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Autore: Drago Rosso Sangue    10/06/2014    1 recensioni
Djibril Moore è una giovane maga degli Elementi, la quale compito è proteggere, assieme al padre bibliotecario, uno specchio magico che apre la porta alla dimensione Neutrale tra Cielo, Terra e Inferi, il Labirinto, la dimora di Yggdrasil. È un'avventura mozzafiato tra angeli, demoni, shinigami e creature insolite, in un'atmosfera carica di spiritualità.
Spero che gradiate questa fanfiction (anche se lo è solo in parte). Drago Rosso Sangue. Meow (?) Roar
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Grell Sutcliff, Nuovo personaggio, Ronald Knox, Undertaker
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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CAPITOLO UNO Il libro era sempre lo stesso, copertina nera di pelle opaca, ali contorte un poco stilizzate in argento, stesse pagine antiche. E sempre l'immagine di quello specchio la attirava. Ma... - Sparisci, Belial!- Lo richiuse di scatto. Erano passati undici anni da quando aveva scoperto quel libro, e da allora suo padre le aveva ordinato, come un generale tedesco, di tenerlo segreto, per l'incolumità del mondo e del suo Equilibrium. Osservò il suo visitatore con aria truce, fulminandolo con un'occhiata che avrebbe incenerito l'erba. - Non fate così, Principessa. Non vi si addice - Maledizione, quel demone, come era irritante. Se suo padre avesse saputo che lei era amica di un demone, per di più uno dei Sette Grandi Demoni, un essere di quella specie che lui, George Moore, aveva giurato davanti agli Arcangeli di tenere lontano da ciò che lui custodiva e proteggeva da oltre tre secoli, l'avrebbe ridotta a una manciata di polvere. Al pensiero di tutte le forze della natura scagliate su di lei dalla magia di suo padre la fece tremare di terrore. Scacciò l'immagine dalla mante con una scrollata del capo, che fece ondeggiare quella cascata morbida e ondulata di capelli corvini che aveva in testa. - State bene, Principessa?- si informò il demone, avvicinando il suo bel volto a quello di lei. - Vattene! E non chiamarmi principessa!- urlò allontanandolo con una poderosa spinta all'addome. Belial cadde a sedere sul davanzale, quello da cui si era alzata la furente ragazza dagli occhi dorati, ridendo. - Da bambina eravate molto più tollerante nei miei confronti. Perché questo cambiamento?- La ragazza gli dava la schiena. Prima di rispondere, lo sbirciò da sopra una spalla. - Gli umani cambiano spesso opinioni. E poi sei un demone - Lo disse con vergogna, arrossendo lievemente. In fondo, considerava Belial un suo amico. Era stato con lei fin da quando era piccola, l'aveva vista crescere. - E questo cosa significa, Principessa?- La sua voce era stupore allo stato puro, mescolato a una nota di determinazione che la lasciò senza fiato. - Sapete che non vi tradirei mai. Vi voglio bene - Quelle parole colmarono gli occhi della ragazza di lacrime e dall'emozione si lasciò sfuggire un - Belial...- appena sussurrato. Il demone cambiò improvvisamente espressione, incupendosi. - Sento che non avete un angelo custode - La ragazza si irrigidì. - Potrei diventarlo io - C'era un tale desiderio nella sua voce... - Non vorrai scherzare?- abbaiò lei, con gli occhi d'oro che mandavano bagliori, mentre si voltava a guardare Belial. Lui le si avvicinò tanto, fino a sfiorare il suo corpo con quello di lei. - Lasciate che diventi il vostro angelo custode - Una supplica. Silenzio innaturale, ombre e gelo sul giuramento che il demone fece a Djibril. Giurò di stare sempre accanto a lei come demone-angelo custode, di non tradirla mai, di sciogliere i legami con il suo Signore Lucifero. Ora, Belial apparteneva a lei. E lei si sentiva completa e sicura con lui al suo fianco. Si sorrisero, complici, felici della loro scelta, che viaggiava davvero controcorrente. - Djibril!- Quella voce l'avrebbe riconosciuta anche tra tutte le voci degli uomini, angeli, demoni e spiriti che parlavano tutti contemporaneamente. Vide, con la coda dell'occhio, Belial sgranare gli occhi, rendendo davvero inquietanti i disegni attorno ad essi. - Sparisci - sibilò lei. - Come siete gentile, Principessa - Quanto la irritava, quel demone beffardo, che, per la cronaca, d'ora in avanti avrebbe dovuto vegliare su di lei. Lo liquidò, stizzita, con un gesto della mano, come quando si scaccia una mosca fastidiosa. Il demone scomparve, accompagnato da una sonora risata canzonatoria. Djibril avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, ma, stando al suo stato mentale, gli sarebbe anche piaciuto. Lasciò perdere. Lui la chiamò ancora. Djibril lo intravide tra gli scaffali, nel tentativo di scovare il suo nascondiglio, che cambiava ogni volta. Infatti lei aveva l'abitudine di arrampicarsi sulle mensole e sedersi sui davanzali delle alte finestre a leggere i suoi libri preferiti. Ma il suo amico non la trovava mai, e questo era buffo. Era possibile che non conoscesse ancora le sue abitudini, dopo così tanti anni di intensa amicizia? Ridendo sottovoce, con un agile balzo felino, scese velocemente dal suo davanzale preferito, fino a portarsi con i piedi nudi sul lucido parquet della biblioteca, il quale veniva pulito e lucidato a nuovo da suo padre quasi ogni sera. Loro due avevano un amore profondo e irrazionale per i libri. Vivevano tra i libri, circondati da essi persino quando dormivano. I libri erano la loro unica ragione di vita. La biblioteca era una costruzione in mattoni slanciata, punteggiata di finestre, con la facciata sud completamente avvolta dalla verde edera, che dava su un lussuoso giardino di querce e rose rosse. C'era persino un salice, il preferito di Djibril. L'interno, invece era semplicemente mozzafiato. Dal pavimento, si innalzavano come stalagmiti millenarie gli scaffali di legno stracolmi di libri di ogni genere e età, circondati da graziosi camminamenti, delimitati da ringhiere in ferro battuto dallo stile ottocentesco, e delle scale a chiocciola, per arrivare alle mensole più alte senza troppa fatica. Per raggiungere gli scaffali con facilità, dei ponti sottili li collegavano l'uno all'altro, creando una fitta rete di strade sospese. Al centro della biblioteca c'era una piazzetta ogivale, nella quale erano disposte comode poltrone e tavolini bassi, dove i clienti potevano leggere indisturbati. Ed era proprio lì che Jeremy Wave stava aspettando, pensoso, la sua amica. Era un ragazzo della stessa età di Djibril, abbastanza avvenente, alto, con i lisci capelli castano scuro, che gli cadevano a ciocche sugli occhi azzurri, intrappolati sotto un cappello con la visiera, indossato all'incontrario. Vestiva in modo un po' bizzarro, con jeans sbiaditi e stracciati e T-shirt bianca, sotto una felpa viola elettrico, troppo larga, con la cerniera aperta sul petto asciutto. Era uno spirito libero, uno di quei ragazzi già padroni di loro stessi, cresciuto in una famiglia davvero problematica: un padre alcolista, e una madre di salute cagionevole, che, dopo le ennesime percosse ricevute dal marito, era entrata in coma. E quell'uomo, ora, era in galera. Quindi, il povero Jeremy viveva da solo. Ma lui era proprio una brava persona, anche se un po' antisociale. Beh, aveva solo un amico - un'amica - ma si comportava come un rispettabile mondano della sua età. A volte, ballava hip-hop e street dance con un'agilità pari a quella in un serpente, nelle piazze più affollate di Londra, e, per la maggior parte delle volte, Djibril era al suo fianco. La loro amicizia era ferrea, profonda, tanto da poter essere quasi eterna. Djibril si fece più vicina. Il suo amico, ora si era seduto su una poltrona, e roteava gli occhi a destra e a manca in cerca di lei. Ad un tratto ebbe un brivido, e Djibril imprecò sottovoce. Maledizione, quel ragazzo aveva i sensi troppo sviluppati: si era accorto di lei. - Djiiibriiil... Tanto so che sei dieetroo...- catilenò flemmatico. E la sua amica si mostrò, con un sorriso sulle labbra rosse, uno dei rari, agitando la mano. - Jem!- - Diby!- Lei corse ad abbracciarlo. Per lei era una gioia quando il suo migliore amico la veniva a trovare. Jeremy si staccò da lei, perplesso, annusando l'aria come un segugio. - È stato qui, vero? Quel dannato diavolo - Ecco, la capacità di Jeremy. Era nato con un dono singolare, che spaventava molti: i suoi sensi erano in grado di percepire - e, per alcuni casi particolari, gli spiriti, vedere - le creature cosiddette "nascoste" - spiriti, demoni, angeli, vampiri, licantropi, divinità e maghi. Aveva capito subito che Djibril non era una persona normale, la sua Aura parlava chiaro, Infatti, lei apparteneva alla più grande famiglia di maghi, i Moore; e lei, essendo l'unica femmina della gerarchia, era destinata a diventare la maga immortale più potente di tutto il mondo, il Guardiano degli Elementi. E ne portava i segni: era nata con il disegno di un paio d'ali sulla schiena, l'Aria, e, con il passare degli anni, si erano formati altri tre simboli - sulla mano destra un'onda azzurra che si sviluppava a cerchio, l'Acqua, sul piede sinistro delle spirali colme di foglie, la Terra, e una fiamma, simile ad un fuoco fatuo, sull'ombelico, il Fuoco. Il padre di lei, George Moore, il mago eccentrico pazzo per i libri, aveva supplicato Jeremy di proteggere sua figlia. In poche parole, lo aveva eletto "Protettore". Ma a Jeremy non dispiaceva questo ruolo. Tuttavia, sentiva di non essere l'unico a proteggere la sua amica. - Cosa ha fatto quel demone?- L'aveva capito. Le sicurezze di Djibril vacillarono sotto lo sguardo penetrante dell'amico. Sbuffò con una scrollata di spalle - E va bene! Vieni - Tirandolo per la manica, lo condusse sul davanzale sul quale era seduta prima del suo arrivo. Da lì si godeva di un'ampia vista della biblioteca, uno scorcio suggestivo tra ponti e libri, in un'atmosfera carica di spiritualità e magia. Jeremy fece una smorfia. - Qui l'odore di quell'abominio è più intenso. Mi fa vomitare - Lo disse con una tale cattiveria, un odio profondo, tanto che Djibril riconobbe a stento il suo amico tranquillo e pacifista. Non lo aveva mai visto carico di rabbia e risentimento. - Cosa ha fatto quel demone?- Lei lo disse tutto d'un fiato. - Questa mattina era strano e ha iniziato a trattare l'argomento "angelo custode mancante" così si è offerto lui di diventare il mio angelo direi demone custode!- Prese un respiro. - Ecco è tutto - Successivamente esplose in una risata, osservando l'espressione a metà tra lo stupito e il disgustato di Jeremy. Solo quel ragazzo poteva fare quelle facce così esilaranti e buffe. Ormai, Djibril era accasciata al suolo, le lacrime agli occhi, incapace di trattenere l'ilarità. E più vedeva le espressioni di Jeremy, più le risate non accennavano a spegnersi. Anzi, aumentavano sempre, tanto che il petto iniziò a dolerle. - Quando hai finito... No, continua pure! Parliamo - si accigliò Jeremy. Certe volte era così serio e presuntuoso da parere un vecchio burbero. Lei si asciugò le lacrime, respirando profondamente per calmarsi. - Dimmi - - Dimmi cosa? Hai un mostro come quello come angelo custode! E se ti tradisse? E se ti vendesse a Lucifero?- - Non pronunciare quel nome, Jeremy Wave. Vuoi maledirti?- Mai si doveva pronunciare il Suo nome. Neanche i suoi demoni più vicini potevano permettersi un simile lusso. Perché Lui era il Male, il Signore delle Tenebre. Jeremy si incupì, non per le parole della sua amica. L'odore che sentiva parlava chiaro. Vide Djibril accennare un sorriso, con gli occhi dorati fissi oltre le sue spalle. Era disgustato. Con un movimento fulmineo, estrasse dalla felpa, larga ogni modo, un pugnale, voltandosi di scatto. La punta venne bloccata da un dito lungo e affusolato, con l'unghia nera. Il ragazzo trasalì. Si trovava dinnanzi a uno dei Sette Satana. Quando gli occhi chiari, quasi bianchi, incontrarono quelli azzurri, Jeremy si sentì attraversare da violenti brividi di paura. Iniziò a tremare, annullando la presa sul coltello, il quale cadde sul parquet con un tonfo. Il demone sorrise. - Smettila, Belial!- Sentendo la voce di Djibril, il demone interruppe il suo diabolico incantesimo, lasciando che Jeremy crollasse, stremato, in ginocchio ai suoi piedi. - Non giocare con me, piccolo vedente. Perdi - La voce di Belial era una lama di ghiaccio, che trafisse il ragazzo senza pietà, lasciandolo senza fiato. Per una frazione di secondo intravide il rosso negli occhi del demone. Soddisfatto del risultato - adorava scorgere la paura negli occhi delle sue vittime - si avvicinò a Djibril, avvolgendo le sue braccia attorno alla vita di lei. La sentì trattenere il fiato. Accostò il suo bel volto a quello della giovane maga, sussurrandole nell'orecchio - Ci vediamo, Principessa - e scomparve in una nuvola di fumo nero. Solo allora Djibril si accorse del sangue che sgorgava lento e inesorabile dal petto del suo amico. Si precipitò a soccorrerlo. - 'Stardo, Belial!- imprecò colma di rabbia. Jeremy tossiva violentemente, e il liquido rosso continuava a fuoriuscire da quel taglio quasi impercettibile. Come era riuscito a farlo senza che lei se ne fosse accorta? Demone maledetto. La maga giunse le mani davanti al suo volto, come in preghiera, chiudendo gli occhi. Subito, queste iniziarono a risplendere, come illuminate dall'interno. Le posò sul torso di Jeremy, lasciando che la sua magia gli alleviasse il dolore atroce e gli richiudesse la ferita. Alzò il volto, incrociando gli occhi del suo amico, riconoscenti, sinceri. In una frazione di secondo, Djibril comprese di non poter fare a meno di lui, che sarebbe impazzita se lui fosse uscito dalla sua vita. In un impeto di imbarazzante voglia di affetto, lo abbracciò senza ritegno, affondando il suo volto nel petto di lui. Jeremy, intenerito, le accarezzò i capelli d'ombra, facendo scorrere le dita tra le sue onde morbide e scure. - Grazie, Diby. No...- La sentì singhiozzare. E la strinse più a se. - Dai, non piangere. Grazie alla tua magia sono fuori pericolo - Le prese il volto tra le mani, alzandolo. - È tutto a posto, va bene?- Djibril annuì, anche se sembrava poco convinta, e lasciò che le giovani dita di Jem le asciugassero le gocce di cristallo liquido che le rigavano le guance pallide. Dopo un paio di respiri profondi e rinvigorenti, trovò, di nuovo, la sua solita tranquillità serafica, chiudendosi all'interno di una maschera impassibile, un'abitudine per lei. Rimasero a guardarsi, gli occhi d'oro in quelli azzurri, fino a quando, d'un tratto, Jeremy le afferrò la mano. - Dai, andiamo all'Highgate!- Lei non se lo fece ripetere due volte. Adorava la tranquillità e l'aria immobile di quel luogo stupendo, un verde mare punteggiato di stelle bianche. Quel luogo arcano e misterioso dove gli uomini e le donne dormivano per l'eternità, tornando alle origini, cenere alla cenere, polvere alla polvere. Varcarono le bianche cancellate del cimitero di Highgate, il più prestigioso e importante cimitero di Londra (?), giocando a rincorrersi come due bambini. Le lapidi candide, erano perfette da usare come tane o nascondigli provvisori. - Jem, conta!- disse lei tra le risate, tirando con forza la manica del suo amico. - Uno... Due...- e intanto girava la testa per guardare la direzione nella quale Djibril stava andando. - Hey, non sbirciare! Delinquente!- E così, Jeremy si ritrovò con il capo avvolto nel golfino di lei, il quale aveva assorbito il suo calore e il suo profumo. La sentì ridere di nuovo, mentre lei correva all'impazzata, aggirando le lapidi e i mausolei. Perché in quel cimitero venivano sepolti tutti i nobili di Londra fin dai tempi antichi, e anche i membri della famiglia reale passata giacevano in quel sacro terreno. La regina Alexandrina Victoria I di Hannover aveva un suo mausoleo personale, un solo tempio, grande quanto la più piccola cupola di St Paul's Cathedral, per una persona sola. Quella tomba era la preferita di Djibril, in quanto l'accostamento del marmo rosa e di quello bianco, entravano in armonia con la luce sanguigna del cielo al tramonto. Camminando lentamente, fece scorrere un dito guantato sul freddo marmo, seguendo i contorni floreali. Avrebbe fermato il tempo per rimanere in eterno ad ammirare la tomba monumentale di Victoria circondata dalla sacra luce della Stella di Fuoco, una vista così romantica e struggente. Purtroppo, le giunse la voce di Jeremy che la chiamava a squarciagola. Diavolo, quando entrava lui, tutti i poveri morti si giravano nelle bare, da quanto la sua voce era forte. Li disturbava sempre. E per di più senza alcun motivo. Scosse la testa. Lui non aveva un senso del divino e della morte così profondo e sentito, come lo aveva lei. Iniziò di nuovo a correre, silenziosa, leggera e veloce come un'ombra, come se le ali sulle sue scapole si fossero spiegate al vento per farla volare lontano. Iniziò a guardarsi intorno. Quella era la parte est dell'Highgate. Non vi era mai stata, e tutte le lapidi le erano nuove. Sembravano delle vere sculture, raffiguranti gli uomini che erano sepolti lì. Improvvisamente, Djibril si trovò dinnanzi una lapide enorme, sicuramente appartenente a qualche nobile personaggio. Ma non fu la tomba ad attirare la sua attenzione, bensì l'uomo inginocchiato davanti al marmo rosso. Lui aveva lunghi capelli scarlatti e occhi di un verde-oro quasi disumano, come se non appartenessero a questo mondo. Erano occhi divini, quelli, proprio come i suoi. L'uomo si girò verso di lei, solo con il capo, fissando i suoi occhi soprannaturali in quelli della maga, la quale si sentì attraversare da violenti brividi di freddo, come se si trovasse faccia a faccia con la Morte. Eppure c'era qualcosa che l'attirava in quell'insolito personaggio. Rimase ipnotizzata dalla brezza che muoveva quei lunghi capelli, come delle fiamme guizzanti, birichine e festose. - Diby!- La voce di Jem ruppe la magia di quel contatto a distanza, che le bruciava la pelle dolcemente, come una lenta tortura. Girò la testa di scatto, facendo ondeggiare i suoi capelli mossi di ossidiana, chiamando l'amico. Successivamente ritornò a guardare la tomba. L'uomo rosso, inginocchiato lì fino a qualche secondo fa, era scomparso. Come se non fosse mai esistito. Eppure era sicura di non averlo immaginato. Era stato troppo reale. Al suo arrivo, ansante, Jeremy la trovò sconvolta e confusa, con lo sguardo perso in un punto indefinito davanti a lei. - Djibril? È tutto okay?- Lei annuì, un po' evasiva, mormorando un - Non è niente - assai distratto. Si avvicinò alla lapide. In nero, fluenti scritte recitavano: Angelina Dalles-Burnett. - Chi era questa donna?- sussurrò. Sentì una fitta al cuore. - Io vado, Jeremy. Ci vediamo domani - disse, senza abbracciarlo o dargli il bacio sulla guancia, il rito di congedo. L'ultima cosa che il giovane Wave vide, furono gli occhi persi e spaventati di lei, mentre, con un ultimo sguardo, correva via, lontano da lui. La biblioteca le apparve, immensa davanti ai suoi occhi. Aprì il cancelletto, attraversò il viale di pietre, il quale si faceva strada tra gli intricati rami degli ippocastani, avvolti dall'edera e dal glicine profumato, e aprì la porta scura, la quale cigolò in modo inquietante. - Papà, sono a casa!- Fece un paio di passi e lo vide ricurvo sulla scrivania, la testa china sull'enorme libro di pelle, nel quale erano registrati i libri e i membri della loro biblioteca. Eccolo, suo padre, un uomo allampanato con i capelli corvini costantemente spettinati, quasi il vento li accarezzasse ad ogni occasione, e un paio di occhiali sul naso, rossi fiammeggianti. Le sorrideva sempre in modo amichevole, come a farle capire che non erano soli. Lui era convinto Che la madre di Djibril vegliasse su di loro, assieme agli angeli dalle soffici ali bianche. E le sue idee strampalate le aveva passate alla figlia, la quale viveva di queste. - Coma va, papà?- - Piuttosto come va a te! È tutto il giorno che non ti vedo!- - Papà...- Lei lo abbracciò, infondendo tutto l'amore che provava per lui, la sua ragione di vita, la più importante. - Prepariamo la cena?- Djibril si ritirò ridacchiando, in quanto i sussurri e i mormorii di suo padre nell'orecchio le facevano solletico. Dietro la scrivania, una porta d'ebano intarsiata a spirali frondose, conduceva nella dimora dei due bibliotecari. In tre piani, si snodava una confortevole casa, accanto alla grande stanza della biblioteca, adatta ad ospitare quei due eccentrici personaggi: appena dietro quella porta c'era la cucina, munita di forno e lavatrice, nelle credenze tutto il necessario per cucinare prelibati manicaretti; al secondo piano, un comodo salotto, dove il signor Moore era solito passare le serate in compagnia di un buon libro di Dan Brown - di solito leggeva e rileggeva "Angeli e Demoni" fino alla nausea - e di un bel bicchiere di Montepulciano, squisitamente italiano, sulla sua poltrona, sfondata, preferita, in inverno con il camino acceso, in estate con le finestre spalancate; al terzo, invece, una camera con un letto matrimoniale a baldacchino, con le tende verdi acido, le quali erano costantemente oggetto di critiche da parte di Djibril, ritenute da lei "immorali" e "alquanto fuori moda" e ancora "da vecchia zitella", e una stanza da bagno. Questa conteneva una vasca storica, dell'Ottocento, appartenute a nonno Ulysses. Djibril adorava cucinare per suo padre, la sera, mentre lui la osservava con un mezzo sorriso sulle labbra sottili. Le ripeteva spesso che assomigliava paurosamente a sua madre, della quale lei non conosceva nemmeno il nome, in quanto aveva la sua stessa bellezza divina, avvolta da una luce astrale potentissima. Cantando a mezza voce, Djibril iniziò a tagliate le verdure per la pasta, mentre questa cuoceva nella pentola a fuoco lento. Aveva sempre avuto una voce stupenda, ma solo con i saggi insegnamenti di Belial, il quale cantava per il suo Signore Lucifero, in modo da conquistare il suo cuore freddo e oscuro come le tenebre, era riuscita a coltivare questo suo dono innaturale. Ma Belial le diceva sempre che la sua voce era orribile, in quanto gli ricordava quella degli angeli meschini che lo avevano fatto cadere, insieme al suo Lucifero. Ogni volta c'era sempre un tale odio nella sue voce, un odio viscerale che faceva tremare Djibril, che, però, sfumava non appena il demone tornava ad osservarla. In una ventina di minuti, la pasta alle verdure fu cotta. Ogni volta che lei e suo padre cenavano insieme, il cuore di Djibril irradiava felicità in tutto il suo volto, facendole comparire il sorriso. Perché lui era una persona speciale, così bizzarro, così inusuale; le spiegava, tra un boccone e l'altro, del precario equilibrio dei Filidiluce, i quali, come i fili di un burattinaio, si tendevano in modo da mantenere il lieve Equilibrium tra le Tre Dimensioni: i Sette Cerchi dell'Inferno, la Terra e i Sette Cieli del Paradiso. L'Equilibrium precario che avrebbe potuto sconvolgersi con quell'oggetto. L'oggetto che la famiglia Moore custodiva fin dai tempi antichi. L'Inferno si muove. __________________________________________________________________________________ __________________________________________________________________________________ L'ANGOLO DEL DRAGO Salve a tutti! Sono Drago Rosso Sangue. Questa è la mia prima fanfiction e sono molto contenta, in quanto mi sono davvero impegnata per questi due primi capitoli... E GRAZIE a tutti coloro che hanno letto questa fanfiction un po' particolare. Lo so, i tre Shinigami non sono ancora apparsi... Non vedo l'ora di scrivere su Undertaker! Meow. Haha scusate la parte dell'Highgate me la sono inventata completamente! :D (mi scuso con tutti coloro che hanno visitato Londra... Ho detto un mucchio di scemenze...) Il Drago adora sempre fare più cose contemporaneamente, infatti ho ben quattro storie in cantiere: una è questa, le altre due sono di Angel Sanctuary (il mio preferito! L'ho finito di leggere tre giorni fa... Sigh) e una è una storia originale. A coloro che leggeranno in futuro: potete scrivermi nei commenti cosa devo migliorare? Cosa vi è piaciuto e cosa no? Grazie ancora! Drago Rosso Sangue Meow :3 P.S. Non so perché, ma la storia mi è venuta tutta attaccata :'(
  
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