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Autore: Outlast_Amnesia    02/06/2014    6 recensioni
Spero accorrerete in molti!
Quest'introduzione sarà un po' banale, ma sarà in grado di spiegarvi il gioco.
Non vi dico altro, capirete da soli.
Tanti saluti ;))
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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-Dai Shelk, parlami,- sospira Roxas, abbracciandola.
-Non sono arrabbiata, sciocco,- sorride lei, ricambiando l'abbraccio.
-E allora che c'è?
-Sono solo preoccupata.
-Per come si stanno svolgendo i Giochi?
-Anche. Ma siamo sempre di meno, e... 
-Alla fine può vincerne uno solo. E' questo il problema che ti affligge, vero?- dice a bruciapelo Roxas, ottenendo il cenno positivo della ragazza accanto a lui.
-Be'...
-Attenzione, attenzione!- grida una voce attraverso un altoparlante invisbile.
I due ragazzi alzano gli occhi al soffitto. E così fanno anche tutti gli altri, attendendo con l'ansia a mille l'annuncio.
-Spero che a tutti voi piaccia "L'apocalittico". Sì, perché fra poco vedrete nuovi ibridi, ancora più speciali dei precedenti. Divertitevi. E soprattutto, possa la fortuna sempre essere a vostro favore.
A quel punto, Roxas prende la mano di Shelk e la allontana di lì, con il volto pallido.
-Ehi, Roxas, dove andiamo?
-Credo di sapere cosa voglia dire per loro apocalittico.
-E cioé?
-Non voglio che tu lo scopra. Troviamo una stanza nella quale nasconderci, presto!
Dei ruggiti dietro di loro li fanno rinvenire.
-Roxas, cos'è stato?
-Dannazione, sono già qui. Abbassati, e non fare rumore.
-Ma come...
Ma Roxas le tappa la bocca, preoccupata. Gocce di sudore gli bagnano la maglietta, e alcuni peli gli si rizzano sul capo. Non se la stanno vedendo bene. 
Due ombre si fermano improvvisamente. Le loro mani (unica cosa visibile) sono danneggiate, come se fossero... morte.
Shelk inizia a tremare, senza controllo. Vorrebbe solo fuggire via, non credere ai suoi occhi. Ma Roxas la costringe a rimanere lì, ancora un po'. Quelli che si trovano di fronte non sono due ibridi normali. Sono due... zombie. Morti viventi. Ma non è questa la cosa peggiore.
E i due se ne accorgono solo quando gli occhi dei mostri incrociano il loro sguardo.
Sono Leevy e Tex. 
-Leevy, sei tu. Sei ancora viva allora...- si alza Roxas, cercando di avvicinarsi a quella figura, che lo guarda estraniato. Ma Shelk lo tira a sé.
-Roxas, non sono più loro. Lo sai anche tu, sbrigati!
-Leevy...
-Roxas, muoviti!
Shelk è già lontana, ma Roxas non può ancora credere ai suoi occhi. I suoi piedi sono come cemento, incollati al pavimento. 
Le mani di Leevy sono quasi sul punto di afferrarlo.
Se ne rende conto troppo tardi.
Troppi ricordi gli passano per la mente.
Poi, solo sangue.

Quando Roxas riapre gli occhi, la testa di Leevy è a terra, dove avrebbe sempre dovuto essere. Una ragazzina, troppo piccola per contenere dentro di sé tutto quel coraggio e quell'incredibile ardore, con i capelli biondo cenere e gli occhi verdi, ha un'ascia stretta fra le mani, imbrattata di sangue. Roxas si perde in quei verdi occhi. Gli ricordano l'erba, quella che cresceva attorno al suo campo di grano. E la tristezza lo investe nuovamente, colpendolo in pieno.
-Che ci fai ancora qui, alzati!- grida la ragazzina, mentre conficca l'arma anche sulla testa dell'esanime Tex. I suoi gemiti si spengono come una fiamma si spegne con un soffio di vento, anche il più flebile.
Shelk invece è più avanti, inginocchiata e con entrambe le mani sul viso. Si possono percepire i suoi singhiozzi.
Ma Roxas non sa come consolarla. Non si trova forse nella sua stessa situazione?
-Ragazzi, sono stati mandati proprio per farvi indebolire. Non cadete nella loro trappola! Io...
Ma la voce di Melissa cala precipitosamente. Dietro Shelk, un'altra ombra, molto più bassa delle precedenti, si avvicina, con gemiti più flebili e con delle gambe più magroline. Anche le braccia non sono molto lunghe, e quanto più la figura si fa vicina, tanto più Melissa perde la cognizione della realtà. Perché? Perché? Perché? Non fa altro che ripeterselo nella sua mente.
Willy, il suo più tenero amico, colui che la amava, che la coccolava, che per un po' le aveva tenuto compagnia. Colui che non smetteva mai di dirle quanto fosse bella, anche nei momenti peggiori. Ma adesso, davanti a quella mostruosità, i capelli della ragazza stanno perdendo vitalità, e i suoi occhi stanno diventando sempre più piccoli. Si socchiudono, quasi vogliano negare la realtà. E' questo quello che gli Strateghi vogliono, no? Non l'ha detto stesso lei poco fa? E allora perché adesso non riesce a prendere le forze, a spaccare il cranio di quell'abominio che cammina? Forse perché lei, in fondo, ha ancora un po' di speranza. La speranza. Quella cosa che non muore mai.
-Shelk, dietro di te!- grida Roxas, alzandosi e correndo nella sua direzione. Il piccoletto non ha ancora raggiunto la ragazza, eppure sembra non vederla. Roxas si ferma, di botto. 
Il piccolo Willy si dirige solo e unicamente verso Melissa. Quindi, è stato progettato apposta per lei. Ma la tredicenne guarda la sua ascia, ormai per terra. 
-Roxas, fa' qualcosa!- grida Shelk, scorgendo la preoccupazione della ragazzina. Melissa, però, scoppia in un pianto liberatorio, mentre allunga le sue mani per raccogliere la sua arma. -Lasciate... Fare a me- dice, fra un singhiozzo e un altro.
Shelk rimane inginocchiata, parzialmente illuminata dalla sua torcia, mentre Roxas si mette le mani fra i capelli, in un atteggiamento disperato. Melissa prende un profondo respiro: Willy è vicino. Le sue gambe si muovono scordinatamente, con varie spaccature. Tuttavia, i vestiti sono gli stessi che indossava prima di morire. 
-Andate all'Inferno!- grida la tredicenne, per poi conficcare l'ascia in testa al morto vivente. Visibile è la spaccatura del cranio, con il sangue che sgorga fuori a fiotti.
Si protende verso il morto, accarezzandogli il volto deformato.
-Willy... Non avrei mai voluto che succedesse questo... Non me lo perdonerò mai,- sussurra Melissa, baciandolo sulla fronte esangue. 
-Come sapevi il modo con il quale ucciderli,- domanda Roxas, sbarrando gli occhi.
-Andiamo, non voglio restare qui un minuto di più.
-Aiutami ad alzarmi,- mormora Shelk, tendendo la sua mano ed afferrando quella di Roxas. E insieme, i tre si allontanano da quell'orribile corridoio.

-Ho sentito bene?- domanda Crystal, guardando intimorita Coralyn.
-Credo proprio di sì. Cosa saranno questi nuovi Ibridi?
-Non lo so, ma non sono sicura di volerlo scoprire.
-Sono pienamente d'accordo.
Le due si trovano in un lungo corridoio, pieno di porte. La maggior parte di esse non si apre, anche se Crystal cerca di sfondarle pure nel peggiore dei modi. 
-Arrenditi, troveremo un'altra uscita.
Crystal si gira verso la compagna, dando le spalle ad una porta semi-aperta.
-Ti ripeto che detesto quando la gente mi dice cosa fare.
-Ehi, sto solo cercando di aiutarti, non sono contro di te.
-E allora perché non la smetti di parlare? Faresti un piacere al mondo.
-Sentitela. Ma chi ti credi di essere, 1?
-Io sono migliore di te, in tutto!
-Crystal, non pensarlo nemmeno.
-Tu, se non fosse stato per me, saresti già morta da un pezzo!
La situazione precipita in un attimo.
-Ah sì? Allora muori!- grida Coralyn, ficcando un coltello nel polpaccio di Crystal, che comincia a perdere sangue.
-Brutta figlia di...-
-Sta' zitta, per una volta nella tua vita.
Un verso, alquanto macabro, attira l'attenzione delle ragazze, ma Crystal è incapace di muoversi.
-Ehi, aiutami ad alzarmi.
-Certo,- sorride Coralyn, ma il suo sarcasmo è chiaro. Con il suo piede destro, colpisce nuovamente il polpaccio di Crystal, facendo affondare il pugnale ancora più in basso. Le grida attirano l'attenzione, entrambe ne sono al corrente. Ed è per questo che Coralyn, presa dal panico, inizia a correre.
-Io... Ti... Prenderò!- dice la ragazza del Distretto 1. -Ma cosa...?- sussurra, vedendo che qualcosa dietro di sé cerca di aprire la porta. Un'altra figura, alta e robusta, si avvicina a lei, con i capelli corvini e gli occhi altrettanto scuri. Ma particolari rughe fanno capire che non è più un ragazzo. Quello è... un mostro.
-No, no, no...- pensa Crystal, strisciando come un verme sul pavimento. Ed ecco che la porta dietro di sé si spalanca. Jeremy. O meglio, la sua versione mostruosa.
-Jeremy, stammi lontana!- grida, ma quello le si getta addosso. Comincia a strapparle la pelle dal braccio, mostrando chiaramente la carne. Anche la figura (che capisce solo allora essere quella di Julius, il ragazzo del Distretto 2) si abbassa per morderla. Dal suo collo comincia a sgorgare il sangue fresco, quello che dal suo corpo raramente era mai uscito. A pensarci bene, è una delle poche volte dove è capace di vedere il suo sangue imbrattare il pavimento.
La carne continua a staccarsi, instancabilmente. Quasi come fosse fatta di carta. Ormai, la ragazza stessa non prova più dolore, anche se le sue urla non danno segno di attenuazione.
Si rende conto che per lei è finita solo quando il colpo di cannone spara, per la tredicesima volta dall'inizio dei Giochi.


Daniel striscia per terra, cercando di fermare l'emorragia.
La rabbia che prova in quel momento nei confronti della piccola Melissa è vacua quanto presente; vorrebbe autoconvincersi che l'ha fatto a fin di bene, ma alla fin fine, essendo questi gli Hunger Games, se vuole sopravvivere, dovrà uccidere prima o poi anche quella ragazzina. Quindi, coraggio. Ci vuole solo coraggio.
Per fortuna, dopo aver aperto una porta, raggiunge un'infermeria, e trova un paio di stampelle. Non sembrano fragili, perciò le afferra e se le infila sotto le ascelle, per cominciare a sorreggersi e farci l'abitudine.
Nei primi momenti, c'è qualche caduta. Gli scappa anche una piccola risatina. Ma poi, si muove come fosse di nuovo vivo.
Ad un certo punto, non può fare a meno che pensare alla sua famiglia. In un attimo, gli appare davanti agli occhi l'immagine di sua madre. Quella donna che non ha mai conosciuto. Tuttavia, si appoggia al muro, per poi accovacciarsi facendo contatto con il freddo muro. E in quel momento, cerca di immaginare la scena.
Sua madre, in sala operatoria. Il padre lì, che le stringeva forte la mano, sussurrandole le solite parole che tutti sussurrano alle proprie mogli. "Andrà tutto bene", diceva. "Sarà bellissimo", ripeteva. "Tra poco sarà tutto finito", concludeva. Come leggesse un copione.
Dalla porta metallica entrò un dottore con il viso coperto, lasciando visibili solo gli occhi. Aveva uno sguardo determinato, di uno che sapeva quello che faceva. Certo.
-Ramina,- sussurrò il dottore, chiamando un'assistente. Una donna, con una folta chioma bionda con le ciocche verdi, affiancò il medico, e cominciò, ad ogni ordine di quello, a passargli i vari strumenti per l'operazione. La madre di Daniel aveva scelto il cesario, stranamente. 
L'aria comincia a mancare al giovane. Le lacrime gli irrorano le guance. Poi, i ricordi ritornano.
-No, Ramina, così non funziona. Le stiamo... Che succede?!- grida improvvisamente il dottore, fissando lo strumento che indica il battito cardiaco. Segni non normali si susseguono pian piano, e le prime gocce di sudore fanno percepire la preoccupazione del dottore. Il padre di Daniel lo fissa, sperando in qualche aiuto. Niente.
Tutto ciò che si può immaginare, è la nascita del bambino. Un bel bambino, con i capelli mori e gli occhi marroni. E con la morte della madre sulla coscienza. Forse è per questo che il padre ha cominciato ad allontanarlo pian piano, assumendo sempre più atteggiamenti da "protestanti".
La porta di Daniel comincia a vibrare. E' costretto ad alzarsi, potendo contare solo sulla resistenza delle sue stampelle. Qualcuno spalanca l'entrata con una violenza inaspettata. Daniel capisce subito che si tratta di ciò che gli Strateghi avevano detto poco fa. Quella sottospecie di morto vivente era... Era... Un attimo.
Daniel riconosce il ragazzo dell'11. Un certo Jaden, gli pare si chiamasse. 
Quindi, è arrivato il momento nel quale deve uccidere anche qualcuno già morto. Sebbene la ferita gli pulsi, non ci mette molto ad alzare la stampella per colpire in pieno volto il ragazzo. E, con ancora più forza, continua a lederlo, e a lederlo, e a lederlo. Fino a che di quello non rimane altro che putrida carne.
Con un sorriso compiaciuto, Daniel si allontana, pronto a mietere altre vittime, pur di alimentare la sua sopravvivenza.


Leaf sbatte dolcemente le palpebre. Fa molto più freddo di quanto ne faccia fuori. Non sa come possa percepire il freddo all'esterno, ma non è questo il suo problema principale.
Infatti, si rende conto in poco tempo di quanto le sue mani siano unite e prive di sangue. Quest'ultimo sembra aver smesso di coagulare. Si trova in una posizione alquanto scomoda: a testa in giù, a quanto pare. Anche le sue gambe sono ben legate, e adesso sembra proprio un pezzo di salume da esposizione.
-Ehi, qualcuno mi faccia scendere,- grida, cercando di attirare l'attenzione di qualcuno. Non ci mette molto a ricordarsi di essere stata afferrata da un mostro che miracolosamente non l'ha sbranata. Eppure, non sembrava tanto intelligente da poterla legare. La stanza è illuminata, e Leaf riesce a vedere la telecamera sopra un davanzale appeso al muro. Prova che è osservata dagli Strateghi.
-Ehi, da quanto tempo sono qui? So che mi sentite!- urla ancora più forte di prima, cominciando anche a scalciare invano.
Un rumore esterno la fa trasalire. Inizia ad inghiottire con fatica, come se la saliva avesse deciso di affogarla in quel preciso istante.
-Chi... Chi c'è?- tenta di dire, con un terribile groppo in gola.
Solo dei versi ripetuti, e mani che picchiano contro la porta. Ma quest'ultima non è così resistente, e potrebbe essere facilmente sfondata.
I pugni continuano, irrimediabilmente, e non c'è nulla che la piccola possa fare. Solo stare a guardare. Che per lei sia giunta la fine?
Comincia a divincolarsi, e il suo corpo prende a dondolare come un maiale appeso ad un ferretto nell'enorme freezer di una macelleria. Nonostante la scomoda posizione, si accorge che alla fine la presa non è così stressa come sembra. Dopo mezzo minuto, cade di pancia, gridando con quella poca voce che le è rimasta. Il mostro sta ancora colpendo la porta, e lei deve subito trovare un riparo. Vede solo un fragile armadietto, ma non può pensare più di tanto. Si infila al suo interno, e comincia a piangere, tentando di ridurre il rumore. La porta crea il contatto con il pavimento, e un'ombra si intravede a malapena. Non è grossa, non è piccola. Ma è piuttosto alta. Il pianto della piccola si incupisce ancora maggiormente, quando le balena nella mente l'idea di chi possa rappresentare quell'essere: sedici anni, un ragazzo ben piazzato del suo stesso Distretto. John, colui che Leaf stessa ha pugnalato, è lì davanti a lei. Ma ha una faccia tediosa, come se il suo cervello non conoscesse più le parole sorpresa, felicità. Leaf cade nella trappola.
Apre il suo armadietto, e gli angoli della bocca di John sporchi di sangue raggiungono la dodicenne. Il sangue sgorga, sgorga, a non finire.
Lo sguardo di Leaf brilla per un attimo. Poi, quel barlume di luce svanisce, come se non fosse mai esistito. Il silenzio che presidia è seguito da un altro semplice colpo di cannone.


Amy, Micheal e Damon si fissano. 
Dopo l'ultima cannonata, comprendono di essere rimasti solo in dieci, e loro sono tre di questo esiguo gruppo di tributi. Damon inizia a correre, voltando le spalle ai due ragazzi del 4.
-Lo lasciamo scappare?
-Sì, non è necessario inseguirlo. Prima o poi, qualcun altro gli farà del male. Riscaldiamoci con i lumi delle torce, per il momento.
-D'accordo-, annuisce Amy, rimuovendo la sua dalla tasca. 
Quando la stanza è piuttosto illuminata e il calore comincia ad invadere le loro fragili pelli, qualcuno cerca di sciogliere il ghiaccio.
-Allora... come ti sei sentita quando... be'... hai ucciso la ragazza del 3?-, si smuove dalla sua postazione Micheal.
-Credo si chiamasse Haylee.
-Sì, lei.
-Be'... mi sono sentita come attraversata da una scarica di adrenalina, sai come? Io tentavo di fermarmi, la vista di quel sangue mi disgustava, ma non ci riuscivo. Sentivo come se la mia umanità mi stesse pian piano abbandonando, come se la mia anima fosse sul punto di spiccare il volo, e non tornare mai più. Poi ho pensato alla mia famiglia, a coloro che mi aspettano lì, per abbracciarmi, per salutarmi, per accogliermi come se io non li avessi mai lasciati. E così mi sono detta "Amy, ce la puoi fare, ce la puoi fare!" e sferravo quei pugni con foga, rabbiosa, o per odio o per amore-, mentre racconta qualche lacrima le irrora le gote. -Non credo di essermi mai sentita così. Ma adesso, sai cosa penso?
-Cosa?
-Che sono diventata ciò che la gente si aspettava che io divenissi. Un mostro. Un assassino. Ma sai invece come mi sento?
-No, non lo so.
-Mi sento umana, come non lo sono mai stata. Mi sono sentita finalmente forte, finalmente qualcuno di importante. Mi sono sentita in grado di portare a compimento qualunque cosa. E lo rifarei, se fosse necessario. Perché io sono pronta a tutto per salvare la mia famiglia. Per salvare me, la mia integrità. E anche per salvare te.
-Ehi, Amy, lo farei anche io per te.
-Lo so. Vieni qui, avvicinati.
Le loro labbra si sfiorano appena, ma la passione penetra dolcemente nei loro corpi. I pori si aprono, lasciano passare aria che nessuno avrebbe immaginato potesse ancora essere in quell'oscuro luogo. 
Nel momento in cui i due stanno per spogliarsi, qualche verso lontano rovina l'atmosfera. 
-Cazzo. Andiamo, dai. Non possiamo farci trovare in certe posizioni a fare certe cose.
-Sono d'accordo, Micheal. Non morire, mi raccomando.
-Oh, starò attento, principessina.
-Non mi chiamare così.
-Oh, d'accordo. 
E poi, prima d'avviarsi, si scambiano un ultimo amorevole bacio.


Damon percorre il corridoio che si trova davanti con incredibile velocità, e quando è sul punto di svoltare, una macabra figura gli appare davanti. Una bellissima ragazza, rovinata dai segni della morte. I capelli neri, che le arrivano poco sopra le spalle. Gli occhi dorati. Haylee, mentre cammina da zoppa, riesce ancora a mostrare le cicatrici e i solchi dovuti al suo passaggio dalla vita alla morte. Daniel ha capito che si tratta di un essere da abbattere, ma il suo cuore cede.
-Oh, Haylee... Haylee... mi dispiace tanto... questo non sarebbe dovuto succedere... io, io... non so proprio cosa dire-, e nel frattempo singhiozza. I suoi amici sarebbero fieri nel vederlo piangere, perché spesso si vantava di essere un "vero" uomo, di quelli che non cacciano mai una lacrima. Ma chi ha detto che il vero uomo si reincarna in persone così? Perché qualcuno non dovrebbe piangere, di fronte a determinate scene? La morte di una persona è capace di suscitare immensa tristezza in chiunque.
Damon afferra il suo piccolo pugnale, imbrattato di sangue umano. Prima di colpire la ragazza, con le lacrime agli occhi e questi ultimi rossi fuoco, le sussurra -Cura ut valeas-, e poi la ferisce, fino a conficcarle l'arma nel mezzo della testa, cosicché non potrà più rialzarsi.
Questa era una frase latina che spesso i suoi genitori, piuttosto istruiti, gli dicevano quando era bambino. La corretta traduzione sarebbe "Curati per star bene", oppure "Guarisci presto". A quanto pare, Damon ha voluto augurare ad Haylee di guarire, almeno lì dove non c'è più morte e sofferenza, e di star bene con se stessa. Anche se è convinto che presto anche lui la raggiungerà.
Abbandona quel piccolo corridoio, lasciando il coltello ancora nella testa della malcapitata. 
-Quando saremo rimasti in pochi, oppure le vostre possibilità di sopravvivenza saranno diminuite, giuro che vi verrò ad ammazzare, dovesse cadere il cielo!-


Sophie riapre gli occhi, e un dolore lancinante le perfora il piede. Damon se lo era solo immaginato, come avrebbe potuto sospettare. La puzza di fogna non svanisce né da segno di essere sul punto di svanire, perciò le conviene allontanarsi da lì, prima che le si avvicini un ratto nero che possa contrarle a quel punto una pericolosa malattia. Appoggiandosi al muro che sembra star per cadere a pezzi, strepita fissando il suo piede. Poi si dà forza e, trascinandosi lungo la parete, percorre una decina di metri senza troppe difficoltà.
-Tutte a me, tutte a me. Quanto sono sfigata da uno a cento, eh? Qualcuno risponda a questa cazzo di domanda, porco maiale!- urla, provocandosi ulteriore dolore. Se continua a sbraitare in questo modo, qualcuno (che lei non vorrebbe davvero incontrare, in fondo) potrebbe sentirla. E lei non è in grado, al momento, di affrontare una battaglia. Lo capisce autonomamente, e perciò, ogni qual volta il dolore la affligge, se lo tiene dentro, stringendo i denti come una vera donna farebbe.
Sopra di lei, i passi di un altro ragazzo rimbombano. Geralt ha cercato di inseguire quell'ombra per ore, ma senza risultato, anche se è ancora convinto che qualcuno lì sopra si sia mosso.
-Ah, se ti trovo. Ho bisogno di numerose risposte al momento. Mi hai sentito?! Ne ho bisogno!-, ma nulla.
Ha sempre odiato essere ignorato, e soprattutto non compreso. E in questo momento, in completo isolamento, ancora di più. La poca illuminazione gli provoca fastidio agli occhi, ma almeno la sua pelle bianca come il latte non risente di particolari attenzioni. Sembra che per adesso tutto stia andando per il meglio, e anzi, è riuscito ad arrivare fra gli ultimi dieci. Non sa ancora chi siano i morti, ma a breve lo saprà, con gli usuali ologrammi che appaiono dopo la mezzanotte. Ormai saranno settimane che girovaga senza una meta precisa e senza aver ferito concretamente più di una persona, ma la sua famiglia starà facendo il tifo per lui in questo momento. Una figura claudicante lontana si avvicina a lui, ma quest'ultimo, disinteressandosi completamente sul chi possa essere, lancia il suo coltellaccio in mezzo agli occhi di quell'essere. Sa però che non è un tributo, anche se quando incombe lì vicino, nota le sembianze di quell'essere a Nina Onatah. Si ricorda di tutto ciò che ha passato, ma al momento non c'è tempo per le sdolcinatezze. Solo guerra, e lotta continua.
Qualcuno dietro di lui si mostra, ma non è zoppicante come la figura di prima. Sorride maliziosamente, e il ragazzo riconosce la splendida voce della ragazza che gli sta davanti. Sophie lo ha raggiunto, in un modo o nell'altro. Si preparano a combattere, forse per l'ultima volta.
-A noi due, bastardo!
-Con piacere, Bloody Mary!



~Spazio autore.

Vorrei rendervi noto il fatto che sono passati più di due mesi dal mio ultimo aggiornamento. Io non voglio rifarvi il cervello mentendovi, perciò arriverò dritto al sodo, pure per non annoiarvi troppo. Io, da metà marzo, o meglio, da inizio aprile, ho cominciato a non sentire più la voglia di scrivere. Ma sostanzialmente, avevo completamente perso la voglia di fare qualunque cosa. Sono convinto al cento per cento che questa cosa sia stata dovuta alla complicatezza della scuola e al mio dovermi sbrigare per raggiungere buoni risultati, anche per superare l'anno senza alcun debito. Perciò, nonostante i primi di aprile io abbia maneggiato un po' con il capitolo, solo oggi lo rendo pubblico, completato ma (sono convinto) con qualche errore perché mi annoiavo di rileggerlo. Se vedete errori maledettamente gravi, fatemelo sapere, sarà stato sicuramente un errore di distrazione. Mi scuso ancora per l'imperdonabile ritardo, ma da oggi in poi aggiornerò molto più regolarmente.
Spero che il capitolo vi piaccia.

Salutiamo i caduti di questo quinto giorno degli Hunger Games.

~Crystal Mills, Distretto 1.
~Leaf Erop, Distretto 5.


Non potete immaginarvi quanto io ne sia uscito distrutto, ma ho dovuto farlo. Ed eccoci, dunque, agli ultimi dieci!
Fatemi sapere con una bella recensione cosa pensate del capitolo, cosa devo modificare dal punto di vista degli errori e chi volete che nel prossimo capitolo abbia qualche "dono volante".
Grazie e ancora mille scuse per il ritardo.
-Outlast_Amnesia
  
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