Capitolo
8
"Ah,
eccoti qui. Non startene lì impalato, a meno che tu non
voglia
diventare di pietra."
Hans
manda giù un groppo alla gola, costringendo il proprio volto
a essere
privo di ogni espressione. Fa un mezzo sorriso, freddo, composto.
"Perché,
puoi farlo?"
"Forse,"
Niels fa in tono piatto, da un angolo oscuro delle
proprie stanze. "Hai voglia di scoprirlo?"
Il
sorriso di Hans si irrigidisce agli angoli. "Non vorrei turbare la
tua delicata sensibilità."
"Nemmeno
cinque minuti che sei fuori dalla prigione," dice il re.
Non l’aveva visto lì seduto, accanto al fuoco, che
beveva il tè e stringeva le
labbra, come se in qualche modo prendere il tè in camera di
Niels fosse la cosa
più normale del mondo. E non lo era. Hans riusciva a contare
sulle dita di una
mano il numero delle volte che era riuscito a scorgere per un attimo
l’interno
della stanza; ventitré anni, e non ci era mai entrato prima.
Adesso
lo fa. Un piede prima della soglia, uno oltre. Immediatamente la sente,
quest’atmosfera, pesante e oppressiva, come un calcio nei
fianchi. Un’emicrania
è in attesa di scatenarsi al limite dei suoi pensieri; il
desiderio di tornare
nella sua piccola cella sudicia, con la poltiglia vecchia di tre giorni
e la
brandina sfondata. Niels dice, distratto, "Chiudi la porta."
Hans
la calcia chiusa con più violenza di quanto strettamente
necessario.
Si sente come se gli avessero mozzato il respiro.
C’è un corvo, inchiodato al
tavolo per le ali, e il becco è spalancato in maniera
innaturale. Metà delle
sue interiora è sparso come un acquerello sulle venature del
legno. Stringe le
labbra.
"Tè,
Hans?"
"Sì,
grazie." Arriva al caminetto, e si sistema con cautela sulla
sedia libera direttamente di fronte al re, quasi immaginando che
potesse
ingoiarlo tutto intero. Non lo fa. È una sedia perfettamente
normale. Eppure,
si appollaia proprio sul bordo, pronto a volare via; il mal di testa in
arrivo
con tutta la sua forza dietro gli occhi.
"Zucchero?"
"No,
grazie."
Hans
afferra la tazza di tè prima che suo fratello possa
passargliela e
beve un piccolo sorso. Inizia a capire perché non
c’era mai entrato prima, in
quella stanza; la bocca del re è rigida. Nemmeno lui sarebbe
stato lì, Hans
realizza, con una specie di soddisfazione perversa, se non avesse avuto
bisogno
di qualcosa di—grosso.
"Il
resto del regno non sa del tuo breve imprigionamento; questo
aspetto lo manterremo segreto," comincia il re. Hans sente un
gracchiare
morente; una specie di verso roco che sembra, sospetta, quello di un
corvo. Si
costringe a rimanere immobile, dritto, a guardare il re dritto in
faccia.
"Ho incaricato Niels di trovare una soluzione alla questione del
ghiaccio."
Hans
non riesce a trattenersi, ride. Deve posare la tazza, per evitare di
rovesciare il tè. "La questione del ghiaccio?"
"Esatto,"
il re risponde, inarcando un sopracciglio. "Lo
trovi divertente?"
"Ha
praticamente destinato alla rovina il proprio regno, e questo prima
che capisse come controllarlo. Arendelle ormai è persa per
noi—"
"Arendelle
è in una posizione ideale per gli scambi commerciali.
È
grande, il commercio di ghiaccio è fiorente, e possiede
risorse naturali senza
rivali. Davvero credi che mi arrenda senza combattere?" gli occhi del
re
scintillano, scuri. Si ferma, sistemandosi sulla sedia e rovesciando
una pila
di libri vicino ai suoi piedi, e attirando l’attenzione di
Hans; la copertina
di uno sembra fatta di carne spaccata, secca e scura. Il re continua,
dopo un
momento, "Dimmi, Hans, sei bravo a giocare a scacchi?"
Hans
lo guarda con le palpebre pesanti. Dice, "Non gioco
granché."
"Beh,"
il re replica, con un sorriso teso, "questo è
ovvio." Pausa. Un battito cardiaco. Hans desidera strangolarlo, ma non
riesce a muovere le braccia. Si sente una formica, là sulla
sedia, in attesa di
essere calpestata. Cosa era successo, cosa era cambiato? Giù
nella sua cella scusa
si era immaginato tutto chiaramente, vividamente, la sicurezza con cui
avrebbe
agito, le mani alla gola, e adesso—adesso—
Adesso
non riusciva nemmeno a muoversi.
"Il
tuo fallimento ha fatto sì che Arendelle non si
fiderà mai più di
noi. Ma non sto chiedendo fiducia," il re sorseggia il tè.
"Solo
cooperazione."
Hans
ha la bocca impastata, il mal di testa martellante, un pulsare
tribale. Sente il rantolo, ormai fantasma, del corvo. "Come hai
intenzione
di convincerla a cooperare?"
"Ah,
mio caro fratellino," il re sorride, calmo, controllato; un
sorriso che Hans mostra ogni ora di ogni giorno, un sorriso che
riconosce.
"La prima regola degli scacchi è mai rivelare la tua
strategia.
Niels," finisce, scattando secco, "come procede?"
"Come
ci si aspetterebbe," ritorna la voce di suo fratello.
"Ritornerò
prima che faccia notte per vedere come vanno le cose. Devo
occuparmi di altre questioni."
"Vostra
maestà."
"Ti
accompagno—" Hans inizia, perché non riesce a
sopportare
quella stanza.
"No,"
il re lo blocca con un aggraziato cenno di mano, alzandosi
e stiracchiandosi. "Rimarrai qui." Si avvia alla porta, ed ecco la
sua schiena, una scena così familiare. "E aiuterai tuo
fratello."
Gli
si secca la bocca.
"Ti
ho portato ciò che mi hai richiesto," il re dice, voltato di
schiena. Hans ci impiega un momento per accorgersi che si sta
rivolgendo non a
lui, ma, invece, a Niels. "Mi aspetto dei progressi in mia assenza."
"Ma
certo."
"Richiesto?"
Hans si lascia scappare. Non voleva. Si alza,
inclinando troppo la tazza. Si rovescia sul pavimento, ma non si versa
alcun
liquido. Strano. Non ricordava di aver bevuto tutto. Non gli piaceva
questa
situazione; si sentiva più intrappolato di quando era stato
rinchiuso dietro
quelle sbarre grigie, dritte, in quella cella piccola e
fatiscente, qui
nella stanza con le tende rosse e gli abiti regali e—
"Hans,"
il re si ferma alla porta, la mano sospesa sul pomello,
"cosa scioglie il ghiaccio?"
"Il
fuoco, ma non capisco cosa—"
La
porta si apre, la porta si chiude, e rimane solo con Niels.
"Il
fuoco," ridacchia suo fratello. "Hai indovinato al primo
tentativo, fratello mio. Ora, avvicinati," sente dei piccoli passi,
ansimanti, "e dammi una goccia del tuo sangue."
"Ehi,
Elsa. Psst. Ehi, sveglia."
"Anna,"
mormora nel cuscino. "Torna a dormire."
Sua
sorella le si butta addosso, cinquanta chili e più di peso
morto,
abbastanza da mozzarle il respiro. Torce le dita, e con il piccolo
aiuto di una
brezza gelida riesce a capovolgere Anna sotto sopra e a catapultarla
dall’altra
parte del letto. Lo starnazzio di protesta di sua sorella è,
forse, uno dei
suoni meno principeschi che abbia mai sentito.
"Non
è leale."
"Nemmeno
svegliarmi nel bel mezzo della notte." Anche se
l’interruzione degli incubi in cui sognava nasi rotti era la
benvenuta. Ed era
stato un giorno tranquillo, si supponeva, dopo il ritorno dalla
chiacchierata
con il Principe Albert. Un giorno tranquillo, bello, anche se non
riusciva a
togliersi di testa l’immagine della sua sagoma insicura, con
le spalle curve;
anche se aveva avuto allucinazioni di fratelli che si moltiplicavano
come
conigli e invadevano la sua privacy quando tutto quello che voleva era
solo essere
lasciata in santa pace—"Cosa
c’è che non va?"
Il
mento di Anna è appoggiato sul bordo del letto, le guance
gonfie.
"Dov’eri, prima?"
"Mi
stavo occupando di alcuni affari."
"Anche
io posso occuparmi di affari."
"Non
mi fido di te che ti occupi degli affari."
"Beh,
non ho mai—"
"Non
tutti gli affari," Elsa si scusa con un mezzo
sorriso. "Specialmente non gli affari che implicano che tu tenga la
bocca
chiusa."
Anna
ci pensa su. "Comprensibile."
Pausa.
"Cosa c’è che non va, Anna?"
"Mamma
e papà erano innamorati?"
Elsa
sbatte le palpebre. "Scusa?"
"Mamma
e papà—eddai, Elsa, mi hai sentita già
la prima—"
"Beh,
sì. Credo di sì."
"Credi?"
"Beh,
non è che per forza la nostra relazione fosse—fantastica."
Elsa pensa ai guanti. Il decoro, una necessità. "Ma suppongo
di sì, si
amavano." Si siede, abbracciando le ginocchia con le mani e guardando
scaltra in tralice la sorella, dove stava ancora seduta, col mento
appoggiato al
letto. "Riguarda te e Kristoff?"
"Ha!
Ha, e perché mai pensi che—si, ok, riguarda me e
Kristoff."
Anna si arrampica accanto a lei, non proprio aggraziatamente,
gettandosi ai
piedi del letto e aggrottando le sopracciglia verso il baldacchino blu.
"Pensavo
che aveste sistemato le cose, dopo che ti sei procurata una
concussione per andare a salvarlo", Elsa risponde, secca.
"Non
è colpa mia se quella piccola voragine
aveva pareti così
dure, ok?" Anna gonfia il petto e fa un sospiro profondo. "Vorrei
solo," solleva le mani dallo stomaco, "vorrei che tutto fosse
semplice. Vorrei solo non avere paura."
"Paura?
Perché hai paura?"
"Dopo
la porta aperta."
"Perdonami,
come?"
"Quando
sono uscita fuori, con quella bufera, l’ho fatto solo per
salvarmi. Era carina, l’idea che Kristoff potesse essere
innamorato di me,
mentre io—io non volevo morire solamente, capisci? Voglio
dire, chi vorrebbe
una cosa del genere, ho ragione?"
"Oh,
Anna—"
"No,
non lo—non lo sto dicendo per farti sentire in colpa, sto
solo
cercando di capire cosa provo, perché ecco cosa
è successo, ma poi l’ho
baciato e ho sentito qualcosa qui." Si colpisce il
petto.
"Sono stanca," finisce, lamentandosi.
Elsa
allunga la mano e sistema a sua sorella una ciocca scomposta di
capelli, infilandola dietro l’orecchio; iniziavano
già ad assomigliare a una
balla di fieno, rigidi e scompigliati. "Hai mai riflettuto sul fatto
che
forse tu ci stia pensando troppo su, un bel po’?"
"Elsa,"
Anna si volta a guardarla. "Volevo sposare un uomo
che avevo appena incontrato. E si è rivelato un totale idiota."
"Ma
Kristoff non è—lui non è—"
non riesce a pronunciare il nome,
e finisce, "un idiota."
"Pensa
di non piacerti."
Elsa
si acciglia. "E da dove gli è saltata fuori quest’
idea?"
Anna
la spia con un occhio solo. "Beh, non è che tu sia
esattamente
espansiva e coccolona. Ma è questo che fa di te un fiocco di
neve speciale,
quindi non ci pensare troppo."
Elsa
spinge le gambe di Anna giù dal letto con un calcio.
"Ehi!"
"Forse,"
Elsa comincia, guardandosi le mani, "non dovresti
farti prendere tanto dalle definizioni e le etichette. È
come," ne apre
una, in modo da tenere il palmo teso verso l’alto, illuminato
dalla luce della
luna. Uno strattone sotto lo stomaco, la neve nelle vene, e piano,
piano, il
ghiaccio affiora. Fa delle forme che sono loro familiari fin da
piccole, la
decorazione delle porte, fiori e spirali che luccicano viola alla luce.
"Ma nel preciso momento in cui cerchi di definirlo, non ci riesci."
“Mi
piacerebbe riuscirci."
"Lo
so." Osserva di nuovo la propria creazione, per un momento.
"è
bellissimo," Anna dice.
Elsa
flette le dita e l’intera forma si disintegra, cade e diventa
soffice
neve. Esclama, in fretta, "Ma promettimi una cosa."
"Sì?"
"Darai
ascolto," dice, pungolandola piano col dito sulla spalla,
"solo al tuo cuore."
Anna
torna a fissare quel baldacchino blu. Non parla, e adesso che
l’ha
detto, Elsa non è sicura della validità del
consiglio. Non era una madre; non
era nemmeno una sorella decente. Come avrebbe potuto saperlo?
Tum,
tum. Silenzio. Tum.
"Ehi,"
Anna si volta sul fianco, con un sorriso malandrino.
"Ehi, Elsa, ehi."
Elsa
solleva un sopracciglio. La sorella si avvicina, ancora più
vicina.
Sussurra—
"Facciamo
un pupazzo di neeeeeeeeeeve?"
Il
sole ha appena iniziato a delineare le cime delle montagne lontane
quando arriva ai margini della Valle delle Rocce Viventi. Ascolta i
suoni della
propria infanzia—le urla frenetiche dei troll mentre
preparano il letto di
muschio perfetto, mentre sono alla ricerca dei bambini che sono
sgattaiolati
via, mentre gareggiano a colpi di racconti. Ascolta, e fa un sorriso
sghembo.
Lui era sempre stato tanto silenzioso, che sua madre temeva avesse
subito
qualche trauma.
Scuote
la testa, con affetto, e si infila tra le grosse rocce che
delimitavano l’inizio della valle. Voleva fare toccata e
fuga, in fretta, il
che significa che doveva trovare Granpapi prima che gli altri
trovassero lui.
Il vecchio troll era solito dormire ai margini; si lamentava sempre, e
molto,
del rumore, ma Kristoff era sempre riuscito a scorgervi un
sorriso—
Inciampa
su una roccia particolarmente bitorzoluta, e a malapena mantiene
l’equilibrio. Immediatamente sente: "C’è
un motivo se io—oh, Kristoff, sei
tu."
Si
volta, e lì, che lo osserva dal basso, ecco Papi. Urla dalla
valle un
po’ più lontana gli arrivano. "Scusa, Gran Papi."
Il
troll si srotola completamente, le giunture che scricchiolano
grattando,
. Agita le dita tozze. "Non preoccuparti. Vedo che Bulda ti ha
sistemato
bene."
Kristoff
sbatte le palpebre, confuso, poi si ricorda la gamba. "Oh!
Sì, come nuova, sul serio."
"Eccellente.
E come sta la principessa?"
"Bene.
Parla di nuovo e cose così, lei sta—grazie,"
finisce,
piegandosi sulle ginocchia.
"Devo
chiamare Bulda?"
"No,
no, devo tornare indietro—devo cavare un po’ di
ghiaccio. Mi sono
solo fermato a chiederti una cosa."
Gli
occhi di Papi sono pozzi antichi, neri, profondi. I cristalli ambrati
che ha appesi al collo fanno clink appena annuisce.
"Certo. Però,
non sarà contenta quando scoprirà che sei venuto
e non sei andato a
trovarla," aggiunge, sarcastico.
Kristoff
fa una smorfia. "Lo so."
"Di
cosa hai bisogno?"
"Beh,
è che—Anna mi ha detto che si sente ancora gelata.
Tutto il
tempo. Ieri mattina è uscita vestita completamente con gli
abiti invernali. E
me lo ha accennato, quando si è fatta male.
È—è normale?" Per quanto
normali, pensa, potessero essere le cose che la riguardavano.
Papi
si acciglia. "La sua situazione è, di per sé,
unica. Si è
trasformata, da quanto ci hai detto, completamente in ghiaccio, prima
di
sciogliersi. Per alcuni secondi è diventata
tutt’uno col ghiaccio. Non c’è da
sorprendersi, quindi, che ne abbia trattenuto un po’, anche
dopo il
disgelo."
Kristoff
si lecca le labbra. A volte si chiede come faccia ad amare tanto
il ghiaccio, dopo tutto quello che gli aveva fatto passare. "Esiste un
modo, qualsiasi, di farlo—andare via?"
"Forse,
col tempo," Papi risponde, grattandosi la criniera di
erba morente. "Ci deve sempre essere speranza per
cose del genere.
Pensavo, comunque, che tra sua sorella, se stessa, e te, avesse trovato
tutto
l’amore di cui aveva bisogno per sciogliere un problema del
genere."
"Oh,
non credo che sia innamorata di me," fa in fretta,
arrossendo.
"Cosa
te lo fa dire?" Papi inclina la testa.
"C’è
qualcosa che possiamo fare per aiutarla?" Kristoff chiede; e
la differenza tra Granpapi e sua madre è che Granpapi gli
lascia cambiare argomento.
Il vecchio troll annuisce lentamente.
"Un
poco, sì." Batte una delle sue dita grigie, tozze, sul
terreno. Si sente una specie di tintinnio, e l’erba si piega;
sotto di essa, la
terra sembra una bolla, la superficie che fluttua, multicolore.
Granpapi dice,
"Dalle profondità della terra io ti invoco, o cristallo che
porti il
calore del fuoco."
Piano,
pianissimo, una punta arancione spunta fuori dal terreno. Papi
allunga la mano e la estirpa, come un fiore, un cristallo non
più grande del
suo pollice, che brilla di un arancio-rosso caldo, ambrato. Lo stringe
tra le
mani e dice, con aria cospiratoria, "Manteniamo la cosa tra me e te,
ok?
Non vogliamo di certo che i piccoli pensassero di poter evocare
cristalli di
fuoco a loro piacimento."
Kristoff
ride guardando Granpapi a bocca aperta. "Vuoi dire che in
tutto questo tempo li hai mandati a fare missioni—"
"Shhhhhh,"
l’anziano troll sorride affettuosamente. "Ecco,
prendi. Dovrebbe dare alla principessa un po’ di sollievo dal
freddo."
Kristoff
prende in mano il cristallo con attenzione. Immediatamente sente
il calore percorrergli le dita, una sensazione piacevole, un pizzicore
tiepido,
anche attraverso i guanti spessi. Lo infila nella sacca. "Grazie, Gran
Papi."
"Kristoff,"
Papi sorride, "sei di famiglia. A volte ho paura
che te lo sia dimenticato."
"Ho
sentito bene… Kristoff?"
"Oh,
no," Kristoff dice, mentre Bulda rotola verso di loro dalla
valle e salta su, le sopracciglia aggrottate per la rabbia. "Ma, non
è
quello che—"
"Quindi
adesso non ti abbassi a visitare tua madre, eh? Pensi di
andartene via di soppiatto, strisciare al margine delle
cose—vieni qui!"
Balza in avanti e lo stringe in un abbraccio che lo manda a gambe
all’aria.
"Ma!"
"Ti
avevo detto di non usarla, quella gamba! Ragazzi!" urla,
voltando la testa. Kristoff coglie lo sguardo divertito di Papi.
"No,
Ma, ti prego, devo andare, Sven mi aspetta—"
"Kristoff
è a casa!" strilla allegramente.
Papi
gli sorride mentre lo trascinano fuori dal loro piccolo nascondiglio,
fino al centro della valle. "Fattelo scivolare addosso," fa il
vecchio troll, saggio.
"è
dura," Kristoff sospira, tirando su col naso.
E
poi è travolto.
"Siete
entrambi consapevoli, presumo, di ciò che dipende dal
successo
di questo viaggio?"
"Sì,
vostra maestà," rispondono in unisono.
"Bene."
I gabbiani strillano nell’aria del primo mattino.
"Che sia un viaggio prospero, ambasciatori," proclama ad alta voce,
con un sorriso sincero, profferendo una mano. Tomas la stringe per
primo. La
fiala scivola non vista tra i loro palmi; suo fratello la intasca con
disinvoltura. La stretta di mano di Viktor è pura scena.
Alfons dice,
sottovoce, in modo da evitare che la gente riunita sul molo li senta,
"Una
goccia. Tutto quello che ci vuole."
Tomas
e Viktor fanno due ghigni identici, scaltri e bramosi. "Sì,
vostra maestà," rispondono in unisono.
Si
volta, pronto ad andare via dal pontile, il sole che gli scalda la
schiena. All’ultimo secondo, si ferma. "Oh, e ragazzi?"
"Sì?"
rispondono.
"Nel
caso incontriate Albert," il re fa un sorriso a labbra
serrate, "portategli i miei saluti."