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Autore: 9CRIS3    16/06/2014    4 recensioni
< Cosa sta succedendo? > chiese Abby in modo tranquillo ed efficiente.
Aveva capito che si trattava di un'emergenze e che mi serviva in veste di avvocato e non di cognata.
< Ci toccherà parlare a bassa voce e fingere qualche sorriso. Ryan ci sta guardando > la informai.
Abby annuì e poi mi chiese di sputare il rospo.
< Okay. Sto per dirti qualcosa che non ho ancora detto ai miei genitori o a Ted. Non lo sa nessuno e preferirei che continuasse a non saperlo nessuno fino a quando non diventa assolutamente indispensabile che anche gli altri siano informati. >
< Chiaro > fece lei, guardandomi con un'espressione mortalmente seria.
< Sto per assumerti come mio avvocato. > iniziai.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Papà aveva continuato con la sua predica per un po' prima di congedarmi e farmi capire che voleva parlare solo con Ryan, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio, lasciando che fossi io a rispondere in tono polemico e a volte pungente a Christian Grey.
Ora stavo impazzendo dalla curiosità e il  non sapere cosa mio padre gli stesse dicendo, mi uccideva. E se lo avesse licenziato perchè, a sua insaputa, Ryan era uscito con me? Orami papà sapeva anche che la nostra relazione non era nemmeno più platonica.
Quella era un aspetto della mia età adulta che a lui non era mai andata a genio. Quando aveva scoperto che non ero più vergine era quasi impazzito e mi aveva obbligato a fare il nome del mal capitato. La cosa che poi lo fece arrabbiare ancora di più fu che io e il ragazzo, dopo sette mesi, ci lasciammo perchè lui doveva partire per il College. Mio padre pensava che lui sarebbe stato il mio amore per la vita.
Ammetto che per fargli dispetto più di una volta avevo portato a casa i ragazzi che lui considerava pericolosi: gente con tatuaggi, piercing o semplicemente qualcuno con la moto. Molti di loro erano solo miei amici e non a loro non avevo mai nemmeno mai dato un abbraccio. Per uno o due invece avevo una cotta e vedere la reazione di mio padre a loro mi aiutava solo a rallegrare la giornata.
Io e Christian Grey avevamo avuto un rapporto travagliato per tutta la mia adolescenza. Le cose erano migliorate quando avevo cominciato l'università e concentravo le mie energie nello studio, invece che trovare un qualsiasi motivo per infastidirlo e lui sembrava averlo capito, ma non per questo mi dava più respiro. No, assolutamente. Dovevo essere costantemente seguita da guardie del corpo, sempre e in qualunque luogo io dovessi andare! Che si trattasse del bagno o della parafarmacia per comprare gli assorbenti.
Era asfissiante sapere che c'è sempre qualcuno che ti sorveglia, pronto a raccontare tutti i dettagli della tua vita ai tuoi genitori, non escludendo chi ha posato lo sguardo su di te o magari chi ti ha salutato distrattamente mentre stavi passeggiando per la strada assieme ad un'amica.
Mio padre sapeva sempre costantemente dove ero, cosa facevo e con chi ero. E quella situazione mi stava stretta ed era la causa dei tanti litigi tra di noi, ecco perchè ero scappata a New York di notte, senza nemmeno salutare.
Col senno di poi di quella decisione mi ero pentita. Soprattutto per mia madre, per Ted.   
Girovagai per casa  fino a ritrovarmi davanti alla porta di camera mia. Entrai e decisi di indossare una tuta comoda e togliermi di dosso i jeans stretti.
Sistemai tutto nella cabina armadio e poi mi guardai attorno, vedendo tutti quei vestiti che non mettevo quasi mai.
A New York il mio armadio era proprio un mobile a due ante, piccolo, essenziale e conteneva tutto quello di cui potevo aver bisogno: pantaloni, jeans, tute, qualche camicia, un maglioncino e due o tre vestiti.
Lo stretto indispensabile e dovevo ammettere che poteva sembrare il guardaroba di una persona normale e non della figlia di un miliardario.
Ma li non mi servivano dieci vestiti da sera con giacche, scarpe e gioielli coordinati. Gli unici capi che indossavo con assiduità ossessionante erano le casacche i pantaloni da chirurgo e il camicie bianco.
Raramente avevo bisogno di dover indossare gli abiti da sera: io e Jacob non avevamo tutto questo tempo per poter uscire. Eravamo fortunati se riuscivamo a incrociarci per più di qualche minuto durante i turni o se a casa riuscivamo ad aspettarci svegli dopo un turno di sedici ore in reparto.
Ed invece eccoli li, tutti quei vestiti non utilizzati, alcuni con ancora il cartellino vicino.
< Cosa ci fai qui dentro? > chiese mia madre.
Sussultai, portandomi la mano sul cuore. < Mi hai spaventata > le dissi, voltandomi verso di lei.
< Scusa, non volevo > mi sorrise dolcemente. Stava sulla soglia della cabina armadio e mi fissava con quell'espressione che solo lei sapeva fare.
< Che ci fai qui dentro? > chiese ancora
 < Pensavo. A New York ho veramente molto meno vestiti rispetto a qui >
< Vuoi che te li spediamo tutto li? >
Spostai lo sguardo da lei a tutti gli abiti stipati in ordine nei cassetti o sugli scaffali e quelli appesi. Alle scarpe meticolosamente situate una accanto all'altra.
Non sapevo se potevo chiedere che venissero spedite tutte a casa mia, a New York. In quel minuscolo ambiente aperto, così moderno, che mi rendeva tanto orgogliosa.
Era la prima casa che avevo da sola, da quando ero andata via dal nido famigliare. La prima esperienza di poter dimostrare a me stessa e alla mia famiglia che potevo farcela anche senza la presenza del Maniaco del Controllo che era mio padre.
Avevo trovato quella casa dopo settimane di ricerca, grazie a Betty, che si era impietosita quando aveva capito che stavo dormendo nella camera messa a disposizione del medico di guardia.
Avrei potuto benissimo prenotare una camera nell'albero più vicino all'ospedale, ma non volevo prendere i soldi dal mio fondo fiduciario. Volevo potermi permettere le spese e non ringraziare mio padre per il tetto sulla testa che ancora una volta era riuscito a mettermi. Insomma, ero una donna adulta e dovevo imparare a badare a me stessa.
Quell'appartamentino a pochi isolati dal mio posto di lavoro era l'ideale, quello che mi serviva. Ero formato da un piccolo ingresso che sfociava in un grande spazio aperto in cui stavano la cucina e il salotto.
Salotto che si trasformava poi in camera da letto: il divano era anche letto. Si apriva e diventava un comodo letto di due piazze, un matrimoniale.
In fondo alla stanza c'era poi un altro corridoio in cui stava il mio armadio e subito dopo si apriva la porta del bagno.
Un appartamento studiato male, se proprio vogliamo mettere i puntini sulle i, ma era il mio appartamento, il primo posto in cui andavo a vivere da sola, la mia prima soddisfazione personale.
Ora però non sapevo più se era il caso di chiedere ai miei genitori di spedirmi tutti i vestiti che si trovavano nella cabina armadio della mia casa d'infanzia nella casa in cui ero diventata un'adula a tutti gli effetti.
Innanzitutto c'era il problema del lavoro. Se a New York mi avessero licenziato, e non potei non ricordare a me stessa che l'avrebbero fatto con ragione, sarei potuta tornare nel mio appartamento solo se Abby fosse riuscita a non farmi finire in prigione. Ma anche in quel caso, cosa avrei fatto con una casa nella Grande Mela ma senza lavoro?
Il secondo motivo era che in quella casa c'era ricordi. Miei e di Jacob di quando eravamo stati felici e di quando avevamo litigato furiosamente, urlando come pazzi. In quella casa il mio ex fidanzato mi aveva tradita.
Ricordavo ancora la scena di lui e Rebecca Williams avvinghianti, in preda alla passione, mentre si davano da fare sul nostro letto. Lo stesso letto dove più volte eravamo stati io e Jacob a perderci l'uno nell'altro.
L'aveva portata a casa nostra, lo spazio dove mi aveva detto "ti amo" la prima volta, l'abitazione dove noi avevamo fatto l'amore la prima volta. Dove avevamo litigato per un mio stupido errore nel lavare le sue mutande assieme al mio pigiama rosso. Si era infuriato perchè quelle erano i suoi unici boxer puliti ed erano diventati rosa. La cosa lo imbarazzava perchè in ospedale non ci sono gli spogliatoi personali: ci si cambia in una stanza comune per ogni reparto, e tutti avrebbero potuto vedere il colore ridicolo delle sue mutande e prenderlo in giro.  Mi scusai in tutti i modi possibili ed immaginabili, ma alla fine l'unico rimedio fu andargli a comprare dodici paia di boxer nuovi, in modo che non ne avesse mai uno solo di riserva quando non ero riuscita a fare la lavatrice.
Avevo preso un paio della nuova biancheria ed ero corsa a metterglielo nell'armadietto  con una frase di perdono, sarcastica e volutamente provocatrice e quella sera stessa facemmo pace, a casa mia che presto era diventata casa nostra.
A modo nostro eravamo capaci di stare bene insieme. E lui aveva deciso di rovinare tutto.
Scossi la testa. No, non volevo che venisse spedito tutto in quella casa perchè c'erano ancora troppi ricordi freschi che volevo dimenticare e poi non sapevo nemmeno se New York sarebbe stata il posto in cui tornare, visto la mia attuale situazione. E poi c'era Ryan.
< No, per il momento possono rimanere qui > dissi, facendo un sorriso tirato.
< Allora.. Tu e Ryan? > domandò lei.
< Si >
< Da quando? >
< Da quando sono tornata, più o meno >
< Tuo padre non pare averla presa bene >
< Me ne sono resa conto >
< Mi ha raccontato una parte della vita di quel ragazzo >
< E? >
< Non lo conosco abbastanza per poter parlare > affermò. Ecco cosa mi era sempre piaciuto di mia madre. Dava il beneficio del dubbio a tutti. Se non sapeva, taceva, non faceva supposizioni di nessun tipo su nessuno, tanto meno se si trattava del passato delle persone.
Immaginai che fosse qualcosa di strettamente collegato con il passato di papà, in fondo mi aveva raccontato che quando lei lo aveva conosciuto, papà stava passando un periodo particolare della sua vita ma lei, per amore, gli aveva dato il beneficio del dubbio ed rimasta lo stesso al suo fianco. Quell'azione l'aveva portata a sposare l'amore della sua vita, ad  avere una vita felice assieme e due figli.
Che la fortuna mi avesse colpita allo stesso modo?
Rallenta, Phoebe. Stai correndo troppo e sappiamo che la fortuna non è mai dalla tua parte, mi ricordò saggiamente la mia vocina.
< E' una brava persona. > lo difesi lo stesso, desideravo metterlo in buona luce con mia madre.
< Non ho dubbi su questo. Basta vedere suo figlio: è un bambino davvero molto educato. > fece un sorriso.
< Si è proprio un bravo bambino >
< So che vive con i nonni >
< Si >
< Come mai? >
Anche se mia madre era uno che non dava giudizi affrettati era una persona costantemente a caccia di dettagli, di informazioni, soprattutto se si trattava di cose che riguardavano la sua famiglia.
< Ryan aveva bisogno di un lavoro che gli permettesse di mantenere meglio Alex e quindi ha accettato al volo questa opportunità di lavoro, ma se il figlio vivesse qui con lui non riuscirebbe a seguirlo come dovrebbe >
< Potrebbe chiedere a tuo padre e potremmo aiutarlo a trovare la soluzione giusta > disse semplicemente e le credetti all'istante.
< Gliel'ho detto anche io, ma credo che ora sia più preoccupato di riuscire a tenersi il lavoro per poter chiedere a papà una mano per il figlio. E poi mi ha detto che i genitori della madre di Alex sono delle brave persone e sanno come prendersi cura del figlio > le spiegai
< Christian non lo licenzierà: Ryan è molto prezioso per lui, tanto quanto lo era Taylor ai suoi tempo d'oro. Quel pover'uomo ha bisogno di andare in pensione e Ryan sembra piuttosto capace. Tuo padre crede che potrebbe diventare un degno sostituto del suo braccio destro >
Mi sentii immediatamente orgogliosa di Ryan. Sapevo che papà nutriva una stima profonda per Taylor e sapevo quanto contasse per lui l'aiuto di quell'uomo; ora sapere che Ryan gli aveva fatto la stessa impressione significava che papà non l'avrebbe licenziato.
< Sono felice di saperlo > ammisi
< Lo vedo > mi rivolse il sorriso di chi la sapeva lunga. < Dai, vieni a mangiare > mi spronò poi.
La seguii verso la sala da pranzo e ci sedemmo al grande tavolo, apparecchiato per sole quattro persone. Mi chiesi oziosamente se Ted si fosse aggiunto a noi, ma poi ricordai che il suo messaggio diceva che ci saremmo visti la sera dopo,quindi non poteva trattarsi di mio fratello.
Il mio cuore mancò un battito quando pensai che poteva trattarsi di Ryan. Che papà avesse deciso di mettere in atto uno dei suoi soliti interrogatori? No, impossibile: sapeva già tutto di lui, come aveva ammesso quel pomeriggio. Aveva fatto le sue ricerche sul suo dipendente come sempre d'altronde.
Fui sollevata di vedere che il posto era riservato ad Alex quando lo vidi arrivare, trascinandosi dietro i suoi due pupazzi, che lasciò ai piedi della sedia.
< Non trovo più i manichini dei corpi umani che mi hai regalato, Phoebe > mi disse
< Hai controllato in taverna? > provai
< Non so arrivarci > disse ingenuamente. Io sorrisi. Aveva ragione, povero cucciolo: quella casa era troppo grande per un bambino così piccolo.
< Più tardi ti darò una mano a cercarli >
< Grazie Phoebe >
< Prego Alex >
Papà fece il suo ingresso nella sala, lanciando uno sguardo incuriosito ad Alex, seduto sulla sedia accanto alla mia.
Gail prontamente ci portò i piatti con le fettuccine e poi portò un bavaglino per Alex.
< Non lo voglio mettere > protestò lui < Ormai sono grande > mi guardò, sbattendo le lunghe ciglia che incorniciavano gli occhi neri grandi, gli stessi di suo padre.
< Facciamo così: tu lo metti, mangi due bocconi e se mi dimostri che sei abbastanza bravo da non sporcarti io te le lo tolgo > proposi
< Affare fatto > mi sorrise prontamente.
Gli annodai il bavaglino e poi iniziai a mangiare, imitando i miei genitori e controllando di sottecchi Alex.
Mamma gli versò un po' di coca cola nel bicchiere e gli fece l'occhiolino.
 < Attento Alex, mettici un poco d'acqua o frizzerà di nuovo > lo avvisai.
< Va bene > afferrò la bottiglia d'acqua e ne versò il minimo indispensabile per evitare che le bollicine della coca lo infastidissero nuovamente e poi portò alle labbra il bicchiere. Lo guardai bere e quando riprese a mangiare mi concentrai di nuovo sul mio piatto.
< Ci sai fare con i bambini, Phoebe. Non ne avevo idea > disse mamma
< Non lo sapevo nemmeno io > dissi, arruffando i capelli del piccolo seduto accanto a me.
Papà rimase silenzioso, guardando prima la mamma e poi me, con l'espressione impassibile. Sapevo bene che quando si comportava in questo modo voleva celare le sue emozioni e io invece avevo un disperato bisogno che lui mi lanciasse qualche indizio a proposito della situazione con Ryan.
< Mr Hoock è molto soddisfatto di quello che sei riuscita ad insegnare ai suoi dipendenti. > disse dopo un po'.
< Bene > dissi, anche se non ero molto convinta che tutti i suoi dipendenti avessero preso sul serio l'ultima riunione. < Ci saranno altri incontro? >
< Non credo ce ne sarà bisogno. Ormai l'anno nuovo è alle porte e ho bisogno che Hoock e i suoi girino quanto hanno imparato agli operai dei cantieri navali per poter essere finalmente in regola >
< Non lo erano fino ad ora? > chiese mamma, stupita
< Si, ma ci sono state delle nuove leggi che implicavano la conoscenza di qualche tecnica in più del primo soccorso e così ho preferito riprendere in mano tutto la procedura. >
< Oh, capisco. >
< Quindi il mio aiuto non è più richiesto, giusto? > domandai ansiosa di avere una risposta affermativa.
< Esatto > papà mi guardò con la fronte corrucciata.
< Okay > quella risposta mi serviva per mettermi in pace con la mia coscienza. Sapere che non avrei avuto più niente a che fare con quel progetto mi rendeva più tranquilla: significava che su papà non si sarebbe poi abbattuta più di tanto la tempesta che invece sembrava voler scuotere me, violentemente.
Avevo partecipato a due riunioni, e tutte e due erano avvenute prima che io sapessi della denuncia e del processo, quindi la GEH non sarebbe stata intaccata.
Tirai mentalmente un sospiro di sollievo.
< Qualcosa non va? > chiese papà
< No, no. Tutto a posto > continuai a mangiare.
< Phoebe, mi togli il bavaglino? Non mi sono sporcato > disse Alex.
< Subito > dissi prontamente, slacciando il nodo e sfilandogli il bavaglino.
< Grazie >
< Di nulla >
< Allora Alex, dicci un po', che vuoi fare da grande? > gli chiese papà
< Costruire aerei >
< Bella scelta. > gli disse serio.
< Lo so > fece il bambino. < Ma papà dice che dovrò studiare molto >
< Non ti piace studiare? > chiese mamma
< Si, ma preferisco fare qualcos'altro >
< Ad esempio? >
< Costruire gli aerei con i lego e così posso imparare a costruire quelli veri > spiegò. Scoppiammo tutti a ridere e lo guardammo con benevolenza.
< Non funziona proprio così > gli disse papà
< Oh? >
< Per poter costruire aerei dovrai studiare da molti libri e guardare un sacco di pezzi di motore veri e non dei lego >
< Come quelli delle macchine che aggiustava papà? >
Ryan aggiustava auto? Aveva fatto il meccanico? Mi aveva parlato vagamente di una serie di lavori che aveva svolto per poter mantenere il figlio ma non mi aveva mai detto di cosa si trattava.
< E' possibile > dissi, per togliere dall'impiccio sia mamma che papà che non sapevano cosa rispondere perchè probabilmente erano sorpresi quanto me da quella domanda.
< E tu che lavoro fai? > chiese guardando papà
< Io sono un imprenditore >
< Che vuol dire? > chiese curioso
< Che mi occupo di tante cose > disse velocemente papà, evitando di inoltrarsi con un noioso discorso di cui probabilmente il bambino non avrebbe capito nulla.
< Anche di costruire aerei? >
< Potrei pensarci. Per il momento costruisco navi >
< Ma gli aerei volano, sono più belli >
< I ragazzi e i loro giocattoli > disse mamma ridacchiando
Papà la fisso per un momento e poi sorrise, quando la vide ridere.
< Lo sai che il mio papà ha un elicottero e un aereo tutti suoi? > dissi ad Alex
< Davvero? > fece lui sgranando gli occhi, sorpreso
< Si > annuii
< Dove ce li ha? >
< Lontano da qui. > intervenne papà < Ma posso portarti a fare un giro sull'elicottero, se tuo padre è d'accordo >
< Si che è d'accordo > fece lui emozionato < Potrebbe venire anche lui! Vieni anche tu, Phoebe! > esclamò, aggrappandosi al mio braccio.
< Va bene, va bene > acconsentii, afferrando le sue mani nelle mie per poi chinarmi a baciargli la guancia liscia.
 
Stavo seduta in cucina a guardare dal computer dei video a proposito di nuove tecniche operative per asportare la milza ingrossata in pazienti in età avanzata.
Erano  interventi molto avanzati scientificamente e sarebbero servite apparecchiature decisamente all'avanguardia che non tutti gli ospedali potevano permettersi.
Alex stava seduto di fronte a me, mentre simulava una guerra tra i due manichini che gli avevo regalato. Alla fine li avevamo trovati, erano sotto il letto della camera degli ospiti in cui stavano dormendo lui e Ryan.
< Eccoti, finalmente. Non ti trovavo > disse Ryan al figlio.
< Ciao papà. > lo salutò il piccolo agitando i pupazzetti.
< Ciao, andiamo a letto? >
< No > disse lui continuando a giocare
< Alex, è tardi >
< Ma sto giocando! > protestò
< Su, coraggio. Giocherai domani. Sono quasi le undici >
< E va bene > mollò i giocattoli sul ripiano del bancone e scese dallo sgabello per seguire il padre verso la stanza da letto.
Ryan mimò un "aspettami" con le labbra ed io annuii, tornando a prestare la mia attenzione allo schermo del computer.
Tutte quelle cose mediche nuove mi incuriosivano ma mi facevano solo arrabbiare.
Avrei mai potuto provarle? O sarei stata costretta a dissanguare un altro manichino, per poter aggiornarmi anche io?
Odiavo il fatto di sentirmi così insicura su qualcosa. Non era assolutamente da me. Ed invece ora avrei dovuto aspettare il processo, affrontarlo e poi aspettare il verdetto.
Mai come in quel momento desiderai ardentemente che Abby si trasformasse nello squalo che Ted mi aveva detto fosse quando si trattava di lavoro.
 Il mio cellulare squillò e lo tirai fuori dalla tasca per poter vedere chi fosse. Ava.
< Ciao > le rispose
< Hei, come va? >
< Bene. Male. > dissi, sospirando
< Problemi con quella brutta storia, vero? > capì all'istante.
< Si >
< Puoi parlare? >
Ricordai che Ryan mi aveva chiesto di aspettarlo, quindi non avevo molto tempo per poterle spiegare tutto e poi mi trovavo a casa, il che significava orecchie pronte a captare ogni tipo di particolare ovunque.
< No, è meglio di no >
< E' molto grave? >
< Abbastanza >
< Sei a casa domani? >
< Magari potremmo uscire e così potremmo parlare un po'? >
Il fatto di avere qualcuno con cui poter parlare mi fece sentire decisamente meglio. Sapere che avrei potuto raccontare tutto, i miei dubbi, le speranze, le paure, mi fece sentire meno sola in quella situazione e tirai un sospiro di sollievo.
< Va bene > acconsentii, felice di avere un'amica coma mia cugina.
< A domani, Grey >
< A domani Grey > le feci eco e poi riattaccai.
Spensi il computer e salii in camera mia per metterlo al suo posto, sulla scrivania.
La mia attenzione fu catturata da una foto. C'eravamo io Ava e Ted da bambini, tutti e tre vestiti allo stesso modo mentre ci abbracciavamo stretti sorridendo e facendo facce buffe all'obiettivo che ricordo teneva zio Elliot.
Era il compleanno di Ted ed il tema era "calcio", ecco perchè avevamo tutti e tre la stessa divisa: pantaloncini bianchi e maglia verde. A me ed Ava obbligarono a fare le trecce, e così sembravamo due Pippi Calzelunghe, mentre Ted, li al centro tra noi due aveva l'aria di un clown, con la faccia tutta sporta di rossetto.
Ricordavo ancora quel giorno. Io e Ava avevamo rincorso Ted fino a riuscire a prenderlo ed imbrattargli la faccia con il rossetto di mamma perchè ci aveva costrette a vestirci come due maschi, quando ci sarebbero stati tutti i suoi amici presenti.
Sorrisi al ricordo di quanto spensierati e felici eravamo da bambini. Nessun preoccupazione, nessun rimorso, niente. Solo la voglia di correre e scherzare e giocare assieme e condividere tutto.
Posai la foto al suo posto ed uscii dalla camera per tornare in cucina dove avrei dovuto aspettare Ryan.
Una mano mi afferrò il polso e mi spinse di nuovo dentro la mia camera.
Una volta chiusa la porta, mi ritrovai faccia a faccia con il suo bel visto, gli occhi neri che fissavano i miei intensamente.
< Non dico che tuo padre ci ha dato la sua benedizione, ma non sono stato licenziato. Direi che siamo liberi > mi schiacciò contro la porta, premendo il suo bacino contro il mio.
< Oh bene. Significa che la smetterai di piombarmi addosso all'improvviso, piccolo Taylor? > intrecciai le mie mani dietro al suo collo, avvicinando i nostri corpi.
< Mi piace piombarti addosso, dottoressa >
< Ah, si? > mi sporsi per baciargli le labbra.
< Si > contraccambiò il bacio.
I suoi occhi rimasero fissi nei miei mentre mi accarezzava con un mano i capelli e con l'altra seguiva il contorno nelle mie labbra.
< Sei così bella che fa male guardarti > sussurrò, soffiando con il suo fiato caldo sul mio viso
< Allora chiudi gli occhi, Ryan. Lascia che sia io a guardare te > mormorai, iniziando a sbottonare la sua camicia.
  
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