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Autore: Neverlethimgo    04/06/2014    9 recensioni
Era bastata una notte a far cambiare tutto e tre parole a far nascere decine di domande. Era solo un assassino, o era addirittura pazzo?
Dai capitoli:
Erano passati tre anni dall'ultima volta che misi piede fuori dall'istituto, avevo rimosso ogni cosa del mondo esterno, fatta eccezione per la luce del sole, sebbene la vedessi di rado ultimamente.
Sapevo che avrei dovuto trascorrere soltanto altri due giorni in quella prigione, sapevo che mancava così poco alla fine, eppure non percepivo il desiderio di sentirmi libero. Non ero mai stato libero davvero.

A Jason McCann story.
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jason McCann, Miley Cyrus
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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vi consiglio di ascoltare questa canzone mentre leggete.

 

Capitolo 14: the sound of the cries when a family's loved one dies.


 

Ivy
 


“Ho bisogno di te, più di quanto tu possa immaginare.”
Continuai a ripensare alle sue parole e sorrisi. Nonostante non sembrasse affatto di buon umore, aveva voluto che restassi, che non lo lasciassi solo.
Non sapevo quali assurdi pensieri gli attraversassero la mente, non sapevo perché era salito su una macchina della polizia e, soprattutto, non sapevo perché avesse quell’espressione cupa dipinta in volto quando lo rividi.
Cercai di accantonare quelle immagini, non volevo vederlo triste o arrabbiato.
 
Non appena entrammo in casa, un tuono ruppe il silenzio e rabbrividii. Cercai disperatamente la mano di Jason e la strinsi, lui si voltò a guardarmi ed intrecciò le sue dita con le mie. “Va tutto bene” mi disse, “non ti succederà nulla finché sarai qui.
Annuii in modo quasi impercettibile e lasciai che mi conducesse sino al divano.
Detestavo avere così tanta paura dei temporali, detestavo dover associare ogni scroscio d’acqua a quel giorno maledetto, ma superarlo mi sembrava impossibile.
Provai a scacciare la paura, Jason aveva ragione, non poteva succedermi nulla finché sarei rimasta lì. Mi persi più del dovuto a guardarlo negli occhi e, quasi senza accorgermene, mi ritrovai sempre più vicina al suo viso. Abbassai lo sguardo sulle sue labbra e poi chiusi gli occhi, lasciando che la distanza tra noi si estinguesse del tutto. Riversai in quel bacio ogni mio pensiero, ogni mia attenzione, ogni cosa. Lasciai fuori da tutto ciò il mondo che mi circondava, persino il rombo dei tuoni sembrava un suono lontano.
 

________________________________ 

 
Mi ero sdraiata accanto a lui sul divano, il suo braccio circondava la mia vita e la schiena era premuta contro il suo petto. Mi sfregai gli occhi, mettendo a fuoco gli oggetti che mi circondavano, e mi voltai lentamente verso di lui. Aveva gli occhi chiusi ed il respiro pesante, segno che stava dormendo, e – sebbene non avessi idea di che cos’avrei potuto fare – non volli svegliarlo. Mi alzai e mossi qualche passo verso la cucina, soffermando la mia attenzione su una piccola foto appesa al dorso della porta del frigorifero. Non l’avevo notata l’ultima volta che avevo messo piede in quella stanza. Mi avvicinai maggiormente, inquadrando il volto di una donna dai lunghi capelli scuri e dagli occhi cerulei: era giovane ed era bellissima. I lineamenti del suo viso avevano qualcosa di famigliare ed istintivamente sorrisi quando, poco dopo, posai lo sguardo sul bambino che abbracciava. Non doveva aver avuto più di sei o sette anni, ma non mi fu difficile riconoscere che si trattava di Jason. Il colore degli occhi era lo stesso, così come gli accenni dei lineamenti – sebbene ora fossero più marcati – ma aveva qualcosa che al Jason che conoscevo io mancava. Quel bambino sorrideva e sembrava davvero felice in quella fotografia, al contrario del ragazzo che ora dormiva nell’altra stanza. Mi rabbuiai e sfiorai con l’indice il volto di quel bambino, sentendomi improvvisamente triste.
Nonostante non la conoscessi, mi era dispiaciuto veramente tanto sapere che quella donna fosse morta. Era così bella e sembrava una persona tanto dolce, perché Dio aveva voluto portarsela via?
Scossi il capo e mi accorsi di avere gli occhi velati di lacrime, così tornai in soggiorno, cercando di provocare meno rumore possibile. Con lo sguardo cercai altre foto, ma non ne trovai e posai la mia attenzione sulla libreria alla mia sinistra, accanto alla rampa di scale. Mi avvicinai ad essa ed iniziai a leggere i titoli riportati sul dorso di ogni libro. La maggior parte di essi non li conoscevo, ma dai titoli sembravano interessanti, così pensai che avrei potuto sceglierne uno da sfogliare mentre aspettavo che Jason si svegliasse.
Ne sfilai uno, ma non mi accorsi di averne erroneamente trascinato un altro. Cadde al suolo, provocando un tonfo sordo e voltai velocemente il capo verso Jason. Non si era mosso minimamente e tirai un sospiro di sollievo, pronta per raccogliere il libro finito al suolo.
Si era aperto circa a metà e, quando mi chinai, notai che le parole impregnate sulla carta erano state scritte a mano e non stampate a macchina. Corrugai la fronte e, mettendo da parte il libro che avevo scelto, presi tra le mani quello caduto. Guardandolo meglio, non sembrava affatto un libro, ma un diario. Lo chiusi momentaneamente ed osservai la copertina: era nera, con delle striature imprecise marcate su di essa. Vi passai sopra il dito, sembravano graffi recati appositamente da qualcuno, visto che dall’altro lato era liscia.
Lo sfogliai velocemente, tralasciando le pagine iniziali – le quali apparvero lievemente sbiadite -  e soffermandomi sulle ultime dieci, decisamente più marcate.
 
 

1 marzo 2010

 
Non mi aspettavo una festa a sorpresa, o decine di regali da scartare. Non mi aspettavo nemmeno una torta o il mio piatto preferito per cena. Non mi aspettavo niente di tutto ciò. Avrei solo voluto che almeno lei si ricordasse del mio compleanno, ma non è successo.
Non è mai successo.
L’ultima volta che se n’è ricordata, è stato nove anni fa, quando compii sette anni.
Non mi aspettavo che mio padre se ne ricordasse, di lui non m’importava, ma speravo che lei non fosse come lui.
Sono cambiate così tante cose in questi ultimi anni, ho iniziato ad essere invisibile ai loro occhi per la maggior parte della giornata. Lui si ricordava di me solo quando, di tanto in tanto, non rispettavo le sue regole o smettevo di essere invisibile nei momenti meno opportuni, ovvero quando le sue mani colpivano il viso di mamma per motivi a me sconosciuti.
 
Voglio che se ne vada. Voglio che smetta di rendermi la vita un inferno.
Voglio vederlo morire.
 
 
Sbarrai gli occhi nel leggere quell’ultima frase. Deglutii rumorosamente e ritornai alla prima pagina, sperando di trovare una risposta alla mia domanda, che non fosse quella a cui stavo pensando.
Dovetti ricredermi ed abbandonare l’idea che quello potesse trattarsi di un diario scritto da qualche scrittore pazzo.
Quel diario apparteneva a Jason ed il suo nome scritto appena dietro alla copertina mi fece trasalire.
Voltai il capo verso il divano e dischiusi le labbra; avrei tanto voluto dire qualcosa, ma le parole mi morirono in gola e sperai vivamente che quella frase fosse solo uno sfogo di rabbia momentaneo. Tentai di dare la colpa al fatto che entrambi i suoi genitori si fossero dimenticati del suo compleanno, volli credere che quella fosse solo una frase fatta.
Così continuai a leggere, sfogliando alcune pagine e sperando di rimarcare la mia teoria.
 
 

1 novembre 2010

 
Ogni volta che ritorno da scuola e percorro la strada che conduce a casa mia, sento un peso opprimente schiacciarmi il centro del petto. Una scia di devastazione che mi logora ad ogni passo che compio.
Ha iniziato a piovere questa mattina e non ha ancora smesso.
Le gocce di pioggia mi hanno accompagnato fino a casa, il rombo dei tuoni ed il fruscio del vento sembrava volermi sussurrare pensieri inespressi che cercavo di mantenere nascosti in un angolo recondito della mia mente.
Più che pensieri, i miei erano desideri, preghiere, richieste di aiuto che nessuno sembrava sentire.
Mi sento perso in una disperazione che va ben oltre il bagno di tristezza e frustrazione che sopportavo ogni giorno.
Sento di aver raggiunto il limite. Non ce la faccio più.
Detesto vivere una vita come questa. Odio il fatto che ogni giorno papà trovi una scusa per farmi del male e per urlarmi contro, mentre mamma rimane immobile, a guardarmi con gli occhi velati.
Trattengo le lacrime più che posso, perché non voglio che mi veda piangere. Si arrabbierebbe ancora di più ed incrementerebbe l’ira con cui si sfoga su di me.
 
Ho cercato di restare fuori casa più tempo possibile, mi sono seduto davanti alla porta d’ingresso e ho aspettato che finisse di piovere. Dopo poco è uscito il sole, ma non era per niente caldo, anche se speravo che fosse sufficiente per asciugarmi i vestiti che avevo addosso.
Entrai in casa solo quando non fui più bagnato fradicio e lo vidi seduto sul divano, intento a guardare la televisione. Non appena chiusi la porta alle mie spalle, si voltò a guardarmi e spense l’apparecchio.
Chiusi gli occhi non appena lo vidi muovere qualche passo verso di me.
E poi è successo di nuovo.
 
 
Sentii le mani tremare e temetti che da un momento all’altro le mie gambe avrebbero ceduto. Fissai quelle parole con gli occhi sbarrati, senza nemmeno sapere dove soffermare maggiormente la mia attenzione. Iniziavo a capire la ragione per cui avesse espresso quel pensiero solo qualche mese prima, ma più mi soffermai a pensare, più mi si presentavano nella mente ipotesi che avrei preferito non pormi.
Sfogliai altre pagine e ripresi a leggere.
 
 

18 novembre 2010

 
Lo ha fatto di nuovo.
Nonostante siano trascorse già quattro ore, riesco tutt’ora a sentire la stretta della sua mano attorno al mio collo e fa male.
Il mio riflesso nello specchio del bagno mi fa quasi paura. I segni violacei che contornano i miei occhi sono un segno evidente che non dormo da giorni. Ogni notte vivo con la costante paura di doverlo affrontare e temo sempre più di non farcela. Vivo con la costante paura che l’ultimo respiro che esalerò sia in sua presenza.
Ma voglio porre fine a tutto questo.
Poco fa i suoi occhi hanno incrociato i miei e sono rimasto impassibile, non ho mosso un solo muscolo, né battuto ciglio. Più guardavo il suo viso, più riuscivo ad immaginarmelo coperto di sangue, schiacciato contro il pavimento gelido, mentre diveniva man mano più pallido e freddo.
Se lo avessi ucciso non mi avrebbe più fatto del male. Tutto sarebbe finito e avrei ricominciato a vivere.
Ho paura solo di una cosa: temo che sarò l’unico ad apprezzare la vista del suo corpo privo di vita.
Mamma non approverebbe, avrebbe paura di me, così come ha paura tutte le volte che mi picchia.
Se dovessi continuare a vivere con il suo sguardo terrorizzato, puntato addosso per il resto dei miei giorni, impazzirei.
Mi odierebbe, non mi parlerebbe più e le attenzioni che mi rivolge ora non sono molte.
Anche lei deve morire.
 
Fui incapace di batter ciglio, ebbi l’impressione che il mio cuore si fosse fermato e, improvvisamente, non sentii più alcun rumore, nemmeno il rombo dei tuoni. Scossi il capo, quasi a voler scacciare le immagini da lui descritte in quella pagina, ma fu più forte di me, non riuscii a cancellarle.
Deglutii sonoramente e feci scorrere altre pagine, timorosa di quel che avrei potuto trovar scritto di lì a poco.
 
 

2 dicembre 2010

 
È diventato tutto troppo difficile da sopportare e sono stanco di provare dolore al posto suo. Nonostante la porta di camera mia sia chiusa, riesco a sentirli litigare distintamente. Ho provato a tapparmi le orecchie, ma non è servito a niente, le parole pronunciate da quel bastardo sono più taglienti della lama di un coltello e, forse, mi feriscono più di quanto facciano i suoi schiaffi.
Non riesco a sopportare il fatto che inveisca contro alla mamma in quel modo, soprattutto se l’argomento principale sono io.
Non posso più aspettare, voglio mettere in atto quello a cui penso da mesi.
 
 
Continuai a scuotere il capo ed avvertii nuovamente gli occhi pizzicare. Mi morsi il labbro inferiore per evitare di singhiozzare. Le mani continuavano a tremare ed ero certa che, se non avessi retto saldamente quel diario, sarebbe finito a terra.

 

3 dicembre 2010

 
Sono rimasto quasi un’ora a fissare la chiazza di sangue che contorna ancora adesso i loro corpi. Gli occhi di mio padre sono spalancati ed un’espressione di terrore gli fascia tutt’ora il viso. Vorrei sorridere, mostrare almeno a me stesso un segno di gratitudine, ma sento il vuoto dentro di me.
Sarebbe stato diverso se non avessi ucciso anche lei. Avevo evitato di guardarla negli occhi, non avrei retto. Alcune ciocche di capelli le ricadono davanti al viso, coprendolo in buona parte ed evito di sfiorarle le gote, saranno sicuramente fredde.
Sento riecheggiare ancora nella testa le sue grida e non riesco a farle smettere. Si ripetono come un disco mal funzionante e mi fanno rabbrividire.
Prima di allontanarmi da lì, ho dato un ultimo calcio nel fianco a quel bastardo che, a differenza di ciò che ha fatto lui, avrebbe dovuto comportarsi da padre.
 
Non mi pento di quello che ho fatto, so già che non sentirò la loro mancanza.
So già che riuscirò a vivere da solo, sebbene dovessi farlo in completa solitudine, ma starò bene.
Non ho idea di che cosa ne sarà di me, ma non m’importa.
Non ho paura, non più.
Ho smesso di provare terrore nell’istante in cui il cuore di mio padre ha smesso di battere. Ora non c’è più nessuno che può farmi del male.
 
 
Lasciai cadere a terra quel diario, senza preoccuparmi del fatto che avessi potuto provocare rumore, e corsi fuori da quella casa più velocemente che potei.
Non aveva ancora smesso di piovere, ma la paura che mi scorreva dentro andava ben oltre la mia stupida fobia. Salii in macchina e misi velocemente in moto, sfrecciando sulla strada che mi avrebbe portato a casa.
Abbassai lo sguardo sulle mani: a stento riuscivo a mantenerle salde attorno al volante, erano più pallide del solito e, quando inquadrai la mia immagine riflessa nello specchietto retrovisore, realizzai di esser diventata bianca come un lenzuolo. Avevo le gote rigate di lacrime e persino il labbro inferiore tremava. Non mi riconobbi nemmeno.
 
Va tutto bene” mi disse, “non ti succederà nulla finché sarai qui.
Ma non riuscii più a credere alle sue parole.
Come potevo essere certa che non mi sarebbe capitato niente, se aveva ucciso entrambi i suoi genitori senza nemmeno provare rancore?
 
 
 
 

Jason

 
“Perché non possiamo andare via da qui?” domandai alla mamma, pregandola con lo sguardo di darmi una risposta sensata.
“Ci sono tante cose che ancora non sai, ma, per il momento, posso solo dirti che dobbiamo rimanere qui. E poi, perché vorresti andare via?” mi chiese a sua volta.
“Perché voglio vivere lontano da lui, è cattivo!” quasi gridai, volendo esser certo che una volta per tutte mi capisse.
Dal suo sguardo comprensivo capii che non avrebbe potuto darmi torto. Si chinò, raggiungendo così la mia altezza, e, posando entrambe le mani sulle mie spalle, mi disse: “ti prometto che un giorno ce ne andremo da qui. Ti prometto che tutto si risolverà, ma, per adesso, il nostro posto è qui. Lo sai che papà non è così cattivo come può sembrare, sta passando un brutto periodo, ma passerà.”
Sospirai rassegnato, non ero molto convinto nelle sue parole, ma cercai di annuire.
“Me lo prometti?”
“Te lo prometto.”
 
 
Riaprii gli occhi diverso tempo dopo, a giudicare dall’oscurità del cielo dovevo aver dormito parecchio. Mi alzai di scatto quando non vidi Ivy accanto a me, ero certo che fosse proprio qui. Non avevo sognato, ricordo di averla baciata e di averle stretto la vita in modo che mi rimanesse accanto.
Mi passai una mano sul viso, cercando di svegliarmi del tutto, e la mia attenzione venne catturata da una borsa accasciata accanto al tavolino di fronte al divano.
Ivy, dove sei?” domandai, ma non ricevetti alcuna risposta nemmeno quando pronunciai ripetutamente il suo nome ad alta voce. Salii al piano superiore, ma non la trovai in nessuna delle stanze. Tornai nuovamente in soggiorno e, quando feci per entrare in cucina, posai lo sguardo sulla libreria accanto alla porta. Mi avvicinai e notai un libro chiuso e, poco distante da esso, il mio diario aperto. Entrambi giacevano al suolo.
Impallidii all’istante ed iniziai sudare freddo. Lentamente lo afferrai e mi bastò leggere la data in alto a destra della pagina per capire tutto.
Mi voltai ripetutamente a destra e a sinistra, sperando davvero che non se ne fosse andata, ma quando vidi la porta d’ingresso socchiusa, dovetti realizzare il contrario.
Appoggiai la schiena contro la parete, provocando un rumore sordo, e feci scivolare dalla mano quel diario. In quell’istante mi pentii di non averlo distrutto, o di non avergli trovato un nascondiglio migliore.
Iniziai a credere che, d’ora in poi, anche lei mi avrebbe guardato con il terrore dipinto negli occhi e non avrei potuto sopportarlo.
 
Se ti va di parlarmene, puoi farlo. Se si tratta di qualcosa che ti ha costretto a restare sveglio tutta la notte, è perché probabilmente è difficile da sopportare. Ma puoi parlarmene se vuoi, sono sicura che ti farà bene, ti toglierai un peso. Non voglio obbligarti, dico solo che, se credi che sia qualcosa che nessuno potrebbe capire, io lo farei. Ti capirei, non ho mai giudicato nessuno e non mi permetterei mai di farlo.
Mi ritornò alla mente quanto mi aveva detto e scossi il capo, realizzando ancora una volta che quelle non furono altro che parole gettate al vento.
Sarebbe cambiato qualcosa se gliel’avessi raccontato di mia spontanea volontà?
Avrei tanto voluto che potesse capirmi, ma era evidente che non potesse farlo. Quello era un peso troppo opprimente da annullare con una semplice chiacchierata. Era troppo persino per me che l’avevo vissuto in prima persona.
Ripensai a Kayden ed a ciò che mi aveva detto solo poche ore prima. Iniziai temere che quel ragazzo sapesse troppe cose sul mio conto e ciò non avrebbe fatto altro che peggiorare la mia situazione.
 
Iniziai ad immaginare lo sguardo terrorizzato di Ivy, puntato su di me ogniqualvolta mi avrebbe incontrato per i corridoi e realizzai di non poterlo sopportare. Avrei sopportato quella reazione da parte di chiunque, ma non da lei. Sul suo viso non avrei voluto vedere altro che un sorriso ed ebbi paura che, presto o tardi, sarei finito col dimenticare il modo in cui le sue labbra si curvavano verso l’alto.
Lo accetterei da chiunque, ma non da te.
Riuscirei a sopportare l’odio di centinaia di persone, ma non il tuo.
 
Continuavo a domandarmi se un giorno avrei avuto il diritto di sentirmi libero, di smetterla di vivere con quel peso sul petto. Speravo e pregavo che il mio passato si dissolvesse come fumo al vento, dandomi la possibilità di restare vicino ad una come lei. Lei che era passata oltre l’apparenza e aveva fatto di tutto pur di avvicinarsi a me e cercare di capirmi.
Ma, una volta scoperta la verità, era scappata, facendomi crollare nuovamente in quell’oblio che mi opprimeva da anni.




 



Spazio Autrice

Tralasciando il fatto che sono super mega agitata per il concerto di Miley e ancora non so quando realizzerò il tutto, ho fatto del mio meglio per aggiornare in settimana, in modo da non far passare ancora una vita e mezza.
Ho finito il capitolo ieri all'una e mezza di notte e oggi ho una voglia di vivere sotto terra, ma andiamo avanti.

Insulti tra 3,2,1...
Merito insulti?
Oh, andiamo, era ovvio che prima o poi Ivy avrebbe scoperto il segreto di Jason. 
Che poi le cose possano andare male, peggio, in modo catastrofico, questo è un altro discorso, ma io ovviamente non dico nulla.
Vi lascio un mini mini spoiler qui sotto (Federica, tu ovviamente non leggere.)
Detto ciò, vi ringrazio davvero moltissimo per le recensioni, i complimenti su ask, twitter, eccetera, sono davvero importantissimi per me!

Un'ultima cosa, vi chiedo un favore: passereste a leggere questa storia? Secondo me merita davvero moltissimo e ci terrei che lasciaste una recensione :)
Triangles

Alla prossima!
Much Love,
Giulia

@Belieber4choice
on twittah and instagram.                 Se avete domande, ask me


Spoiler

Perché non me lo hai detto prima?
Sarebbe cambiato qualcosa?” ribattei in mia difesa e scosse il capo.
No, probabilmente non sarebbe cambiato niente, ma non mi fido di te, Jason. Ho paura di te.




 
   
 
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