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Autore: _Wonderwall_    15/06/2014    1 recensioni
(SOSPESA)
Prima guerra mondiale: la vittoria va alla Triplice Intesa (Russia- Stati Uniti- Francia).
Seconda guerra mondiale: la vittoria va ai Paesi Alleati.
Terza guerra mondiale: la vittoria va agli Stati Uniti, che conquistano l’egemonia mondiale.
Quarta guerra mondiale: in corso.
Gli uomini non si accontentano mai. Non sono bastate due guerre mondiali per appagare la loro sete di morte, di potere. Hanno sentito il bisogno di scatenarne una terza, durata solo un paio d’anni. Troppo pochi per lasciarli soddisfatti.
Perché non scatenarne una quarta? Perché non ridurre la terra in macerie?
La russia contro il mondo. Quello è il motto che i soldati russi erano fieri di ripetere ad ogni cena, ad ogni brindisi.
La quarta guerra mondiale sta devastando l’intero mondo, decimando la popolazione e c’è un disperato bisogno di una soluzione.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Buonasera a tutti :)
Non mi dilungo più di tanto prima del capitolo! Spero che vi piaccia e mi scuso se troverete qualche errore, in quel caso vi prego di farmelo sapere :)
Spero che la storia continui ad essere interessante, fatemi sapere le vostre opinioni! Buona lettura :)

 


Capitolo 9
 
 
“I knew you were trouble when you walked in
So shame on me now
Flew me to places i'd never been
So you put me down oh
I knew you were trouble when you walked in
So shame on me now
Flew me to places i'd never been
Now i'm lying on the cold hard ground
Oh, oh, trouble, trouble, trouble
Oh, oh, trouble, trouble, trouble”



 
 
Scarlett Evans aveva sempre avuto un’elevata capacità di riflessi anche nelle situazioni più critiche. Era sempre stata in grado di reagire in modo veloce e sicuro in ogni suo intervento, riuscendo a fare la cosa giusta nel momento giusto.
Scarlett Evans era una ragazza intelligente, più della media, decisamente troppo per i suoi diciannove anni compiuti da poco.
Scarlett Evans, nonostante le sue innumerevoli qualità e i suoi tanto adorati pregi aveva un grande difetto: era sensibile e troppo buona.
Forse era per quello che si era precipitata sul corpo sanguinante e sofferente del soldato russo, lottando contro ogni particella del suo corpo che le gridava a gran voce di scappare via da quel luogo che rappresentava, per lei, una prigione senza via d’uscita.
Ma Scarlett era troppo intelligente o semplicemente troppo stupida per tentare la fuga e lasciare due uomini sanguinanti e moribondi a terra.
Il suo istinto di medico e l’orgoglio ferito da troppe sconfitte inferte da semplici armi da fuoco la costrinsero a piegarsi sul corpo massiccio dell’uomo che l’aveva rapita.
Le spalle larghe fasciate da una t-shirt bianca sporca all’altezza del fianco da una macchia cremisi che si allargava, appesantendo il tessuto leggero della maglia.
Gli occhi chiusi e piccole rughe di espressione intorno agli occhi date dal dolore, rughe invisibili per un occhio meno attento di quello della ragazza. Il resto del volto completamente rilassato.
La cintura dei jeans e un piccola parte degli stessi pantaloni macchiata irrimediabilmente.
I capelli scuri della ragazza sfuggirono al suo controllo, coprendole la visuale e non facendole vedere la gravità della ferita.
Perché si fosse precipitata direttamente dal russo, senza controllare l’altro soldato, che presupponeva essere americano, non lo sapeva, ma continuava a ripetersi incessantemente che il castano era ferito più gravemente dell’altro.
D’altronde il suo cervello le aveva permesso di calcolare la gravità della situazione. Certo, era per pura utilità che aveva scelto il primo soggetto da aiutare.
Sospirò, cercando di accantonare il pensiero di star aiutando il nemico. Aveva sempre pensato che gli uomini fossero tutti uguali.
Tedeschi, americani, inglesi, russi, italiani e di ogni altra nazionalità esistente. Erano uomini e meritavano una possibilità di vita, nonostante il loro modo di vivere fosse alquanto discutibile. E nel caso di quel ragazzo lo era sicuramente.
<< Cosa stai facendo principessa? >> una voce roca e leggermente forzata fece sobbalzare Scarlett, che, nonostante la sorpresa, rimase concentrata sulla maglia che sapeva di dover alzare.
Non si stava comportando in modo professionale. Esitava nell’alzare quella stupida maglia e mostrare ai suoi occhi il torace muscoloso e la ferita che deturpava la pelle del ragazzo.
<< Stai zitto >> rispose acida e prepotente. Non aveva bisogno di altre distrazioni e sicuramente lui non aveva bisogno di sprecare energia utile per continuare a vivere.
<< Mi stai forse salvando? >>
Ignorando le parole ironiche, la mora prese un profondo respiro convincendosi a liberarsi della maglia. Con delicatezza sollevò il tessuto, sporcandosi le mani di sangue.
Un gemito strozzato di sorpresa, orrore e preoccupazione sfuggì al suo controllo quando la ferita occupò tutto il suo campo visivo.
La pelle era martoriata, aperta in un buco di appena cinque centimetri di diametro, riempito dal ferro del proiettile. L’epidermide era ricoperta da uno strato sottile di sangue che nascondeva in parte l’alone di bruciatura che circondava la ferita.
La parte interna della lesione era frastagliata, lacerata dalla potenza del colpo.
Scarlett era abituata a vedere ed esaminare ferite del genere, ma quello che l’aveva colpita era il sangue che circondava strettamente il proiettile.
Ribolliva.
Ribolliva come quello di Tom.
Ma il suo sangue non era entrato in contatto con l’acqua, non era possibile che avesse avuto una reazione chimica, non avendo toccato nient’altro che il cotone della t-shirt. E si sapeva, il cotone non procura certo una reazione simile.
Accantonando quel pensiero, Scarlett decise di agire.                                                            
<< Principessa >> ripeté il soldato, la voce vicina ad un sussurro.
Scarlett alzò lo sguardo per la prima volta, puntando i suoi occhi grigi in quelli verdi, puntinati di rosso e lucidi del ragazzo. Uno sguardo freddo. La mora lo aveva congelato con lo sguardo, intimandogli di restare in silenzio e, per grazia ricevuta, lui le aveva dato ascolto.
Ivan chiuse gli occhi, sospirando e cercando di non concentrarsi sul dolore che lo assaliva.
Non era la prima volta che era colpito da un proiettile, ma perché faceva così male?
Con un gesto veloce la ragazza gli sfilò la t-shirt, togliendogli il respiro.
Con mano ferma toccò la ferita, provocando un gemito strozzato nel soldato, che contrasse la mascella ed i muscoli del torace. Le linee dei pettorali e degli addominali ben definite stonavano con la ferita che deturpava il suo corpo.
Premette con forza con la maglietta, cercando di far diminuire la fuoriuscita del sangue. Una piccola goccia color cremisi sfuggì al suo controllo, percorrendo la pelle candida ed imperlata da uno strato sottile di sudore fino a raggiungere il terreno, macchiando il pavimento.
Doveva togliere il proiettile e bloccare l’emorragia e doveva fare tutto il più velocemente possibile.
Con passo spedito si avvicinò ai cassetti, aprendoli con rabbia e sbuffando nel constatare che non poteva essergli utile niente di quello che contenevano. Legò i lunghi capelli mossi con l’elastico che, fortunatamente, era sempre legato al suo polso.
<< Con le mani >> sussurrò il soldato, facendola girare di colpo.
Estrarre un proiettile dalla carne viva ed insanguinata con le mani, senza guanti, senza averle prima sterilizzate, senza niente.
Scarlett lo ignorò, continuando a cercare per la stanza un qualunque utensile che potesse esserle utile.
Un qualunque aiuto.
Un disinfettante.
O semplicemente un po’ di coraggio che potesse permetterle di estrarre quel cavolo di proiettile.
<< E’ inutile. Non c’è niente qui >> continuò il soldato, muovendosi leggermente.
Seguirono un paio di colpi di tosse ed un urlo soffocato.
<< Non ti muovere. Devi stare fermo >> sussurrò la ragazza.
Prese il bicchiere d’acqua sul comodino e si sedette di nuovo vicino ad Ivan, sporcando i pantaloni della divisa con il sangue che aveva imbrattato il pavimento, rendendolo colorato e scivoloso.
Sospirò, sperando di calmare il battito eccessivo del cuore, che rischiava di uscire dal petto. Sciacquò le mani e versò una piccola quantità di acqua nella ferita.
Forse se aveva la capacità di procurare una reazione chimica aveva anche la possibilità di fermarla.
Immediatamente il sangue smise di ribollire e Scarlett si lasciò andare in un sospiro rilassato.
Chiuse gli occhi.
<< Forza principessa non è difficile >> riuscì a scorgere il sorrisino divertito del russo e sbuffò contrariata.
La stava forse prendendo in giro? Lei stava cercando di salvarlo e si stava preoccupando del dolore che certamente avrebbe avvertito e lui la derideva, per di più chiamandola con quell’appellativo insopportabile.
<< Non sono costretta a salvarti la vita, dovrei lasciarti morire considerando che se ti lascerò vivere tu mi ucciderai dopo che avrai ottenuto le informazioni che vuoi. Quindi non mettere alla prova la mia gentilezza e soprattutto smettila di chiamarmi con quello stupido nomignolo >>
Senza aspettare una risposta dal ragazzo, estrasse il proiettile. Quando le sue mani nude entrarono in contatto con la pelle viva e lacerata, rabbrividì. La stoffa dei guanti, seppur sottile, diminuiva la sensazione della carne deformata, bruciata, rovinata.
Il soldato gemette di dolore, stringendo gli occhi e reprimendo un urlo, mentre il petto cominciava ad alzarsi ed abbassarsi velocemente. Segno dell’aumento del battito cardiaco, segnale inequivocabile di aumento del flusso sanguineo e di conseguenza di un’emorragia abbondante.
Scarlett sbuffò, come se il sangue fuoriuscito non fosse abbastanza. Di quel passo sarebbe morto dissanguato.
Finalmente la mora riuscì ad estrarre il proiettile che venne buttato in un angolo lontano della stanza spaziosa, illuminata ampiamente dal lampadario spartano che pendeva dal soffitto.
Doveva fasciare la ferita e doveva farlo prima che perdesse troppo sangue. Afferrò con una mano la t-shirt insanguinata e la fece girare intorno ai fianchi del russo, premendo quanto più poteva.
<< Allontanati da lui >> una voce imponente la distrasse dal suo lavoro, facendole alzare gli occhi.
Un uomo –se così si poteva chiamare- di almeno due metri e venti troneggiava su di lei. Le spalle ed il petto ampio fasciati dalla divisa militare, le gambe divaricate e le mani tese in avanti che stringevano una pistola, fissa nella sua direzione.
Scarlett si allontanò da Ivan, appoggiandosi al letto e sbuffò.
Ecco cosa accadeva mostrando gentilezza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
<< La tua fasciatura non era abbastanza stretta >> proclamò Ivan Petrov entrando nella sua stanza, senza nemmeno prendersi il disturbo di salutare, dopo cinque giorni in cui non si era fatto nemmeno vedere.
Scarlett era seduta sul suo letto a gambe incrociate che scriveva con trasporto su un piccolo quadernino celeste.
Lo aveva già visto, si trovava nella tasca nel suo grembiule quando l’aveva rapita e l’interno era un insieme di formule e concetti che certamente non aveva voglia di controllare.
Mise la chiave appena tolta dalla serratura nella tasca destra dei jeans appena presi dall’armadio e si diresse verso il materasso, non togliendo gli occhi dalla guancia ferita dalla ragazza.
Sembrava porcella. Pura porcellana graffiata da qualcuno che non apprezza le opere d’arte, perché, Ivan doveva ammetterlo, quella ragazza era un’opera d’arte. Il taglio ancora da rimarginare stonava sul suo volto bianco e colorava eccessivamente quelle gote che avrebbero dovuto solamente essere velate da uno spruzzo di rosa candido.
Il coltello aveva scomposto l’armonia e la perfezione di un disegno a cui era stato dedicato tempo e fatica, ma, nonostante quella piccola imperfezione, il risultato non veniva mutato.
Era bellissima.
Il soldato scosse la testa, scacciando quei pensieri poco consoni alla situazione e certamente non attribuibili ad una razza inferiore quale quella degli americani. La bellezza era un concetto che poteva essere associato ai russi, a nessun’altro.
A volte ascoltando i suoi pensieri o quelli di qualsiasi altro compatriota gli veniva quasi spontaneo attribuire l’ideologia a quella che, un tempo, era appartenuta al più temuto dittatore: Hitler.
Lo faceva ridere. I pensieri di così tanti anni prima erano gli stessi che animavano dopo centinaia di anni la Russia. La nazione era diversa, la forma di governo anche così come il modo di applicarlo, ma non l’idea.
Niente forni crematori o docce a gas, niente sterminio degli Ebrei, i russi si affidavano ad armi più veloci e moderne.
<< Mi dispiace che la nostra chiacchierata sia stata interrotta prima, possiamo dedicarci del tempo ora >>
Ivan si sedette, facendo piegare il materasso sotto il suo peso, mentre teneva sotto controllo le reazioni della ragazza.
Neanche il più piccolo movimento. Scarlett era rimasta immobile. Gli occhi fissi sulla parete di fronte a lei, il quaderno e la penna alla mano, il corpo rigido ed il respiro così sottile da essere a malapena udibile.
Ma il soldato russo non avvertiva paura, quello che poco prima era stato il posto del terrore ora era occupato da rabbia, frustrazione ed irritazione.
Gli sarebbe venuto spontaneo, in quel momento, paragonare l’americana ad una bomba ad orologeria e il rumore dell’orologio appeso nella sua stanza al ticchettare inesorabile della bomba mentre la fatidica ora si avvicinava a grandi passi.
Tre.
Due.
Uno.
<< Ti ho guarito, ti ho salvato la vita quando avrei potuto lasciarti morire dissanguato e scappare da questo posto. Non l’ho fatto. E quando torni qui è solo per dirmi che vuoi cominciare di nuovo a torturarmi per sapere delle inutili indicazioni? >>
La voce della ragazza risuonò nella stanza, mentre il respiro si faceva più veloce e corto. Quella che aveva conosciuto fino a quel momento era stata una Scarlett calma e padrona delle sue azione, la voce tranquilla.
Il suo viso si era colorato di un rosso innaturale a causa delle strilla e della rabbia che le ribolliva nelle viscere.
Gesticolava. Quando era arrabbiata gesticolata.
Era il particolare che Ivan aveva notato mentre la ragazza gli urlava contro la sua indignazione e il suo disgusto verso una persona come lui.
Le mani si muovevano come se avesse voluto esprimere il vero messaggio proprio attraverso quelle. Le muoveva in aria avvicinandole al suo viso, al suo petto e lasciandole cadere di nuovo sul materasso, mentre continuava a stringere da un lato la penna e dall’altro il piccolo quaderno che portava con sé.
Stringeva quasi con smania di possesso o semplicemente perché non voleva che la sua ira si sfogasse in azioni violente.
Da quello che il ventiduenne era riuscito a comprendere, non era favorevole alla violenza.
<< Prendi quel dannatissimo coltello e comincia l’interrogatorio, vai >> concludendo il discorso incrociò le braccia al petto, lasciandosi cadere contro la spalliera del letto.
Sollevò un sopracciglio, guardandolo con aria di sfida.
Ivan la osservò. Dentro quella ragazza così piccola si nascondeva un fuoco, di quello ne era sicuro.
Non avrebbe mai detto che una voce così dolce potesse diventare così aspra e che avesse potuto pronunciare anche solo una parola vicina ad una parolaccia. Non avrebbe mai immaginato che il colorito delicato della pelle avrebbe potuto cambiare e tingersi di rosso.
Scoppiò a ridere.
Era comica. Scarlett non stava utilizzando panni che le appartenevano e risultava quasi comica per un soldato come lui. Per un uomo come lui.
E lo sarebbe stata per chiunque fosse abituato ad alzare la voce ogni tanto, per chiunque avesse mai litigato con qualcuno.
I panni del medico caritatevole la vestivano meglio, senza ombra di dubbio. Ma Scarlett era anche quello, si arrabbiava, urlava, gesticolava e poi tutto finiva così come era iniziato.
Con il silenzio.
In quel caso il silenzio interrotto dalla risata di Ivan.
<< Cosa c’è di così tanto divertente? >> chiese risentita, alzando di nuovo la voce.
Il soldato scosse la testa, provocando l’irritazione della mora.
<< Smettila. Non è divertente, affatto >>
Constatando l’ilarità ancora accesa del castano, Scarlett tirò il quaderno sulla sua faccia, seguito subito dopo da uno schiaffo.
Ivan smise di ridere e la guardò.
Fissò i suoi occhi divenuti celesti in quelli grigi dell’americana e vi lesse paura. Erano spalancati e terrorizzati.
Era spaventata da una sua possibile reazione, l’aveva schiaffeggiato e, di certo, il generale non era famoso per la sua immensa cortesia.
Ma Ivan stranamente non era arrabbiato. Stupito, ma non arrabbiato.
Scarlett lo aveva nuovamente sorpreso.
Prima l’aveva classificata come agnellino docile, successivamente, durante l’interrogatorio, come ragazza coraggiosa.
Poi l’aveva salvato, lo aveva curato nonostante la tenesse prigioniera ed in quel caso poteva considerarla solo in due modi, stupida o troppo generosa.
Lo aveva insultato e si era arrabbiata ed ora lo schiaffeggiava?
Era una continua sorpresa.
La ragazza tentò di tirarsi nuovamente indietro, ma Ivan la bloccò per una mano, tenendola ferma in ginocchio davanti a lui. I loro visi alla stessa altezza.
<< Non azzardarti mai più >> minacciò.
La sua voce però suonava poco credibile, il tono freddo era quasi totalmente scomparso ed al suo posto c’era sorpresa e quasi euforia.
Scarlett annuì, mossa più dalla paura che da vera convinzione.
Senza preavviso o premeditazione, né da parte sua né della mora, Ivan si avventò contro di lei, facendo combaciare le loro labbra in un bacio quasi irruento.
Con la mano libera la spinse con forza verso di se, mentre lottava contro la fragile forza di Scarlett che tentava di liberarsi.
La ragazza cedette, rinunciò ai tentativi di allontanarlo da sé e si lasciò trasportare da una sensazione così nuova.
Il soldato russo poteva percepire che quello fosse il primo bacio della ragazza, era troppo inesperta, troppo insicura mentre assecondava i suoi movimenti e cercava di non lasciarsi travolgere dall’intensità di quel gesto.
Non c’era dolcezza e non c’era amore, c’era irruenza, irritazione, rabbia, disgusto, forza, attrazione e crescente eccitazione.
Da parte di entrambi. 
  
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