Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: thefireplanet    15/05/2014    1 recensioni
Ci sono dei pesi, quando sei regina, che non hanno niente a che fare con una maledizione. Ci sono dei doveri, quando sei principessa, che non hanno niente a che fare con l'essere una sorella. E la strada per il vero amore non è mai stata in discesa.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8

 

 

"Ah, eccoti qui. Non startene lì impalato, a meno che tu non voglia diventare di pietra."

Hans manda giù un groppo alla gola, costringendo il proprio volto a essere privo di ogni espressione. Fa un mezzo sorriso, freddo, composto. "Perché, puoi farlo?"

"Forse," Niels fa in tono piatto, da un angolo oscuro delle proprie stanze. "Hai voglia di scoprirlo?"

Il sorriso di Hans si irrigidisce agli angoli. "Non vorrei turbare la tua delicata sensibilità."

"Nemmeno cinque minuti che sei fuori dalla prigione," dice il re. Non l’aveva visto lì seduto, accanto al fuoco, che beveva il tè e stringeva le labbra, come se in qualche modo prendere il tè in camera di Niels fosse la cosa più normale del mondo. E non lo era. Hans riusciva a contare sulle dita di una mano il numero delle volte che era riuscito a scorgere per un attimo l’interno della stanza; ventitré anni, e non ci era mai entrato prima.

Adesso lo fa. Un piede prima della soglia, uno oltre. Immediatamente la sente, quest’atmosfera, pesante e oppressiva, come un calcio nei fianchi. Un’emicrania è in attesa di scatenarsi al limite dei suoi pensieri; il desiderio di tornare nella sua piccola cella sudicia, con la poltiglia vecchia di tre giorni e la brandina sfondata. Niels dice, distratto, "Chiudi la porta."

Hans la calcia chiusa con più violenza di quanto strettamente necessario. Si sente come se gli avessero mozzato il respiro. C’è un corvo, inchiodato al tavolo per le ali, e il becco è spalancato in maniera innaturale. Metà delle sue interiora è sparso come un acquerello sulle venature del legno. Stringe le labbra.

"Tè, Hans?"

"Sì, grazie." Arriva al caminetto, e si sistema con cautela sulla sedia libera direttamente di fronte al re, quasi immaginando che potesse ingoiarlo tutto intero. Non lo fa. È una sedia perfettamente normale. Eppure, si appollaia proprio sul bordo, pronto a volare via; il mal di testa in arrivo con tutta la sua forza dietro gli occhi.

"Zucchero?"

"No, grazie."

Hans afferra la tazza di tè prima che suo fratello possa passargliela e beve un piccolo sorso. Inizia a capire perché non c’era mai entrato prima, in quella stanza; la bocca del re è rigida. Nemmeno lui sarebbe stato lì, Hans realizza, con una specie di soddisfazione perversa, se non avesse avuto bisogno di qualcosa di—grosso.

"Il resto del regno non sa del tuo breve imprigionamento; questo aspetto lo manterremo segreto," comincia il re. Hans sente un gracchiare morente; una specie di verso roco che sembra, sospetta, quello di un corvo. Si costringe a rimanere immobile, dritto, a guardare il re dritto in faccia. "Ho incaricato Niels di trovare una soluzione alla questione del ghiaccio."

Hans non riesce a trattenersi, ride. Deve posare la tazza, per evitare di rovesciare il tè. "La questione del ghiaccio?"

"Esatto," il re risponde, inarcando un sopracciglio. "Lo trovi divertente?"

"Ha praticamente destinato alla rovina il proprio regno, e questo prima che capisse come controllarlo. Arendelle ormai è persa per noi—"

"Arendelle è in una posizione ideale per gli scambi commerciali. È grande, il commercio di ghiaccio è fiorente, e possiede risorse naturali senza rivali. Davvero credi che mi arrenda senza combattere?" gli occhi del re scintillano, scuri. Si ferma, sistemandosi sulla sedia e rovesciando una pila di libri vicino ai suoi piedi, e attirando l’attenzione di Hans; la copertina di uno sembra fatta di carne spaccata, secca e scura. Il re continua, dopo un momento, "Dimmi, Hans, sei bravo a giocare a scacchi?"

Hans lo guarda con le palpebre pesanti. Dice, "Non gioco granché."

"Beh," il re replica, con un sorriso teso, "questo è ovvio." Pausa. Un battito cardiaco. Hans desidera strangolarlo, ma non riesce a muovere le braccia. Si sente una formica, là sulla sedia, in attesa di essere calpestata. Cosa era successo, cosa era cambiato? Giù nella sua cella scusa si era immaginato tutto chiaramente, vividamente, la sicurezza con cui avrebbe agito, le mani alla gola, e adesso—adesso—

Adesso non riusciva nemmeno a muoversi.

"Il tuo fallimento ha fatto sì che Arendelle non si fiderà mai più di noi. Ma non sto chiedendo fiducia," il re sorseggia il tè. "Solo cooperazione."

Hans ha la bocca impastata, il mal di testa martellante, un pulsare tribale. Sente il rantolo, ormai fantasma, del corvo. "Come hai intenzione di convincerla a cooperare?"

"Ah, mio caro fratellino," il re sorride, calmo, controllato; un sorriso che Hans mostra ogni ora di ogni giorno, un sorriso che riconosce. "La prima regola degli scacchi è mai rivelare la tua strategia. Niels," finisce, scattando secco, "come procede?"

"Come ci si aspetterebbe," ritorna la voce di suo fratello.

"Ritornerò prima che faccia notte per vedere come vanno le cose. Devo occuparmi di altre questioni."

"Vostra maestà."

"Ti accompagno—" Hans inizia, perché non riesce a sopportare quella stanza.

"No," il re lo blocca con un aggraziato cenno di mano, alzandosi e stiracchiandosi. "Rimarrai qui." Si avvia alla porta, ed ecco la sua schiena, una scena così familiare. "E aiuterai tuo fratello."

Gli si secca la bocca.

"Ti ho portato ciò che mi hai richiesto," il re dice, voltato di schiena. Hans ci impiega un momento per accorgersi che si sta rivolgendo non a lui, ma, invece, a Niels. "Mi aspetto dei progressi in mia assenza."

"Ma certo."

"Richiesto?" Hans si lascia scappare. Non voleva. Si alza, inclinando troppo la tazza. Si rovescia sul pavimento, ma non si versa alcun liquido. Strano. Non ricordava di aver bevuto tutto. Non gli piaceva questa situazione; si sentiva più intrappolato di quando era stato rinchiuso dietro quelle sbarre grigie, dritte, in quella cella piccola e fatiscente, qui nella stanza con le tende rosse e gli abiti regali e—

"Hans," il re si ferma alla porta, la mano sospesa sul pomello, "cosa scioglie il ghiaccio?"

"Il fuoco, ma non capisco cosa—"

La porta si apre, la porta si chiude, e rimane solo con Niels.

"Il fuoco," ridacchia suo fratello. "Hai indovinato al primo tentativo, fratello mio. Ora, avvicinati," sente dei piccoli passi, ansimanti, "e dammi una goccia del tuo sangue."


"Ehi, Elsa. Psst. Ehi, sveglia."

"Anna," mormora nel cuscino. "Torna a dormire."

Sua sorella le si butta addosso, cinquanta chili e più di peso morto, abbastanza da mozzarle il respiro. Torce le dita, e con il piccolo aiuto di una brezza gelida riesce a capovolgere Anna sotto sopra e a catapultarla dall’altra parte del letto. Lo starnazzio di protesta di sua sorella è, forse, uno dei suoni meno principeschi che abbia mai sentito.

"Non è leale."

"Nemmeno svegliarmi nel bel mezzo della notte." Anche se l’interruzione degli incubi in cui sognava nasi rotti era la benvenuta. Ed era stato un giorno tranquillo, si supponeva, dopo il ritorno dalla chiacchierata con il Principe Albert. Un giorno tranquillo, bello, anche se non riusciva a togliersi di testa l’immagine della sua sagoma insicura, con le spalle curve; anche se aveva avuto allucinazioni di fratelli che si moltiplicavano come conigli e invadevano la sua privacy quando tutto quello che voleva era solo essere lasciata in santa pace—"Cosa c’è che non va?"

Il mento di Anna è appoggiato sul bordo del letto, le guance gonfie. "Dov’eri, prima?"

"Mi stavo occupando di alcuni affari."

"Anche io posso occuparmi di affari."

"Non mi fido di te che ti occupi degli affari."

"Beh, non ho mai—"

"Non tutti gli affari," Elsa si scusa con un mezzo sorriso. "Specialmente non gli affari che implicano che tu tenga la bocca chiusa."

Anna ci pensa su. "Comprensibile."

Pausa. "Cosa c’è che non va, Anna?"

"Mamma e papà erano innamorati?"

Elsa sbatte le palpebre. "Scusa?"

"Mamma e papà—eddai, Elsa, mi hai sentita già la prima—"

"Beh, sì. Credo di sì."

"Credi?"

"Beh, non è che per forza la nostra relazione fosse—fantastica." Elsa pensa ai guanti. Il decoro, una necessità. "Ma suppongo di sì, si amavano." Si siede, abbracciando le ginocchia con le mani e guardando scaltra in tralice la sorella, dove stava ancora seduta, col mento appoggiato al letto. "Riguarda te e Kristoff?"

"Ha! Ha, e perché mai pensi che—si, ok, riguarda me e Kristoff." Anna si arrampica accanto a lei, non proprio aggraziatamente, gettandosi ai piedi del letto e aggrottando le sopracciglia verso il baldacchino blu.

"Pensavo che aveste sistemato le cose, dopo che ti sei procurata una concussione per andare a salvarlo", Elsa risponde, secca.

"Non è colpa mia se quella piccola voragine aveva pareti così dure, ok?" Anna gonfia il petto e fa un sospiro profondo. "Vorrei solo," solleva le mani dallo stomaco, "vorrei che tutto fosse semplice. Vorrei solo non avere paura."

"Paura? Perché hai paura?"

"Dopo la porta aperta."

"Perdonami, come?"

"Quando sono uscita fuori, con quella bufera, l’ho fatto solo per salvarmi. Era carina, l’idea che Kristoff potesse essere innamorato di me, mentre io—io non volevo morire solamente, capisci? Voglio dire, chi vorrebbe una cosa del genere, ho ragione?"

"Oh, Anna—"

"No, non lo—non lo sto dicendo per farti sentire in colpa, sto solo cercando di capire cosa provo, perché ecco cosa è successo, ma poi l’ho baciato e ho sentito qualcosa qui." Si colpisce il petto. "Sono stanca," finisce, lamentandosi.

Elsa allunga la mano e sistema a sua sorella una ciocca scomposta di capelli, infilandola dietro l’orecchio; iniziavano già ad assomigliare a una balla di fieno, rigidi e scompigliati. "Hai mai riflettuto sul fatto che forse tu ci stia pensando troppo su, un bel po’?"

"Elsa," Anna si volta a guardarla. "Volevo sposare un uomo che avevo appena incontrato. E si è rivelato un totale idiota."

"Ma Kristoff non è—lui non è—" non riesce a pronunciare il nome, e finisce, "un idiota."

"Pensa di non piacerti."

Elsa si acciglia. "E da dove gli è saltata fuori quest’ idea?"

Anna la spia con un occhio solo. "Beh, non è che tu sia esattamente espansiva e coccolona. Ma è questo che fa di te un fiocco di neve speciale, quindi non ci pensare troppo."

Elsa spinge le gambe di Anna giù dal letto con un calcio.

"Ehi!"

"Forse," Elsa comincia, guardandosi le mani, "non dovresti farti prendere tanto dalle definizioni e le etichette. È come," ne apre una, in modo da tenere il palmo teso verso l’alto, illuminato dalla luce della luna. Uno strattone sotto lo stomaco, la neve nelle vene, e piano, piano, il ghiaccio affiora. Fa delle forme che sono loro familiari fin da piccole, la decorazione delle porte, fiori e spirali che luccicano viola alla luce. "Ma nel preciso momento in cui cerchi di definirlo, non ci riesci."

“Mi piacerebbe riuscirci."

"Lo so." Osserva di nuovo la propria creazione, per un momento.

"è bellissimo," Anna dice.

Elsa flette le dita e l’intera forma si disintegra, cade e diventa soffice neve. Esclama, in fretta, "Ma promettimi una cosa."

"Sì?"

"Darai ascolto," dice, pungolandola piano col dito sulla spalla, "solo al tuo cuore."

Anna torna a fissare quel baldacchino blu. Non parla, e adesso che l’ha detto, Elsa non è sicura della validità del consiglio. Non era una madre; non era nemmeno una sorella decente. Come avrebbe potuto saperlo?

Tum, tum. Silenzio. Tum.

"Ehi," Anna si volta sul fianco, con un sorriso malandrino. "Ehi, Elsa, ehi."

Elsa solleva un sopracciglio. La sorella si avvicina, ancora più vicina. Sussurra—

"Facciamo un pupazzo di neeeeeeeeeeve?"


Il sole ha appena iniziato a delineare le cime delle montagne lontane quando arriva ai margini della Valle delle Rocce Viventi. Ascolta i suoni della propria infanzia—le urla frenetiche dei troll mentre preparano il letto di muschio perfetto, mentre sono alla ricerca dei bambini che sono sgattaiolati via, mentre gareggiano a colpi di racconti. Ascolta, e fa un sorriso sghembo. Lui era sempre stato tanto silenzioso, che sua madre temeva avesse subito qualche trauma.

Scuote la testa, con affetto, e si infila tra le grosse rocce che delimitavano l’inizio della valle. Voleva fare toccata e fuga, in fretta, il che significa che doveva trovare Granpapi prima che gli altri trovassero lui. Il vecchio troll era solito dormire ai margini; si lamentava sempre, e molto, del rumore, ma Kristoff era sempre riuscito a scorgervi un sorriso—

Inciampa su una roccia particolarmente bitorzoluta, e a malapena mantiene l’equilibrio. Immediatamente sente: "C’è un motivo se io—oh, Kristoff, sei tu."

Si volta, e lì, che lo osserva dal basso, ecco Papi. Urla dalla valle un po’ più lontana gli arrivano. "Scusa, Gran Papi."

Il troll si srotola completamente, le giunture che scricchiolano grattando, . Agita le dita tozze. "Non preoccuparti. Vedo che Bulda ti ha sistemato bene."

Kristoff sbatte le palpebre, confuso, poi si ricorda la gamba. "Oh! Sì, come nuova, sul serio."

"Eccellente. E come sta la principessa?"

"Bene. Parla di nuovo e cose così, lei sta—grazie," finisce, piegandosi sulle ginocchia.

"Devo chiamare Bulda?"

"No, no, devo tornare indietro—devo cavare un po’ di ghiaccio. Mi sono solo fermato a chiederti una cosa."

Gli occhi di Papi sono pozzi antichi, neri, profondi. I cristalli ambrati che ha appesi al collo fanno clink appena annuisce. "Certo. Però, non sarà contenta quando scoprirà che sei venuto e non sei andato a trovarla," aggiunge, sarcastico.

Kristoff fa una smorfia. "Lo so."

"Di cosa hai bisogno?"

"Beh, è che—Anna mi ha detto che si sente ancora gelata. Tutto il tempo. Ieri mattina è uscita vestita completamente con gli abiti invernali. E me lo ha accennato, quando si è fatta male. È—è normale?" Per quanto normali, pensa, potessero essere le cose che la riguardavano.

Papi si acciglia. "La sua situazione è, di per sé, unica. Si è trasformata, da quanto ci hai detto, completamente in ghiaccio, prima di sciogliersi. Per alcuni secondi è diventata tutt’uno col ghiaccio. Non c’è da sorprendersi, quindi, che ne abbia trattenuto un po’, anche dopo il disgelo."

Kristoff si lecca le labbra. A volte si chiede come faccia ad amare tanto il ghiaccio, dopo tutto quello che gli aveva fatto passare. "Esiste un modo, qualsiasi, di farlo—andare via?"

"Forse, col tempo," Papi risponde, grattandosi la criniera di erba morente. "Ci deve sempre essere speranza per cose del genere. Pensavo, comunque, che tra sua sorella, se stessa, e te, avesse trovato tutto l’amore di cui aveva bisogno per sciogliere un problema del genere."

"Oh, non credo che sia innamorata di me," fa in fretta, arrossendo.

"Cosa te lo fa dire?" Papi inclina la testa.

"C’è qualcosa che possiamo fare per aiutarla?" Kristoff chiede; e la differenza tra Granpapi e sua madre è che Granpapi gli lascia cambiare argomento. Il vecchio troll annuisce lentamente.

"Un poco, sì." Batte una delle sue dita grigie, tozze, sul terreno. Si sente una specie di tintinnio, e l’erba si piega; sotto di essa, la terra sembra una bolla, la superficie che fluttua, multicolore. Granpapi dice, "Dalle profondità della terra io ti invoco, o cristallo che porti il calore del fuoco."

Piano, pianissimo, una punta arancione spunta fuori dal terreno. Papi allunga la mano e la estirpa, come un fiore, un cristallo non più grande del suo pollice, che brilla di un arancio-rosso caldo, ambrato. Lo stringe tra le mani e dice, con aria cospiratoria, "Manteniamo la cosa tra me e te, ok? Non vogliamo di certo che i piccoli pensassero di poter evocare cristalli di fuoco a loro piacimento."

Kristoff ride guardando Granpapi a bocca aperta. "Vuoi dire che in tutto questo tempo li hai mandati a fare missioni—"

"Shhhhhh," l’anziano troll sorride affettuosamente. "Ecco, prendi. Dovrebbe dare alla principessa un po’ di sollievo dal freddo."

Kristoff prende in mano il cristallo con attenzione. Immediatamente sente il calore percorrergli le dita, una sensazione piacevole, un pizzicore tiepido, anche attraverso i guanti spessi. Lo infila nella sacca. "Grazie, Gran Papi."

"Kristoff," Papi sorride, "sei di famiglia. A volte ho paura che te lo sia dimenticato."

"Ho sentito bene… Kristoff?"

"Oh, no," Kristoff dice, mentre Bulda rotola verso di loro dalla valle e salta su, le sopracciglia aggrottate per la rabbia. "Ma, non è quello che—"

"Quindi adesso non ti abbassi a visitare tua madre, eh? Pensi di andartene via di soppiatto, strisciare al margine delle cose—vieni qui!" Balza in avanti e lo stringe in un abbraccio che lo manda a gambe all’aria.

"Ma!"

"Ti avevo detto di non usarla, quella gamba! Ragazzi!" urla, voltando la testa. Kristoff coglie lo sguardo divertito di Papi.

"No, Ma, ti prego, devo andare, Sven mi aspetta—"

"Kristoff è a casa!" strilla allegramente.

Papi gli sorride mentre lo trascinano fuori dal loro piccolo nascondiglio, fino al centro della valle. "Fattelo scivolare addosso," fa il vecchio troll, saggio.

"è dura," Kristoff sospira, tirando su col naso.

E poi è travolto.


"Siete entrambi consapevoli, presumo, di ciò che dipende dal successo di questo viaggio?"

"Sì, vostra maestà," rispondono in unisono.

"Bene." I gabbiani strillano nell’aria del primo mattino. "Che sia un viaggio prospero, ambasciatori," proclama ad alta voce, con un sorriso sincero, profferendo una mano. Tomas la stringe per primo. La fiala scivola non vista tra i loro palmi; suo fratello la intasca con disinvoltura. La stretta di mano di Viktor è pura scena. Alfons dice, sottovoce, in modo da evitare che la gente riunita sul molo li senta, "Una goccia. Tutto quello che ci vuole."

Tomas e Viktor fanno due ghigni identici, scaltri e bramosi. "Sì, vostra maestà," rispondono in unisono.

Si volta, pronto ad andare via dal pontile, il sole che gli scalda la schiena. All’ultimo secondo, si ferma. "Oh, e ragazzi?"

"Sì?" rispondono.

"Nel caso incontriate Albert," il re fa un sorriso a labbra serrate, "portategli i miei saluti."

 

  
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