*Epilogo*
–
It's a revolution, I suppose
Bertholt tiene stretto tra le dita della mano il battente consumato, anche quando sale gli ultimi scalini che lo fanno emergere dai sotterranei. Vibra di terrore, in tutto il proprio corpo, e non per il ricordo dell'ultimo colpo dato al tamburo, ma per le scosse che le grida di animali e finti umani hanno provocato sulla sua intera figura – la membrana che oscilla a creare la melodia di terrore è stata rappresentata dalla sua persona irrigidita.
I suoi occhi si abituano lentamente alla luce del giorno, così come la sua gola all'aria che non sa di marcio e di putrido, e quando finalmente riesce a vedersi le mani, si ritrova sporco di nero in ogni lembo di pelle ancora intatto e con la carne scavata in più punti da parassiti di cui non sa neppure il nome. Sputa l'aria rancida che ha nei polmoni, come vomito troppo acido, e per un attimo il battente pare separarsi dal suo corpo. Lo afferra saldamente prima che cada e lo lasci definitivamente.
La superficie è una sorpresa, ma immagina sia colpa degli ultimi avvenimenti accaduti. C'è caos e disordine, come il luogo che ha appena abbandonato. Eppure, la morte trova una diversa forma, per esprimersi: ci sono pezzi ancora sanguinanti di essere umani, cadaveri smembrati e rantolanti che muovono gli arti in cerca di aiuto, pezzi di indumenti strappati e buttati a caso tra gli steli secchi della paglia odorosa.
C'è anche un palco, ai bordi di quello che doveva essere un ring, e qualche animale libero che scalcia in mezzo agli oggetti messi alla rinfusa.
Un ex campione esce, all'improvviso, da dietro la carcassa di una mucca, e con la bocca grondante di sangue avanza verso di lui e ringhia la propria paura. Bertholt rimane tranquillo, riconoscendo in quegli occhi un viso familiare – Annie ritrova la coscienza in sé, lo riconosce e passa oltre, avvicinandosi piuttosto vogliosa al cadavere del padrone.
Non è rimasto nessuno, in quel posto, ed è l'affievolirsi sempre più preciso di un ritmo cardiaco che il ragazzo moro tanto teme.
Va avanti, inciampando in qualcosa che non guarda neppure, e quando ritira la mano da terra si ritrova a stringere uno scarpone con il piede ancora dentro; lo butta via urlando orripilato, e al suo grido qualcuno risponde.
Si ritrova davanti, mezzo nascosto dalla paglia e sotto il corpo di uno degli ex campioni, un ragazzo biondo di corporatura massiccia, che è ancora in grado di respirare e tossisce sangue. Trova la sua pelle eccessivamente chiara, e chiazze di rosso ovunque attorno a lui. Lo guarda girare il viso con fatica, nella sua direzione, e aprire il solo occhio ancora capace di vedere.
Il suo cuore si ferma.
-Tu sei... l'attuale campione?
Lo vede percepire le proprie parole, probabilmente capirle anche, e scegliere nella propria testa anche una risposta quanto più sintetica possibile per non sprecare altre energie: fa un solo cenno del capo, di assenso.
Il cuore di Bertholt si ferma di nuovo.
Si avvicina veloce, sempre tenendo il battente con una mano – usa l'altra per spostare il cadavere sopra il ragazzo e pure tutto ciò che ancora lo ricopre. Ha ferite, troppe, e sanguinanti da troppo tempo.
Lo guarda ancora in viso, e si rende conto che l'altro è abbastanza consapevole della propria condizione, senza eccessiva rassegnazione nello sguardo. Non prova neanche a parlargli, e questo è di molto sconforto per il ragazzo.
Gli mostra il battente e allora il ragazzo biondo pare illuminarsi per un istante, giusto per raccogliere le forze per dire qualcosa. Il suo nome.
-R...ein-er.
Bertholt lascia il battente per terra, sorreggendo il capo del campione sulle proprie cosce.
I loro cuori battono allo stesso ritmo pacato, trovando una sincronia perfetta senza il minimo sforzo. Il ragazzo moro lo tocca appena sulla guancia liscia, con i polpastrelli, cercando di non toccare niente che gli possa fare del male; Reiner apprezza e chiude gli occhi, rilassandosi per davvero.
Tutto, tutto quello ha senso in quell'attimo: la sicurezza di aver avuto qualcuno accanto a sé, che fosse una ragione di vita e una presenza costante, diventa realtà per entrambi. E, in ultimo, la voce di lui, altissima quanto vera.
-Io mi chiamo Bertholt, Reiner. E sono qui per portarti a nuova vita.