Anime & Manga > Detective Conan
Segui la storia  |       
Autore: Il Cavaliere Nero    10/06/2014    7 recensioni
Shinichi Kudo è famosissimo: il più giovane detective, un curriculm che vanta il maggior numero di casi- rapidamente!- risolti. Per la sua consapevole abilità, e talvolta saccente professionalità, parte della polizia lo applaude e lo stima; l’altra metà, per la stessa ragione, lo ostacola nascondendosi dietro una finta esaltazione di rigorismo, che è in realtà qualunquismo.

“Tu…sei, sei stato in centrale oggi?”
“Sì. Ma sai, non mi sono fermato lì con loro, non sono soliti parlare benissimo di me."
In quella dichiarazione di consapevolezza, in lui tornò a dominare il detective orgoglioso e sicuro di sé, distaccato e persino un po’ scontroso.
"Tu...sai che..."
"Mph, credi che io viva sulle nuvole? Dicono che io sia ancora più arrogante da quando sono amico suo. Un mese fa ero un eroe, ora improvvisamente uno sbruffone. Come si spiega quest'incoerenza? Io sono sempre io. Sono sempre stato un eroe, sarò sempre uno sbruffone. Purchè scelgano. Sono lo stesso di un mese fa, non c'è nulla di diverso in me."

Ran apprezza i suoi metodi, totalmente distanti da quelli di suo padre. Ma li apprezzerà anche quando ne verrà travolta?
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ringrazio ancora tutti coloro che hanno recensito la storia! :)
Spero che anche questo capitolo vi piaccia.

 
Capitolo Terzo – Indecisione
 

«Per un motivo che ignoro,
mi piaci moltissimo.
»
Franz Kafka


 

“Tu non sei normale, Ran.”
Dopo aver ascoltato a bocca aperta il racconto della sua amica, Sonoko Suzuki non trovò espressione migliore di questa, a suo giudizio, per delineare e descrivere l’operato della karateka.
“Ma perché?” la rimbeccò lei, gonfiando le guance. I ragazzi loro compagni di classe camminavano con passo veloce in direzione del cancello della scuola; suonata la campanella di fine lezione nessuno aveva più voglia di rimanere lì. E loro invece, battibeccando, si muovevano lente, quasi volendosi fermare nel centro del cortile per discutere meglio della faccenda.
“Perché? Lo ami da…quanti anni? Quattro forse, o di più? Collezioni giornali, articoli, vedi programmi tv che non vedresti mai e che anzi di solito schernisci, se sai di una sua ospitata o anche solo di un suo intervento di cinque secondi…ora finalmente ti capita a tiro, e che fai?!”
“Io non lo amo!” fu la prima cosa che, di quella frase, tenne ad obiettare. “Semplicemente…lo stimo molto…”
“Sì, stima! Stima è proprio il termine appropriato!” replicò la ricca ereditiera. “E proprio così che si dice quando si vorrebbe saltare addosso ad un ragazzo!”
“Io non voglio…!” fece per obiettare di  nuovo, ma stavolta Sonoko non le concesse di prendere la parola:
“Senti, di solito è naturale che quando si incontra di persona chi si ha sempre stimato da così tanto tempo si provi qualcosa di speciale, per lui. Capiterebbe a chiunque! E’ come scontrarsi con i proprio sogni, e venirne inghiottiti.”
Ran la ascoltò senza interromperla, seppur rossa in viso:
-Ecco perché continuo a confidarmi con Sonoko…- sorrise tra sé e sé –Nonostante la sua apparente superficialità, possiede una sensibilità particolare…Ha occhio per certe cose…-
“Ma di solito quando capita questo il consiglio che la fan deve ricevere immediatamente è: la persona che hai di fronte è diversa da quella che credi, fa’ attenzione e vieni via prima di scottarti! Il tuo problema è che la situazione è all’opposto; a meno che tu non sia così tanto…” fece una pausa, prendendola in giro “…a meno che tu non lo stimi così tanto da non vederne i difetti, da come me ne hai parlato sembra abbastanza simile al dipinto che avevi fatto di lui…e allora? Magari non lo è affatto, è tutto il contrario e ti sta ancora mostrando il suo profilo pubblico…ma se non lo frequenti un po’, se non lo conosci meglio, come farai a capirlo?”
Paonazza in viso, la ragazza osò chiedere: “ E allora…come avrei dovuto fare secondo te?”
“ 348. 2719793. Questo è il mio numero, aspetto una tua telefonata…sono sempre disponibile per te! Dovevi rispondergli così.”
“Ma che dici? Sarei parsa interessata a lui.”
“E non lo sei?”
“Beh…lo avrebbe capito anche lui.” Eluse alla bene e meglio la domanda, ma la Suzuki era troppo esperta in quel campo per lasciargliela passare:
“E’ un grande investigatore, lo capirà comunque…sempre che non l’abbia già capito.”
“Credi sia possibile?” sbottò, sentendosi a disagio solo pensando che quella possibilità potesse concretizzarsi. Allora proseguì: “Vedi Sonoko, è per questo che non gli ho dato subito il mio numero! Non vorrei sembrare una ragazzina superficiale che è interessata a lui solo perché è famoso e lo considera un vip. Ho già pensato a tutto: mi ha detto di aver frequentato la scuola di calcio nella mia stessa palestra, dove mi alleno ora…La prima volta che sostituirò Koromo-sensei entrerò in ufficio e cercherò nei registri il suo indirizzo, poi gli lascerò il mio numero nella cassetta. Ma senza nome, per vedere se si ricorda e se capisce…o forse dici che è meglio con il nome? Per non sembrare vanitosa…e se pensasse che sono una facile? Se parlasse con i suoi amici e si dicessero che una che dopo solo tre giorni che lo conosce ha accettato di trascorrere tutto il pomeriggio in un angolo isolato del parco di Beika, anzi che al primo appuntamento già è andata con lui al bar…oddio, Sonoko, sto dando l’idea di una facile?”
Ran era una ragazza intelligente, oltre che molto dolce; e cercava sempre di seguire il modello di suo padre e di Shinichi, naturalmente, e cioè di adottare una forma mentis razionale. Ma quando si trattava del giovane detective non capiva più niente, entrava nel pallone: confusione totale.
Ma l’amica sorrideva sorniona: “Quindi è vero che sei interessata a lui, eh, ti sei tradita…”
“Dopo quella frase ho pronunciato almeno una cinquantina di parole!” le fece notare, sbuffando.
-Ma quando ci si mette, sa essere davvero molto superficiale…- proseguì la scia dei pensieri precedenti, attendendo una sua risposta.
“Mi pare che tu stia correndo un po’ troppo, Ran! Ragiona: se non fossimo tutti un po’ facili non faremmo mai amicizia. Rimanere sempre con la puzza sotto il naso, non sorridere mai, stare sulle proprie…ma che mondo sarebbe, tutto pieno di musoni saccenti e basta! Tu sei una persona solare, che ama stare tra la gente, disponibile ad aiutare chi è in difficoltà…noi che ti conosciamo bene, lo sappiamo. E se questo Kudo dovesse scambiare la tua magnanimità per piaggeria, o peggio…Beh, non sarebbe il grande detective che si vanta d’essere.”
“Sonoko…” colpita da quelle parole sincere, Ran si slanciò per abbracciarla. Mentre erano guancia a guancia, la biondina ridacchiò: “Ma comunque fare tutto questo casino per dargli il tuo numero…e se pensasse che sei una stalker?” le diede corda, colpendo precisamente il bersaglio nel centro.
“Voglio dire…tu ti alzi, ti lavi, esci per andare a capire chi ha ucciso il bel ragazzo che si guardava un film da solo in casa e aveva tante fan perché era affascinante, e nella cassetta delle lettere ti ritrovi un biglietto anonimo con un numero di telefono…”
“Dici??” ci cascò subito Ran, pensierosa. Sonoko scoppiò a ridere.
“Scherzi a parte, io aspetterei che contatti tuo padre. Sembrerà più sobrio.”
“E se non dovesse farlo?”
“Hai detto che ama indagare! Credi lascerà questa indagine?”
“Non lo so. Sembrava molto preso da questa che ha a che fare con il karate…”
“Mhm…” Sonoko fece per dire qualcosa, ma ad un tratto improvvisamente i suoi occhi brillarono.
Tacque di colpo, fissando gli occhi davanti a sé.
“Che c’è?” Ran colse subito il cambiamento della compagna, e si volse nella sua direzione di sguardo: “C’è Kyogoku?”
Makoto Kyogoku era un amico di Sonoko. Si erano conosciuti in palestra, quando la ragazza era accorsa a tifare per Ran durante una gara importante. Il giovane, karateka anche lui, soprannominato ‘Il principe dell’attacco’ l’aveva notata, e il caso aveva fatto il resto: incontratisi per caso durante una vacanza, erano diventati amici…*
Si piacevano, si piacevano moltissimo. Ma lui era estremamente timido; Sonoko cercava di sbloccarlo in qualche modo, di fornirgli l’occasione di agire: ma lui esitava, balbettava, s’irrigidiva.
“Non direi proprio…” sibilò pettegola, aprendo la cartella per strappare un pezzettino di carta da un quaderno.
“Cosa fai?”
“Tieni!” le porse foglietto e una penna “Scrivi qui il tuo numero e lanciaglielo!”
“Ma cos…” Anche Ran allora ebbe una folgorazione. Mise a fuoco un punto pochi metri avanti a lei, la colonna in marmo di fianco il cancello della scuola: ed eccolo lì, avvolto del suo charme.
Un piede poggiato sul muro alle sue spalle, per bilanciare la schiena contro la parete. Completo di pantaloni e giacca molto chiaro, gli risaltava il fisico allenato grazie anche al bianco della camicia. Occhiali da sole che le impedivano di capire se l’avesse visto o stesse guardandosi intorno, e capelli scompigliati dal vento abbastanza da darne l’impressione di ragazzo anti conformista e sicuro di sé- come poi effettivamente era- che tanto la faceva impazzire.
“Chiudi la bocca Ran, la bava ti sta colando sulla camicetta!” le sussurrò Sonoko, schernendola.
“Che…come…”
“Oh, non fare la timida proprio ora! E’ venuto lui a cercarti, e per la seconda volta in pochi giorni. Direi che sta correndo il rischio di sembrare uno facile pur di vederti, no? Perciò puoi, anzi devi, fare altrettanto!”
Quindi la afferrò per il polso e, fingendo disinvoltura s’avviò trainandola nella sua direzione.
Shinichi sorrideva, le braccia incrociate al petto: mentre loro si avvicinavano non si mosse di un millimetro, ma continuò a sorridere.
Le aveva viste. Le aveva viste da molto prima che loro si accorgessero di lui, e gongolava della sua fama.
Solo quando furono vicine, a circa un metro da lui, portò le braccia lungo i fianchi e, issandosi sul piede alzato tornò in posizione eretta.
Ran gli sorrise, e nient’altro, incapace di proferire parola.
Confusione totale.
“Kudo Shinichi, ma sei tu?” una ragazza in tenuta sportiva –quindi pantaloncini corti e maglietta bianca attillata- gli si avvicinò senza porsi tanti problemi.
Lui disse di sì semplicemente ampliando il sorriso.
“Mi fai un autografo? Sono una tua grande ammiratrice!”
“Ma certo.” Rispose, estraendo dall’interno della giacca un pennino con punta dorata.
La giovane gli offrì il braccio nudo.
“Qui?” le domandò lui, l’espressione compiaciuta ma divertita allo stesso tempo.
All’assenso di lei le fermò il polso con una mano, mentre con l’altra apponeva la firma sulla carne.
Ran, dapprima impressionata dalla sfacciataggine di lei, osservò quel movimento come rapita: nella sua mente già pensava a cosa avrebbe provato se il ragazzo l’avesse afferrata così come con quella ragazzina, e tenuto stretta: e poi se, con l’altra mano avesse impresso…
Scrollò la testa, volendo distrarsi; e si accorse che dietro il giovane si formava la coda, attorno a lui si andava pian piano componendo una ressa.
“Mi aspetti al nostro bar, signorina?” le disse allora lui, il sorriso sornione di chi sa che ne avrà da fare per un po’.
Quell’aggettivo usato con tanta nonchalance la fece tentennare.
-Nostro…-
“Ce n’è uno qui dietro l’angolo, con poca gente a quest’ora.” Le corse in aiuto Sonoko, vedendola in panne “Si chiama C’era una volta, ti aspettiamo lì. Va bene?”
“Ohhh” finse un’esclamazione sorpresa per la sicurezza dimostrata dalla biondina “Va benissimo.”
 
§§§ 
 
 
Avevano sadicamente scelto il tavolo di fronte la vetrata principale, e potevano vedere distintamente Shinichi, ancora di fronte il portone dell’edificio scolastico; firmava autografi e sorrideva alla miriade di ragazze, dai quindi ai diciannove anni, accorse intorno a lui non appena l’avevano riconosciuto.
“Ma guardalo…” Ran afferrò un pugno di arachidi dalla terza coppa divorata nel giro di sei, sette minuti.
“Lo stimi ancora, cara?” le fece la linguaccia Sonoko, poi ridacchiando: “E’ normale, è famoso e lo sa. Lo hai visto fare la stessa cosa mille volte, in tutti quegli articoli che ti leggi, e in tv, e…”
“Dal vivo fa un effetto diverso.” Terminò anche quella colpa, deglutendo intere le noccioline.
“Comunque, pare si sia liberato. Vi lascio soli!” le ammiccò, facendo per alzarsi dal tavolo ma Ran la bloccò:
“Non potresti…rimanere?” le domandò con un fil di voce, gli occhi ridotti a due puntini.
“Sonoko Suzuki!” con la velocità della luce Kudo le aveva raggiunte. In realtà quando si erano allontanate dalla confusione, le aveva seguito con lo sguardo e aveva visto chiaramente il tavolo che avevano scelto –e come lo avevano fissato per tutto il tempo. La cosa lo divertiva.
“O sbaglio? Sei la figlia minore del leader della compagnia Suzuki.” Con due falcate le raggiunse, poi: “Ma stavi andando via?” in riferimento al suo essere in piedi.
“No.” Rispose subito lei, pronta.
“Non sei la figlia di Suzuki?” la prese in giro, ridendo spavaldo. Di rimando, anche Ran si ritrovò a sorridere: adorava quel suo modo di fare canzonatorio, giocoso. La metteva subito di buon umore, comunicandole serenità e pacatezza.
“Sì, in persona. Ma non stavo andando via! Solo, mi chiedevo se non fosse meglio cambiare posto.”
“Concordo. Qui siamo in bella vista, non vorrei essere disturbato di nuovo. C’è una sola inferiore, vero?”
-Ma come diamine l’ha capito?- volle significare l’occhiata che Sonoko lanciò a Ran, che rispose con un sorriso che voleva dire: -Perché è lui!-
“Andiamo lì.”

§§§

“I signori desiderano…?” non appena i tre ragazzi furono scesi nella saletta sottostante la cameriera di turno aveva evidentemente riconosciuto il giovane e si era fiondata al loro tavolo. Se non altro, comunque, la sala era vuota.
“Tre frullati di mango, grazie.” rispose lui all’istante, mentre si sedeva di fronte le due ragazze.
“Subito, Kudo-san.” Gli fece capire d’averlo riconosciuto e, le guance paonazze. Non era una donna audace come le studentesse di poco prima, era timida, impacciata: ma era anche lei, palesemente, una sua fan.
“Spero vi piaccia il mango” disse quando la cameriera ebbe lasciato la sala. “E’ il frutto che richiede maggior tempo di preparazione, saremo in pace per almeno una decina di minuti.” Confidò.
Poi voltò il volto specificamente verso Ran, e le sorrise:
“C’era una volta…” finalmente si sfilò gli occhiali, gli occhi di un celeste accesso e limpido,  rivelando di aver sempre tenuto lo sguardo fisso sulla Mouri.
Quell’improvviso diretto contatto visivo la fece arrossire, ma non abbassò il viso, sorreggendolo.
“…una ragazza che non aveva un numero di cellulare. E così il ragazzo fu costretto a cercarla a scuola.” Poggiò gli occhiali sul tavolo, portandoci anche i gomiti.
La fissò con espressione divertita per ancora qualche secondo, poi volse l’attenzione a Sonoko:
“Comunque, piacere, signorina Suzuki. Sono Shinichi Kudo.” Disse, e il suo sorriso fece trasparire la consapevolezza dell’inutilità di quella precisazione.
Infatti lei: “La tua fama ti precede.” Prese a dargli subito del tu, perciò lui fece altrettanto:
“Ti ha parlato di me Ran?” sfottè, ma la ragazza ebbe risposta pronta:
“Sì, le ho detto che c’era un tipo strafottente che mi infastidiva.”
“Strafottente…” ripetè lui, tornando a fissarla in quel modo negli occhi. Uno sguardo divertito e giocherellone, eppure profondo, che sembrava volerla distrare con l’apparenza di non essere serio, e invece metterla a nudo, scavarle nelle profondità dell’animo.
“Stai lavorando anche tu al caso della rapina?” Sonoko cercò di sviare i dubbi di Ran, ed estorcergli quindi se sarebbe o no tornato da Kogoro.
Fu inutile.
“Devo ancora deciderlo. O meglio, io ho deciso, ma c’è chi deve ancora deciderlo.” Lo disse con tono ironico, tranquillo: eppure Ran colse anche la polemica di quell’affermazione. Per lui lavorare era complicato, era un detective discusso, per quanto famoso, come le aveva detto lui stesso il giorno del loro primo incontro.
“E voi?”
“Prego?”
Shinichi rise: “State spiando tuo padre? Indagate anche voi, metodo vostro, al caso della rapina?”
Colpite e affondate.
Ma Sonoko tentò di negare: “A me le indagini non interessano. Ne so qualcosa solo perché Ran non fa che parlarne, ha lo stesso pallino del padre.”
-Ne parlo perché riguardano Shinichi…-la corresse nella sua testa, ma si guardò bene dal pronunciarlo ad alta voce. Delle inchieste in sé per sé non le importava niente.
“E tuo padre è contento?” rise di nuovo.
Ran tentennò, rispondendo con una frase di circostanza. Era più imbarazzata del solito: le accadeva perché i suoi sentimenti non erano più distinti, così come la situazione.
Prima aveva un quadro ben chiaro in mente: lei ammirava e forse aveva un debole per Shinichi, un detective famoso, poi incontrato una volta per caso, che aveva confermato l’idea che lei si era fatta a proposito: era un Uomo.
Ma in quei giorni le carte s’erano mischiate: Shinichi era anche un ragazzo accattivante, malizioso, sempre ironico e con la battuta pronta, oltre che con l’intelligenza fiera e scattante di chi, anche se pare distratto o attento ad altro, in realtà non si lascia sfuggire niente;  e non era più solo Il detective, stava diventando il detective Shinichi, che la cercava, l’aspettava dopo gli allenamenti, la portava nel parco di Beika, addirittura l’andava a prendere a scuola. Ed il suo debole per lui si stava mutando in relazione al mutare del loro rapporto: lei era sorpresa, ammirata, meravigliata.
Aveva pensato di poterlo battere sul tempo, e aveva fatto un colossale buco nell’acqua: come se sapesse quali fossero i suoi piani, come se volesse dimostrarle subito come stavano le cose, e dirle: “Non sono mai io quello che subisce l’azione. Io la attivo, e la cavalco, e sono anche in grado di prevedere la corrispondente reazione.”
Proprio quando pensava di averlo inquadrato, almeno un po’, ecco che lui deragliava dal binario della previsione e della probabilità per approdare ad una nuova strada, inimmaginabile e del tutto inaspettata.
Shinichi Kudo era imprevedibile: ne era infastidita. Ne era impressionata, e colpita.
Ne era affascinata.
“Perciò sei qui per chiedere il numero a Ran?” dopo un paio di frasi di circostanza tra i due, Sonoko pensò bene di accelerare un po’ le cose, ed ignorò bellamente il calcione che l’amica le diede sotto il tavolo.
“No.” Quindi mise una mano nella tasca interna della giacca, traendone un foglietto di carta strappato, per poi poggiarlo sul tavolo, di fronte a lei.
“Sono qui per darle il mio.”
Due a zero! Di nuovo quel che pensavano fosse chiaro ed inevitabile si dimostrava tutto fuorché scontato, imprevedibile.
“Avrei qualcosa da dire a Mouri, e vorrei che mi aiutassi.” D’un tratto divenne serio, e l’espressione saccente si tramutò in professionale. Ma solo per un secondo:
“Visto che non può sapere dei miei contatti con te…” alluse alla sera precedente, quando la giovane gli aveva proibito di palesarsi di fronte suo padre “…vorrei sapere più o meno dove poterlo casualmente incontrare, e poterci scambiare quattro chiacchiere.”
“Quando anche l’ispettore è presente?” e non attese la replica di lui: “Certo, non appena la squadra viene in agenzia da papà ti telefon…”
“No.” La interruppe. “Ci penserà tuo padre poi a riferire anche a Megure. Io voglio incontrare lui soltanto.”
“Oh.” Si meravigliò, comunque prendendo tra le mani quel bigliettino scarabocchiato.
Shinichi c’era scritto sopra le cifre segnate a numero, e nient’altro: Shinichi, come fosse un suo amico d’infanzia e non una persona famosa conosciuta da neanche una settimana.
“Ci sono dei problemi?” s’allarmò, ricordando anche le parole origliate qualche giorno prima:
 
“Il capoquestore Ikari è colluso con quell’organizzazione criminale.”
 
Lui sapeva…?
“Assolutamente no.” Replicò, sicuro.
“Allora perché vuoi parlare solo con lui?”
“Perché odio la formalità.” Rispose, e lei non stentò a crederci: lo ripeteva spesso nelle interviste, quando gli chiedevano le ragioni della sua condotta poco convenzionale.
Eppure, Ikari…
“Tanto che avrei detto a te cosa riferirgli, e poi lui avrebbe deciso se rispondermi o no, di persona o sempre tramite te. Sono solo alcune mie osservazioni sull’indagine, niente più…Ma tu sei restia a far sapere che ci conosciamo.”
“Ah, perché vi conoscete? Nel senso…” Sonoko non perse occasione, e Ran le tirò un secondo calcio sullo stinco.
“Sì, beh…ci siamo conosciuti.” Parve esitare prima di rispondere, come se si stesse trattenendo dal fare una battuta che forse due diciassettenni non avrebbe gradito.
La cameriera fece di nuovo il suo ingresso nella saletta, un vassoio portato a stento per l’emozione di star servendo proprio lui: e infatti quando dovette offrigli il bicchiere le scivolò dalle mani, e quasi gli cadde addosso. Fortunatamente lui ebbe i riflessi pronti e l’afferrò al volo, portandolo sul tavolo.
Mentre lei si scusava e lui la rassicurava, Ran si estraniò di nuovo:
-Caspita, che agilità! Chissà se è sempre così agile…- e la mente fluttuava di nuovo nel campo della sensualità ipotizzata quando la giovane inserviente, timidamente gli chiese un autografo.
Shinichi piaceva moltissimo alle donne, era chiaro.
Le due ragazze si lanciarono uno sguardo d’intesa, poco prima di rimanere nuovamente tutti e tre soli.
“Non c’è mai un uomo  a chiederti l’autografo?” Sonoko si beccò il terzo calcio da sotto il tavolo, e lui rise:
“E’ un modo elegante per dirmi che un tuo amico vuole il mio autografo?” portò la cannuccia alla bocca, ma prima di iniziare a bere aggiunse:
“I vostri fidanzati, forse?”
“Non siamo fidanzate.” Rispose Ran, subito, come se volesse subito fuorviare quel suo sospetto.
“Ah no?” se ne assicurò, e stavolta fu Sonoko a replicare:
“Tu lo sei?” sapeva bene che anche Ran glielo aveva chiesto pochi giorni prima, ma volle sondare per bene il terreno.
“No.” Rispose lapidario.
“Sicuro? Non parleremo certo con i giornalisti, sai! Se si tratta di un rapporto proibito, fazioni avverse, possibili avversari…”
Quarto calcio.
“Da quel punto di vista, la mia vita non è così avvincente.” Si lasciò andare una mezza rivelazione.
“Sei un maschilista? Uno di quelli da una notte e via?” Si aspettava l’ennesimo calcio di Ran, eppure la piedata non arrivò. Evidentemente, visto il fascino che palesemente esercitava sul genere femminile, quel dubbio s’era instillato forte in Ran, che ora non era più capace di ignorarlo, come invece per mesi aveva fatto.
“Mi stai chiedendo con quante donne sono stato a letto, Suzuki?” A domanda diretta, risposta secca. Shinichi non aveva peli sulla lingua, o tabù: e adattava perfettamente il suo registro e il suo comportamento all’interlocutore che aveva di fronte a sé.
Sonoko scrollò le spalle, un po’ in imbarazzo.
In quel momento, il telefono del ragazzo prese a suonare ed entrambe lo maledirono, salutando per sempre la sua risposta. Il giovane lo estrasse dalla tasca e scrutò il display per leggere il nome scritto sopra, quindi si alzò dal tavolo afferrando gli occhiali da sole.
Stava andando via, e si congedò da loro con uno sguardo di commiato.
-Vabbeh, il suo numero me l’ha dato…- pensò, stringendo forte in grembo quel foglietto di carta, l’unico contatto tra loro.
Ma, per la terza volta in quella mattina, Shinichi la stupì:
“Io credo che ogni persona che passa nella nostra vita sia unica. Lascia sempre un po’ di sé e si porta via un po’ di noi. Ci sarà sempre chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lasciato nulla. Questa è la più grande responsabilità della nostra vita*, sapere cosa lasciamo a chi incontriamo. Ma la responsabilità che dobbiamo a  noi stessi è riconoscere cosa ciascuna persona può darci: della vanagloria, dell’ego, della superficialità, e di tutto quel che il sesso di una notte può comportare, non mi faccio nulla. Da un punto di vista spirituale, non mi sento arricchito da nessuna di queste possibilità.”
 
 §§§
 
“Sarà pure un detective di fama internazionale, ma ti vuole abbordare con le stesse patetiche scuse dei ragazzini di quindici anni! Che bella frase da rimorchio, perché non aveva il coraggio di chiedertelo chiaramente: I vostri fidanzati, forse? Una fantasia che non ti dico.”
“Figurati se gli interessava sapere…” cercò di smorzare lì il discorso, ma l’ereditiera oltre la cornetta telefonica non volle saperne:
“Sì, gli interessa. Posso osare un parere, Ran?”
“Sentiamo” sospirò. Dalle occhiate che poche ore prima i due si erano scambiati, non le avevano dato l’idea di essersi troppo simpatici.
“E’ uno sbruffone, saccente, montato e pieno di sé che gongola della sua fama. E sa anche di essere affascinante, ci si atteggia ancora di più e se ne compiace. Bada bene a quel che succede, e a quel che farà con te.”
Ran scoppiò a ridere: “Ma cosa vuoi che faccia?”
“Portarti a letto!”
“Ma sei pazza?”
“Credi non lo faccia? I vip fanno sempre così.”
“Ma lui non è un vip! E’ un investigatore.”
“E’ la stessa cosa. E’ discusso e famoso quanto un vip. E gli piaci.”
“Ma che dici?!” il cuore di Ran perse un battito.
“Non dovrei dirtelo perché sei ossessionata da lui e dai tuoi ritagli di giornale disseminati in tutta casa, ma lo faccio perché…è meglio che tu lo sappia sin da ora, secondo me. Il compito di un’amica è quello di aprire gli occhi a chi li vuole tener chiusi: gli piaci. Fisicamente, almeno. Si capisce da come ti guardava.”
“Non mi guardava in nessun modo.” Cercò di tagliare corto. Eppure si alzò dal letto su cui era distesa e si precipitò all’armadio, aprendone l’anta per osservare il suo riflesso nello specchio: indossava ancora i vestiti dell’incontro. Si girò di profilo, scorgendosi sul vetro: si passò una mano sulla pancia, temendo fosse un po’ troppo gonfia; poi puntò gli occhi sul seno:
-Beh…questo…- si ritrovò a pensare con gli occhi ridotti a due minuscoli puntini – lo può aver apprezzato, è una bella parte del mio corpo…-
“Ti ha guardato in quel modo, fidati. Lo so capire, io. E non mi stupirei se con la scusa dell’indagine o di che so io cercasse di sedurti. Poi ti direbbe che tu sei grande e che hai scelto anche tu di fare quel che hai fatto, bla bla bla…attenta a te. Voglio dire, se decidi di starci, va bene. Ma devi esserne consapevole, non devi lasciarti abbagliare!”
“Smettila di dire idiozie, Sonoko!!” completamente rossa in faccia, tornò frontale allo specchio, ruotando un po’ la testa per osservarsi meglio.
Con tutte le attrici, donne di spettacolo e poliziotte che conosceva, possibile che…?
Una vibrazione del cellulare la fece trasalire, come se i suoi pensieri fossero stati trasmessi oltre il cervello lungo la linea telefonica.
“Scusami Sonoko, ho l’avviso di chiamata! Dev’essere mio padre, non è ancora rientrato.”
“Figuriamoci…non pensare di scapparmi! Ricordati bene quello che ti ho detto.”
“Non preoccuparti per me.” E nonostante tutto, lo disse con sincera gratitudine: sapeva che Sonoko parlava solo per il suo bene. O almeno, per quel che credeva fosse il suo bene.
Senza neppure visionare il display accettò la chiamata in entrata:
“Pronto?”
“Ciao, Ran. Perdonami il disturbo, a quest’ora. Hai cinque minuti per me?”
Si sentì soffocare all’istante.
“Sh-Shinichi!” non riuscì a trattenersi, palesando la sua sorpresa- e probabilmente il suo imbarazzo.
Lui, dall’altra parte, ridacchiò.
“In persona, signorina. Non mi hai fatto uno squillo dieci minuti fa?”
Ran tacque. Sì, l’aveva fatto. Presa una coraggiosa follia, aveva deciso di telefonargli…solo uno squillo. Dopo quell’affermazione repentina di Sonoko che aveva scatenato la pronta reazione del ragazzo:
 
“Mi stai chiedendo con quante donne sono stato a letto, Suzuki?”
 
si era ingelosita. Molto sciocco e infantile da parte sua, ma era stata un’invidia logorante che non aveva saputo controllare. Il pensiero era stato: -Vediamo se capisce che sono io…- e quando lui non aveva immediatamente ritelefonato o mandato un sms chiedendo chi fosse, o peggio facendo un nome femminile a lei sconosciuto, si era dimenticato d’averlo fatto. O forse il suo inconscio l’aveva rimosso.
Fatto sta che quelle telefonata non se la sarebbe mai aspettata.
“Eri tu, no?”
“E tu come l’hai capito?”
“Sono il miglior detective che tu abbia mai incontrato. Con tutto il rispetto per tuo padre, s’intende.”
Sbuffò. Poi si fece pensierosa: “Perché vuoi incontrarlo?”
“E’ molto importante per me, Ran.”
“Per caso, c’entra…” e si morse la lingua. Poteva dirlo? No, non poteva. Però…
 
“Tutto a posto, papà?”
L’uomo sollevò gli occhi dalla scrivania a quella che ancora soleva definire la sua bambina.
“Ti senti bene?”
“ Ikari Shima.”
“Chi è?” la ragazza iniziò a preoccuparsi. In realtà conosceva quel nome; ma sperava di sbagliarsi.
“Il capoquestore, Ran. Megure teme che potrebbe intromettersi nell’indagine, in qualche modo.”
“Perché dovrebbe?”

“Perché Kudo non piace ai piani alti.” Tagliò corto, con severità, come se rimproverasse lei dei metodi dell’investigatore più giovane.
“E il suo intervento potrebbe causarci dei guai.”
 
 
“C’entra…?”
“Shinichi, io…”
“Non voglio ingannarlo, Ran. E non sono complice di nessun cattivo progetto. Te lo assicuro. Te lo giuro.” La incalzò.
“C’entra con Ikari?”
“Chi ti ha fatto questo nome?”
“Non ti pare di pormi troppe domande?”
“Ne avrei ancora di più.”
“Tipo?” stavolta fu lei a incalzarlo. Odiava e amava allo stesso tempo battibeccare con lui. Come si conoscessero da anni e fossero amici di vecchia data che dopo anni e anni ancora litigano per le inezie.
“Tipo, perché una bella ragazza come te non ha un fidanzato?”
Deglutì saliva.
 
“E gli piaci!”

“E questo cosa c’entra con l’indagine, scusa?”
“Sei tu a non volerlo, Ran?”
“Non c’entra nulla con l’indagine, Shinichi.”
“Oppure sei innamorato di qualcuno che non si accorge di te?”
“Non ti riguarda.”
“Delusione d’amore?”
“Non parlerò di questo con te.”
“Sei fidanzata e vuoi tenerlo nascosto?”
“Non sono fidanzata.” Tenne a precisare.
 
“E gli piaci!”
 
“E innamorata?”
“Di che t’impicci?”
“Ti piace qualcuno?”
 
“Portarti a letto!”
 
Deglutì ancora saliva.
 
“E tu? Sei innamorato in questo momento?” riuscì a dire, pur rossa in volto. E poteva tranquillamente vedere il suo stesso imbarazzo riflesso sullo specchio di fronte a sé.
“La prima domanda da fare è se sono fidanzato.” La corresse.
“Non fare il detective saccente con me!”
“Ma lo sono!”
“Fidanzato?”
“Detective saccente! Ma se per prima cosa mi avessi chiesto se fossi fidanzato, ora non avresti avuto questo dubbio.”
“Di certo sei insopportabile.”
“No.”
“No cosa?”
“Non lo sono.”
“Innamorato o insopportabile?”
Rise: “Non sono innamorato di nessuna donna. Vuoi chiedermi anche tu ora con quante donne sono andato a letto, come la tua amica?”
Avvampò ancor di più e ringraziò il cielo di essere al telefono, così a lui invisibile e meno vulnerabile:
“Avrei detto con nessuna.” Lo punzecchiò, e lui scoppiò a ridere.
“E tu?”
“Non sono il tipo di domande che si fanno a una ragazza.”
“Hai diciassette anni. La risposta corretta è: Con nessuno, vuoi scherzare?!”
“Ripeto: cosa te ne importa?”
“Niente….” Rispose, ma il tuono fu piuttosto allusivo.
“Ran?! Sei in camera tua?” dall’altra parte dell’appartamento la raggiunse la voce di suo padre, e il cellulare quasi le cadde di mano.
“RAN?!”
“S-sì!” fu costretta a rispondere. E prima ancora che potesse inventarsi qualcosa, Kogoro le piombò in camera.
“Con chi parli?”
“E’ tuo padre, per caso?” le sussurrò Shinichi oltre la cornetta.
“Co-con Sonoko!!!” rispose con foga.
“Ohhh…” fischiettò Shinichi.
“D’accordo.” Rispose invece il padre “Hai già cucinato? Ho fame!”
“No…cioè sì, io…sì sì, devo solo riscaldare…ho fatto il ri-riso al curry con le polpette di gamberi…”
“Ottimo. Sbrigati allora, ti aspetto in cucina.” E lasciò la camera.
“Sei una ragazza bugiarda, eh? Buono a sapersi…” cinguettò Shinichi, facendola arrossire nuovamente: il suo tono era languido.
“Shinichi…”
“Ran.” La voce tornò seria. “Non ho cattive intenzioni. Te lo giuro. Mi faresti davvero un grande favore se…se mi accontentassi. Se soddisfacessi la richiesta di oggi pomeriggio.” Rimase vago, temendo che Kogoro fosse ancora nei dintorni e potesse sentirlo.
“Va bene.” Disse solo, prima di congedarsi.
“Ciao, Shinichi.”
“Ciao, Ran…salutami il tuo non fidanzato.” E non le diede il tempo di replicare, perché riagganciò. Lei si ritrovò a osservare come inebetita il cellulare tra le mani, uno strano sorrisetto divertito dipinto sul volto.
Poi si riscosse, e raggiunse il padre in cucina; mentre apparecchiava, lui le domandò:
“Vai a scuola domani?”
“Certo.”
“Portati le chiavi di casa, allora.”
-Lo faccio sempre….- pensò, ma si guardò bene dal contraddirlo.
“Domani vado alle corse dei cavalli.”
 
 

 ************************************************************************************
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Precisazioni:
*Makoto Kyogoku: Ho cercato di rimanere fedele alla presentazione ed al carattere che ne da Gosho nel manga.
*Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Lascia sempre un po’ di sé e si porta via un po’ di noi. Ci sarà sempre chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lasciato nulla. Questa è la più grande responsabilità della nostra vita: è la frase originale di Borges. Io l’ho riadattata e ampliata per contestualizzarla.
   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: Il Cavaliere Nero