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Autore: aqa    11/06/2014    10 recensioni
Ecco la mia seconda one shot assolutamente Everlark. E' un'altra mia personale interpretazione di un momento fondamentale della vita di Peeta e Katniss, ovvero la scelta di costruire una vera e propria famiglia. Dal testo:
"-Sapevo di trovarti qui- sussurra una voce alle mie spalle che mi fa sobbalzare improvvisamente.
[...]
-Vuoi tornare di nuovo a letto?- dico, sperando che mi risponda di si perché queste sue attenzioni mi fanno desiderare soltanto di renderla nuovamente mia.
-Mmh no, voglio scoprire cosa mi nascondi qui dentro…- afferma, e prima che mi renda conto di cosa sta per accadere, Katniss si trova già all’interno del mio inferno/paradiso intenta a fissare ogni quadro fatto in questo tempo. Il sorriso gioioso e scherzoso che le circondava il volto muore lentamente mentre io resto immobile, pronto a vederla correre via lontano da me."
Sequel di "La mia pace è lei."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'When I'm with you, it's Paradise.'
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Consiglio di leggere la mia precedente One shot "La mia pace è lei". Questa storia non è strettamente collegata a quella ma ci sono dei riferimenti che potrebbero far andare in confusione.


La vita è una cosa meravigliosa.

 
Sono trascorse già un paio d’ore da quando mi sono alzato dal letto e mi son seduto su questo sgabello ad osservare tutto ciò che mi circonda ed imprimerla sulla tela che ho qui di fronte. Dalla finestra riesco a vedere che l’alba è ormai trascorsa da un pezzo, dovrei alzarmi e dirigermi in panetteria ma proprio non ci riesco. Ci penserà Thom a farlo per me. Io ho qualcosa di meglio da fare.
Con che coraggio potrei allontanarmi da questa camera quando proprio qui, davanti ai miei occhi, ho tutto ciò che desidero? Katniss è ancora stesa sul letto immersa in un sonno profondo ed io non faccio altro che ammirarla in tutta la sua particolare bellezza. Dorme a pancia sotto e questa sua posizione mi permette la completa visione della sua schiena nuda, delle sue gambe toniche, del tuo fondoschiena perfetto.
“Peeta, non puoi eccitarti ancora visto che da poco avete finito di spassarvela!” mi ripeto, cercando di darmi una calmata.
Ebbene si, da quella fatidica prima notte estiva trascorsa insieme, sono passati ben quattro anni e posso soltanto dire che la mia vita è diventata assolutamente meravigliosa. Non mi manca niente, ho la panetteria che mi tiene occupato sei giorni a settimana, una casa fantastica che mi garantisce un tetto sopra la testa e poi ho lei… l’unica donna che io abbia mai amato con tutto me stesso.
Mia moglie.
Fa ancora strano apostrofare Katniss in questo modo, nonostante sia trascorso molto tempo dal giorno del nostro matrimonio ed è ancora più strano osservare la fede che circonda il mio dito e su cui è inciso il suo nome. Ma è assolutamente fantastico sapere che ora mi appartiene davvero, con il corpo, con l’anima, con lo spirito, allo stesso modo in cui io sono suo anche se, ammetto di esserlo sempre stato. Ha solo avuto bisogno di più tempo di me per capirlo davvero.
È stata lei a chiedermi di sposarla un pomeriggio freddo di dicembre. Fuori c’era una gran tempesta che impediva ad ogni cittadino del dodici di uscire fuori e svolgere le normali mansioni quotidiane. Io e lei eravamo nel salotto, stesi sul tappeto di fronte al camino acceso, nudi e con la sola coperta a proteggerci dalla furia divina esterna. Avevamo da poco fatto l’amore, ce ne stavamo l’uno tra le braccia dell’altro a goderci il momento di pace e tranquillità che la nostra libido ci regalava. Non era facile –e non lo è tuttora-, infatti, riuscire a stare lontani dal corpo e dal piacere che abbiamo imparato a donarci a vicenda. Katniss, come sempre, aveva le gambe intrecciate alle mie, non curandosi del freddo che le trasmetteva la mia protesi, e la testa poggiata sul mio petto, con l’orecchio all’altezza del cuore per ascoltarne ogni battito forsennato.  Io, invece, le accarezzavo dolcemente i capelli sciolti in un gesto tanto intimo che ora è diventato abituale. Nessuno dei due osava parlare, il rumore del vento e lo scoppiettare del camino lo facevano per noi, ma la sua voce ruppe l’equilibrio naturale di quella stanza.
-Tu mi ami, Peeta?- mi sussurrò, cominciando ad accarezzarmi distrattamente i fianchi con la punta delle dita. Rimasi inizialmente spiazzato da quella domanda perché non ho fatto altro che dimostrarglielo ogni giorno e non nascondo che un brivido di paura percorse la mia spina dorsale. Che avesse iniziato a dubitare di noi?
-Certo che ti amo, Katniss. Non faccio altro da una vita ormai e dovrò farne i conti per il resto dei miei giorni, presumo- le risposi, con il cuore in gola, cercando di alleggerire la tensione che avvertivo soltanto io.
-Allora sposami, Peeta Mellark- disse, con una naturalezza che le era quasi estranea.
Aveva davvero chiesto di sposarmi? Non riuscivo a crederci. Rimasi in silenzio per un bel po’, non perché non sapevo cosa risponderle, ma credevo che quelle parole sussurrate fossero soltanto frutto della mia fantasia.
-Co… cosa hai detto?- furono le uniche parole che riuscii ad articolare, incapace di dare un senso ai miei pensieri. Smisi persino di toccarle i capelli, un gesto che rilassava più me che lei.
-Non farmelo ripetere di nuovo, hai capito bene cosa ti sto chiedendo- mi rispose, senza cambiare minimamente la sua posizione. Ora capisco che il suo evitare di guardarmi era dovuto alla sua incapacità di gestire l’ondata di emozioni che la attraversavano. Ma io avevo bisogno di osservare il suo viso ed inchiodare i miei occhi ai suoi. Mi spostai in modo da sedermi con la schiena poggiata al divano poco lontano e feci sì che lei non si nascondesse dal mio sguardo prendendole il mento tra le dita e facendola girare in mia direzione.
-Katniss, amore mio, ho bisogno di sentire nuovamente ciò che hai detto- le ripetei, con il cuore che mi martellava nel petto e, sono sicuro, con gli occhi lucidi traboccanti d’emozione.
-Ti ho chiesto di sposarmi- mi disse, con voce decisa e con il volto in fiamme.
-Vuoi?- aggiunse poco dopo, per rompere il silenzio che si era creato dalla mia incapacità momentanea di proferir parola.
Non ebbi la forza di risponderle nell’immediato, ma lo fecero i gesti al mio posto. La feci stendere nuovamente sul tappeto e mi presi cura di lei, del suo corpo e del suo piacere come mai avevo fatto prima, passando me stesso in secondo piano. Mai nessuno era riuscito a privarmi delle mia capacità oratorie eppure lei era brava anche in questo.
-Si- le dissi con voce roca, mentre la mia lingua continuava a saggiarle l’ombelico.
-Mille altre volte si- aggiunsi, prima che le mie labbra si andassero a posare al centro della sua femminilità e la stanza si riempisse dei suoi gemiti.
Ora non posso fare altro che sorridere al pensiero di quel giorno ormai lontano. Continuerò a conservare questo ricordo nella mia mente come il più prezioso che potessi mai avere. Chi avrebbe mai immaginato che Katniss si sarebbe data così tanto a me? Lei continua a ripetermi che si sentirà sempre in debito nei miei confronti ma proprio non riesce a rendersi conto di tutto il bene che mi ha dato in questi anni. Sono certo che se non fosse stato per lei e per il suo personalissimo modo di dimostrarmi il suo amore, sarei ancora il pazzo depistato di Capitol City. Credo di poter dire lo stesso di lei. Soltanto insieme riusciamo ad andare avanti. Separati saremo il nulla, due anime in pena in cerca della metà che possa completarle.
Io con lei ho trovato la mia complementarietà, la mia pienezza, il mio tutto.
E il solo osservarla qui, da lontano, mi fa star bene. Tornerei volentieri tra quelle lenzuola a baciarle l’intero corpo ma ho bisogno di dimostrarle di saper rispettare ancora i suoi tempi e i suoi limiti. Perché per quanto stiamo bene insieme e ho toccato con mano il vero significato della parola felicità, c’è un piccolo tarlo della mia testa a tormentarmi, a dirmi che forse non sarò mai la persona adatta a lei.
E questo è proprio il motivo del mio svegliarmi all’alba tutte le mattine e restare seduto qui a dipingere la mia ossessione. Non faccio altro che riportare la bellezza di Katniss su ogni tela, crogiolandomi nell’illusione che lei è la sola persona di cui ho bisogno per andare avanti in questa misera vita. L’attimo prima sono convinto che sia davvero così, che mi basta averla per me, ma l’attimo dopo il tarlo diviene sempre più pressante e mi dice che non è così. Che potrò parlare a me stesso quanto voglio e tentare di autoconvincermi, ma la mia volontà rimarrà sempre quella.
Costruire una famiglia, avere dei bambini è sempre stato un traguardo agognato. Ho sempre saputo che scegliendo Katniss questo mio desiderio non avrebbe preso forma e in questi quattro anni mi è andata bene ma non posso nascondere ancora a lungo la mia paura di rimanere solo un giorno.
Sono cresciuto con un padre che per me ha sempre fatto di tutto pur di vedermi felice e vorrei che fosse data anche a me questa possibilità, la possibilità di amare un essere umano più di quanto possa amare me stesso e vederlo crescere, sorridere, vivere.
Ho provato ad affrontare l’argomento con Katniss mesi fa ed è inutile che dica che è stato un fiasco totale. Si è irrigidita immediatamente chiudendosi a riccio in se stessa ed è scappata nei boschi per l’intera giornata. Quando la sera è ritornata in casa, si comportò come se nulla fosse successo tra di noi, come se quel delicato tasto dell’essere sposati non fosse mai stato toccato. E mi ha fatto tanto male quel suo atteggiamento di apparente incuranza dei miei sentimenti. Ma poi, come al solito, ho provato ad immedesimarmi in lei e ho capito il problema dov’era. Nella sua tremenda paura di fare del male alle persone a cui tiene maggiormente. Avrei potuto capirla, certo, visto tutto quello che abbiamo dovuto vivere nella nostra adolescenza, ma non la condividevo. Perché i tempi sono cambiati, non ci sono più gli Hunger Games che minacciano la sopravvivenza dei nostri figli, né c’è alcuna guerra incombente. Ci siamo soltanto io, lei e la nostra vita ancora da costruire. Allora perché si ostina tanto a non rendermi quell’ultimo briciolo di felicità a cui tanto aspiro?
Una sera di poche settimane fa abbiamo trascorso degli attimi terribili in merito a questo discorso. Da quella sua fuga non avevo avuto più il coraggio di chiederle di avere un bambino forse perché ero terrorizzato dall’idea che potesse abbandonarmi definitivamente a causa del suo sentirsi inadeguata a darmi ciò di cui ho bisogno. Ero di ritorno dalla panetteria leggermente in anticipo rispetto al solito ed entrai in casa silenziosamente –per quanto la mia gamba finta me lo permettesse- per poterle fare una sorpresa. Avevo anche fatto le sue focaccine preferite e non aspettavo altro che vedere sul suo volto quel sorriso che mi ha sempre fatto sciogliere il cuore e che mi ha fatto perdutamente innamorare di lei. Ma non appena varcai la soglia di casa sentii che Katniss parlava a telefono con qualcuno. Non ci misi molto a capire di chi si trattava viste le poche persone che solitamente chiama e rimasi spiazzato nel sentire l’argomento della conversazione.
Stava parlando con Gale, l’uomo che non sentiva dal giorno del nostro matrimonio e parlavano della mia volontà di avere un bambino.
-…no Gale! Per te potrebbe esser stato semplice costruirti una vita lontano dal dodici e con una persona che non ti ricorda tutti coloro che sono morti a causa tua! Ma per me non è affatto così…-
Quelle parole mi fecero raggelare sul posto. In un attimo la mia salivazione si azzerò e sentii il cuore martellarmi furiosamente nel petto.
-Come hai capito che era arrivato il momento adatto per avere un bambino? Io non credo di potercela fare mai…-
Non potevo rimanere lì ancora a lungo ad ascoltare quelle parole che mi trafiggevano l’anima. Feci un paio di passi in avanti per entrare nella visuale di Katniss e lei, non appena si accorse della mia presenza, liquidò Gale con la tacita promessa che si sarebbero sentiti presto.
-Sei… sei tornato prima- mi disse con voce malferma, evitando il mio sguardo.
-Si, Delly e Thom penseranno a chiudere. Ho portato delle focaccine per te, sono qui dentro- dissi, poggiando la busta che avevo tra le mani, sul piccolo tavolino che divideva me da Katniss.
-Oh, grazie. Sei stato gentile- mi rispose, prendendo la busta e muovendosi velocemente per raggiungere la cucina e allontanarsi da me.
-Cosa voleva Gale?- andai subito al sodo, incapace di gestire la rabbia che lentamente stava nascendo in me a causa di quell’atteggiamento evitante che lei mostrava nei miei confronti.
-Gale? Niente. Era un po’ che non ci sentivamo e abbiamo chiacchierato del più e del meno…-
-Kat, ti prego, non insultare la mia intelligenza- le dissi, senza riuscire a controllare la tonalità della mia voce.
-Ok, non arrabbiarti. L’ho chiamato per sapere come ha fatto a cambiare così tanto la sua vita…-
-Avere un bambino con me ti risulterebbe così difficile? Cosa c’è, ti ricordo troppo l’assassino che ha fatto fuori tutte le persone a cui tenevi? Beh mia cara, ti dico una novità che ti lascerà senza fiato. Sei tu che hai ucciso tutte quelle persone! Non io!- le dissi, con rabbia e aggressività nella voce.
Ebbene si, stavo avendo un episodio e a causarlo erano state proprio le parole che Katniss aveva usato con Gale pochi attimi prima. Soltanto che non aveva la violenza solita contro di lei. Si manifestava piuttosto come uno sfogo verso quella situazione che mi distruggeva dall’interno alla quale non trovavo una via d’uscita.
-Peeta, calmati. Stai avendo un episodio. Tutto ciò che credi non è reale, ti prego, ascoltami…- tentava di dirmi con voce incerta e tremante. Non avevo attacchi del genere da un po’ di tempo ormai e anche lei si era abituata alla normalità. Per questo non sapeva bene come gestire questa nuova manifestazione d’ira. Cercava di avvicinarsi a me e prendermi il viso tra le mani ma tutta quella vicinanza non fu affatto un bene perché senza che riuscissi ad avere un pieno controllo delle mie azioni, la mia mano colpì violentemente la sua guancia con uno schiaffo.
-Oh mio dio…- sussurrò lei, con entrambe le mani poggiate sulla parte del viso lesa. Le lessi il terrore negli occhi mentre un rivolo di sangue scendeva dal suo naso. Quel colpo doveva essere stato forte ma evidentemente alla parte malsana e depistata di me quella scena non bastava. Perché le afferrai i capelli all’attaccatura della nuca e la avvicinai pericolosamente a me, tanto da avere le sue labbra a pochi centimetri dalle mie.
-Potrei prenderti qui, su questo tavolo senza lasciarti il tempo di farti l’iniezione anticoncezionale di questo mese sai? Così vedremo se il bambino che porterai in grembo ti ricorderà l’assassino che potrei essere oppure quel gran figlio di puttana del tuo amico nel due. Che ne pensi Everdeen?- le dissi, con un sibilo malvagio.
-Ma non mi divertirei in questo modo…- aggiunsi poco dopo, continuando a stringerle i capelli tra le mani. La lasciai poggiata sul tavolo della cucina ancora tremante prima di indirizzarmi al piano superiore come una furia indomata. Mi fiondai in bagno e con un urlo di soddisfazione gettai a terra con tutta la forza che avevo la scorta di siringhe anticoncezionali provenienti dalla capitale che Katniss era solita utilizzare.  Fortuna che in tutta quella violenza una piccola scheggia di vetro andò ad infilzarsi nella carne delle mani, permettendomi di attaccarmi a qualcosa di reale e lasciando alle mie spalle tutto ciò che non apparteneva a me.
Appena mi resi conto di tutto ciò che ero stato capace di fare in pochi brevissimi istanti, corsi immediatamente giù e raggiungi Katniss che si trovava nella medesima posizione in cui l’avevo lasciata. Aveva il volto rigato dalle lacrime ed io mi sentii un mostro soprattutto perché iniziava ad intravedersi un livido violaceo all’altezza dello zigomo.
-Sei… sei tornato…- mi disse, incapace di smettere si singhiozzare.
Mi avvicinai immediatamente a lei e la strinsi così forte al mio corpo da toglierle quasi il respiro. Ma avevo bisogno di quel contatto, avevo bisogno di vederla ancora lì, viva, per me.
-Mi dispiace amore mio, mi dispiace… perdonami ti prego. Perdonami, perdonami…perdonami- le dicevo all’orecchio, incapace di proferir altre parole. Tenevo forte Katniss tra le mie braccia e continuavo la mia cantilena dondolando sul posto.
-Non so cosa mi sia preso, amore mio. Perdonami ti prego…- continuavo così, mentre calde lacrime cominciavano a solcare anche le mie guance.
-Shh, non è successo niente. Va tutto bene, shh…- mi ripeteva, come una leggera ninnananna per calmarmi. Dopo poco mi prese per mano e mi portò in camera da letto. Sembravo un automa, impossibilitato a fare qualsiasi cosa. Mi spogliò lentamente, dopo aver fatto la stessa cosa anche lei e mi trascinò all’interno della doccia dove l’acqua calda lavò via ogni traccia di male dal suo viso e dal mio.
Da quel giorno mai più, nemmeno per sbaglio, abbiamo fatto cenno all’argomento bambino. E ne sono contento, perché ho davvero paura che possa accadere di nuovo qualcosa del genere. Non voglio fare di nuovo del male a Katniss, non lo merita. E peggio, non vorrei far del male alla piccola creatura che potrebbe arrivare con uno dei miei episodi da maniaco omicida.
Ma nonostante questo molti dei miei dipinti prendono una forma particolare senza che io me ne accorga. In questi ultime mattine, spesso mi sono ritrovato di fronte dipinti di lei con le curve più morbide, il ventre gonfio, i seni più grandi, le forme addolcite. A quanto pare il mio inconscio continua a lavorare su questo mio malsano desiderio. Ma nessun’altro oltre me deve saperlo. Per questo motivo dipingo prima che lei si svegli, per evitare che osservi per sbaglio una pancia rotonda o un neonato tra le braccia di una donna… potrò mai combattere per l’eternità contro questa cosa? Ce la farò, perché stiamo bene così. Ci bastiamo a vicenda. Non abbiamo bisogno di null’altro. Così prendo l’ennesimo ritratto della mia fantastica moglie con in braccio un bambino dagli occhi azzurri e i capelli castani e vado a depositarlo all’interno della mia soffitta dove tanti altri ritratti così giacciono inosservati.
Rimango in questa stanza per un po’ di tempo, fermo ad osservare quanto di me e di lei sia concentrato qui dentro. Non riesco a credere che in questi ultimi quattro anni la numerosità dei suoi ritratti sia diminuita drasticamente, segno che non ho bisogno più di rappresentare su tela la realtà di ciò che è per distinguerla dalle mie malsane immaginazioni.
-Sapevo di trovarti qui- sussurra una voce alle mie spalle che mi fa sobbalzare improvvisamente. Non riuscirò mai a sentire il suo passo silenzioso per quanto mi possa sforzare. Katniss è dietro di me, poggiata sull’uscio della porta e con solo una leggera vestaglia a coprirle il corpo nudo. È fantastica anche così, con la treccia sfatta e gli occhi assonnati.
-Da quanto sei sveglia?- le chiedo, avvicinandomi a lei e cercando di chiudere la porta alle mie spalle per evitare che osservi troppo il frutto delle mie immaginazioni.
-Il necessario per rendermi conto che ancora una volta non c’eri al mio fianco- sussurra, mentre raggiunge con le labbra la base del mio collo per stuzzicarlo leggermente con la lingua.
-Vuoi tornare di nuovo a letto?- dico, sperando che mi risponda di si perché queste sue attenzioni mi fanno desiderare soltanto di renderla nuovamente mia.
-Mmh no, voglio scoprire cosa mi nascondi qui dentro…- afferma, e prima che mi renda conto di cosa sta per accadere, Katniss si trova già all’interno del mio inferno/paradiso intenta a fissare ogni quadro fatto in questo tempo. Il sorriso gioioso e scherzoso che le circondava il volto muore lentamente mentre io resto immobile, pronto a vederla correre via lontano da me.
Ma le mie aspettative andranno presto deluse perché non la vedo affatto scappare terrorizzata pronta  a mettere chilometri di distanza tra me e lei. Anzi, la vedo avvicinarsi con calma ad ogni quadro e studiarli uno per uno attentamente, come se anche lei volesse capirne i significati che celano. Inizio a sudare dall’agitazione quando scopre l’ultima tela depositata pochi attimi prima del suo arrivo.
-Katniss io…- cerco di trovare le parole giuste da dirle per spiegare la motivazione di quelle rappresentazioni ma le parole mi muoiono in gola prima che lei possa bloccare ogni mio tentativo di proferir parola.
-Da quanto tempo immagini tutto questo?- mi chiede invece, indicando il quadro che la rappresenta madre.
-Da un po’- le rispondo, scrollando le spalle e abbassando gli occhi incapace di guardarla.
-Peeta senti...- inizia a parlare ma io la blocco prima che continui con il suo discorso.
-Non c’è bisogno, amore mio. Tu non vuoi avere bambini e questo mi sta bene, davvero. È solo una fantasia che ogni tanto prende vita nella mia mente e…- inizio a dire stringendole la mano ma lei mi blocca posando le labbra sulle mie per zittirmi. È un bacio breve, privo di qualsiasi scopo.
-Ti vanti tanto della tua capacità di capire sempre tutto ma a volte mi deludi, sai?- mi dice, accennando un leggero sorriso sardonico e iniziando a trascinarmi verso la nostra camera da letto. Una volta raggiunta, mi spinge delicatamente all’indietro in modo da lasciarmi sedere sul materasso mentre lei scompare in bagno e la sento armeggiare con il regolatore dell’acqua della vasca. Non riesco a capire cosa la spinga a fare tutto questo e sono ancora perplesso sul significato della sua precedente frase. Cosa avrà voluto dirmi? Cosa avrei dovuto capire in questo tempo?
-E’ per quei disegni che non ti trovo più al mio fianco la mattina?- afferma con voce leggermente più alta del normale per farsi sentire al di sopra dello scrosciare dell’acqua.
-Kat, ti prego, vieni qui se vuoi parlare di questo- le dico.
-Tu rispondimi, io ho da fare qui- mi dice, affacciandosi velocemente dall’uscio della porta del bagno per poi sparire l’attimo dopo senza darmi la possibilità di guardarla.
-Si- è l’unica cosa che riesco a dirle.
-Perché non me ne hai mai parlato?- mi chiede, come se la mia risposta non l’avesse toccata minimamente. Ho la sindrome di Capgras o quella donna non è mia moglie? Perché è impossibile che mi dica queste cose…
-Mi prendi in giro? Le uniche due volte che ho provato a farti capire la mia volontà di costruire una famiglia è successo di tutto. La prima sei scappata via come se fossi un pazzo e la seconda… beh lo sai- le dico, stupito ed incapace di ammettere ad alta voce il male che le ho fatto quel giorno.
-Intendo dire… di nuovo- afferma, questa volta avvicinandosi a me e facendomi alzare dalla mia postazione precedente.
-Kat, ti senti bene? Sei strana oggi…- ed è vero. Perché mai mi sarei immaginato di sentire queste parole uscire dalle sue labbra. Voleva che le dicessi ancora una volta di volere un bambino nonostante tutto quello che è successo in passato? No, ma dico, è pazza?
-Ho voglia di fare un bagno con te-  mi risponde invece, prendendomi per mano e portandomi in bagno dove noto che la vasca è stata riempita di acqua e sali profumati. Questa mattina non riesco proprio a capirla. È strana, ambigua e stranamente sfacciata. Ma nonostante questo rimango zitto e, curioso, mi lascio fare ogni cosa le passi per la mente.
La osservo fermarsi proprio di fronte a me per concentrarsi a sfilarmi la maglia bianca che indosso solitamente per dormire. Si prende qualche minuto per osservare ogni centimetro della mia pelle scoperta, andando a baciare le cicatrici che la deturpano. Ormai non ho più vergogna di mostrarmi a lei in questo modo, ho imparato a conviverci e, inoltre, ho visto che le piace particolarmente vezzeggiarmi quei punti martoriati di me. Infondo chi sono io per impedirle uno svago del genere?
Avverto le sue labbra ovunque sul mio torace mentre le mani continuano ad accarezzarmi i capelli dietro la nuca in un gesto che, lei sa bene, sa farmi perdere le staffe in poco, pochissimo tempo. Le dita scendono a sfiorarmi i muscoli delle spalle, la schiena, i fianchi, fino a fermarsi all’orlo dei pantaloni della tuta che indosso per slacciarla via e lasciarla ai miei piedi. Non indosso niente al di sotto il che significa che sono già nudo, spaesato dalla sua audacia e dannatamente eccitato dai suoi tocchi.
Continua a stuzzicarmi ancora un po’ con lenti e studiati movimenti della lingua fino a che non si stacca leggermente da me per slacciare quell’unico indumento che mi impediva di godermi l’intera sua bellezza. Lascia che la vestaglia verde che indossava scivoli lungo il suo corpo per cadere inerme a terra e rimane per un po’ immobile ad osservare la mia reazione. Credo di avere la bocca spalancata dallo stupore e se non faccio attenzione, un rivolo di saliva potrebbe far valere la sua presenza.
Mai, mai si è mostrata a me con tanta naturalezza e disinvoltura come in questo momento negli ultimi anni ed io sono incapace di fare qualsiasi cosa, troppo bloccato dalla sua bellezza, dalla sua magnificenza, dalla perfezione dei suoi seni e delle sue gambe.
-Cristo santo, Kat, sei fantastica- biascico, consapevole di sembrare un ragazzino alla sua prima esperienza sessuale. Osservo rapito il leggero rossore che imporpora le sue guance al mio complimento e i suoi leggeri movimenti da ninfa prima di entrare in vasca e calarsi nell’acqua calda profumata.
-Hai intenzione di raggiungermi o vuoi rimanere imbambolato lì per tutta la vita?- mi dice sorridendo e con una leggera tonalità ironica nella voce. Non me lo faccio ripetere una seconda volta e l’attimo dopo sono lì, all’interno di quella vasca con Katniss seduta a cavalcioni su di me, intenti a baciarci con una passione bruciante, logorante, accesa.
Le mie mani sembrano impazzite, vagano incessantemente sul suo corpo per poterlo studiare tutto, io stesso sembro impazzito perché non riesco a controllare la voracità dei miei baci e dei miei movimenti e delle mie spinte. Sono certo che dopo dovrò fare i conti con un bagno allagato ma ora non mi interessa minimamente.
Sentire i gemiti di Katniss e il suo respiro affannato che mi si infrange contro il collo, le gambe intrecciate ai miei fianchi, le unghie che si conficcano forti nelle spalle, mi porta al limite e vengo con lei, dentro di lei con un suono strozzato. Rimaniamo in questa posizione per un bel po’ di tempo, lei incapace di muoversi perché scossa ancora dai tremiti del piacere da poco raggiunto ed io perché non ho la minima intenzione di uscire dal suo corpo. Sono assuefatto da esso. Le prendo la testa poggiata sulla mia spalla tra le mani per portarla all’altezza del mio volto e la bacio con una delicatezza che fino a pochi attimi prima non mi apparteneva.
-Wow…- sussurro sulle sue labbra poggiando la fronte alla sua, impossibilitato ad aggiungere altro.
-Wow…- conferma lei, sorridendo appena.
-E’ stato…- inizio a dire, non appena riesco a prendere il controllo della mia voce arrochita e del furioso battito del cuore.
-…pazzesco?- completa lei per me. Evidentemente non sono l’unico ad esser rimasto sopraffatto da queste idilliache sensazioni.
-Mi hai tolto le parole di bocca- le dico mentre prendo a baciarle il collo nelle mie abitudinarie coccole post-sesso.
Dopo un po’ ci stacchiamo dalla posizione precedente e lascio che si accomodi tra le mie gambe, con la schiena poggiata al mio petto. Infondo le sue intenzioni erano di fare un bagno con me, e non posso tirarmi indietro ad una richiesta del genere, non dopo che lei mi ha concesso quegli attimi di pura libidine. Rimaniamo all’interno dell’acqua calda ancora per molto in un silenzio che non disturba affatto. Lei ha la testa poggiata all’indietro sulla mia spalla mentre io mi dedico ad insaponarle le gambe e le pancia con dovuta maestria, in un modo che so che la fa rilassare tanto.
Io amo questa donna. Come ho potuto pensare di aver bisogno di più in questa vita?
-Se sarà femmina vorrei che si chiamasse come Prim. In caso di un maschietto, beh… avevo pensato che potrebbe avere il nome di tuo padre, è una cattiva idea?- la sento dire all’improvviso, mentre ancora è abbandonata alle mie carezze. La mano con cui tenevo la spugna intenta ad insaponarla si blocca a mezz’aria e il mio cuore perde un battito. Sta davvero parlando della possibilità di avere dei figli? Con me?
Tutt’ad un tratto la consapevolezza dei suoi gesti mi colpisce. La sua fuga nei boschi, la chiamata con Gale… erano tutte azioni che ha fatto non perché cercava un modo di scappare da quella realtà bruciante, ma perché voleva  dare un senso alla sua volontà inconscia che si scontrava con i suoi pensieri abitudinari di ragazzina terrorizzata dalla vita. Ed io sono uno stupido, perché non sono stato bravo a capirla e a rispettare i suoi bisogni, i suoi tempi, i suoi spazi.
Sento nascere in me una felicità immensa che non può essere paragonata alla prima notte trascorsa insieme, o alla sua strana proposta di matrimonio. È una sensazione di tranquillità, collegata alla consapevolezza di una vita che può esser ancora più bella se trascorsa con lei e con il mio bambino.
Perché sono certo, sarà un maschietto.
-Credo sia meraviglioso- le rispondo, incapace di contenere ancora per molto il sorriso sulle labbra.
Non ho bisogno di aggiungere altro, né di chiedere spiegazioni perché lei sa che io ho capito il significato di ogni sua azione. Prende entrambe le mie braccia e fa si che la stringano in un abbraccio forte e sicuro. Sono certo che i suoi occhi brillino di felicità in questo momento, allo stesso modo in cui i miei stentano a contenere l’emozione di questo momento.
-Ti amo, Peeta Mellark- mi dice, prima di girarsi verso di me e coinvolgermi in un bacio pieno d’amore.
“Ti amo anche io, signora Mellark”.




Note d'autore.

Ciao a tutti! Sono di nuovo ritornata in questo fandom. Spero davvero che anche questa nuova mia OS possa riscuotere lo stesso successo della precedente. Ne approfitto per ringraziare davvero tutti quelli che hanno recensito, l'hanno aggiunta alle preferite- ricordate- seguite. Vi ho amato davvero! 
Ora però ho bisogno di aggiungere delle precisazioni affinchè non ci siano lacune. Questa storia si svolge quattro anni dopo la famosa prima notte del -Tu mi ami. Vero o falso?-. Pochi mesi dopo Katniss ha chiesto a Peeta di sposarlo in un modo che personalmente, credo le si adatti alla perfezione. Sono entrambi cresciuti, hanno preso la piena consapevolezza di ciò che è accaduto loro e l'hanno accettato, imparando a conviverci. La Katniss che ho descritto forse potrebbe sembrare un pò diversa da quella descritta dei libri della -grandiosa!- Collins ma credo che anche lei debba andare incontro a dei cambiamenti. Non è più la ragazzina spaventata dal mondo, è diventata una donna, innamorata del proprio marito e consapevole (almeno in parte, perchè stiamo parlando sempre della ragazza di fuoco!) dell'effetto che il suo corpo fa su di lui. Nonostante questo, continua ad essere impacciata nella comunicazione verbale infatti, come abbiamo visto già in La mia pace è lei, preferisce far parlare i suoi gesti, piuttosto che la sua lingua. E c'è riuscita abbastanza bene, no? 
Per quanto riguarda l'argomento Gale: il cambiamento della donna ha riguardato anche quest'aspetto. E' riuscito a perdonarlo e lentamente sta cercando di costruire quell'antico rapporto che li legava. Lui, comunque, è sposato con una giovane ragazza del 2 e vive serenamente con lei e la sua bambina con gli occhi da giacimento. 
E Peeta? Per quanto mi riguarda, lui soffrirà sempre per i sentimenti che la sua Katniss provava per il suo acerrimo nemico in amore. Per questo la gelosia lo porta agli estremi, facendolo cadere nel baratro dei flashback. Fortuna che è in grado di uscirne fuori! 
Beh, con questo ho detto davvero tutto. Un grazie in anticipo a chiunque si cimenterà in questa mia ennesima "avventura".
Un bacione, aqa.
 
  
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