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Autore: Dracaryser    10/06/2014    2 recensioni
Un incontro con una donna dai capelli rossi che toglie il fiato e allo stesso tempo potrebbe essere l'unica in grado di aiutare la protagonista a respirare di nuovo.
Crossover tra Grey's Anatomy e Scandal, telefilm targati Shondaland. Il titolo di ogni capitolo è anche il titolo della canzone che consiglio di ascoltare durante la lettura dello stesso.
Dal testo:
"Decisi di abbracciarla e lei si fece piccola piccola.
Le asciugai le lacrime, lei chiuse gli occhi e il viso le si fece più sereno. Passarono i minuti e lei smise di piangere, ma nessuna delle due aveva intenzione di rompere il silenzio. Guardai i suoi capelli, le sue guance, le sue caviglie e una cosa mi fu chiara: sarei andata all'inferno per proteggerla."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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L'orologio della cucina segnava le otto e trenta, la pioggia aveva iniziato a battere contro i vetri e il profumo di pollo al curry che proveniva dall'appartamento adiacente al mio si era infiltrato nelle mie narici. 

Abby era tra le mie braccia, inerme, indifesa. Riuscivo in qualche modo a sentire il suo dolore.

Spostai i ciuffi che aveva davanti agli occhi ed iniziai ad accarezzarle i capelli.
Inizialmente sfiorai qualche ciocca ma poi la mia mano con estrema naturalezza procedeva dalla fronte fino alle punte. 
Tavolta le dita sfioravano il collo e ciò le provocava una sensazione di solletico che la faceva sorridere. 

Tra una carezza e l'altra persi la cognizione del tempo.
Sospirò, si schiarì la voce e si allontanò da me, poggiandosi contro lo schienale. 
Sentendola andare via dalle mie braccia mi sembrò che mi privassero dell'ossigeno.

Ci guardammo per un po'.  Le sue labbra erano serrate in una linea retta, gli occhi, arrossati dal pianto erano pieni di sofferenza e sul viso erano chiari i segni della stanchezza.
Avrei voluto toccarla di nuovo. Avrei voluto allungare una mano e distendere le linee sul volto, ma pensai che per quella sera il contatto fisico fosse stato sufficiente.

Sospirò di nuovo e con un  "Mi dispiace." ruppe il silenzio che fino ad allora aveva dominato la situazione.
Io non risposi, lasciai che continuasse. 
-"Mi dispiace averti messa a disagio. Non avrei mai voluto che mi vedessi in questo stato, così vulnerabile.  Questo è il motivo per cui ho lasciato Washington."
-"Non hai nulla di cui dispiacerti. Spiace a me di aver fatto riaffiorare quei ricordi." risposi io. 

Scosse la testa e si alzò. Mi chiese dove fosse il bagno ed io rimasi a fissare la forma che il suo corpo aveva impresso sul divano. 
Uscì dal bagno strofinandosi gli occhi e i capelli rossi erano legati in una coda di cavallo che, mentre camminava, ondeggiava dietro la schiena. 

-"Credo sia ora che io vada." disse sfiorandosi le punte dei capelli, come se volesse, inconsciamente, colmare la mancanza del mio tocco.
-"D'accordo, buona notte. Ci vediamo."
Pregai che la porta  non si aprisse, impedendole di andare via. 
Avrei voluto che rimanesse lì, avrei voluto abbracciarla per tutta la notte e dirle che, se fosse rimasta con me, non avrei permesso che nessuno le torcesse nemmeno uno dei suoi morbidi capelli color rame. 
Avrei voluto, ma non lo feci.

 Dopo averla salutata restai in silenzio e la porta sì aprì con uno scatto, permettendole di lasciarmi lì.
Indietreggiai, come se dalla porta chiusa effluvi di angoscia e solitudine si dirigessero verso di me.
Dopo qualche passo mi ritrovai in cucina, stanza nella quale l'orologio da parete segnava le dieci e trenta.

Misi dell'acqua a bollire e in una tazza decorata da strisce che alternavano colori freddi a colori caldi un filtro alla malva. 
La tisana era troppo calda perchè la bevessi subito, così portai la tazza  in camera e sorseggiai quel fluido bollente con la schiena poggiata alla spalliera del letto e il piumone sulle gambe. 
Mi addormentai venti minuti dopo aver terminato la bevanda, ma un rumore mi svegliò.

Non era alcun suono proveniente dal mio cellulare, nè dall'interno dell'appartamento. 
Il suono che mi aveva svegliata era quello delle nocche sulla porta. 

Pensai che fosse la vicina venuto a reclamare il suo gatto che aveva un'insana passione per i fiori sulla mia terrazza.
Ma tutti i fiori erano seccati, appassiti. Tutto ciò che una volta era rigoglioso e variopinto era diventato arido e color giallo paglierino. 

Scostai le coperte e al buio mi diressi verso la porta d'ingresso. Accesi la lampada e con tedio la aprii.
Quel che mi aspettavo era una donna bionda in tuta che parlava prolungando le vocali, ma le mie aspettative vennero deluse.
Davanti a me c'era nuovamente Abby che mi chiese :"Posso restare a dormire qui?"

Fui stupita ed egoisticamente felice della sua visita. 
-"Che succede?" Chiesi preoccupata, esortandola ad entrare e chiudendo velocemente la porta dietro di lei. 
-"Sono salita in macchina ma non sono riuscita a mettere in moto. Non riuscivo a muovermi. Ho dovuto fare appello a tutte le mie forze per tornare qui. " Mi rispose respirando a fatica e poi ripetè, quasi supplicandomi :"Posso restare a dormire qui? Per favore?"
-"Certamente." Dissi tentando di placare l'istinto di stringerla a me, ma a quella risposta fu lei ad avvicinarsi.
Io rimasi inerme, lei mise le braccia attorno al mio tronco, divenuto rigido per la sorpresa, io a mia volta cinsi le braccia intorno alle sue ed istintivamente le baciai la fronte. 
Temetti che fosse infastidita da quel gesto ma invece si strinse a me ancora di più. 
Mi liberai con delicatezza dalla stretta delle sue braccia e la invitai a sedere.
Presi dal mio armadio delle coperte, un cuscino, ed un pigiama pulito, preparai velocemente il divano e le dissi di rivolgersi a me per qualunque cosa.
-"Grazie" pronunciò con voce sommessa.
Io chinai la testa e le sorrisi gentilmente per poi lasciarla da sola e tornare nella mia stanza. 
  
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