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Autore: ValentinaRenji    12/06/2014    1 recensioni
questa storia è ambientata nella città dove vive Ichigo. Con lui ci sono i suoi amici e compagni d’avventura Renji, Rukia e molti altri ancora! La Soul Society ha dato loro il compito di vivere per un po’ sulla Terra e proteggerla da ogni pericolo. Devono inoltre cercare di adattarsi il più possibile alle usanze ed abitudini di questo mondo,integrandosi con le stranezze e le meraviglie che si presentano ai loro occhi. Ciò consentirà ai nostri protagonisti di conoscersi meglio e di scoprire nuovi sentimenti ed emozioni che non avrebbero mai sospettato di provare.
Buona lettura! ^.^
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Espada, Inoue Orihime, Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 30


Il sole splende alto nel cielo terso, lindo, della città di Karakura: i suoi raggi vivaci sono carezze roventi sulla pelle, sono soffi d’aria bollente e afosa che strappa il fiato agli abitanti costringendoli ad asciugarsi dalla fronte continue gocce di sudore. Si può dire per certo che l’estate è finalmente arrivata! La vegetazione verdeggiante anima i viali e le strade che conducono alla costa, dove il mare spumeggiante e placido accoglie turisti e pendolari delle vacanze regalando loro un fresco refrigerio da tale insopportabile calura.
“Mi piacerebbe tanto andare al mare!” sussurra piano Orihime, con voce sommessa.
“Ci andremo presto vedrai.” La rassicura Ichigo stringendole una mano.
Davanti a loro, una barriera arancione avvolge il corpo privo di sensi della sesta espada le cui ferite sono quasi del tutto rimarginate. Ishida osserva in silenzio l’operazione curativa, tenendo la testa fra le mani senza mai staccare lo sguardo da quello che sembra ormai essere un animale ferito.
“Ma … io vorrei andarci … tutti insieme …” le iridi grigie fluttuano leggere verso Grimmjow e lo shinigami comprende la forte preoccupazione nel cuore della ragazza, la paura di non farcela, di non salvarlo.
La voce del quincy squarcia quel breve attimo di silenzio carico di tensione:
“Sentite … se volete resto io con lui. Voi andate pure a riposare, siete svegli da tutta la notte.”
La giovane scuote la testa in segno di diniego, oscillando i capelli ramati e lunghi ma uno sbadiglio tradisce tanta fermezza.
“Davvero Hime, Ishida ha ragione. E’ il caso di riposare. E poi ormai non puoi fare più nulla, l’hai guarito meglio che potevi. Adesso sta a lui riprendersi.”
“Va bene .. ma prometto di tornare prestissimo. Vuoi che ti portiamo qualcosa da mangiare Ishida-kun?”
“No … ti ringrazio. Non ho fame.”
E’ trascorso poco tempo dalla fuga di Grimmjow nell’Hueco Mundo ma il quincy sembra dimostrare sul corpo e sul viso l’intero dolore di quell’assenza opprimente, estenuante: profonde occhiaie gli solcano il volto, appare più magro e sciupato, esile, fragile. Anche lo sguardo ha perso quello scintillio vitale e un po’ arrogante che era solito ostentare. I capelli sono lisci, scuri, ma opachi, privi di quelle sfumature bluastre come l’oceano. Rimasto solo con l’espada, increspa un sorriso amaro: chissà cosa penserai di me appena ti sveglierai. Forse non ti piacerò nemmeno più, rimarrai disgustato da come mi sono facilmente lasciato frantumare in pezzi per una simile … sciocchezza? Un quincy ed il suo onore, quello di cui mi sono sempre reso orgoglioso ora calpestato e straziato. Probabilmente non vorrai nemmeno guardarmi in faccia.
Gli tasta la fronte con il dorso della mano percependo la pelle umida di sudore e accaldata; scosta la coperta, lasciando respirare il petto straziato dell’arrancar sul quale è rimasta solo la vecchia cicatrice causata dall’amico Ichigo. Il foro da hollow è ritornato illeso, dai contorni definiti, e permette di vedere il materasso sul quale è steso. Uryuu si trova a pensare che in fondo quella visione è un po’ buffa ed anche la maschera sulla guancia del ragazzo non è poi tanto spaventosa anzi, ha fascino, proprio come lui.
Allunga le dita chiarissime, dal colore della neve, per posarle su quella rimanenza di un passato lontano. La carezza delicatamente, cercando di respingere il crescente sgomento dentro di lui.
S’avvicina al suo volte con indecisione, come quando da bambino teneva fra le mani un gracile pulcino e temeva di ferirlo anche solo stringendolo un po’ troppo. Con infinita leggerezza posa le labbra socchiuse su quelle immobili dell’altro, lasciandogli impresso uno di quei casti baci che era solito regalargli ogni momento trascorso insieme. In quel momento tutto il mondo svanisce, rimane solo la sensazione morbida di quel contatto ardentemente desiderato e la speranza vivida nell’animo. Ecco perché non si accorge dei veloci passi lungo le scale, né del cigolio della porta alle sue spalle. Non si accorge nemmeno del colpetto di tosse poderoso né, tanto meno, della risatina divertita emessa dall’ospite. Solo quando un cucciolo peloso, simile ad una nuvola bianca, gli si lancia addosso si rende conto di non essere solo.
Con il cuore in gola si volta di scatto, sperando con tutto se stesso di non essere stato visto in quel momento d’amore ma, con suo disappunto, il ghigno di Szayel e l’ambrato sguardo malizioso gli suggeriscono tutt’altra risposta.
Il cagnolino scodinzola forsennato, la lingua penzoloni, mentre abbaia di felicità e saltella sopra il corpo seminudo di Grimmjow.
“Ei! Togliti da lì!” urla Ishida in preda all’agitazione.
Szayel ride apertamente, rimanendo appoggiato al muro.
“Cos’hai da ridere? Toglilo! Non vedi che potrebbe fargli male?”
“Non mi sembra!” ghigna l’altro, indicando la sesta espada che si massaggia la tempia con il volto contratto dal sonno e dal trauma, lo sguardo inquietato dalla furia dell’animaletto giocoso che gli continua a leccare la guancia libera. A nulla serve spostarlo, coprirsi il volto, spostarsi: Yuto sposta l’ostacolo con le zampine e ricomincia a riempire di baci colmi di saliva il povero arrancar che addirittura abbozza una risata a causa del solletico.
Il cuore del quincy manca un colpo:
“Grimmjow! Oh Kami. Stai bene!”
Il suono di quella voce familiare induce l’espada a voltarsi verso la direzione da cui proviene il suono, incontrando così lo sguardo blu dell’amato:
“Uryuu…”
Non si era accorto subito della sua presenza. Si sentiva stranito, sconvolto, non sapeva dove si trovava. Era solo certo che qualcosa di caldo e appiccicoso e morbido gli stesse divorando la faccia e questo non era un gran che come punto di partenza per comprendere la situazione.
A primo impatto, gli occhi azzurri riescono a cogliere la figura di Ishida offuscata, non chiara, torbida. Gli pare di vedere un’altra ombra nota accanto alla porta ma non riesce a decifrarla. Alle sue pupille sono è ancora celato il viso magro del quincy o lo sguardo interessato di Szayel e, per tale motivo, si rivolge solo al giovane di fronte a lui:
“Dove … dove siamo…?”
La sua voce è un filo appena udibile, fragile da spezzarsi con un semplice soffio di vento.
“A casa mia, ti abbiamo salvato per un soffio. Come stai?”
L’arrancar sorride:
“Se mi togliessi il cane-hollow dal foro potrei stare meglio.”
In effetti il cucciolo, accoccolato nel buco sulla pancia dell’espada, ha un aspetto un po’ particolare: un foro sul petto e due piccola corna dietro le orecchie: solo ora se ne accorge Ishida, tanto impegnato com’era a dedicarsi a Grimmjow.
Szayel si avviccina e raccoglie l’animale, scompigliando i capelli dell’amico con un gesto affettuoso.
“Szayel!”
“Ehilà!”
“Togli le manacce dalla mia testa!”
“Le preferisci più sotto?”
“Ti ammazzo…”
Entrambi ridono, ritrovando il buonumore perso da troppo tempo. Lo stesso Uryuu si sente sollevato, più leggero, felice.
“Ehi Grimmjow, guarda l’uccellino!”
L’octava espada indica in alto, verso il soffitto e l’altro segue il movimento con lo sguardo… quando un dolore atroce lo costringe a urlare dal male: una siringa conficcata nella coscia disperde in lui il liquido bruciante e la risatina di Szayel lo irrita ancora più di quello strano indesiderato intruglio.
“Ops!”
“Maledetto, maledetto!”
Con un gesto secco ritira l’oggetto medico, disinfettando la gamba all’amico ed attaccandogli infine un cerotto.
“Ecco fatto! Non dirmi che non stai meglio!”
In effetti la sesta espada si sente completamente diverso: la stanchezza fisica è svanita insieme alla sofferenza e alla confusione. Sta bene, sta veramente bene e ancora non riesce a crederci.
“Non sono sicuro di voler sapere cosa c’era in quella puntura.”
“Vorrai dire CHI c’era.”
Il quincy si sente soffocare: “Cosa?? Hai di nuovo usato uno dei tuoi sottoposti?”
“Oh suvvia, non fare quella faccia grave. L’ho creato io, posso farci ciò che voglio. E posso crearne tantissimi altri no?”
Nessuno osa fiatare.
“Oh, ottimo. Che ne dici Grimm di una fetta di anguria ora? La rompo sulla tua testa posso??”
Il giovane dai capelli rosa è già pronto a spaccare il cocomero sul capo dell’altro quando Ishida, con slancio felino, si pone in mezzo ai due litiganti:
“Calma ragazzi calma! Va bene per l’anguria ma ci penso io a tagliarla a fette!”
“Hmm no, non importa più. Devo andare ora, tenetemi Yuto!”
Con un fruscio d’aria sparisce, lasciando soli i due… anzi, i tre.
 

 
“Ti piacciono proprio le conchiglie, eh.”
“Si, sono così’ belle. Tutte diverse le une dalle altre.”
Szayel ne stringe una piccola e appuntita fra le mani, rigirandola tra le dita sottili. Zampetta sulla riva della spiaggia dorata lasciandosi solleticare i piedi nudi dalla frescura delle onde salate che carezzano la sabbia umida e molle.
La lunga divisa bianca è smossa dalla brezza salmastra ed il profumo marittimo è inebriante, pieno, rinvigorente. Le ciocche rosa sono baciate dai raggi dorati dell’inizio di un affettuoso tramonto: ben presto il sole si addormenterà dietro l’enorme distesa blu , leggermente mossa e spumosa, per assopirsi nel sonno della notte.
“Comunque raccontami qualcosa Nnoitra”
“Cosa dovrei raccontarti?”
Il ragazzo dai capelli corvini lo fissa dall’alto della sua elevata statura, stagliandosi come un palo candido dalle vesti ampie e bizzarre. La benda sull’occhio gli conferisce un’aria minacciosa, aggressiva, ma all’octava espada nulla di tutto ciò può far paura. Non si sente intimorito da quell’arrancar tanto più forte di lui, tanto colmo di rabbia ed odio; anzi, forse in fondo lo considera quasi un amico.
“Ti sei proprio rincoglionito Szayel. A forza di stare fra gli umani sei diventato peggio di loro. Tsk.”
L’octava ferma la sua camminata, pochi passi davanti all’altro, la caviglie immerse piacevolmente nell’acqua.
“Perché mai?”
Una domanda colma d’innocenza, ingenuità, tradita dallo sguardo intelligente e malizioso.
“Ma guardati! Saltelli in giro a raccogliere conchiglie o elemosinare dolcetti! Oppure stai dietro a quel quincy e al  tuo caro Grimmjow.” Pronuncia le ultime parole con disprezzo, quasi con scherno, disgusto.
L’altro lo osserva serio, attento, il volto solcato da un sorriso arrogante, gli occhi ambrati scintillanti più che mai.
“Mio caro Nnoitra, visto che sai così tante cose di me, dovresti essere a conoscenza del fatto che il micione è già impegnato da un bel pezzo e non si ricorda nemmeno più di me.”
Jirga sgrana gli occhi, non tanto per la rivelazione, quanto per la calma e il sottile divertimento sadico con cui l’arrancar scandisce la frase.
“Sei matto da legare. Eri folle e tale sei rimasto, in questo non sei cambiato.”
“Hai tanta voglia di chiacchierare stasera. Va bene, anch’io.”
Le iridi giallastre guizzano inquiete, soffermandosi sui lunghi capelli lisci color pece e sul petto scoperto dall’ampia scollatura della divisa.
“Allora, visto che sei meno sfigato di me, come va con la dolce Neliel? Le hai già spaccato la testa di nuovo o aspetti ancora un po’?”
“Kami, Szayel, non ti sopporto. Non so nemmeno perché ho accettato di vederti oggi!”
“Oh, ma è chiaro il perché.”
Un risolino malvagio, uno di quelli che ha celato profondamente per tutto questo tempo nel mondo umano, apparendo un normale ventenne, una banale creatura vivente dalla chioma vistosa e la voce melliflua.
Nnoitra brandisce Santa Teresa, puntandola contro il rivale con prontezza: le lame tondeggianti riflettono la luce calante del sole, abbagliando entrambi per una frazione di secondi. Come tutta risposta ottiene solamente un’altra risata, più corposa, e qualche schizzo d’acqua salata.
“Che cavolo fai!”
“Come stavo dicendo ... il perché è chiaro: ti ho invitato a vedere il mio nuovo laboratorio e tu hai detto sì. Cosa c’è di strano?”
Nnoitra arrossisce, tremando di rabbia. In effetti il motivo è proprio quello, il giorno precedente l’octava gli aveva posto la banale domanda e lui aveva risposto annuendo. Cosa c’è di strano in questo?
“Di strano c’è che non vedo nessun laboratorio.”
“Hai ragione. Non lo vedi perché non si trova qui.”
Il più alto sta per urlare, imprecare, insultare con tutto se stesso verso quel pazzoide strambo ma una veste bianca atterra proprio addosso al suo volto magro, dai lineamenti affilati, bloccandogli la voce in gola.
Con sorpresa si toglie di dosso quella roba, cercando di definirla: non è necessario un esame accurato, il petto nudo di Szayel parla da sé.
“E adesso che diavolo stai facendo! Tu sei veramente folle.”
“Folle? Trovi folle fare un bagno?”
“No! Cioè si! Cioè adesso si!”
Un altro lancio ed anche i rimanenti abiti atterrano sul bagnasciuga: un tuffo rapido, goccioline sollevate nell’aria calda simili a prismi di luce. Dopo pochi secondi riemerge, i capelli bagnati aderenti alla nuca, le labbra sottili schiuse in una smorfia soddisfatta, gli occhi dorati marcati ulteriormente dalle lunghe ciglia umide.
“Vieni? Nell’Hueco Mundo non si va tutti i giorni al mare.”
Un ultimo lancio ed anche gli occhiali volano sulla sabbia. Nnoitra li afferra con presa decisa, scrutando indeciso quello spettacolo invitante: le onde voluttuose, l’acqua rinfrescante, la spiaggia completamente deserta, il sole rossastro disegnato sulla superficie in movimento.
“Non si ripeterà.”
“Suvvia, è solo una nuotata. Ti vergogni a metterti in costume?”
Nnoitra arrossisce, ringhiando:
“Voltati, non ce l’ho il costume!”
“Uh, come vuoi.”
Si immerge nuovamente, concedendo all’altro il tempo di abbandonare le vesti accanto alle sue e di correre in acqua ad una profondità abbastanza rassicurante.
“Maledetto, è fredda …”
Viene braccato sulle spalle magre dalle mani candide di Granz, il quale preme con tutto il peso sommergendolo fino alla punta di ogni capello, costringendolo a respirare attraverso mille piccole bollicine.
Quando riemerge è una vera furia:
“Volevi affogarmi? Bastardo!”
“Ma no, ma no! Volevo solo bagnarti.”
Jirga gli si lancia contro tentando di ripagarlo con la stessa moneta ma la pelle salata gli scivola fra le mani condannandolo ad un nuovo rovinoso e fragoroso tuffo indesiderato.
“Me le paghi tutte!”
“Sei sempre così isterico anche con Nel? Poveretta, come fa a sopportati?”
“In realtà sono venuto anche per un altro motivo.”
“Oh?”
Gli sguardi si incrociano, intrisi di curiosità.
“Non ti interessa il laboratorio?”
“Si che mi interessa. Ma volevo parlarti anche di un’altra cosa.”
“Ti ascolto.”
Con gli occhiali è bello. Ma senza è ancora più meraviglioso, se possibile. E quelle spalle bagnate, i capelli aderenti al collo … ma cosa sto pensando??
“Riguarda proprio Nel.”
“No, non ti aiuto ad ammazzarla un’altra volta se è questo che volevi.”
Nnoitra sbuffa, infastidito.
“Non è questo. Riguarda il rapporto fra me e lei. Ho avuto modo di conoscerla meglio e insomma … il passato è passato.”
“Certo, certo.”
“Non saprei come dirlo in modo semplice.”
“L’hai tradita?”
“No!”
“Aspettate un figlio! Che bello un maschietto? Spero non ti assomigli, sennò povero lui.”
“NO!!”
Szayel si imbroncia, sussurrando “Pff, peccato …”
“Non riguarda proprio me e lei. Riguarda me.”
“Ho capito! Vuoi chiederle di sposarti ma non sai come farlo? Se è per questo in laboratorio ho …”
“STAI ZITTO UN ATTIMO! Non è nulla di tutto questo!”
Un leggero tremolio nella voce alterata, forse dato dalla rabbia o forse dalla vergogna per la rivelazione oramai prossima.
“Ti sei innamorato di un’altra?”
Il cuore dell’arrancar sussulta, aumentandone il nervosismo.
“Circa. Si più o meno è questo.”
“Orihime?? L’avevi adocchiata già nell’Hueco Mundo.”
“Era solo questione di noia.”
“Allora chi?”
Un breve silenzio, accompagnato dal rumore delle bracciate nell’acqua salmastra. Lo sciacquio prodotto dal movimento cessa dopo pochi secondi; Nnoitra è vicino a Szayel, entrambi sommersi fino ai pettorali, galleggianti, completamenti piombi.
“Ad essere sincero non sono mai stato davvero innamorato di lei.”
“Lo sospettavo. Siete troppo strani insieme.”
“Da quando ti fai i cavoli miei?”
“Da quando tu hai deciso che posso farlo.”
L’altro si morde il labbro inferiore fino a farlo quasi sanguinare. Ormai si è spinto troppo in là, deve confessare tutto e lo strazio finirà. Facile no?
La voce sinuosa ed incalzante si Szayel lo risveglia dallo stato di torpore emotivo in cui è precipitato:
“Allora? Lei lo sa?”
“No …”
“La stai solo usando dunque. Perché? A che pro? Non mi sembri un uomo così disperato da tenersi stretto una ragazza che non vuole solo per timore della solitudine.”
“Infatti, non è per quello. Ok è bellissima ma mi dà i nervi.”
“Chiunque ti dà i nervi.”
“E’ vero ma credevo che stando insieme a lei sarei cambiato, sarebbe migliorato tutto.”
Granz inizia realmente a perdere il filo del discorso:
“Migliorato che cosa? Eddai Jirga spiegati bene!”
“Veramente non te ne sei accorto?”
Le iridi ambrate guizzano su quelle nere e piccole come punte di spillo con aria sorpresa, perplessa, ma qualsiasi pensiero nella sua mente non riesce a materializzarsi: due labbra avide si posano violentemente sulle sue, così morbide e fini, con un calore inaudito, una fame indescrivibile.
Con un brusco spintone l’arrancar dai capelli corvini viene allontanano e trafitto dallo sguardo glaciale dell’altro ma si avventa nuovamente su di lui assalendolo, mordendolo, strappandogli un rivolo di sangue dal margine della bocca.
“Che c**o fai Nnoitra.”
“Dovevo immaginarlo, vai ancora dietro a  Jeagerjaques”
“E tu vorresti insinuare di andare dietro a me allora? Ma dai, mi hai perfino quasi ucciso una volta.”
“Scusami.”
Quella parola, sussurrata fra i denti, lo colpisce come uno schiaffo.
“Faresti bene a spiegarti meglio.”
“Al diavolo … mi sei sempre … ecco io ti ho sempre … ho sempre voluto te. Ecco contento?”
“Non ancora.”
Sorride, laconico.
“Cos’altro vuoi sapere?”
“Da quanto va avanti questa storia. E perché vengo a saperlo solo ora.”
Nnoitra sbuffa, decidendo di svuotare finalmente quell’insopportabile peso, di eliminare il macigno che gli toglie il respiro.
“Mi sono accorto di te quando hai riparato Santa Teresa … quando si era spezzata. Temevo nessuno sarebbe stato in grado di sistemarla, mi hai stupito. Poi però ti sei perso dietro a quel bastardo  e forse è stato meglio così, per me eri solo un vago ma presente interesse. Costante. Quando poi ti ho visto combattere contro di me con tutto te stesso … ho capito che non eri poi tanto male. Non eri solo uno scienziato da buttare in manicomio.”
Ride sguaiatamente, con il tono acuto e maligno che lo contraddistingue, per continuare:
“E poi è successo: i secoli sono volati e io non sono riuscito a levarti dalla testa. Credevo che provando a vincolarmi con una ragazza mi sarei liberato di questo tarlo ma non ci sono riuscito. Tanto valeva dirtelo.”
Szayel non dimostra il reale stupore che cela nel suo animo: quelle parole lo sorprendono, soprattutto poiché a dirle è quell’assassino furioso, quell’espada indomabile e potente. Un sorriso malizioso accompagna lo sguardo languido e ambrato.
Nnoitra di fronte al silenzio dell’altro inizia ad agitarsi:
“Cosa mi dici?”
“Non pensavo che durasse da tanti secoli … non me n’ero accorto, mi dispiace. Anche perché non ti sei mai comportato in modo da dimostrarlo.”
“Ma dai, tutte le volte che ti tenevo compagnia al laboratorio? E le notti di Las Noches trascorse e ubriacarci insieme? Oppure i miei tentativi di aiutarti con gli esperimenti? Veramente credi che non avessi di meglio da fare?”
“Mi dispiace, so cosa vuol dire soffrire per qualcuno che non ti calcola. Se lo avessi saputo prima non ti avrei ignorato.”
“E adesso, intendi ignorarmi?”
Szayel si carezza le braccia ricoperte da brividi, immergendosi fino al collo, pensieroso.
Due braccia straordinariamente forti lo strattonano ed un morso alla spalla lo fa trasalire. Le scie bollenti percorrono il collo, il mento, la mandibola, intrise di malcelata rabbia e furore. L’espada non oppone resistenza, ma con astuta freddezza non si lascia nemmeno trascinare da quelle violente effusioni. Si limita a voltare il viso dall’altra parte, offrire la sua pelle arrossata alle voracità dell’altro che improvvisamente si ferma:
“Non ho mai visto il tuo tatuaggio.”
“L’8?”
“Si, quello. Dov’è?”
“Sulla coscia.”
“Voglio vederlo.”
L’octava si allontana lentamente, separandosi da quella forzata vicinanza:
“No, non te lo mostro. Mi imbarazza.”
“Ho detto che voglio vederlo.”
“E io ti ho detto che non puoi.”
Con un ringhio Nnoitra lo afferra e se lo carica in spalla, come se fosse un sacco di patate.
“Adesso stai buono lì e me lo mostri.”
Cerca di afferrargli la cosa ma i boxer piombi d’acqua rigano di continue gocce la pelle dell’altro, rendendola estremamente scivolosa. A grandi falcate allora si avvicina alla riva, afferra una parte della divisa per legarla in vita, coprendosi, ed infine lascia cadere l’arrancar sulla sabbia del bagnasciuga.
Lo blocca con le mani ferme, allontanando la katana con un calcio.
“Sei sleale. Lo sai che non sono un gran che nel corpo a corpo.”
“Non voglio combattere infatti.”
Gli afferra il ginocchio, premendolo verso il terreno e scoprendone l’interno coscia: un otto nero ed evidente marchia la pelle chiara, percorsa da brividi e graffi, leggermente sporca di sabbia.
Soddisfatto lascia andare l’arto, alzandosi in piedi per fissare meglio il corpo del più piccolo, ancora adagiato sulla riva. Senza battere ciglio quest’ultimo si mette anch’egli in piedi, con calma, raccoglie gli abiti, pulisce gli occhiali e li indossa senza degnare di alcuno sguardo Jirga.
Non lo scruta nemmeno quando si allontana in silenzio, i piedi immersi nell’acqua fresca, seguendo il litorale.
“Dove stai andando?” sbraita Nnoitra, visibilmente stranito.
“Al mio laboratorio.”
Nessun invito a seguirlo, nessuna emozione nella voce.
Cosa faccio? Lo seguo? In fondo mi aveva invitato. Ma non sembra interessato .. cosa ..
Una voce femminile a familiare interrompe i complessi pensieri, causando una confusione ancora più grande e latente.
“Nnoitra! Eccoti ! Ti ho cercato dappertutto!”
“Nel …”
Il sorriso della ragazza svanisce all’istante nel notare lo sguardo serio del proprio compagno.
“E’ successo qualcosa? Perché Szayel sta andando via? Avete litigato?”
L’espada raccoglie Santa Teresa, stringendola con forza fino a provare dolore.
“Dannato Szayel … maledetto bastardo.”
“Ehi calmati, ci sono io adesso.”
Lo abbraccia con affetto, affondando il viso del petto ancora umido. I capelli morbidi e asciutti di lei gli solleticano le costole ed emanano un profumo delicato, dolce. Quel contatto materno, rassicurante gli provoca un moto di nausea, disperazione e proprio in quel momento l’octava si volta a guardarli, con freddezza.
“Oh, ciao Nel.”
“Szayel me lo dici tu cosa …”
“Nulla di importante, non preoccuparti. Portalo a casa, ha preso troppo sole.”
Non lo aveva mai visto così serio, glaciale, coinciso.
Si stringe a Nnoitra che, spontaneamente, allunga un braccio per assecondare quel movimento gentile. Immediatamente si pente di quell’atto naturale incrociando lo sguardo di Granz.
“Arrivederci, allora.”
Il ragazzo dai capelli rosa volge loro le spalle, riprendendo il cammino interrotto.
Il sole ormai solca l’orizzonte, espandendo con ultima flebile forza la sua luce aranciastra, aurea, di un caldo rosso. Si riflette sul manto blu e spumeggiante del mare, introducendo le note calde della prossima notte. La prima stella già è alta nel cielo, nonostante vi sia ancora la sufficiente luminosità del tramonto.
Nel stringe la mano di Nnoitra, immobile come una statua, il petto trafitto, il respiro mozzato.
“Andiamo a casa …”




Grazie a tutti voi per seguirmi e apprezzarmi ! Spero vi sia piaciuto questo capitolo :) Colgo l'occasione per augurare a tutti voi buone vacanze <3
A breve il prossimo cap, ho già in mente mooolte cose :)
Bacini :****
Valentina

 
   
 
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