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Autore: kanagawa    07/06/2014    0 recensioni
Fujima possedeva un tipo di compostezza differente dalla sua. In lui, allo stesso tempo della bonaccia, si agitava qualcosa dentro. Un fremito di fiamma. Una tempesta che poteva liberarsi solo su consapevole ed esplicito invito. Un teatro delle crudeltà e delle abluzioni, questo era il suo campo di basket. E l’esaltazione che ne traeva era il solo trono ambito.
Fujima era un’essenza di libertà dispiegata.
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Attenzione: questa storia non è MAI stata betata, non leggete se la cosa vi disgusta. Aggiunto breve epilogo con recenti correzioni.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akira Sendoh, Kenji Fujima, Shinichi Maki, Toru Hanagata
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Assorto in terribili paradigmi esistenziali che richiedevano “brevi riassunti” sulla creazione del mondo, Fujima attecchiva nell’insidioso territorio della preparazione agli esami. Era in biblioteca da due ore, affogato tra i testi di fisica e quelli di filosofia. La mano sinistra era ben allenata e resistette alla seduta infernale. Anche se ormai era un tutt’uno con la penna. –Interessante parallelismo.-
Una presenza sopraggiunta alle sue spalle.
Lei si chinò sui suoi scritti. Un’onda di capelli scuri travolse la sua visione. Si arrestò al tentativo di volgere lo sguardo. –Attento a usare questa formula, è ambigua per un simile contesto.- Indicò con un dito l’abbozzo indecifrabile. –Volevo che si esaltasse in confronto al concetto della “morte di Dio”.-
Sorrise ancora confuso lui. La vide allontanarsi, mentre il suo viso si figurava.
La lunga chioma raccolta ordinatamente e quella fronte libera furono come il presagio di un’immagine futura. Fujima che scoprì il velo della visione, osservò, nascosto nell’ombra del tempo presente, il fascino della sua acerba maturità: una donna. Bellissima e terribile.
Kyomi recava con se la giacca della squadra diligentemente piegata. La scritta “S. B. C.” della manica parzialmente tagliata fuori dalla visione.
–Vorrei restituirti questa.- La porse con entrambe le mani, cerimoniosa come in un rito di congedo.
Fujima le rispose nello scambio. Rispettoso e forse un poco amareggiato.
-Ormai è tempo.-
Lui rimarcò il proprio silenzio.
Kyomi gli si sedette di fronte, tentando di scrutare i suoi occhi offuscati dalla pesante frangia. In quei particolari momenti, Fujima era sempre indecifrabile. Dignitosamente sospeso tra ignoti e divergenti sentimenti, per non doverne turbare dell’animo altrui.
-Io, mi chiedevo se …-  Fece esitante. Non sapeva bene cosa volesse dire, ma la voce giunse prima del pensiero.
Lei seppe dare forma a quella parentesi sgraziata. –Non è il caso di insistere, Fujima.- Sospirò. -I tuoi propositi non sono realistici. Rischiamo di incatenarci in un rapporto di asfissianti assenze. Nel tempo, i cuori si logorano. E la lontananza è solo la punta dell’iceberg.-
Lei si erse in avanti, oscurando il tavolo. La mano affusolata si distese delicata su quella del ragazzo. La penna che reggeva gli scivolò dalle dita.
-Ora dovrai impegnarti per il prossimo campionato nazionale, e sai che gli avversari saranno tutti determinati a scaraventarti giù dal podio. Pensi di poterti meritare altre distrazioni?- Lei annegò nella luce incandescente di quel blu profondo. –Non voglio esserti di peso. Per nessuna ragione al mondo.-
Fujima ingoiò a fatica quella frase. Sentendo risalire le vertigini dell’ultimo bacio.
-Esiste sì, ora, un “noi” che spira fiammeggiante nell’effimero sospiro del tempo. Questa è la nostra essenza. Nulla e sempre.-
Lei sorrise costringendo lo sguardo tremante a volgersi dietro le palpebre. –L’unico e sempre. Di certo, questa limitata grazia sfigurerà per sempre il mondo al suo cospetto.-
-Con quali occhi pensi che potrai vedere il mondo, ora?-  Le cinse la mano con più vigore, nel rimando concettuale di un astrale abbraccio.
Kyomi inabissò gli occhi a quell’accusa.  -....Fujima.-
Interminabili secondi di silenzio. Si erano distaccati dai metri quadrati di spazio concessi ai corpi. E levitarono al di là delle parole e delle voci.
Avrebbero chiesto misericordia al Tempo, affinché gli istanti fossero assunti all’eterno.
Ma sfiorato dalla contingenza, questo rimase un terreno desiderio.

Cosa ci resta ora?
Fujima sostava nel campo all’aperto, mentre le sagome intorno a lui cominciarono a sfumarsi nell’ombra blu. Tra le sue mani, una palla da basket gravitava nervosamente. Aveva voglia di giocare ancora, ma la luce era già calata.
Era tornato nello stesso luogo in cui giorni prima aveva disputato contro Maki. In quell’angolo anonimo della città, cercava forse di rievocare le emanazioni della sua figura scura. Per un intero pomeriggio era scappato dallo studio, immergendosi solitario in quella corsa immaginaria, nel vano tentativo di superare se stesso.
Maki non c’era. E tutto, sembrava sfuggirgli dalle mani, ora.
Percepì il canestro nella semioscurità e segnò ancora. Tenne gli occhi chiusi, alleandosi con il buio. I sensi primari lo guidarono nella cecità.
Il tabellone cigolò, il tonfo di una palla che si tuffava nell’anello.
Il ragazzo respirò a fondo nell’aria della sera.
-Quando pensi di tornare a casa, Kenji?- Lui trasalì a quella voce sorta improvvisa.
Hanagata lo aveva atteso per mezz’ora, osservandolo nascosto nel buio, mentre il suo amico si esibiva con ostinazione.
Non si intromise. Guardandolo a distanza, aveva capito quanto impellente fosse la necessità di quello sfogo.
-Tua madre mi ha chiamato. Ti cercava. Dice che tua nonna non vuole andare in ospedale ….-  Fujima sospirò condiscendente. -Ancora. Ho capito.-
-Finché tuo padre è via, ti tocca fare l’uomo di casa. - Sorrise ironico l’amico.
-Sta zitto, Hanagata. È una cosa seria.-
Fujima prese sotto braccio quella palla logora e scalfita, dono del padre per il suo settimo compleanno. Una piccola incisione accanto agli spicchi che ne ricordava la proprietà: Kenji.
-E tu? Come mai gironzoli? Non avevi il corso preparatorio?-  Interrogò lui mentre si incamminava di fianco a Hanagata. -Guarda che domani ci sono gli esami … Neanche tu ripassavi, però.-  Gli fece la montatura nera.
Scrutò da dietro quella figura silente. –Qualcosa ti turba?-
Fujima mirò le prime stelle fuggevoli tra le strisce di nubi crepuscolari, lassù il vento si insinuava costante e freddo.
– Kyomi ha lasciato la squadra.-
In un differente momento di spensieratezza, gli avrebbe ribadito che la ragazza non era, in fin dei conti, una dei giocatori. Ma il filo scoperto del suo struggimento gli era pienamente visibile, quella sera. –Credo sia naturale. Il diploma sancisce gli adii. –
Annuì Fujima, senza elargire giudizio su quel luogo comune.
Aspirò la notte a pieni polmoni, e lasciò fuggire le stelle tra le fessure della bocca.
-Spero che la primavera passi in fretta. E l’estate e l’inverno … Che il tempo mi travolga. Un giorno mi alzerò e non voglio più vedermi in questi tratti adolescenziali. Questi tratti che non si rifletteranno più nei suoi occhi. E per quanto mi concerne, ora il mio orizzonte risiede solo in loro …
Mh, sono proprio infantile.- Sorrise melanconico.

-Ti è così caro questo dolore?-

-Lo è.- 

Fujima si fermò davanti al traffico cittadino. Chinò la fronte verso il braccio destro dell’amico, come per deporne il peso.
Gli arrivava appena sotto la spalla. Toru gli mise una mano sulla testa, scompigliandogli affettuosamente i capelli.  
-Passerà, Kenji … -






 


 
Prefazione
Rispetto ai precedenti, questo capitolo è stato riscritto e corretto. Non si poteva leggere altrimenti...
Avete presente quelle bambine pedanti che amano i sofismi ridondanti e sembrano nate già vecchie? Sono io, o almeno è quello che spero di non essere più, e questa è stata la prima fanfiction che ho scritto. "Kyomi" era il mio modo di avvicinarmi a Fujima e farlo mio (metaforicamente). E come ora mi sembra di non avere più necessità di un filtro per dialogare con i personaggi, sono riuscita a liberarmi anche dalla pesantezza del linguaggio dietro cui mascheravo le imperfezioni.
Il "Volo", nonostante tutto, è una pietra miliare per me. È grezzo, è imbarazzante, ma è spontaneo e sincero come ce ne sono stati pochi altri. Con la conclusione di questa storia Kyomi è scomparsa dalla mia scrittura, ma di lei sopravvive quell'impulso iniziale, ingenuo e intrepido, che non si ripeterà più e di cui andrò sempre inseguendo. 

Grazie per la vostra, per la tua pazienza.
Un abbraccio.


 
 



Volo verso il sole - Epilogo



Kyomi scaricò le valigie dalla macchina dei suoi.  –Sicura di aver preso tutto?-  Lei sorrise indulgente a quell’ennesima espressione di ansia. –Sì, zia. Non preoccuparti.- 
Mikagi le levò il peso della borsa, il viso corrucciato. Le chiese per l’è mesi a volta quando sarebbe tornata, cercando rassicurazioni. –Non lo so … La Kyodai non è uno scherzo, dovrò impegnarmi moltissimo.-  
Il suo treno partiva alle 17:15. Un biglietto di sola andata, Yokohama-Kyoto. 
Si accomodarono fuori dalla sala d’attesa, rivangando per ultimi istanti i ricordi vicendevoli, per non doversi esporre all’imbarazzo degli adii. 
Tra il brusio della folla e gli annunci degli altoparlanti, Kyomi scorse una testa conosciuta. Hanagata rientrava da un giorno di intense prove scritte, assorto in un ripasso di vocaboli inglesi in extremis, si accorsero della reciproca presenza quasi nello stesso istante.
-Presidente! - Chiuse l’opuscolo tre le dita e le venne incontro. -Sei in partenza ora? - Non si aspettava di sorprenderla nel momento del commiato.  
–Ormai non sono più il vostro presidente.- Lei gli rivolse un sorriso trattenuto sollevando lo sguardo, sebbene restia a intrattenersi in conversazione con lui. Restò seduta dov’era.
Hanagata la guardò, e poi guardò le sue valigie lungo la panchina della frenetica stazione ferroviaria.  –Ma Fujima lo sa?- 
Lei distorse il volto con fare seccato.  –Non è il caso di nominare proprio lui.-
A questo il ragazzo non replicò. Dopo un breve indugio lo vide sfilarsi la borsa dalla spalla e posarla a terra, come per impuntarsi. Era contrariato. Aveva accantonato la riluttanza, contro ogni aspettativa, e si era pronunciato con voce puntellata di sfida. -Pensi che lui non ne valga la pena?- 
Quell’unica frase fu capace di farla sollevare, percossa di disagio e indignazione, pur reggendo a fatica le lenti inquisitrici di Hanagata. 
-Lui tiene comunque molto … A te. - disse.  Kyomi strinse i pugni lungo i fianchi, abbassando lo sguardo.  –Questo va oltre il tuo campo di competenza, Hanagata. Non ti devi intromettere … -  L’asperità delle sue parole non ressero fino all’ultimo, incespicandosi, pur di celarsi a se stessa, ciò che non poteva e non voleva sentirsi dire. 
-Non ci credi neanche tu, è così? Hai così paura di perdere la scommessa contro l’ignoto? … Scusami, io sono un ingenuo… - Il suo tono incalzava incerto, ma sempre più tumultuoso. - Ora forse penserai che sia la decisione più logica e giusta, ma ti stai solo perdendo in un mare di ridicole precognizioni!- 
E Kyomi sorrise con perfidia, non in vena di sedicenti prediche. Non da lui.  –Ci sono ragioni che vanno al di là delle scelte.- 
Hanagata inspirò profondamente con la bocca ed espirò a palpebre chiuse, sentendo fremere i nervi. Titubante, contando le parole che gli erano rimaste… In fin dei conti lui non era che un estraneo in quella vicenda... Non era lui che doveva pronunciarle, le parole che Fujima aveva scelto di non dire. 
E forse, in fondo, aveva ragione lei …  -Allora prendi le tue valigie e parti. Sii serena. Quando Fujima domattina si alzerà, tu sarai già lontana dalla sua vita. È vero, è senz’altro giusto così … 
Ma cerca di sradicare questo pensiero da te, perché ora dovrai gettarlo via!-  Kyomi si sentì sussultare, ma non lo palesò. 
-Le cose che mi hai detto al Ryonan… Te le sei scordata? Che significato avevano avuto per te?-  Le impose la verità dei suoi occhi, benché il volto di bambino fu incapace di tendere verso i puri spasmi dell’ira. 
-Smettila … -  Voce che si arenava naufragando precocemente. 
-“Lui è il giocatore più prezioso per lo Shoyo”? Tu hai ucciso ciò che eri…-  Hanagata sospirò pervaso di rabbia indeterminata. -Deponi pure le armi, hai vinto. Io non sono in grado di abbattere le tue difese. Tutto lo Shoyo messo insieme non ne sarebbe capace, neanche se scendesse in campo il capitano. - La guardò con rassegnazione e aggiunse. - Ma sai bene che lui non ti scaccerà altrettanto facilmente. Né il tempo né lo spazio basteranno a scalfire la sua cecità… Non negarlo ancora, non a te stessa... Non lo capisci?!-  
Le afferrò le spalle con entrambe le mani, scuotendole impercettibilmente, inclinando il capo per poter inchiodare i suoi occhi di onice. -Kyomi, il suo cuore ti appartiene!- 


Sprofondato nell’abisso il suo orgoglio si contorse un’ultima volta, mentre i suoi occhi si riempivano di detriti opalescenti. Guidata dalle parole, l’immagine di Fujima venne alla luce, risplendendo oltre la notte. 
Rivoli di lacrime le sgorgarono dalle fenditure delle palpebre, quella limpida rivelazione di cui aveva sempre confutato il possesso. Infossandosi nelle spalle contratte e stringendo gli occhi, si portò una mano alla bocca sentendosi soffocare.


Hanagata non le chiese altro. Non fu necessario udire la sua risposta. Sapeva quello che doveva fare ora.
 






Nella palestra dello Shoyo, i superstiti del giorno si allenavano ancora. 
Fujima teneva insieme i resti di un ammutinamento di fine anno, perseverando i suoi doveri di allenatore. Non aveva più risentito Kyomi da quel giorno in biblioteca. 
Aveva perso. Proprio come nel suo eterno scontro con Shinichi Maki, benché in questo caso il suo contendente avesse firmato l’armistizio. E i risentimenti a senso unico non potevano costituire oggetto di conflitto. La pace di quel mondo ora doveva perdurare, anche se lui, solo, ne era l’unico abitante. 
Da lontano, sentì pesanti passi che martellavano sul suolo. Hanagata stravolto comparve sulla porta, appoggiandosi a un battente e ansimando indecorosamente. 
–Per oggi potevi risparmiarti questi riscaldamenti, Toru … – gli sorrise sarcastico.
Lo spilungone si trattenne dal replicare. Raccolse fiato e disse senza preamboli.  
- Kyomi sta partendo.- 
Fujima sussultò. Una lama fredda lungo la schiena, che abilmente ignorò. -Cosa potrei fare io, ora?- 
Hanagata non si lasciò ingannare da quella voce disillusa. - Piantare di esitare!- Batté il piede a terra e, sentendosi sopraffatto dalle vertigini della corsa, non si trattenne più:


-Prima che il mondo finisca, corri da lei, Kenji Fujima!-


Spalancò gli occhi, la coscienza che ne veniva trafitta. 
Si morse il labbro, infossandosi un’ultima volta. Come se una marea nel cuore lo travolgesse, Fujima scattò fuori dalla palestra. 






Con solo la giacca sportiva sulle spalle sfidava le correnti gelide di maggio. Le sue gambe bianche scoperte che volavano in mezzo alla moltitudine di figure infagottate, abbagliando gli sguardi. 
L’ossigeno cominciò a calare. I chilometri, pur restando interminabili sotto i suoi piedi, vennero bruciati con tenacia. Anche se il fiato incespicava inesorabile, dovesse la coscienza abbandonargli, non sarebbe crollato ora. 
Arrivò a destinazione e trafelato alzò lo sguardo verso il tabellone delle partenze. “Tokyo, Niigata, Shin-Aomori, Nagano…” 
17:10. Nell’aria colse un annuncio che risuonava confuso tra gli alti soffitti della hall. “Linea Tokaido, proveniente da Tokyo e diretta a Shin-Osaka è in arrivo al binario 5.” 


Kyomi si sciolse dagli singhiozzi della sua amica e salì sul convoglio. Dall’altra parte del vetro, Mikagi continuò a farle cenni con la mano elargendo diverse tonalità di espressioni al posto delle parole. Lei sorrise, alzando la mano a sua volta e oscillandola con affetto. 
Poi la vide voltarsi come se si fosse accorta di qualcosa in lontananza... Quando tornò a guardarla la sua espressione era dardeggiata di puro stupore. Appoggiò il palmo al vetro come per allertarla, e lei abbassò il finestrino, preoccupata.  –Che succede, Mikagi?-
Lo scorse dietro la folta chioma mossa della ragazza, ansante, piegato su se stesso, le mani sulle ginocchia. 
Come trovò la forza di sollevare il capo, lui la vide e gli angoli delle sue labbra si sollevarono con lui. - Kana...- 
-Fujima, cosa...- Non sapeva a cosa pensare. In quel momento il treno prese a muoversi, lentamente, e il ragazzo si accostò camminandole accanto.
-Mi odierai perché non so rassegnarmi, non ho mai saputo farlo...- Sorrideva ancora, come uno sciocco. Fujima tese la mano e cercò il calore della sua, lei non gliela negò, i loro sguardi incatenati insieme. 
-Non ti chiederò di restare. So che non sarò mai in grado di raggiungerti, però... a me va bene così. Questo mi basta. A te sta bene?- 
Sentiva gli occhi velarsi di una patina lucida, Kyomi, non trovando le parole. O magari, non ce ne erano mai state bisogno...
-C'é una cosa che non ti ho detto, Fujima.- fece lei, quando finalmente poté contraccambiare il suo sorriso. Senza più mascherarsi, senza più menzogne. -Ma non la dirò ora...- E fu una promessa a se stessa. -Saprai aspettarmi?- 
In risposta lui le fece segno di sporgersi, -abbassati, Kana.- Mentre le sue lunghe ciocche seriche scivolavano fuori dal vetro del finestrino aperto, ondeggiando al vento, Fujima spiccò un salto. E tenendosi forte al sostegno del corrimano, si issò sù con tutto il suo peso... Una frazione di secondo, le loro labbra furono a contatto, prima che la forza di gravità lo trascinasse nuovamente a terra.
-Sì.-
Fujima sostò a lungo, laddove terminava la banchina, e la seguì con lo sguardo, mentre il lungo convoglio nella sua corsa prendeva velocità.



 
  
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