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Autore: 9CRIS3    12/06/2014    4 recensioni
< Cosa sta succedendo? > chiese Abby in modo tranquillo ed efficiente.
Aveva capito che si trattava di un'emergenze e che mi serviva in veste di avvocato e non di cognata.
< Ci toccherà parlare a bassa voce e fingere qualche sorriso. Ryan ci sta guardando > la informai.
Abby annuì e poi mi chiese di sputare il rospo.
< Okay. Sto per dirti qualcosa che non ho ancora detto ai miei genitori o a Ted. Non lo sa nessuno e preferirei che continuasse a non saperlo nessuno fino a quando non diventa assolutamente indispensabile che anche gli altri siano informati. >
< Chiaro > fece lei, guardandomi con un'espressione mortalmente seria.
< Sto per assumerti come mio avvocato. > iniziai.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le giornata aveva cominciato a susseguirsi in modo lento e troppo impegnativo: dovevo tenermi concentrata su quello che facevo e cosa dicevo con tutti, tranne che con Abby e Ava. Ma anche con loro era necessario scegliere i momenti migliori per poter affrontare certi discorsi.
L'unica cosa sensata che avevo fatto era stata quella di dire una bugia comune per tutti, in modo da non commettere passi falsi con nessuno.
Il fatto però che dovessi pensare a così tante cose contemporaneamente mi disorientava: dovevo tenere sotto controllo la situazione di New York, il progetto della sicurezza di mio padre e in più la nonna mi aveva chiesto una mano per organizzare la cena di Natale a casa sua che si teneva come tutti gli anni e di aiutarla con l'organizzazione di quella per capodanno che sarebbe stato anche un evento benefico a cui avrebbero partecipato molto persone influenti.
Sbuffai, guardando l'elenco che nonno Carrick quella mattina era passato a consegnarmi a casa.
La nonna aveva segnato quello di cui dovevo occuparmi io, quello che aveva dato da fare ad Ava e Vicky. Beth era giustificata dall'organizzazione perchè era impegnata con gli esami.
Dovevo chiamare zia Mia ed assicurarmi che il catering fosse quasi pronto per Natale e per Capodanno, che ci fossero tutti i camerieri necessari e che indossassero le dovute divise. Poi dovevo occuparmi della band che avrebbe suonato alla festa di Capodanno.
A Natale ci saremmo stati solo noi: la famiglia Grey al completo e nonna Carla e nonno Bob; mamma era riuscita a convincere anche nonno Ray, il suo patrigno.
Era tanto che non vedevo la famiglia della mamma, almeno un anno. Nonno Ray mi era sempre stato simpatico e mi aveva insegnato un sacco di cose sulla pesca.
Rilessi di nuovo l'elenco di persone che ci sarebbero state:
- Carrick
- Grace
- Elliot
- Kate
- Ava
- Vicky
- Thom
- Christian
- Ana
- Ted
- Phoebe
- Mia
- Ethan
 - Beth
- Will
- Abby
- Edward
- Mike
- Carla
 - Bob
- Ray
Ricontrollai di nuovo i nomi, guardando bene ed aiutandomi con l'indice mentre li ricontavo. Non potevo crederci! Saremmo stati in ventuno!
Il salotto della nonna ci avrebbe contenuti tutti senza nessun tipo di problema, ma io non ne sapevo niente di come fare per organizzare una cena per ventuno persone, a stento sapevo organizzarmi per me stessa!
Ero nel salotto, con i fogli poggiati sul tavolino e stavo seduta per terra, con la schiena poggiata contro il divano.
Allora, ricapitolando. La band e il catering. Solo due compiti, e non poi così difficili. Potevo farcela.
Alex entrò nella stanza, trascinandosi dietro due mostri grandi quasi quanto lui.
< Ciao, Phoebe > mi salutò cordiale. < Quel signore alto mi ha detto che potevo guardare i cartoni qui > immaginai si trattasse di mio padre.
Era sabato ed entrambi i miei genitori erano a casa e capii al volo che per quanto a papà potessero piacere i bambini, o almeno così mi era parso di capire durante il corso della mia convivenza con lui, essendo quello il suo giorno libero voleva un po' di pace.
Lo faceva sempre anche con me e Ted. Durante il sabato mattina ci stava dietro a malapena, cercava di giocare con noi al meglio delle sue capacità ma era durante il sabato pomeriggio e per tutta la domenica che si trasformava nel papà ideale. Diventava un super eroe con Ted ed andava a salvare la principessa nel castello, che era mamma. Oppure si sedeva con me e guardava i cartoni animati o ci portava al parco o quando riteneva che fosse troppo pericoloso, per chissà quale motivo, faceva venire il parco a casa nostra.
Quando avevamo circa otto e dieci anni fece mettere delle giostrine nel nostro giardino, in modo di poterci controllare meglio.
Una volta, me la ricordo ancora, voleva che io, lui e Ted preparassimo una torna per il compleanno di mamma. Ma nessuno di noi era veramente capace di cucinare: io e Ted perchè eravamo troppo piccoli e lui.. Lui non aveva mai avuto bisogno di imparare.
Amavo mio padre, come ogni altra figlia devota avrebbe fatto. Lui era il mio primo grande amore, non lo nego. Quando pensavo al principe azzurro lo vedevo come il mio papà: alto, forte, bello e dolce. Poi crescendo realizzai che esercitava un po' troppo la sua forza, la sua prepotenza, nella mia vita per potermi tenere sotto controllo e la cosa mi urtava decisamente troppo. Li erano cominciate le prime incomprensioni, i primi litigi, le prime fughe notturne, le bugie per poter avere il permesso di uscire, le porte sbattute, i "ti odio" urlati dalla mia camera.
Ma infondo non avevo mai smesso di volergli bene, solo che glielo dimostravo come fanno tutte le teen-ager di questo mondo: con il silenzio ostinato della ribellione.
< Certo Alex > gli sorrisi, cordiale e gli accesi la televisione in modo da permettergli di guardare i cartoni animati.
< Cosa stai facendo? > mi andò a sedere sul divano, sistemando i suoi pupazzetti accanto a lui.
< Aiuto la mia nonna ad organizzare la festa di Natale e Capodanno >
< Farete delle feste? > il suo sguardo si illuminò.
< Si > gli sorrisi e poi prima di sapermi trattenere mi ritrovai ad invitarlo. < Ti va di venire? >
< Posso? > chiese speranzoso
< Se vuoi, si >
< E papà? >
< Può venire anche lui >
< Allora okay >
Ero più che sicura che mio padre non avrebbe permesso ai suoi dipendenti di prendersi la giornata libera a Natale o a Capodanno, ma non era nemmeno tanto tiranno da impedirgli di godersi le feste. Probabilmente avrebbe fatto fare qualcosa alla nonna perchè potessero stare tutti insieme in cucina.
Pensai immediatamente di proporgli di farli sedere a tavola con noi, in fondo lui e Taylor si conoscevano da moltissimo tempo.
Alex iniziò a fissare lo schermo, seguendo le figure con aria trasognata e ogni tanto facendo une breve risata.
Mi serviva una band per Capodanno. Avvicinai il portatile e cominciai la mia ricerca in internet.
Dopo varie telefonate scoprii che erano quasi tutte impegnate le migliori, e quelle che invece erano libere sapevano suonare solo il rock e non mi parve il caso di ingaggiarle per la festa della nonna: ci sarebbe stata gente abbastanza raffinata e comunque altolocata, che sapeva notare le sfumature più lievi di qualunque cosa e avrebbe spettegolato fino al Capodanno successivo di quello che avevano fatto a casa di Grace e Carrick Grey e io non volevo essere causa di tali mormorii, ne avevo fin troppi da affrontare già da sola.
Chiamai Mia per assicurarmi del catering.
< Certo Phoebe. Ho anche già pronti i vari menù e stasera andrò da mamma per farglieli vedere. Non ti preoccupare per nulla, mi organizzerò io anche per piatti, bicchieri e tovaglie >
< Oh, bene > feci sollevata. < Zia, non è che hai qualche numero di qualche band disponibile per Capodanno? >
< Ci ho già provato io per il ristorante qui a Seattle, ma pare che ormai tutti si siano accaparrati i migliori. Sono dovuta ricorrere a dei ragazzini e spero che non combinino un casino > mi spiegò.
Persi totalmente le speranze. Come si faceva a trovare qualcuno capace di suonare qualcosa di decente?
< Grazie lo stesso > feci, scoraggiata
< Hei, non perdere le speranze! Potremmo sempre trasformarla in una serata Karaoke > rise lei
< Mi divertirò molto a filmarvi mentre cercate di movimentare la serata >  mi immaginavo già lei, zia Kate e mamma sul palco a cantare.
< Non provarci, ragazzina. Salirai su quel palco con noi > disse con tono fintamente minaccioso
< Certo, come no! >
< Devo andare, sta bruciando qualcosa in cucina > riattaccò veloce come la luce, lasciandomi appena al telefono, allibita.
Mia Grey, un vulcano costantemente in eruzione.
Tornai a fissare sconsolata lo schermo del computer.
Non avevo nemmeno voglia di festeggiare; tutto quello che desideravo fare era sprofondare sotto le coperte e risvegliarmi nel corpo di un'altra persona, completamente senza nessun tipo di problemi e pronta ad abbracciare la vita, questa volta magari senza commettere passi falsi.
Potevo anche evitare di farmi coinvolgere in quella situazione e tirare fuori una qualsiasi scusa, come per esempio il fatto che ero impegnata con il progetto della sicurezza alla GEH.
In realtà anche su quel fronte avrei dovuto mollare, considerando la situazione lavorativa in cui mi trovavo. Se le cose fossero venute a galla, mio padre ci avrebbe rimesso molto e così la sua azienda.
Sbuffai, scocciata di quanto fossi praticamente inavvicinabile.
Tanto valeva rinchiudermi in camera mia ed ingoiare la chiave, così sarei stata sicura che in quel modo non avrei potuto nuocere a nessuno.
Sentii Alex, dietro di me, scoppiare a ridere e mi voltai per fissarlo.
La sua faccia era una maschera di puro divertimento: gli occhi socchiusi appena visibili tramite le lenti degli occhiali, la bocca spalancata in una risata sincera e le guancie arrossate.
Risi a mia volta, guardandolo essere così felice. Me lo sarei mangiato a morsi, quel piccoletto.
< Tutto a posto? > Ryan entrò nella stanza. Probabilmente aveva sentito la risata del figlio ed era venuto a controllare se fosse tutto ok.
Annuii, fissandolo con attenzione.
Indossava un completo  con dei  pantaloni neri attillati, la camicia era in perfetto ordine dentro i  pantaloni e la giacca  stirata in modo impeccabile era abbottonata, mettendo in risalto le sue spalle larghe e forti.
Anche lui aveva gli occhiali, esattamente come il piccolo Alex. Quel particolare lo rendeva così bello che mi sentivo arrossire solo a guardarlo.
< Cosa state facendo? > chiese, incuriosito, entrando nella stanza.
< Sto guardando la televisione e Phoebe sta organizzando delle feste > gli rispose Alex
Davanti allo sguardo interrogativo di Ryan dissi: < La cena di Natale e la band per Capodanno >
< Come procede? > chiese lui.
< Non trovo la band > mi strinsi nelle spalle.
< Niente di niente? >
< Solo qualche gruppo rock > gli spiegai.
< Bé.. > iniziò. Sul viso gli comparve un'espressione incerta, seguita subito da un sorriso sghembo.
Il mio cuore perse un battito e poi iniziò a galoppare veloce, come non aveva mai fatto.
Come faceva a farmi quell'effetto solo con un sorriso?
< Bé cosa, piccolo Taylor? > lo spronai.
< Un mio amico ha una band, potrei chiedere a lui > si strinse nelle spalle e si appoggiò con il fianco sinistro al divano, accanto a suo figlio.
< Suonano rock? > sondai il terreno.
< Suoneranno tutto quello che vorrai >
< Posso avere il numero del tuo amico? >
Il suo volto si rabbuiò < Perchè? >
< Così posso contattarlo e fargli qualche domanda > spiegai, momentaneamente sconcertata dal suo cambiamento.
< Posso chiamarlo io > si offrì
< Ma non sai quello che sto cercando >
< Non mi va che tu.. Insomma lui è un musicista, un artista e loro sono così libertini e tu.. > era imbronciato mentre parlava.
E riecco quella sensazione di piacere nel sapere che si preoccupava di quello che poteva succedere se qualcun altro mi avesse messo gli occhi addosso.
Lo stomaco si contorse in una morsa deliziosamente piacevole e lo sentii pieno di farfalle.
Se non ci fosse stato Alex nella stanza, gli sarei saltata addosso, per attrarlo in un bacio a dir poco passionale, ma dovetti controllare i miei impulsi. E poi quel giorno c'erano anche i miei genitori a casa, e noi non avevamo ancora detto nulla a mio padre. Non mi parve il caso di turbare un bambino innocente per lo scoppio della passione tra di noi e soprattutto di rischiare che Christian Grey scoppiasse in una furia omicida proprio a pochi giorni da Natale.
< Okay ti dirò cosa dirgli > evitai proprio qualunque riferimento al discorso gelosia e cercai di assecondarlo. < Ma poi vorrei sentirlo suonare >
< Ti accompagnerò io >
Mi balenò un'idea per la testa. < Possiamo andarci adesso? > chiesi, alzandomi in piedi, ma rimanendo ferma nello stesso punto in cui stavo prima.
< Alex.. > iniziò lui.
< Può venire con noi > lo anticipai io.
< Forse è meglio se.. > provò a parlare ancora, ma questa volta fu proprio suo figlio a bloccarlo.
< Dove vai, papà? >
< Devo uscire un attimo e accompagnare Phoebe da una parte >
< Posso venire? > fece speranzoso e quando vide che il padre tardava a rispondergli voltò il suo sguardo verso di me.
I suoi occhi erano leggermente sgranati e io mi sciolsi completamente. < Certo >
< Bene, allora. Alex, andiamo a mettere il giaccone. Miss Grey, ti aspettiamo in macchina > Ryan tese al mano al piccolo e lo condusse fuori dalla stanza.
Salii velocemente in camera mia ed indossai un paio di jeans di un bel blu, una camicia bianca avvitata e un cardigan di lana color cioccolata. Misi un paio di stivali nello stesso colore del cardigan e poi scesi giù di corsa, dopo aver afferrato il mio cappotto.
< Vado a sentire una band per la festa di Capodanno della nonna > avvisai i miei genitori che erano nello studio di papà.
Ero entrata senza bussare e li avevo beccati a baciarsi come due adolescenti, con mamma seduta sulle ginocchia di papà.
< Okay.. emh.. ciao! >
Sentii papà urlarmi di portare Ryan con me e alzai gli occhi al cielo: nemmeno quando si stava dedicando ad altro riusciva a dimenticarsi della sicurezza.
Ryan mi aspettava appoggiato all'auto, con le braccia conserte.
< Tu e mio figlio tramate contro di me > sussurrò, in modo da non farsi sentire anche da piccolino.
< Non capisco cosa intendi > mentii, anche io volevo approfittare di quell'uscita per restare sola con lui.
< Volevo stare un po' solo con te > mi afferrò la mano e la strinse alla sua, mentre mi accarezzava il palmo con il pollice.
Quel gesto così semplice eppure così intimo mi mandò in estasi.
< E quindi ti abbiamo rovinato i piani? > feci maliziosa.
< Un po' >
< Mi dispiace, piccolo Taylor > gli sorrisi
< Lei mi ha ferito, dottoressa >
< Magari dopo potrei aiutarti con le cure >
< Lo spero tanto >
< Papà! > urlò Alex da dentro la macchina e io arrossii violentemente.
Seppure quella conversazione era stata condotta praticamente con frasi sibilline per un bambino di appena sei anni, improvvisamente mi sembrò troppo erotica per quelle orecchie innocenti.
Salii in auto, accomodandomi dietro, vicina ad Alex. Ryan salì e mi fissò interrogativo nello specchietto retrovisore e io, di tutta risposta, mi strinsi nella spalle.
 
Ryan mi aveva portata direttamente a casa del suo amico, da dove sentivo provenire un gran baccano fatto da una batteria.
Improvvisamente mi sentii a disagio: cosa avrebbe detto al suo amico? Come mi avrebbe presentata?
Seppure avesse detto che io ero la figlia del suo capo non mi sarei potuta arrabbiare, in fondo era così. Sapevo benissimo che non avevamo definito la nostra relazione; eravamo in sospeso, a quel proposito. Solo che il senso d'angoscia mi colse alla sprovvista e non sapevo come conviverci, o almeno non in quel periodo, avevo già troppe emozioni con cui convivere.
Slacciai le cinture che tenevano Alex fermo sul suo sediolino e poi scesi prima di lui, aiutandolo a rimettere i piedi per terra dal grande Suv.
Ryan afferrò immediatamente la mano del figlio e mise quella libera alla base della mia schiena, sospingendomi gentilmente in avanti, come a spronarmi a camminare.
Arrivammo davanti alla porta e suonò il campanello, aspettando che venissero ad aprirci alla porta.
Il nervosismo aumentò quando sentii quel baccano con la batteria aumentare. Non mi piaceva andare a casa della gente e chiedere di farmi vedere cosa fossero veramente capaci di fare per poi dirgli "No, grazie, non mi interessa". Era un atteggiamento da stronzi.
Mi sorpresi però: quella non mi sarebbe sembrata una casa da musicisti: era una villetta bianca, come tutte le altre in quella via, con un giardino coperto di neve sul davanti e sospettai ce ne fosse uno simile anche sul retro. La vie erano pulite e la neve si trovava solo ai lati della strada.
Mi pareva fosse un quartiere per bene, di quelli che dei musicisti non possono permettersi.
Venne ad aprirci la porta un ragazzo con un paio di jeans scoloriti e un maglione grigio.
I suoi capelli erano biondi e spettinati, gli occhi chiari e la pelle diafana.
< Taylor! > esclamò il ragazzo, attirando in un abbraccio da orso Ryan.
< Come stai, Sam? > gli chiese Ryan.
< Bene, amico. Hei, Alex, non ti ricordi di zio Sam? > si abbasso per stare all'altezza del ragazzino e gli mise davanti al volto un pugno chiusi, aspettando che Alex ci facesse scontrare il suo.
< Un pochino > ammise il bambino, rispondendo comunque al gesto.
< Dai, venite dentro. > disse cordiale, facendosi da parte per farci passare.
< Sam, lei è Phoebe. Phoebe, lui è Sam, un amico di infanzia >
< "Amico di baldoria" mi piace di più > il ragazzo mi fece l'occhiolino.
Gli porsi la mano e lui la strinse tra la sua. < Piacere > dissi
< Piacere mio, Phoebe. > poi si rivolse a Ryan. < Non pensavo ti piacessero le brune > scherzò.
< Ah ah > Ryan simulò una risata finta e io cominciai subito a domandarmi cosa significasse quella frase. Gli piacevano le bionde? Aveva avuto solo fidanzate bionde?
< Coraggio, cosa posso offrirvi? > ci fece segno di accomodarci sul divano e noi obbedimmo.
Alex si sedette tra me e Ryan e iniziò a togliersi gli strati dei vestiti, partendo dal cappello, che gli lasciò tutti i capelli elettrici. Lo aiutai con la sciarpa e i guanti e poi lui si sbottonò il giubbotto. Ryan ci fissava con uno strano sorriso sulle labbra.
< Andrà bene qualunque cosa > lo rassicurò Ryan
Quella casa era davvero carina e di nuovo il pensiero che non sembrava affatto la casa di un musicista si fece strada nella testa.
Sam si presentò con una coca cola per Alex, patatine, e tre birre.
< E' per me? > chiese Alex indicando la coca.
< Si > gli rispose sorridendo Sam
 Alex la prese e ne bevve un sorso, sotto lo sguardo vigile di Ryan, e poi tossicchiò, tappandosi il naso e facendo una faccia strana.
< Che succede? > chiesi allarmata
< Frizza > fece lui, sorpreso, spalancando gli occhi.
< Non ha mai bevuto la coca senza acqua > mi spiegò Ryan. < Alex, ti piace così o vuoi che ci mettiamo l'acqua? >
< No, la voglio così. > riavvicinò le labbra al bicchiere e bevve piano la sua bibita.
Mi rilassai sul divano e tolsi anche io il cappotto.
< Allora, a cosa devo la visita? > fece Sam portandosi alle labbra la bottiglia di birra.
< A Phoebe serve una band per Capodanno. Sei libero? > fece senza tanti preamboli Ryan.
< Capodanno? > Sam alzò un sopracciglio.
< E' un evento benefico, oltre che un motivo per festeggiare il nuovo anno. > iniziai < Poi non sarebbe un lavoro non retribuito >
< Gente ricca, eh? > Sam si rivolse a Ryan, che lo fulminò con lo sguardo.
Di nuovo, sentii un terribile frastuono con la batteria.
< Che musica suoni? >
< Io canto, dolcezza > mi corresse lui.
< Che genere di musica? > chiesi ancora
< Qualunque >
Ero scettica e non credevo fino in fondo alle sue parole.
< Vieni, posso farti sentire. > si alzò in piedi e lo seguii a ruota, sentendo Ryan e Alex camminare subito dietro di noi.
< Ragazzi, pare che avremmo un ingaggio per Capodanno > disse Sam quando entrò in uno stanzone in cui stavano altre quattro persone, ognuna dietro i rispettivi strumenti.
C'erano un piano verticale, una chitarra, una batteria e un basso.
< Dove? > fece il batterista.
< Non posso crederci! Taylor! > disse il pianista.
< Hei Jim! > lo salutò Ryan
< Come stai? >
< Bene, e tu? >
< Bene. E' la tua ragazza? > chiese senza preamboli il pianista.
< Ma che domande fai, Jim? Si sarebbe mai fatto scappare un bocconcino così, il nostro Taylor? > s'intromise Sam.
Mi sentii tremendamente in imbarazzo e non mi aiutò il fatto che Ryan rimase muto come un pesce.
< Come ti chiami, tesoro? > mi chiese il pianista.
< Phoebe > risposi, cercando di darmi un contegno con la voce.
Fui presentata anche agli altri ragazzi. Il chitarrista si chiamava Mark, il batterista Joshua e il bassista si chiamava Julio, capii immediatamente che era ispanico.
Ryan conosceva solo Sam e Jim che scoprii fossero fratelli.
< Allora, Phoebe, di un po' di quello di cui hai bisogno > mi disse Jim.
< Certo. Mia nonna sta organizzando un evento di beneficienza per capodanno e ci manca la band, ma abbiamo bisogno di qualcuno che sappiamo suonare qualcosa come i lenti o comunque musica da intrattenimento > misi in chiaro subito.
< Siamo molto versatili > mi sorrise Mark.
< Le facciamo sentire qualcosa? > propose Joshua
< Facciamo L O V E > propose Sam.
Si diedero il tempo e poi iniziarono subito a suonare.
Anche se mancavano le trombe non ne sentii la mancanza perchè Jim riuscì, con il piano, a compensare la mancanza.
Gli altri erano semplicemente perfetti e anche Sam, cosa di cui mi sorpresi. Mi era parso un tantino presuntuoso per come si comportava e come parlava ed invece improvvisamente come iniziò a cantare mi parve si trasformasse in tutt'altra persona. La sua voce sembrava uno strumento perfettamente accordato capace di farmi credere di ritrovarmi in una sala da ballo piuttosto che in una stanza male insonorizzata.
Ryan mi porse la mano e mi fece capire che mi stava chiedendo di ballare; fissai la sua mano sospesa a mezz'aria, decisa a non afferrarla e farmi condurre nel ballo: ero ancora offesa del fatto che non avesse detto di si, che ero la sua fidanzata o ammesso qualunque cosa, facendomi capire cosa effettivamente eravamo, in modo che anche io potessi farmene una ragione.
Di fronte al mio rifiuto lui non si scompose: mi afferrò per il polso e mi trascinò al centro della stanza.
Con un braccio mi avvolse, tenendomi stretta a se e con l'altro prese la mia mano e la strinse nella sua, portandola a mezz'aria.
Aspettò il momento giusto e poi iniziò a muoversi a ritmo, facendomi volteggiare in circolo.
Dopo appena pochi passi, sentii spuntare un sorriso sul mio volto ed incapace di trattenermi oltre posai la mia mano sulla sua spalle e iniziai a lasciarmi condurre come doveva essere fatto.
Ryan ricambiò il mio sorriso, e non smise mai di guardarmi negli occhi per tutto il tempo che durò la canzone.
Alla fine, mi allontanò da se, tenendomi sempre per mano e poi mi riavvicinò bruscamente, facendomi piegare in un casqué.
Ridacchiai e poi mi rialzai, baciandolo su una guancia, come a volerlo ringraziare di quel ballo.
Mi bastava un suo contatto, solo un attimo, e lui cancellava ogni mio malumore per riportarmi su un altro pianeta, uno in cui c'eravamo solo noi due e nulla importava.
Alex eruppe in un grande applauso e fece ridere sia me che Ryan.
< Allora, siamo assunti? > Sam si appoggiò all'asta del microfono.
< Assolutamente > feci un grande sorriso.
Lasciai il mio numero di cellulare ai ragazzi e memorizzai quello di Sam e Jim, anche se Ryan insistette che non era necessario e che avrebbe potuto contattarli lui, se ce ne fosse stato bisogno. Ma io avevo insistito e lui, seppure con il broncio mi aveva lasciata fare.
Salimmo in macchina e questa volta mi misi davanti, di fianco a Ryan.
< Papà, quando posso imparare a ballare come te? > chiese Alex e io guardai Ryan con espressione divertita.
< Quando sarai più grande, ometto > lo avvisò lui.
< Con te devo sempre aspettare quando sarò più grande > sbuffò Alex e io scoppiai a ridere.
< Come mai vorresti imparare? > gli chiesi, curiosa.
< Perchè di si > mi rispose lui, risentito ancora dalla risposta del padre.  Improvvisamente diventò tutto rosso.
< Cosa c'è Alex? > gli chiese Ryan
< Io sono grande > disse risentito. < So leggere e scrivere e sono il più bravo di tutti a scuola e tu mi chiami ometto >
< Sei grande ma non abbastanza grande >
< Cosa vuol dire? >
Ryan scosse la testa, sbuffando. < Che devi ancora crescere >
< E se si mette a ballare qualcun altro con lei? > si lasciò scappare.
Mi voltai a guardarlo e con il tono più dolce che possedessi gli chiesi se si trattasse di una sua amica.
< si > rispose, abbassando lo sguardo.
< Mi vuoi dire come si chiama? >
< Ashley > disse timidamente
< Ti piace tanto? >
< Un po' > ammise
< E glielo hai detto? >
< Si >
< Vai così, Alex ! > disse fiero Ryan.
Lo ammonii con lo sguardo. < Ora non è più piccolo? > lo stuzzicai. Ryan si strinse nelle spalle e mi rivolse un sorriso fiero.
< Dopo, quando saremo solo io e te, ti svelerò due trucchetti per farla innamorare > gli promisi.
 
Ryan ci portò nel locale in cui eravamo già stati un paio di volte assieme, quello in stile anni 50.
Ci sedemmo al solito tavolo, il più lontano da tutti e in special modo dalle vetrate.
Ordinammo lì il nostro pranzo e Ryan si assicurò che al figlio venisse portato un bavaglino di carta in modo da evitare che si sporcasse.
Era veramente premuroso nei confronti del piccolino che potevo solo immaginare quanto gli costasse stagli lontano.
Era bravo a riuscire a tollerare in questo modo la lontananza, io non credo ci sarei mai riuscita. Non poter sapere dove si trova tuo figlio in ogni momento, cosa fa, come è andata la sua giornata a scuola, chi sono i suoi amici, i suoi compiti, le cose che lo preoccupano o quelle che lo rendono felice.
Mi chiesi il perchè non lo portasse qui con sé, ero più che sicura che mio padre avrebbe trovato una soluzione alla sua situazione. Poteva certamente aiutarlo Gail con il piccolo, tanto bene quanto se ne stavano occupando i nonni materni.
Già,  i nonni materni. E la mamma di Alex che fine aveva fatto?
Il pensiero che potesse essere una seconda Rebecca Williams mi invase la mente e mi fece provare un odio profondo verso quella donna. Come si poteva abbandonare un figlio?
Calmati, Phoebe, tu non sai cosa sia successo. la vocina mi riportò alla realtà.
Era vero: io non sapevo esattamente nulla. Ryan per me rimaneva un mistero risolto solo a metà.
Della sua infanzia sapevo solo qualcosina, e cioè che era cresciuto al Sud in una famiglia imperfetta, un padre assente e una madre poco affettuosa; sapevo che aveva un forte legame con sua cugina, Sophie, la figlia di Taylor, a cui aveva fatto da cavaliere alla ballo di fine anno; sapevo che aveva Alex, che viveva con i nonni materni;  sapevo che gli sarebbe piaciuto nell'FBI ma si accontentava del lavoro per mio padre, probabilmente per mantenere il figlio?
Okay, forse le cose che sapevo su di lui non erano poi così poche, considerando che ci conoscevamo da veramente molto poco, ma mi sentivo così coinvolta da lui, che sapere di non avere piena conoscenza di chi lui fossi mi agitava. Mi faceva sentire quasi come se la nostra fosse solo una cosa passeggera.
Era vero che anche lui non sapeva poi proprio tutto di me, ma ero io a volerglielo tenere nascosto.
Forse il non sapere qualcosa l'uno dell'altro era il motivo per cui riuscivamo a stare così bene assieme? Magari i nostri segreti mantenevano il mistero e ci rendevano più intriganti? O forse il semplice fatto che non sapessimo tutte le brutte cose che rispettivamente avevamo serviva solo a dipingere un'immagine più alta e pura di chi veramente eravamo?
Non lo sapevo, non ero veramente consapevole di quale fosse il motivo per cui io mi sentissi così attratta da lui, oltre l'aspetto fisico. Ovviamente lui era così bello che qualunque donna sana di mente si sarebbe sentita attratta o quanto meno si sarebbe voltata a guardarlo, e sapevo di dovermene fare una ragione, ma c'era altro. Quel suo modo di fare a volte così padrone di sé e desideroso di avere il controllo che mi ricordava mio padre, e altre volte così dolce che mi faceva sentire come la protagonista di una fiaba.
Il modo in cui i suoi occhi mi guardavano o come si posavano sulle mie labbra. Il modo in cui mi stringeva, con fare possessivo  eppure così rassicurante.
La sua camminata sicura, il suo sorriso, anzi i suoi svariati sorrisi.
O magari il modo in cui ora stava accarezzando i capelli del figlio in quel momento, parlandogli con calma, cercando di usare parole semplici per poter essere il più chiaro possibile, per poter farlo sentire a suo agio anche se si trovava tra adulti.
Quello era Ryan: un miscuglio di cose che lo rendevano così dannatamente bello, che non desideravo altro che non dovermi mai staccare da lui.
< A cosa stai pensando? > mi chiese, fissandomi direttamente negli occhi.
< A quanto voi due siate teneri assieme > confessai solo una parte dei miei pensieri.
Lui mi rivolse un sorriso semplice e poi accarezzo ancora la testa del figlio che lo ignorò completamente, continuando a giocare con i soldatini.
< Vi assomigliate molto > gli dissi.
< Dici? >
< Si > feci sicura.
< Lo prendo per un complimento >
< Lo era > lo rassicurai.
< Sono curioso >
< Ah si? Di cosa? >
< Di te. Com'eri da bambina? >
< Dovresti chiederlo ai miei genitori > quella domanda mi aveva imbarazzata.
< Ma lo sto chiedendo a te > alzò un sopracciglio perfetto.
< Ero un tipo tranquilla, un po' come Alex. Poi crescendo le cose sono cambiate >
< Cioè? >
< Sono diventata un' adolescente fuori controllo. Litigavo sempre con mio padre, scappavo di notte dalla finestra di camera mia e mi mettevo ai ragazzi meno raccomandabili per fargli dispetto >
Ryan fece una bassa risata e poggiò il meno sulla mano < Sarei curioso di sapere che fine tuo padre ha fatto fare a quei ragazzi >
< In genere bastava portarli a casa e lui era capace di metterli fuori gioco con uno sguardo > mi strinsi nelle spalle.
Scosse la testa, sorridendo.
< E tu invece, che tipo eri? >
< Scapestrato, indisciplinato, costantemente arrabbiato >
< Sul serio? > non l'avrei mai detto, guardando come era composto in quel momento.
< Si. Ho fatto passare dei brutti momenti a zio Jason >
< E i tuoi genitori? >
< Mio padre non c'era quasi mai e a mia madre non interessavo poi così tanto > mi ricordò.
Alex chiese il permesso di alzarsi per andare a fare amicizia con un bambino seduto ad un tavolo poco distante da noi.
< Non allontanarti e non uscire. > lo avvisò il padre, con tono serio e il piccolo annuì
Quando fummo soli gli chiesi se si fosse mai cacciato in una rissa.
< Più di una, in realtà. Era il mio modo di sfogarmi >
< Sfogarti da cosa? > ero curiosa.
< Non saprei dire di preciso, ma mi aiutava a scaricare la tensione e smaltire la rabbia >
Sospettai avesse qualcosa a che fare con la sua famiglia.
< E così Alex sta con i nonni materni? >
< Si > confermò, ma si irrigidì, quando capì che piega avrebbe preso quel discorso e fu più svelto di me.
< Non sapevo sapessi ballare così bene > mi disse, con un sorriso sghembo.
< Mi ha insegnato mio padre. > mi strinsi nelle spalle. < E a te chi ha insegnato? >
< Autodidatta > mi disse soddisfatto di se stesso.
< Come fai a conoscere quei ragazzi? > chiesi curiosa
< Sam e Jim, i fratelli, e io siamo amici fin da ragazzini. Loro si sono trasferiti qui quando compirono diciotto anni. > mi spiegò
< E cosa fanno qui? >
< I musicisti, no? > mi chiese come se fosse ovvio.
< Certo, ma quella casa non sembra proprio il classico rifugio dei musicisti squattrinati >
< E chi ha detto che sono squattrinati? >
< Non lo so, ipotizzavo. Di solito non lo sono tutti i musicisti? >
< Un punto per te, dottoressa. Per rispondere alla tua domanda, Sia Sam che Jim sono insegnanti in una scuola di musica ed abitano in quella casa assieme, per cui dividono le spese >
< Oh > ora si spiegava tutto.
< Già > si appoggiò allo schienale del divanetto e allungò le gambe sotto il tavolo, stando attento a non urtare le mie.
Mi tornò in mente che non mi aveva presentato come la sua ragazza o come la figlia del capo, insomma mi aveva lasciata a me stessa e mi venne voglia di chiedergli il perchè. Stavo quasi per farlo ma poi mi morsicai la lingua, pensando che ora che c'era Alex era tutto da definirsi e volevo che fosse lui a parlarne.
Ma quel pensiero mi fece rabbuiare e Ryan se ne accorse, perchè mi afferrò la mano e mi baciò il palmo con fare tenero.
Arrivarono le nostre ordinazioni e lui andò a chiamare il figlio, fermandosi a chiacchierare brevemente con i genitori del nuovo amico di Alex.
Addentai una foglia di insalata seguita da un pezzetto di carne.
< Hei, papà dice sempre che bisogna essere tutti assieme prima di mangiare > mi rimproverò Alex.
< Hai ragione, scusa. Non ho resistito > posai la forchetta ed aspettai che anche lui si accomodasse ed iniziasse a mangiare.
Ryan scosse la testa e si strinse nelle spalle, come a scusarsi per il figlio.
Mangiammo scherzando e ascoltando il piccolo Alex dire cose buffe a proposito di quello che gli era successo a scuola.
Posai la forchetta ai lato del piatto, sentendomi sazia.
< I tuoi occhi sono strani > mi accusò il bambino
< Ah si? > ridacchiai
< Si. Non li ho mai visti prima. >
< Anche il mio papà ce li ha così > lo informai.
< Il signore alto è il tuo papà? >
< Esatto > gli sorrisi.
Sentii il mio cellulare squillare e lo afferrai, scusandomi risposi, quando riconobbi il nome di Abby.
< Hei Abby > la salutai.
Avevo il cuore in gola e speravo con tutta me stessa che fossero buone notizie.
< Ci hanno fatto causa > mi informò.
Mi mancò la forza di rispondere e fissai Ryan, cercando nei suoi occhi un ancora di salvezza.
< Phoebe, ci sei? >
Continuai con il mio silenzio, incapace di proferire parola ma sentendo un forte senso di vomito.
< Tutto bene ? > chiese Ryan.
Rimasi immobile.
< Phoebe, non ti sento! Hai capito? Ci hanno fatto causa! > ripeté sconvolta.
< Phoebe! > strillò Abby.
Ryan sfiorò la mia mano con le sue dita lunghe e mi ridestai all'istante. Dovevo parlare o si sarebbe preoccupato e avrebbe cominciato a fare domande, e non potevo, non volevo coinvolgerlo, non con suo figlio seduto a pochi centimetri da noi.
< Si > sussurrai e poi chiusi la cornetta.
< Tutto bene? > chiese Ryan, il volto evidentemente preoccupato.
< Si > dissi ancora
< Sei pallida, Phoebe. E' successo qualcosa a Abby o tuo fratello? > fece allarmato
< No, no. >
< E allora cosa? >
< Abby e Ted si sposano > gli mentii. Non era esattamente vero, non ancora.
Mio fratello doveva ancora chiederglielo, ma quella fu l'unica cosa plausibile che potesse giustificare il mio comportamento che mi venne in mente.
< Wow >
< Già, sono sconvolta > dissi, senza espressione. 
  
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