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Autore: Kary91    11/06/2014    8 recensioni
{Raccolta di One-Shots incentrate sui maschi della famiglia Hawthorne}
1) • Mr. Hawthorne [Pre-Hunger Games |teen!Mr Hawthorne e teen!Hazelle] ✓
2) • Vick Hawthorne [Pre-Hunger Games| Vick, Gale, Posy e Hazelle] ✓
3) • Rory Hawthorne [Post-Mockingjay | Rory, Vick e Posy] ✓
4) • Gale Hawthorne [Post-Mockingjay | Gale, Johanna e Joel Jr.] ✓
5) • The Hawthorne Family [Pre-Hunger Games |Mr. Hawthorne, Hazelle, Gale, Rory e Vick]
“Se proprio vuoi saperlo, credo che abbia qualche rotella fuori posto…” aggiunse Johanna, mentre Gale tirava fuori il bimbo dal seggiolone per evitare che cadesse. “Ha chiamato il suo amico peloso come me”.
Afferrò la volpe di peluche e la porse al piccolo. Joel, che era occupato a festeggiare il ritorno del padre accoccolato al suo petto, sorrise e strinse l’animaletto a sé.
“Jo!” esclamò allegro, appoggiando la fronte contro il suo muso peloso.
Johanna indirizzò un’occhiata eloquente a Gale, che sorrise divertito.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Hawthorne, Gale Hawthorne, Mr. Hawthorne, Posy Hawthorne, Vick Hawthorne
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Figli del Giacimento - The Hawthorne Family.'
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Tutto ciò che ho.

ttch

[Mr. Hawthorne, Vick, Rory, Gale]

______________________

Premessa. I protagonisti di questa prima storia sono Mr. Hawthorne (Joel) e Hazelle, i genitori di Gale. La one-shot è ambientata nel passato, quando i due sono ancora adolescenti.

 

[1]

Joel Hawthorne sr.

Avrei voluto essere

un bravo studente,

 un bravo figlio,

un bravo fidanzato,

o almeno uno dei tre.

Tutto ciò che ho. 883

 

Il ragazzo dai capelli neri sbadigliò vistosamente e distese le gambe sui gradini d’ingresso, intrecciando le dita dietro la nuca. Il libro di testo dalle pagine spiegazzate che aveva sulle ginocchia minacciò di scivolare a terra, ma il giovane lo bloccò con uno scatto della gamba. Si passò una mano fra i capelli arruffati, mentre le dita dell’altra scendevano a tamburellare contro la copertina del volume. Venne distratto da due ragazzini che rincorrevano un cerchio di metallo e, quando tornò a fissare la pagina, non ricordava nemmeno dove fosse arrivato con la lettura. A stento conosceva l’argomento che stava cercando di ripassare. Non era sorpreso: nei suoi sedici anni di vita non gli era mai capitato di leggere una pagina dall’inizio alla fine senza distrarsi almeno due o tre volte, figurarsi un intero capitolo. Non che gliene fregasse più di tanto, in fondo. Per quelli del Giacimento come lui l’esame di fine anno – l’unica prova scritta da dare in quel buco di Distretto – era inutile quanto un piccone senza la sua parte d’acciaio. Tanto, una volta raggiunti i diciotto anni, in miniera ci sarebbero andati tutti, perfino i fessi irrequieti come lui. Le mezze seghe a scuola, quelli che trascorrevano più tempo fuori dall’aula che non dentro, i ragazzetti che da piccoli venivano catalogati come irrecuperabili, perché impossibili da gestire: svogliati, distratti e troppo iperattivi. Ma per scavare e puntellare pareti di roccia dodici ore al giorno, studiare e mantenere una buona condotta era pressappoco inutile. In miniera servivano buon senso e spalle larghe, forza e ostinazione e JoelHawthorne, di quelle, ne aveva in generose quantità. Lo chiamavano tutti “Testa calda”, per via del suo carattere impulsivo e ribelle e il senso della giustizia esasperato che lo portavano spesso a perdere il controllo alla minima provocazione. Perfino Margaret, la sua ragazza, stava incominciando a stancarsi del modo in cui reagiva alle frecciatine e agli sguardi canzonanti dei coetanei, quando volevano infastidirlo. Joel chiuse il libro e lo lasciò scivolare a terra, picchiettandosi le ginocchia sulle mani. In momenti come quello faticava a stare fermo e i suoi occhi frugavano il circondario di continuo, alla ricerca di distrazioni. Spesso era costretto ad alzarsi in piedi e a camminare avanti e indietro, spinto da un qualche motore invisibile che sembrava avere solo lui.

 

Scattò in piedi quando individuò suo padre Samuel all’inizio della strada, con la sacca della selvaggina sulle spalle: doveva essere appena tornato dal giro di scambi al Forno. Di solito Joel andava con lui, ma quel giorno il padre gli aveva chiesto di restare a casa per studiare.

“Lascia, ragazzo, faccio da solo” lo tranquillizzò Samuel, nel momento in cui il figlio lo raggiunse per farsi passare la sacca. L'uomo gli posò una mano sulla spalla ed entrò in casa, non prima di aver scoccato un’occhiata rassegnata al libro chiuso abbandonato sui gradini. Joel notò il gesto e sospirò, dando un calcio a una pietra. Suo padre non l’aveva mai rimproverato più di tanto, per via del suo scarso rendimento scolastico. C’erano cose più importanti, gli diceva qualche volta, che un paio di nozioncine imparate a regola d’arte e una schiera di insegnanti compiaciuti. Eppure, nel corso dell’ultimo periodo, aveva sorpreso spesso lui e sua madre a rivolgergli occhiate preoccupate, quasi deluse. Erano in pensiero per lui: sapevano che la sua impulsività e il suo atteggiamento attaccabrighe avrebbero potuto fruttargli dei guai, una volta che avrebbe incominciato a lavorare. Anche Margaret la pensava così: spesso stringeva le labbra nella sua tipica espressione contrariata, quando lo sorprendeva in giro per il distretto, sovrappensiero per via dei motivi più disparati, invece che a casa con i libri di scuola aperti sulle ginocchia.

 “Torna a studiare, testa calda!” lo spronava in un tono che avrebbe dovuto essere scherzoso, ma che suonava più spazientito, prima di allontanarsi verso casa. In quei momenti Joel si rifugiava nei boschi, abbandonandosi all’unica cosa che riusciva a tenerlo concentrato per più di una manciata di minuti: cacciava a lungo, mettendo da parte il pensiero di quelle cose che avrebbe dovuto ritenere importanti, ma che spesso gli sfuggivano, perchè troppo distratto da altro. Margaret stava minacciando di diventare una di queste.

Sbuffando Joel raccolse il libro e incominciò a bighellonare per la stradina, giocherellando con un angolo spiegazzato di una pagina. Dopo qualche minuto si sentì addosso lo sguardo di un paio di ragazze sedute sui gradini d’ingresso della casa di fronte. Una delle due aveva un libro sulle ginocchia e stava probabilmente ripassando a sua volta per l’esame finale. L’altra stava lavando dei panni in un catino di legno; quando incrociò lo sguardo di Joel, il ragazzo la riconobbe: l’aveva vista qualche volta a scuola e doveva anche aver sentito il suo nome, di tanto in tanto, ma in quel momento gli sfuggiva. Le due giovani erano entrambe del Giacimento, lo si poteva intuire facilmente per via della carnagione olivastra e dei capelli corvini, così simili a quelli di Margaret. Quasi tutti i giovani originari del Giacimento li avevano neri e lisci. Quelli di Joel, invece, erano mossi e spettinati, a tal punto da sembrare quasi ricci; ribelli e ostinati, quasi volessero fare il verso al carattere del loro proprietario. Rivolse alle due ragazze un sorriso sghembo e una delle due ridacchiò, facendogli un piccolo cenno con la mano. L’attenzione di Joel, tuttavia, si focalizzò sull’altra giovane, quella china sul catino per lavare. I capelli leggermente ondulati le ricadevano morbidi sulle spalle, incorniciando un viso dai lineamenti dolci. Il suo sorriso era meno vistoso di quello della sua amica, ma i suoi occhi erano ancora occupati ad osservarlo, più con curiosità che con interesse o sdegno – al contrario di come lo fissavano spesso le sue coetanee.

“Che ti guardi, testa calda?” esclamò in quel momento un ragazzo, uscendo dall’abitazione di fronte. Prese posto sui gradini di fianco alla ragazza con il libro sule ginocchia. Cyron, il suo vicino di casa, aveva l’aria giusta per uno che viveva da quelle parti: i suoi capelli erano lisci, come era tipico per la gente del Giacimento e la sua aria fiera e controllata non veniva compromessa da un’espressione spesso assente e distratta, o dagli scatti di impulsività che erano tipici, invece, di Joel.

“La tua ragazza” rispose il giovane con un sorriso di scherno, molleggiandosi sulle punte dei piedi. Nei momenti di nervosismo, il motore invisibile che lo costringeva a muoversi di continuo accelerava. Cyron cinse le spalle della fidanzata con un braccio, scoccando un’occhiata di sfida al coetaneo. Aprì la bocca per rispondere qualcosa, ma la voce di Samuel Hawthorne si frappose alla sua, mentre la testa dell’uomo spuntava dall’uscio della porta.

“Quattro vieni dentro, ho bisogno di una mano” ordinò al figlio, fiutando il pericolo in arrivo. Cyron inarcò un sopracciglio in direzione di Joel.

“Quattro?” esclamò, scuotendo il capo con espressione divertita. “Cos’è, il voto più alto che hai preso a scuola?”

Joel scattò verso di lui senza riflettere, ma il padre lo trattenne per il braccio.

“Vieni dentro, ragazzo” ribadì, indicando la porta con un cenno del capo. Joel obbedì, pur liberandosi con uno strattone dalla presa di Samuel.

“Come se tu prendessi voti molto più alti, Cyr…” esclamò in quel momento una delle due ragazze - quella che stava lavorando - in tono di voce infastidito.

“Sta’ zitta, ‘Elle” fu la risposta brusca di Cyron. La ragazza gli rispose a tono, ma Joel era ormai dentro e non riuscì a distinguere ciò che stava dicendo.

Qualche minuto più tardi, scostò le tendine della finestra con uno strattone e sbirciò sui gradini d’ingresso dell'abitazione di fronte. Cyron e la sua ragazza erano ancora lì. La giovane col catino, invece, se ne era andata.

*

 

Nonostante quel pomeriggio fosse riuscito a trattenersi, lo stesso non si poté dire dei giorni successivi. Le provocazioni di Cyron continuarono e, un paio di pomeriggi più tardi, l’impulsività di Joel ebbe la meglio sul buon senso, spingendolo ad avventarsi contro il coetaneo. Lo colpì allo stomaco, ma ricevette a sua volta un pugno in pieno volto, procurandosi un labbro ammaccato e un’aria furente che non lo abbandonò nemmeno durante il ritorno a casa. Le sue dita tamburellavano con insistenza sulla cinghia della sacca che usava per andare a caccia e, tanto era preso dal rumore ritmico dei suoi polpastrelli contro la stoffa, quasi non si accorse che qualcuno gli stava camminando a fianco. Istintivamente pensò a Margaret, ma nel voltarsi riconobbe la ragazza che aveva attirato la sua attenzione di fronte a casa di Cyron.

“Ehi, straniero!” lo appellò in tono di voce scherzoso la giovane “Sembra un brutto taglio” commentò poi, analizzando con circospezione il suo labbro.

Joel passò il dorso della mano della ferita per rimuovere un po’ del sangue.

“Sto bene” minimizzò poi, in tono di voce un po' brusco. La ragazza inarcò appena un sopracciglio, ma non ribatté. Non sembrava impressionata dai suoi modi di fare scontrosi. Joel cercò comunque di rimediare sorridendole, ma sapeva che l’increspatura un po’ storta che arricciava le sue labbra quando lo faceva risultava ammiccante, più che amichevole.

“Posso farti una domanda?” chiese a quel punto la ragazza, attirando la sua attenzione. Joel diede una scrollata di spalle.

“Perché tuo padre ti chiama Quattro?”

Il giovane riprese a far tamburellare le dita sulla bretella della sacca. Tentò di rimanere concentrato sulla domanda che gli aveva posto, ma continuava a distrarsi guardandola. C’era qualcosa di contraddittorio nel suo aspetto, che la rendeva particolarmente attraente ai suoi occhi. Forse era quell’aria ferma e determinata che contrastava la dolcezza dei suoi lineamenti. O il modo amichevole in cui gli sorrideva, nonostante i suoi occhi si ostinassero ancora ad analizzarlo con attenzione, e una punta di circospezione tipica delle persone del Giacimento.

“Mi piace il numero quattro” si limitò a rispondere, dando un'altra scrollata di spalle. “Quando ero piccolo mio padre mi ricordava sempre di contare fino a quattro prima di dire o fare qualcosa che avrebbe potuto mettermi nei guai” aggiunse poi, nell’accorgersi che la giovane lo stava ancora osservando incuriosita. "La gente, di solito, conta fino a cinque, ma per me erano già troppi: mi distraevo prima. Così abbiamo scalato a quattro secondi.”

 “E funzionava?” chiese la ragazza. Joel le rivolse un sorrisetto malandrino.

“Non ha mai funzionato. Ma mio padre me lo ripeteva talmente spesso che alla fine lui e mia madre hanno incominciato a chiamarmi Quattro.”

La giovane si mise a ridere.

“È una bella storia, per un soprannome” ammise, tornando a voltarsi verso di lui. “Forse il quattro è il tuo numero portafortuna.”

“Beh, il mio nome ha quattro lettere” rispose Joel, passandosi una mano fra i capelli arruffati. “E un giorno avrò quattro figli” aggiunse, sorridendo sghembo in direzione della sua interlocutrice. La giovane rise di nuovo.

“Quattro, eh?” ripeté poi, scuotendo il capo con espressione divertita. “Beh, buona fortuna a te e alla tua futura moglie, allora!” proseguì, incominciando ad avviarsi verso una delle prime case sulla sinistra: sulla soglia una donna seduta su una sedia era china su un asse di legno, intenta a sfregare un panno con il sapone. Fece un cenno di saluto alla ragazza e Joel intuì che dovesse trattarsi della madre. Avevano gli stessi capelli lunghi e ondulati e la stessa aria ferma e determinata, mitigata dalla dolcezza dei lineamenti del volto. Nell’osservarla all’opera, a Joel tornò in mente il pomeriggio di due giorni prima, quando aveva sorriso alle due ragazze sui gradini di fronte a casa di Cyron. Ricordò le provocazioni del suo vicino di casa e la risposta a tono della ragazza che lavorava al catino. Cyron, a quel punto, l’aveva chiamata ‘Elle. Fece mente locale per un po’, ma alla fine riuscì a ricordare il suo nome completo.

“Ti chiami Hazelle, vero?” chiese, rivolgendole un mezzo sorriso compiaciuto. La giovane gli indirizzò un’occhiata sorpresa, prima di ricambiare il sorriso.

“Allora non sei così distratto come dicono!” osservò, incamminandosi verso la madre. “Ci vediamo, straniero!”

Joel la osservò allontanarsi con espressione divertita, passandosi una mano fra i capelli arruffati. Si sfiorò poi il labbro ammaccato con il dorso della mano e sbuffò, riprendendo a camminare in direzione di casa sua. Pensò ai suoi genitori, all’occhiata rassegnata che si sarebbero scambiati nel vederlo tornare a casa conciato così, e anche a Margaret: a come aveva stretto le labbra ancora una volta, dopo aver saputo della lite. Da quel pomeriggio non gli aveva più rivolto la parola e probabilmente non l’avrebbe fatto per un bel pezzo.

Scrollò poi le spalle, interrompendo bruscamente il tragitto e si voltò, puntando verso il bosco. Il sorriso divertito di quella ragazza, di Hazelle, stuzzicò più volte i suoi pensieri, mentre controllava le trappole che aveva sistemato quel mattino. Dovette fare il giro due volte, perché continuava a distrarsi e a dimenticarsene qualcuna, ma quando alla fine contò la selvaggina, sorrise fra sé, soddisfatto del ricavato. Erano scattate quattro trappole su sei: aveva preso quattro conigli. Per la prima volta da quando aveva fatto a botte con Cyron mise completamente da parte il turbamento per quello che non era, concentrandosi sul suo bottino di caccia. Avrebbe voluto essere uno studente migliore, un figlio più diligente, un bravo fidanzato per Margaret… o almeno uno dei tre. Tuttavia, forse, era stato proprio quel tre a fregarlo: il suo numero era il quattro. Aveva fallito su tre fronti, ma prima o poi ne avrebbe dovuto affrontare un quarto e forse, su quello, se la sarebbe cavata meglio. Magari nel giro di qualche anno sarebbe diventato un buon collega e un ottimo minatore, si disse. O un bravo marito. Forse un giorno sarebbe stato un buon padre.

Rise fra sé e sé, dandosi mentalmente dell’idiota. Non riuscì comunque ad evitare di sorridere, tornando a contare il numero delle sue prede. Hazelle, Joel se lo sentiva, aveva avuto ragione. Il quattro era decisamente il suo numero portafortuna.

 

 

Nota dell’autrice.

Nonostante abbia già una raccolta sulla famiglia Hawthorne in corso e un sacco di one-shot da concludere entro fine mese, ho deciso comunque di lanciarmi in questa missione suicida. La canzone a cui è ispirata questa raccolta, Tutto ciò che ho degli 883 è una canzone che mi sta particolarmente a cuore sin dall’infanzia e mi sono resa conto che i suoi versi si associano piuttosto bene a come ho scelto di immaginare i maschietti della famiglia Hawthorne (il babbo, Gale, Rory e Vick), così ho pensato di scrivere qualcosa per ognuno di loro. Posy e Hazelle faranno comunque comparsa nella maggior parte dei capitoli e nel penultimo, quello su Gale, c’è anche Johanna Mason. Questo primo capitolo è dedicato a Mr. Hawthorne da giovane. È piuttosto diverso dalla sua controparte adulta che mi è spesso capitato di introdurre negli altri miei racconti incentrati sulla famiglia Hawthorne, ma io da ragazzo l’ho sempre immaginato un po’ una testa calda, soprattutto poiché nel mio head!canon personale Joel era affetto da ADHD (Sindrome da deficit di attenzione e iperattività) che ha come caratteristiche principali proprio iperattività, impulsività e disattenzione. Il motivo di questa mia stramba decisione verrà forse, un giorno, approfondito, quando troverò il coraggio e l’ispirazione per scrivere su un certo personaggio che qualcuno già conosce. Mr. Hawthorne, comunque, ha conservato molte di queste caratteristiche anche da adulto, in particolare l’impulsività, ma crescendo è maturato molto e ha perso soprattutto molta dell’iperattività che lo caratterizzava, per via del lavoro estenuante in miniera. Il soprannome, Quattro, mi è venuto in mente prima che leggessi del caro Tobias in Divergent, ed è dovuto alle questioni che avevo già accennato in E.Y.E.S. O.P.E.N. e in Four Children. Four Names. Four Letters. Mi ha sempre incuriosito il fatto che i fratelli Hawthorne fossero quattro e tutti con nomi da quattro lettere e mi è sempre piaciuto pensare che ci fosse una qualche storia dietro a tutto questo. Penso di aver detto tutto. Il prossimo capitolo sarà su Vick, anche se faranno comparsa anche Posy, Hazelle e Gale. So che la famiglia Hawthorne non è particolarmente popolare, specialmente Vick e il babbo, ma non riesco proprio fare a meno di scrivere di loro, ormai ci sono veramente tanto affezionata!

Un abbraccio e alla prossima!

Laura

 

   
 
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