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Autore: Mconcy    11/06/2014    4 recensioni
Sono passati due mesi.
Due mesi da quando abbiamo sparso le sue ceneri.
Due mesi da quando ho deciso che sarei andato avanti e che l'avrei fatto per lei.

Ambientazione post-Allegiant.
Dal Capitolo 3:
"Christina, ti prego."
"Quattro..." prova a dire, ma la interrompo prima che eviti di nuovo la mia domanda.
"Devo sapere. Ti prego, dimmi la verità... Era lei?" la voce mi si incrina un poco. 
Christina mi guarda in modo indecifrabile. Non so cosa stia pensando, cosa stia provando. Registro solo la sua risposta, due lettere.
"Sì"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Four/Quattro (Tobias), Tris, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fragili'
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Fragili

Capitolo 2






La mattina mi sveglio indolensito. È colpa della brandina, non è il massimo della comodità.  Guardo fuori dalla finestra sbattendo ripetutamente gli occhi e mi accorgo che il sole è più alto di quanto mi aspettassi. Mi sporgo fino ad arrivare alla scrivania e controllo il mio orologio: le 10:26. Ho dormito un sacco.

Rimango un attimo interdetto. Era da tempo che non dormivo fino a tardi. Negli ultimi tre anni mi sono sempre svegliato all'alba, puntualmente. Tra gli incubi e l'insonnia non dormivo mai più di 4 o 5 ore a notte.

Mi rendo conto non solo di aver dormito tante ore, ma anche di aver dormito benissimo. Una notte senza sogni. Una notte di tranquillità.

Mi alzo con comodo e mi preparo ad uscire. Oggi non lavoro, quindi ho tutto il tempo di passare a casa e farmi una doccia prima di andare a prendere Christina al Centro di Accoglienza. Prima di lasciare l'ufficio ripongo la branda nello sgabuzzino e sgranocchio una barretta ai cereali per placare il mio stomaco.

Raggiungo la macchina e mi dirigo a nord del fiume, dove si trova il mio appartamento ufficiale. Ufficiale perché in realtà passo molto più tempo in ufficio e al Centro di Accoglienza che a casa mia.

In compenso Evelyn ha trovato nel mio appartamento un ottima sistemazione provvisoria. Deve ancora trovarsi una casa tutta sua, ma nel frattempo mia madre vive da me. A me sta bene, è una buona occasione per continuare a conoscerci e approfondire il nostro rapporto. Ogni tanto mi sento in imbarazzo, un po' impacciato. Non so bene come ci si debba comportare con una madre, ma faccio del mio meglio.

Parcheggio nello spiazzo sotto casa e chiudo la macchina. Ormai possiamo permettercela tutti, qui a Chicago. Le strade sono state riparate, così come i semafori e i segnali. È stata ripristinata persino la metropolitana, anche se per ora si limita a coprire solamente il centro città. 

Quando finalmente entro nel mio appartamento trovo Evelyn impegnata a chiudere una delle sue valigie. 

"Vai da qualche parte?" chiedo incuriosito ancor prima di richiudermi la porta alle spalle.

Evelyn sussulta e si gira di scatto.

"Tobias, non ti avevo sentito" dice con un sospiro di sollievo. "Ho provato a chiamarti in ufficio un oretta fa, ma non mi hai risposto."

Mi avvicino togliendomi la giacca a vento leggera. 

"È successo qualcosa?" 

Lei mi guarda con un sorriso incerto.

"No, no. Niente di preoccupante." mi dice vedendo il velo di apprensione sul mio viso. "Volevo solo darti una bella notizia."

Mi massaggio il collo e la guardo per incitarla a proseguire.

"Beh, ecco... ho trovato un appartamento." dice cauta. "Cioè, è una bella notizia, no? Voglio dire, non mi trovo male qui, ma prima o poi dovevo lasciarti la tua privacy..."

Le metto una mano sul braccio fermandola da tutto quel gesticolare frenetico.

"Mamma. Va tutto bene, è una buona cosa." le sorrido il più rassicurante possibile. "Mi faceva piacere averti qui, ma sono contento che ti sia trovata un posto tutto tuo."

Lei sembra rilassarsi. 

"Infatti, hai ragione. È comunque non andrò lontano, l'appartamento è proprio a due passi dal Centro di Accoglienza." mi spiega con entusiasmo. "Posso traferirmi già domani."

Annuisco contento. Anche mia madre si sta inserendo nella nuova società. Sono due mesi che è tornata in città e ha già un lavoro. Ora anche una casa.

"Senti, mi faccio una doccia così più tardi vado a prendere Christina al Centro di Accoglienza." annuncio tranquillo.

"Va bene. Ci vediamo stasera a cena?"

Annuisco. "Potresti preparare anche per Chris? La volevo invitare..."

Lei mi sorride e mi risponde che non c'è problema. Così la lascio preparare le sue cose e vado a farmi una doccia calda.

Magari riuscirà ad alleviare un po' di dolore al collo.

 

 

Arrivo al Centro di Accoglienza che sono le 13:40. 

L'enorme struttura si sviluppa su due soli piani in altezza, ma si estende per molti isolati. Da fuori assomiglia ad una sorta di magazzino, ma in realtà è una struttura molto pratica.

Oltre ad avere numerose camere per il soggiorno provvosorio, tutte al piano superiore, il Centro dispone di un'ala ospedaliera dotata di sala operatoria. Chi viene dalla Periferia non è mai in ottime condizioni di salute, anzi, a volte sono piuttosto critiche. Al piano terra, quindi, oltre all'ambulatorio, si trova anche la grande mensa comune e gli uffici dei dipendenti. Spesso collaboro con loro per assegnare gli appartamenti ai nuovi arrivati.

Attraverso l'atrio salutando le poche persone che incontro e riconosco. Passo poi per la mensa che a quest'ora è sempre caotica. 

Alla fine arrivo a destinazione: la zona di carico e scarico merci e di accoglienza convogli. Si tratta di un'enorme garage nel quale si accede direttamente dall'esterno grazie ad una serie di grandi saracinesche, così da rendere le transizioni molto più facili. Il tetto coperto di finestre e le saracinesche di robusta plastica trasparente permettono di usufruire dell'illuminazione naturale per gran parte del giorno.

Christina è lì che mi aspetta. 

Appena mi vede lascia lo scatolone che stava trasportando e mi corre incontro buttandomi le braccia al collo con un sorriso. Rispondo all'abbraccio e accenno una risata che rimbomba nel garage.

"Bentornata" 

Lei si stacca di qualche centimetro dal mio petto e mi lascia un bacio a fior di labbra. 

"Ciao anche a te!" dice allegra. "Visto che ci sei, perché non mi aiuti a mettere in magazzino gli ultimi scatoloni così poi ce ne possiamo andare a pranzo?" 

Annuisco e la precedo verso il camion parcheggiato a qualche metro da noi.

"Com'è andata al confine?" le chiedo mentre afferro uno degli scatoloni più pesanti.

"Bene direi. Ieri sera abbiamo portato circa una ventina di persone, hanno riempito due camion. In più come vedi siamo riusciti a portare un po' di provviste dalle campagne e dai laboratori." 

Finisco di svuotare il camiom dell'ultima scatola imballata e mi scuoto la polvere dalle braccia e dalle mani.

"Ho visto che dieci dei nuovi arrivati hanno già un'assegnazione..." mi dice mentre usciamo dal garage e ripercorriamo a ritroso i vari corridoi.

"Si, Johanna mi ha chiesto di velocizzare le procedure. Non vuole lasciare per troppi giorni queste persone al Centro. A meno che non abbiano particolari necessità mediche, vuole che si stabiliscano subito nelle nuove case."

Christina ci pensa su un attimo. 

"Credo che sia una cosa giusta. Possono iniziare ad ambientarsi già da subito almeno. E poi il Centro è sovraffollato, accellerare le assegnazioni ci farà respirare un po'." si gira verso di me e sorride. 

Dopo poco sorrido anche io. Arriviamo in mensa che ci stiamo ancora guardando. Ci prendiamo per mano e attraversiamo la sala. 

La mensa è senza dubbio il locale più grande di tutto il Centro. Alle pareti laterali si trovano lunghi tavoli per il buffet, mentre al centro sono disposti una cinquantina di tavoli di varie dimensioni per le consumazioni. In mensa mangiano sia i nuovi arrivati che i dipendenti, ma non è raro trovare qualche intruso proveniente dai vicini laboratori di ricerca.

"Insomma, cos'era quella cosa esilarante che dovevi raccontarmi?" 

Alla mia domanda Christina si illumina e sul suo viso si fa strada un enorme sorriso divertito.

"Oh certo! Rido ancora adesso solo al pensiero! Allora, devi immaginare la scena! Ieri mattina all'alba stavamo facendo scendere un gruppo di persone della Provincia dai camion e uno di loro..."

Un fracasso improvviso interrompe il racconto di Christina. Ci giriamo entrambi di scatto verso la fonte del rumore. 

Davanti a noi, a circa 5 metri di distanza, mi accorgo che una ragazza ha fatto cadere un vassoio rovesciando tutto il cibo, ora sparso indistintamente sul pavimento.

Alzo gli occhi su di lei e il sangue mi si gela nelle vene. 

Tutto comincia a girare intorno a me, la gente, i tavoli, le voci. Tutto si mischia in un indefinito vortice di rumore e colori. 

Io quegli occhi li conosco bene. Io li conosco. 

Non è possibile. Non è possibile.

Cosa sta succedendo?

Anche Christina si è fermata e non parla più. Distinguo solo la pressione delle nostre mani ancora intrecciate. 

Non riesco a muovermi. Vedo solo quegli occhi che mi guardano a loro volta e intorno solo confusione. 

Nella mia testa vortica un solo pensiero, un nome. Non riesco a parlare, però. Ho la gola secca, il corpo rigido, gli occhi fissi nei suoi.

Un nome. 

Tris 

Tris

Tris

La voce non mi esce. Le cose girano. 

Ad un tratto qualcosa mi riporta alla realtà. 

Una spallata di un inserviente. Molto lentamente riesco a percepire l'ambiente intorno a me.

Interrompo il contatto con i suoi occhi e la guardo da cima a fondo. Ha la tuta dell'ambulatorio, quella del nostro Centro. Le mani sono pallide e ricoperte di lividi. Le bocca aperta in un espressione di stupore. Sembra più magra. Fragile.

I capelli biondi legati in una coda scomposta. 

Incontro di nuovo i suoi occhi e noto che anche lei mi sta osservando come ho fatto io. Mi guarda attentamente, come se fossi un miraggio. Guarda la mia mano intrecciata a quella di Christina e poi guarda lei con la stessa espressione di stupore che devo avere anche io.

Mi guarda ancora negli occhi.

È lei. È lei. Ne sono certo. Non è possibile ma dev'essere così. 

La testa ora mi pulsa incessantemente e sento che sto per svenire. 

Christina fa per lasciarmi la mano, ma io non glielo permetto. La stringo più forte ancora. Ho bisogno che mi tenga. Sento di poter sprofondare da un momento all'altro.

Cerco ancora una volta di dire il suo nome. Mi rimbomba nella testa ma non riesco a parlare. 

Christina fa un passo avanti e da voce ai miei pensieri. La voce incrinata, le mani tremanti. Non so quanto tempo sia passato da quando il vassoio è caduto. Anni forse. 

"Tris... ?"

Lei sussulta, poi guarda Christina negli occhi. 

"Sono..." la voce le si incrina, è quasi un sussurro. Accenna un colpo di tosse per schiarirsi la gola. "Sono io"

È la sua voce, è la sua, è la sua.

È Tris.

Se è possibile la testa riprende a girare ancora più di prima. Troppo rumore intorno a me, troppo poco ossigeno.

Sento le gambe molli. Guardo ancora una volta i suoi occhi.

Tris è viva.

E questa è l'ultima cosa che penso, prima che il buio mi avvolga.

  
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