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Autore: Neverlethimgo    13/06/2014    16 recensioni
Era bastata una notte a far cambiare tutto e tre parole a far nascere decine di domande. Era solo un assassino, o era addirittura pazzo?
Dai capitoli:
Erano passati tre anni dall'ultima volta che misi piede fuori dall'istituto, avevo rimosso ogni cosa del mondo esterno, fatta eccezione per la luce del sole, sebbene la vedessi di rado ultimamente.
Sapevo che avrei dovuto trascorrere soltanto altri due giorni in quella prigione, sapevo che mancava così poco alla fine, eppure non percepivo il desiderio di sentirmi libero. Non ero mai stato libero davvero.

A Jason McCann story.
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jason McCann, Miley Cyrus
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 15: the emptiness inside me is killing me.


 

Jason


Avevo passato la notte in bianco, senza riuscire a prendere sonno nemmeno per poco e non volli nemmeno guardarmi allo specchio, per paura di rivedere la stessa immagine che mi portavo dietro quotidianamente solo tre anni prima. Prima di uscire per andare a scuola, mi assicurai di aver infilato nello zaino la borsa di Ivy. Avrei dovuto fargliela avere in qualche modo e, più pensavo ad una nostra ipotetica conversazione, più sentii il battito del cuore accelerare. Ero certo che non avrei potuto reggere il suo sguardo, non avrei potuto sopportare il fatto di essere guardato con terrore da lei.
 
Raggiunsi la scuola con largo ritardo, ne ero consapevole, ma non me ne preoccupai. Inconsciamente tentavo di rimandare il più possibile il nostro incontro, sperando così di trovare il coraggio di affrontarla.
Detestavo essere così vulnerabile per via di qualcuno che non fossi io. Lei non aveva alcun diritto di scombussolarmi la vita; se non avesse mai tentato di avvicinarsi a me tutto questo non sarebbe successo. Se non fosse stata così diversa dalla miriade di persone colma di pregiudizi, avrebbe mantenuto una discreta distanza da me.
Eppure era successo tutto l’opposto, e forse anche più di quel che avrei potuto immaginare.
Ero finito col basare ogni mia singola reazione su di lei, ero terrorizzato dal fatto che si allontanasse da me e non era una cosa che potevo permettermi di provare.
 
Il corridoio era deserto, come immaginavo, ma non entrai nell’aula di biologia: ero certo che ci sarebbe stata anche lei e non volevo che l’attenzione di tutti quei ragazzi – compresa la sua – ricadesse su di me. Prima che potessi muovere anche solo un passo verso la caffetteria, sentii un suono di passi avvicinarsi a me e, istintivamente, mi ritrassi dietro all’ultimo armadietto. Mi sporsi di poco ed inquadrai la figura di una ragazza, coperta per metà dallo sportello dell’armadietto. La sua mano era appoggiata ad essa e notai sul suo braccio alcuni braccialetti a me famigliari. Capii che si trattava di Ivy, così mi affrettai a raggiungerla, cercando di provocare meno rumore possibile.
Quando le fui accanto, mi schiarii la voce, incapace di pronunciare il suo nome, e la vidi sobbalzare. Chiuse di scatto l’armadietto e si voltò verso di me, senza nemmeno sapere che fossi proprio io.
Sobbalzò di nuovo ed indietreggiò nell’istante in cui il suo sguardo si posò su di me e poi lo vidi. Sgranò gli occhi e dischiuse le labbra, dedicandomi un’occhiata esageratamente terrorizzata. Nel suo sguardo aleggiava paura ed io ne ero la causa. Sentii lo stomaco chiudersi in una morsa ed ebbi l’istinto di scappare, ma rimasi immobile.
Continuò ad indietreggiare, ma non scostò lo sguardo da me nemmeno per un istante.
Dal momento in cui realizzai che non avesse alcuna intenzione di rivolgermi la parola, aprii lo zaino e ne estrassi la sua borsa.
Hai dimenticato questa ieri” le dissi, mantenendo un tono di voce piuttosto basso.
Impiegò alcuni istanti prima di allungare la mano verso la sua borsa ed afferrarla. Lasciai la presa solo quando fui sicuro che la sua mano la stesse stringendo e poi indietreggiò ancor di più.
Cercai di riportare lo sguardo sul suo viso, ma non appena incrociai i suoi occhi, abbassai il capo all’istante. Non volevo e non potevo permettermi di vedere che fosse terrorizzata da me.
Prima che potessi accorgermene, si era voltata ed aveva iniziato a correre verso l’aula dalla quale era uscita.
Non aveva detto nulla, non una parola, un sussurro: niente di niente. I suoi occhi avevano parlato per lei ed avrei tanto voluto che fossero rimasti in silenzio.
Ma cos’avrei potuto pretendere? Mi domandai.
Ho ucciso i miei genitori senza provare il minimo risentimento. Sono un mostro!
Ho avuto la faccia tosta di ritornare nella casa in cui vivevo con loro, spesso rivivo in sogno i momenti passati con mia madre, i desideri repressi che non sono mai riuscito ad esternare.
Non potrei mai stare con qualcuno, questo doveva averlo capito anche lei.
Nonostante abbia tremendamente bisogno di qualcosa di più oltre al silenzio e alla tristezza che mi porto dentro, so che il mio animo rimarrà cattivo perché non ho mai provato null’altro oltre a questo.
So che allontanerò – inconsciamente oppure no – chiunque tenti di avvicinarsi.
E questa volta, sebbene non avessi voluto, l’avevo fatto con lei.
 
La mia presenza all’interno delle aule in cui dovetti seguire le varie lezioni, fu soltanto fisica. Non ascoltai una sola parola di ciò che quei professori dicevano. Aspettavo semplicemente che la campanella suonasse per poter finalmente uscire. Avrei preferito non presentarmi affatto a scuola, ma avevo sperato sino all’ultimo che si trattasse solo di un brutto sogno e che Ivy non avesse realmente letto il mio diario. Mi ero semplicemente illuso.
Quando uscii da scuola, m’incamminai verso casa, senza mai voltarmi o aspettare che anche lei uscisse. Non avrei ottenuto nulla se l’avessi fatto.
Mantenni un passo lento, vedendo decine e decine di persone che mi superarono con facilità e, tra quelle persone, ci fu anche lei. Ero certo del fatto che mi avesse notato, perché il suo passo accelerò notevolmente e, anziché proseguire dritta, svoltò a destra, iniziando a camminare all’interno di un parco. Lo stesso che qualche giorno prima ci aveva permesso di scappare da Kayden.
Rimasi immobile e la vidi allontanarsi sempre più, ma più speravo che la sua immagine si dissolvesse in modo da potermi concentrare su altro, più fremevo dalla voglia di raggiungerla. Non si voltò, me l’aspettavo.
Poco dopo mi sorpresi a volerla rincorrere e, quasi come se fosse stato un gesto incondizionato, non riuscii a fermarmi. Non c’era nessun altro oltre a noi su quel piccolo sentiero e ne fui grato di questo.
Non appena sentì i miei passi si voltò, dedicandomi ancora una volta quel suo sguardo colmo di paura.
Fu l’ennesima pugnalata al petto.
Che cosa vuoi?” mi domandò con tono freddo non appena la raggiunsi, ma continuò ad indietreggiare. “Perché mi stai seguendo?
So che hai letto quel diario” dissi semplicemente, abbassando di poco lo sguardo.
Sì e ora realizzo che non avrei dovuto farlo.” Il suo tono di voce continuava ad essere freddo e distaccato ed era spiacevole da sentire.
No, decisamente non avresti dovuto.” Mi sentii quasi costretto a risponderle in quel modo.
Non l’ho fatto di proposito.” Questa volta fu lei ad abbassare lo sguardo, sembrava quasi dispiaciuta.
Ah, davvero?” senza volerlo alzai leggermente il tono di voce e me ne pentii. Ero intenzionato a far in modo che ritornasse da me, non che si allontanasse più di prima.
Non l’avrei letto se non me lo fossi ritrovata davanti. Mi è caduto mentre sfilavo un libro dallo scaffale” ribatté a tono ed annuii in modo quasi impercettibile.
E comunque questo non giustifica niente. Come hai potuto fare una cosa del genere?” questa volta fu lei ad alzare la voce e rimasi in silenzio. Sapevo che non si aspettava realmente una risposta, era già a conoscenza di quanto successo e risentirlo una seconda volta sarebbe stato difficile da reggere.
Strinsi i pugni lungo i fianchi, ma probabilmente non se ne accorse. Cercai di restare immobile, non volevo spaventarla, ma evidentemente era troppo tardi.
Perché non me lo hai detto prima?” domandò di nuovo, sollevando lo sguardo e costringendomi a guardarla negli occhi.
Sarebbe cambiato qualcosa?” ribattei in mia difesa e scosse il capo.
No, probabilmente non sarebbe cambiato niente, ma non mi fido di te, Jason. Ho paura di te.
Lo sapevo. Le ultime parole che pronunciò mi fecero quasi mancare il respiro.
Me n’ero accorto” mormorai, il mio tono di voce fu così basso che dubitai potesse avermi sentito.
Indietreggiò ulteriormente, mentre io la guardai pregandola che rimanesse immobile.
Credo sia meglio che d’ora in poi tu mi stia lontano.” Ancora una volta avvertii quella fastidiosa morsa avvolgermi lo stomaco.
Scossi ripetutamente il capo con l’intenzione di cancellare quanto avevo appena sentito.
Per favore, no.
Non so davvero come tu abbia potuto farlo, senza nemmeno pentirtene. Hai ucciso i tuoi genitori!” sbottò e sentii la sua voce spezzarsi. I suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime e, questa volta, fui io ad indietreggiare.
Come puoi continuare a vivere come se nulla fosse successo?” gridò di nuovo e sbarrai gli occhi.
Che cosa ti fa pensare che questa, per me, possa chiamarsi vita? Credi davvero che per me sia facile?” ribattei, stringendo maggiormente i pugni e sentendo un’ondata di rabbia crescermi dentro. L’ultima cosa che volevo era inveirle contro, ma non riuscivo a sopportare il fatto che lei la pensasse in quel modo.
Lei, come tutti gli altri, non sapeva e non capiva cosa fossi costretto a sopportare giorno dopo giorno. Credeva che tutto fosse diventato più facile, che riuscissi a condurre una vita normale, ma non era affatto così.
Tu non sai niente, Ivy” continuai, “avrai anche letto ciò che ho fatto, ma evidentemente non hai capito il motivo.
Ti sbagli, Jason” disse quasi interrompendomi. “Ho letto diverse pagine di quel diario, ho letto quello che hai passato e, credimi, mi dispiace davvero, ma uccidere qualcuno va oltre ogni limite. Io credo che avresti potuto trovare una soluzione diversa e-
Non c’erano altre soluzioni.” Questa volta fui io ad interromperla.
La vidi scuotere il capo ed alcune lacrime le rigarono il viso. Non aveva più alcun senso continuare quella conversazione. Non mi avrebbe capito, aveva detto che l’avrebbe fatto, ma, ora che sapeva la verità, tentava di mantenere quanta più distanza poté nei miei confronti.
Tutto questo è assurdo.” Si passò entrambe le mani sul viso, coprendosi gli occhi per qualche istante. “Non credo che potrei mai capirti e, onestamente, non so nemmeno se voglio farlo.
Non ti chiedo di capirmi, nessuno lo ha mai fatto, ma non avere paura di me, non ti farei mai del male” fu tutto ciò che riuscii a dire, ma le mie parole parvero sconvolgerla ancora di più.
Come faccio a crederti?” gridò.
Non lo so, come hai fatto fino adesso.
No, Jason, non ci riesco. Stai lontano da me!
Dopo aver pronunciato quelle parole, si voltò ed iniziò a correre a perdifiato, aumentando sempre più la distanza che ci separava.
Ivy, per favore, no” quelle parole uscirono dalle mie labbra tramutandosi in un sussurro che però solo io sentii.
La guardai andar via, incapace di muovere un solo muscolo, fino a che la sua figura non sparì completamente dalla mia vista.
 
 
Quella notte fu più lunga di quanto in realtà mi aspettassi. Il tempo a disposizione per pensare fu molto, troppo. Nell’arco di ventiquattrore quelle scene mi si ripresentarono nella mente come diapositive e non c’era alcun modo di cancellarle.
Ricordai ogni cosa.
Ricordai ogni dettaglio inerente alla sera in cui uccisi i miei genitori, riuscii persino a percepire nuovamente le sensazioni che provai.
Ogni cosa che avevo amato e che avevo odiato, e tra quelle c’era lui: mio padre.
Ricordai persino le parole che continuai a ripetere quando la situazione iniziò a peggiorare.
“Posso farcela. Sarà difficile, ma sono disposto a lottare con il coltello tra i denti per sopravvivere. Posso farcela.”
Di punto in bianco quelle parole avevano perso valore ed io mi ero arreso all’idea di poter sopportare tutto quello che stavo passando.
Da quando i nostri scontri divennero più violenti, il mio mantra era cambiato.
“Non c’è abbastanza posto qui per tutti e due. Se me ne andrò io, mia madre soffrirà, ma se sarà lui ad andarsene, staremo bene entrambi. Deve morire, perché io non posso più sopportare tutto questo.”
 
Un brivido mi percorse la schiena e riaprii di scatto gli occhi. Ero sdraiato sul mio letto ormai da ore, avevo smesso di fissare il soffitto ed ero finito col ripercorrere, immagine dopo immagine, ogni frammento di quel 3 dicembre.
Il mio unico scopo era sempre stato quello di dimenticare, di voltare pagina ed iniziare così una nuova vita, ma non ci sarei mai realmente riuscito.
Nell’istante in cui mi passò davanti agli occhi l’immagine dei loro corpi privi di vita sul pavimento della cucina, sussultai e mi alzai dal letto.
A grandi falcate raggiunsi la camera dei miei genitori e rimasi immobile a fissare il vuoto avvolto dall’oscurità.
Un’ipotetica immagine di Ivy mentre leggeva il mio diario mi attraversò la mente, potei quasi riuscire a vederla scappar via, mentre giurava a sé stessa che non si sarebbe mai più avvicinata a me.
Mi lasciai scivolare contro il muro, sedendomi poi sul pavimento in legno. Avvertii il respiro divenire sempre più pesante e mi passai le mani tra i capelli, tirandone vigorosamente le punte. Un’ondata di rabbia mi travolse completamente, facendomi perdere lucidità, e sbattei un pugno contro il pavimento.
La rabbia, poco dopo, si tramutò in un fastidioso senso di vuoto. Un vuoto che mi attanagliò lo stomaco ed iniziai a sudare freddo.
Mi sentivo perso in una morsa di uno strano dolore, non avrei mai pensato che la sua assenza potesse farmi sentire così, ma non si trattava solo di quello.
Inizialmente Ivy era stata solo una distrazione da ciò che mi opprimeva, ma ora ero certo che non si trattava più solo di quello.
Mi sentivo in trappola, come se quelle quattro mura si facessero via via sempre più strette ed io non riuscivo a fare assolutamente nulla per scappare.
Erano anni che non mi sentivo così impotente.
 
Avrei voluto bruciare quel diario, avrei dovuto prendere in considerazione l’idea di farlo sparire sin da subito, ma me n’ero sempre rifiutato. E ora me ne pentivo.
Sapevo che tutto ciò era frutto di un mio errore e lei non aveva sbagliato a reagire in quel modo. Chiunque l’avrebbe fatto, mi sarei stupito del contrario.
Perdonami, ti prego.
Ma quella mia richiesta morì nel silenzio della notte, perché non sapevo realmente a chi la stavo rivolgendo. Non era ad Ivy che avrei dovuto chiedere perdono, non avrei potuto cambiare il mio passato nemmeno se l’avessi voluto.
Non chiedevo perdono a mio padre, lui non si meritava nemmeno la mia compassione.
Forse l’unica che avrei potuto compiangere sarebbe stata mia madre. Oltre alla codardia, lei non aveva commesso colpe.
 
Possiamo ricominciare?
Potresti fingere di non aver mai letto quel diario?
Potresti semplicemente ritornare?



 


Spazio autrice

Evidentemente questa è l'unica storia che riesco ad aggiornare senza far passare gli anni, amatemi.
Sì, diciamo che mi viene molto più semplice scriverla rispetto ad altre.
Bene, bando alle ciance e posate i forconi.
Lo so che mi state odiando, so perfettamente che non avreste mai voluto che Ivy scoprisse in quel modo il segreto di Jason, ma, casualmente, è successo e ora ha paura di lui.
Brutta storia, decisamente, qui le cose andranno a complicarsi, potrebbe anche esserci un ritorno di fiamma da qualcuno ben poco sopportabile, ma, hey, io non dico niente che poi vi agitate (Federica, tu sta buona.)

Oltre a ciò, spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto e ci tengo davvero moltissimo a sapere che cosa ne pensate.
Ormai sapete che apprezzo da morire quello che mi scrivete nelle recensioni, siete tutte assolutamente dolcissime e vi ringrazio!

Alla prossima!
Much Love,
Giulia


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