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Autore: HuGmyShadoW    13/08/2008    2 recensioni
E' una vita davvero fantastica, quella dei Tokio Hotel... Fra concerti, interviste, passaggi da un albergo all'altro, non hanno quasi il momento di riposare. Ma ecco che un giorno, proprio a Bill Kaulitz càpita l'incontro più importante della sua vita, che da quel momento, non sarà più fantastica: sarà meravigliosa, unica ed inimmaginabile. Non mancheranno però gli intrighi, le cospirazioni, le passioni e le gelosie... Perchè la vita, in fondo, non è mai solo rose e fiori....
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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[//[CAPITOLO 30]\\]

L’auto anonimamente scura correva veloce lungo le vie ancora affollate di una Berlino da cartolina, inondata del sole pomeridiano e percorsa da gente carica di pacchi natalizi. Con il viso spiaccicato contro il finestrino, Jade osservava quel pigro viavai di sconosciuti indaffarati, serena e stranamente rilassata come non lo era da giorni.
-Cosa c’è di così interessante fuori da quel finestrino?-, domandò Georg da dietro la testa di Bill. La ragazza non distolse né lo sguardo né la mano dal vetro.
-Niente, mi piace guardare la gente-, rispose semplicemente.
Semaforo rosso. L’auto rallentò fino a fermarsi, dando così il tempo alla moretta di osservare con attenzione una signora sulla cinquantina avvolta in un cappotto rosso tentare di trascinare sulle strisce pedonali un bimbo recalcitrante e nello stesso tempo di non far spargere per strada il contenuto di una borsa di plastica. Jade ammirava come quella sconosciuta si affannasse tanto, lì in mezzo alla strada, riuscendo però a mantenere una grazia particolare. Osservava con meraviglia quel suo speciale scostarsi i capelli biondi dal viso, un unico, armonico gesto, quella camminata affettata, quel sistemarsi la borsa su una spalla...
Una carezza calda sul viso la fece sussultare. La signora ormai era finita fuori dalla sua visuale, così, sorridendo, si voltò rifugiandosi volentieri nel protettivo abbraccio di Bill.
-Cosa c’è?-, le chiese lui scostandole i capelli dalla fronte per baciargliela. In un primo momento, Jade non seppe cosa rispondere, e preferì rimanere in silenzio a godersi quei pochi momenti che poteva passare fra le braccia del suo angelo custode. Non sapeva dire cosa l’avesse colpita tanto in quella signora. Era bella, sì, di quel tipo di bellezza modesta ma che salta all’occhio, che ti costringe a voltarti quando ti passa accanto per convincerti che era reale, ma non era stata la bellezza la prima cosa che aveva notato...
-Potrò mai diventare un’adulta come quella signora?-, mormorò prima di rifletterci.
Appoggiata al petto tranquillo di Bill, Jade lo sentì allungare il collo per capire di chi stessi parlando, e quando si rilasso di nuovo sotto di lei, capì che anche lui l’aveva vista così come l’aveva analizzata lei. Difatti, Bill le prese il viso tra le mani e la fissò negli occhi così intensamente da stordirla.
-Non devi nemmeno domandarlo. Certo che diventerai così, se intendevi dire bella, forte, determinata e dolce. Come lo sei adesso. Ma perché chiedi?-.
Jade abbassò lo sguardo.
-Mi chiedevo... se sarei mai stata alla tua altezza, un giorno. Se avrei mai potuto meritarti-.
Verde. La macchina nera come la notte che incombeva sulla città sfrecciò in avanti, silenziosa e padrona della strada. La donna e il suo bambino, ormai al sicuro dall’altro lato della strada, preda dell’onda delle folla, scomparvero completamente alla vista e alla memoria, lasciando però dietro di loro una traccia ben marcata e pulsante.
Bill sgranò gli occhi inarcando così tanto le sopracciglia che la fronte gli si increspò in tante adorabili pieghe.
-Meritarmi? Ma che stai dicendo?-.
-Non è la prima volta che ti faccio questo discorso. Sai che è così, si vede-.
-Cosa dovrebbe vedersi? Jay, per piacere, non tirare fuori argomentazioni assurde!-.
-Non sono assurde, è la verità! Bill, tu sei una star di fama internazionale, sei bello, sei famoso, idolatrato e desideratissimo. Accanto a te, io cosa sembro? Una ragazzina sciatta e banale! C’è troppo squilibrio fra di noi, non posso non sentirmi in colpa per la fortuna che mi è toccata-.
-Fortuna? Fortuna?! Vorresti forse dire che se mi fossi imbattuto in un’altra ragazza, quella notte, mi sarei... affezionato a lei allo stesso modo?-.
Ormai i due stavano urlando, rendendo praticamente insopportabile la vita nell’abitacolo.
-Ragazzi, ragazzi, per piacere!-, tuonò Saki dal posto guida.
-Sì, insomma, ci state massacrando i timpani! Aspettate ad essere in albergo per litigare-, urlò David voltandosi a fissare malamente Jade. -Perché non vi sbaciucchiate un po’ per far la pace? Almeno sarà un rumore più sopportabile degli strilli isterici-, sbuffò tornando a fissare la strada. I due ragazza sembrarono non aver sentito nessuna protesta perché entrambi continuavano a guardarsi gelidamente negli occhi, avvolti dalla bolla del loro mondo.  
-Sì, Bill, ne sono certa-, rispose Jade in un tono così basso che nemmeno Georg seduto accanto a loro poté udire.

Il cielo cominciava a dipingersi d’arancio e il sole ad allungare le ombre di auto, edifici e sei persone a piedi, chiaramente dirette verso l’entrata principale dell’ospedale. Anche visti di lontano si poteva intuire che quattro di loro erano ragazzi e gli altri due uomini avviati da un pezzo verso la mezza età. Avvicinandosi ancora un po’, forse si potevano addirittura notare nel dettaglio gli stili differenti di ognuno, dai più casual al decisamente eccentrico di quella specie di porcospino dark. Ma anche arrivando loro vicinissimi, forse non si sarebbe potuto notare un piccolo ma decisivo particolare: la rigidezza nelle posture dell’unica ragazza e del giovane più alto e magro, insolitamente contratte nello sforzo di non guardarsi e di resistere ad intrecciare la mano a quella dell’altro.
Non appena le porte a vetri si separarono automaticamente, Bill scrutò la sala grande ben areata alla ricerca della reception che, una volta individuata, gli si presentò davanti come un lungo bancone candido che percorreva la maggior parte della sala d’ingresso e si curvava dolcemente come a voler occupare più spazio possibile.
-Bill...-, ammonì a mezza voce David afferrando la manica della giacca del giovane per impedirgli di scappare via subito.
-Voglio solo vedere mio fratello!-, ribattè il ragazzo lanciando un’occhiata penetrante al manager dietro gli occhiali scuri. L’uomo lo lasciò andare mormorando –Non fare sciocchezze...-, ma troppo piano perché Bill lo sentisse.
-Salve!-, esordì subito il cantante piazzandosi davanti alla prima infermiera che trovò. Quella, una bionda tinta intenta a sistemare chissà quali carte, alzò lo sguardo di un verde acquoso, facendo una radiografia completa al ragazzo, e in particolare soffermandosi sul giubbotto di pelle, sui braccialetti e le collane borchiate.
-Desidera?-, chiese con un tono tutto miele, cambiando improvvisamente atteggiamento. Bill non badò affatto alle occhiate languide che la donne gli lanciava attorcigliandosi una ciocca bionda su un dito, anzi, forse ne era un po’ infastidito.
-Devo vedere mio fratello, Tom Kaulitz, ha diciotto anni. È stato portato qui ieri sera, sul tardi, non so in che stanza si trovi. Gli devono aver fatto una lavanda gastrica..-, snocciolò velocemente sentendo l’impazienza sfrigolargli le mani mentre seguiva con attenzione le mosse lente, troppo lente dell’infermiera. Una mano gli si posò sulla spalla ad intimargli la calma e lui sussultò, voltandosi. Era Saki. Neanche si era reso conto che gli altri lo avevano raggiunto. Finalmente, dopo un tempo infinito che l’infermiera passò a scorrere meccanicamente file al computer, questa si avvicinò allo schermo, illuminandosi.
-Tom Kaulitz hai detto? Sì, eccolo qua, stanza 247. Vai fino in fondo al corridoio, a sinistra trovi una doppia porta, attraversala e...-.
-Grazie mille!-, esclamò Bill senza lasciarle il tempo di finire la frase, prese per mano Jade e corse via, seguito a ruota dagli altri quattro.
L’infermiera, profondamente offesa, scosse la testa e ritornò in fretta alle sue carte, imprecando contro quello strano ragazzo.

Un corridoio, un altro, un altro ancora, e porte, stanze, dottori tutti uguali. Come faceva a sapere se stava davvero andando nella direzione giusta?, si chiese Bill facendo cadere di mano a una dottoressa una cartella clinica. Non si fermò a chiedere scusa e aumentò il ritmo delle falcate per allontanarsi dagli ingiuri che la donna ancora gli mandava due angoli più indietro. Numeri anonimi e stanchi gli sfioravano appena la visuale mentre la sua percezione del mondo esterno alla sua mente si concentrava unicamente sul rumore dei propri passi.
-Bill! Fermati!-.
Uno strattone al braccio e un viso preoccupato piuttosto familiare entrato a forza nel suo campo visivo.
-Jade?-, esclamò confuso. Sbatté gli occhi e il torpore che gli aveva addormentato i sensi parve essere risucchiato da un aspirapolvere gigante. I rumori e gli odori tornarono più forti che mai, così come la sensazione di calore della mano di Jade nella sua. La lasciò, allontanandosi con disinvoltura qualche passo più in là.
-Hai saltato una porta. Dobbiamo andare per di là-, spiegò lei per nulla stupita del gesto, accennando col pollice a un’altra doppia entrata identica alle altre tre che avevamo appena oltrepassato.
-Eh?-, domandò stupidamente sbattendo gli occhi.
-La porta. Hai sbagliato strada. Di là-, spiegò Jade con pazienza infinita accompagnando le sue parole con eloquenti gesti della mano.
-Ah, giusto... Ma come fai a saperlo?-, chiese Bill rinvenendo da quello strano torpore.
-Be’, andando avanti i numeri continuano dal 300, mentre appena prima della porta si fermano al 230. È di là-.
-Andiamo allora-, disse il ragazzo ritrovando tutta la grinta di poche ore prima.
Si diresse alla porta e la spalancò, e solo allora si accorse che Jade non l’aveva seguito.
-Ehi? Non vieni?-, chiese dolcemente tornando sui propri passi. La ragazza era in piedi, le braccia incrociate, un sorriso amaro sul volto e la postura rigida.
-Sono di troppo. È una cosa fra di voi, no?-.
-Non dire scemenze!-. Bill sbuffò. – Senti, voglio che tu mi accompagni da lui, chiaro? Gli vuoi bene, e gli farebbe piacere sapere che sei venuta a trovarlo-.
Jade scosse la testa.
-E a te, farebbe piacere che ci fossi anch’io?-.
Prima che il ragazzo potesse rispondere, Saki, David, Gustav e Georg comparvero da dietro l’angolo, sudati e senza fiato.
-Che bisogno c’era di correre tanto?-, si lamentò il manager con una mano sul fianco. Non sentendo nessuna risposta alzò gli occhi e gemette vedendo Bill e Jade che si squadravano in cagnesco senza dire una parola.
-Di nuovo?! Ragazzi, i vostri problemi non potete risolverli in un altro momento?-, brontolò l’uomo.
-Scusaci David, ci mettiamo un secondo. Lasciateci soli cinque minuti-, replicò con freddezza il cantante senza staccare gli occhi da quelli ambrati della ragazza.
Con sbuffi e un’espressione di enorme sofferenza dipinta sul volto, i quattro si allontanarono verso un distributore di merendine strascicando i piedi.
-Non c’era bisogno di...-, cominciò Jade, ma Bill non le diede la possibilità di finire.
-Chi sono io?-, chiese serio. La ragazza lo fissò, indecisa se pensare a uno scherzo o a un vero e proprio squilibrio mentale.
-Ehm... Bill Kaulitz?-, rispose, propendendo per lo squilibrio.
-Esatto. E che cosa faccio?-, continuò lui.
-Senti, se hai una crisi d’identità...-.
-Rispondi alla domanda, per favore-.
Jade sbuffò.
-Fai il cantante in una band-.
-Precisamente. Ho girato il mondo, mi sono imbattuto in centinaia, migliaia di ragazze, alcune le ho conosciute, altre lo ho solo viste di lontano. Credi davvero che avrei incontrati grandi difficoltà a farmene una o due a sera come mio fratello? No, affatto. Sarebbe stato facile come bere un bicchier d’acqua. A un mio schiocco di dita avrebbero potuto essere tutte ai miei piedi...-.
Jade scosse la testa, disgustata e ferita, e si voltò per andarsene via, lontano da quelle parole così taglienti.
-Se devi vantarti del tuo fascino e del tuo potere, vai a farlo con le troie che ti sei portato a letto, perché io non ho intenzione di stare a sentire una sola parola in più su...-.
Una mano le afferrò il braccio, costringendola a voltarsi.
-... Ma non l’ho fatto! Io non le volevo. Io aspettavo quella giusta. Te-.
Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime.
-Non riesco a crederti... Non posso...-, sussurrò debolmente divincolandosi per liberarsi da quella stretta ferrea che la costringeva a guardare in faccia la realtà.
-Jade... Guardami... Davvero credi che ti mentirei?-, le chiese Bill con voce ferma.
E lei lo guardò. Guardò la sua bocca piegata in un sorriso comprensivo senza incertezze, avvertì il suo respiro caldo e regolare sulla pelle, e si perse ancora una volta entro i suoi occhi di cioccolato fondente, così limpidi e supplicanti. No, lui non le mentiva, lui non le avrebbe mai mentito. Glielo disse.
-Ti credo-.
Si abbracciarono, lì, in mezzo alla corsia irrealmente pulita dell’ospedale, fra gli sguardi più o meno inteneriti dei medici di passaggio. E mentre Jade veniva tramortita dal profumo di Bill, un profumo che da troppo non aveva il privilegio di assaporare, capì quanto le era mancato, e quanto ormai quel ragazzo così diverso fosse penetrato a fondo nel suo cuore.
I due si lasciarono andare con cautela, con dolcezza, ben attenti a non interrompere il contatto, e dimentichi degli amici lasciati alla macchinetta delle merendine, attraversarono insieme, con un sorriso la doppia porta.

Il corridoio era anonimo, spoglio e odorante di alcol come tutti gli altri. L’unica differenza era che non una persona lo percorreva, e dalle stanze chiuse non proveniva un suono.
Bill e Jade, col cuore in gola, contavano insieme a voce alta le porte che scorrevano accanto a loro.
-233... 234... 235... 236... Ci siamo quasi, fra poco rivedremo Tom... 240... 241...-.
Erano quasi arrivati quando l’entrata in fondo al corridoio si spalancò e una bella infermiera bionda avanzò nel corridoio ticchettando con i tacchi e sospingendo un carrello. Bill non ci fece molto caso finché non si fermò proprio davanti alla stanza 247, a pochi passi da loro, e allora si ritrovò a osservarla mentre dal carrello pescava una siringa colma di chissà quale liquido. I capelli biondi e lucenti le scendevano in graziosi boccoli che ondeggiavano mentre armeggiava con la serratura, e il viso pallido era acceso da una boccuccia colorata di un rosso vivo e pesante, mentre da sotto in su, un paio di occhi azzurro ghiaccio fissavano criticamente la siringa in controluce.
-Prego...-, disse con gentilezza Jade, cedendo il passo alla donna
Un brivido freddo scese per la schiena di Bill e lo immobilizzò, gli occhi sgranati e il fiato corto.
“No, non può essere lei... Non qui... No...”, pensava, ormai nel panico.
Prima di entrare, l’infermiera lanciò uno sguardo penetrante al ragazzo, uno sguardo freddo e ammaliante che ben conosceva.
Ormai non aveva più dubbi...
La donna spinse la porta ed entrò.
-Faccio in un momento-, cantilenò quella con una voce sorprendentemente acuta e roca.
... quella era Giusy.
La serratura scattò e il cuore di Bill saltò un battito.
Non avrebbe permesso a quel demonio di intromettersi di nuovo nella sua vita, no, non più!
Riprese il controllo del proprio corpo incredibilmente in fretta, fece bruscamente da parte Jade e si lanciò sulla maniglia come se fosse la sua ultima speranza. La porta si spalancò fin troppo facilmente, tanto che Bill perse l’equilibrio e per poco non rovinò a terra. Si rialzò, tremante, confuso, spaventato, riuscendo a biascicare un “No!” stentato e inutile. Poi, il tempo parve fermarsi.
La scena che si presentò davanti ai suoi occhi fu questa: l’infermiera accanto al letto con le mani sulla bocca e un’espressione sconcertata, la siringa ancora piena abbandonata sul pavimento e una camicia da ospedale abbandonata su una sedia.
Ora che la guardava bene, pensò Bill, nonostante l’impressionante somiglianza, la donna chiaramente non era Giusy. Gli occhi erano più piccoli, il mento più pronunciato e le sopracciglia più sottili. Sospirò. Un problema in meno. Anche se, a dir la verità, se n’era appena aggiunto un altro.
Il letto di Tom era vuoto, e del ragazzo non c’era traccia.
   
 
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