne ho dipinti solo, tipo, sei." Anna si esamina le
unghie. Poi sorride. "Scherzavo! Li abbiamo presi tutti
da—commercianti o
cose così, non lo so. A mia mamma piacevano un sacco i
dipinti."
"Chi
è tua mamma?"
"La
Regina."
"La
Regina?"
"Beh,
la regina di prima. Adesso la regina è mia sorella. Quindi,
mia
mamma era la vecchia regina—apprezzava l'arte," Anna dice,
inclinando la
testa in alto verso la fanciulla felice, le delicate sfumature di rosa
e verde.
Era stata sul punto di dire, apprezzava la bellezza,
ma poi pensa ai
poteri di Elsa, e cambia in, apprezzava la bellezza sotto
controllo.
"Tu
non sei la principessa."
"Perché
no?" Anna chiede, imperturbata
"Perché
le principesse indossano corone e vestiti eleganti. Tu
invece hai la terra sopra la gonna."
Anna
si guarda il corsetto informale, la veste sotto di esso ancora
più
informale, e la gonna stropicciata e spiegazzata. E ti pareva, c'era
una
macchia d'erba su un fianco, e una marroncina su un ginocchio, che si
era fatta
quando era atterrata su Kristoff. Cosa che stava diventando
un'abitudine.
Probabilmente avrebbe dovuto smettere.
"Hai
ragione."
"E
quindi tu chi sei?"
"Chi
sei tu?"
"'So'
Klara."
"Io
sono Anna."
"E
io sono Olaf!"
"Che
lo so ," scatta la bambina, rivolgendosi al pupazzo di neve.
"Ti
diverti, a guardare i ritratti?" Anna chiede. La bambina la
considera, con le labbra premute, un broncio testardo.
"Sì."
Anna
sorride. "Mi piacevano un sacco perché ti potevano portare
altrove. Non sono mai stata brava con l'arte, però."
"Già."
Anna
la guarda in maniera furbetta, e dice, "Vuoi divertirti di
più?"
Klara
annuisce.
Elsa
guarda, in basso, Petter. Il bambino sembra infelice, e stanco; e i
suoi genitori, ovunque essi siano, sicuramente sono preoccupati da
morire.
"Solo
quest'ultima sala," dice, mentre voltano l'angolo ed
entrano nel corridoio con la porta che porta galleria dei ritratti.
"Sono
sicura che è qui."
"Mhm."
Si
ferma col piede a mezz'aria, perché la porta in questione
è aperta, e si
sentono riecheggiare delle risate.
Elsa
avanza in fretta.
Voleva
solo trovare la sua amica, per farlo contento, ma
beh, è che
solo—è che non—era—
Anna
rimbalza su e giù sui cuscini decorati delle panche, Klara
accanto a
lei, e ridacchiano tutte e due come matte. Olaf galleggia sul pavimento
di
legno, urlando, "Più in alto, alto! Scivola e gira, scivola
e gira!"
—era
la sorella inadatta a quel compito.
"Klara,
sei in groooooossi guai!" Petter le urla,
a
mò di saluto.
"Non
è vero!" Klara urla di rimando. "Da dove sei
spuntato?"
"Ehi,
Elsa, ho trovato la ragazza!" Anna ghigna. La panca si
sposta, scivolando via dalla loro traiettoria, e finiscono con l'essere
un
groviglio al suolo. "Cavolo, oggi sono praticamente sempre a terra da
tutte le parti, e che cos' è—"
"Vedi,
non puoi essere na principessa, vedi che continui a cadere."
"Sì,
si, infierisci, perché no—"
Elsa
allaccia le mani avanti a sé, osservando la scena. Petter
pattina in
avanti, inciampando per la fretta su Olaf cosicché
il pupazzo si rompe in
tre parti e scivola lungo il pavimento. Il bambino atterra pesantemente
sul
sedere a parecchi metri dalla sua amica, e continua, all'istante, a
urlare,
"Non ti puoi intrufolare nei posti—"
"E
invece si!"
"E
invece no! Hai costretto la
maestà-regina a cercarti
dappertutto—"
Klara
si stropiccia gli occhi, alzando il mento in direzione di Elsa. Si
alza in piedi, e ad Elsa all'improvviso tornano in mente le parole del
Principe
Albert, il giorno prima—Credo proprio che Klara un
giorno si unirà alla Sua
guardia Reale—
"Devi
far venire Albert a trovarci," fa la ragazzina.
Elsa
sbatte le palpebre, attonita. Era stato questo a
provocare
tutto il grande fiasco? Anna la guarda confusa, ancora spaparanzata a
terra
senza grazia.
"Se
ne è andato e ha detto che non poteva tornare
più,"
Klara spiega, "ma non abbiamo finito la partita. E ha perso questa."
Klara ripesca da una delle ampie tasche del vestito troppo grosso un
pezzo
ripiegato di pergamena. E' stropicciato dal correre, e dai giochi;
spiegazzato,
e sporco. Ma c'è il sigillo di Arendelle impresso
inconfondibilmente sul retro
in ceralacca viola sontuoso. "Mamma l'ha presa e ha detto che oggi
veniva
a palazzo, ma poi ho visto che la nascondeva sotto il cuscino, quindi
l'ho presa io."
Elsa
ha freddo, dalle punte delle dita alla pianta dei piedi. La
temperatura nella stanza cala vertiginosamente. Sua sorella se ne
accorge
subito, si tira su e fa un passo avanti. "Elsa?" chiede. "Cosa
c'è?"
La
lettera che aveva scritto lei. La sua
lettera. Ovvio,
il principe Albert l'avrebbe opportunamente persa, ovvio,
sperava che
sparisse—era stata una stupida a credergli sulla parola,
troppo ingenua,
troppo—troppo tutto—doveva
essere una regina forte, una regina giusta, e
questo voleva dire mandare i propri ambasciatori, risolvere la
questione, e
niente più Isole del Sud—
"Elsa!"
La voce di Anna è tagliente. C'è della brina
lungo la
cornice della porta, sui pannelli delle finestre. Il ghiaccio incede
dagli
angoli della stanza, minacciando i dipinti. Con un respiro veloce
recede.
Scompare. Alza gli occhi. Incrocia lo sguardo allarmato della sorella.
"Sì,"
fa distratta. "Sì, dovremmo andare dal principe
Albert."
Klara
batte le mani eccitata, dimenticando la lettera, che cade a terra
come una foglia morta. La ragazzina inizia a parlare con Petter, grida
di avventura
e divertimento. Elsa si avvicina alla cosa caduta a
terra come un
cadavere, chinandosi, raccogliendola in modo alquanto meccanico. La
ripiega e
la intasca.
"Stai
andando dal principe Albert?" Anna chiede.
Elsa
va verso la porta.
"Elsa!"
Sua sorella urla, abbastanza disperata. Lei si
volta, scossa dalla sua trance. "Elsa, che c'è?"
"Devo
parlare con il principe."
"Non
puoi lasciarlo perdere? Per favore?"
Elsa
tasta la lettera. "No. No, non posso."
"Beh, lascia che porti io Klara e—e—diamine,
non—beh, lascia che porti
tutti e due da lui e poi a casa propria, perché tu invece
non—"
"No.
No, devo risolvere la questione." Pensava di
aver risolto la questione.
"Elsa,
lascia che ti aiuti, ti prego!"
"Non
puoi, Anna," Elsa sospira. "Sono io la regina."
Anna
rimane a bocca aperta. Avevano davvero fatto pupazzi di neve solo la
scorsa notte? Sua sorella rimane a bocca aperta, ed Elsa sa
perché—perché Sono
io la regina era solo un modo per dire tu sei la
figlia di troppo, o
qualcosa del genere—che non era quello che—non era
quello che voleva implicare,
solo che non riusciva a organizzare i pensieri. Si sentiva
così sottile, come
un velo di burro strusciato su troppo pane—
"Terrò
la bocca chiusa davanti a lui." La voce di Anna è sottile.
"Te lo prometto."
Elsa
scuote la testa. "A breve sarò di ritorno. Petter. Klara,"
chiama, cercando di contenere il gelo che trapela dal suo tono.
Vuole
dormire.
Si
volta via, verso l'atrio. Il suo volto è teso. E'
così stanca.
"Sono
io la regina," sussurra.