Istanbul
Muharram 909
(Luglio 1503)
l kijil sfuggì alla presa di Yusuf e finì a terra descrivendo un lungo arco aggraziato.
La sensazione del filo perfetto di una sciabola siriana contro la gola è sempre inquietante, anche se la mano che la regge appartiene a un amico fidato.
— Adesso basta, Yusuf. — Amir aveva il fiato corto. — Se vuoi morire, il colpo di calore non mi sembra una soluzione onorevole. —
Il cortile degli allenamenti era schiacciato da un sole implacabile e la polvere danzava nell’aria tremolante.
Yusuf non rispose, si sottrasse alla minaccia con un movimento fluido e si avviò verso il kijil a passo deciso, sfilandosi la camicia zuppa di sudore.
Interdetto per l’atteggiamento dell’amico, che raramente aveva visto così cupo in tutta la sua vita, Amir rinfoderò la sciabola e si portò sotto la tettoia che circondava il cortile, dove afferrò un orcio d’acqua e bevve avidamente. Yusuf lo raggiunse all’ombra, e Amir gli porse l’orcio senza dire nulla. Aveva sospettato fin dall’inizio che quell’allenamento fosse una scusa e che il nuovo Maestro degli Assassini Ottomani avesse qualche boccone amaro da ingoiare… o da sputargli addosso. Ostinato nel suo silenzio, il siriano si accasciò su una panca, asciugandosi il sudore con il dorso della mano.
Yusuf continuava a tacere, togliendo la polvere dal kijil con la camicia ormai ridotta a uno straccio. Sembrava voler prendere tempo.
— Mi hai disarmato. — disse finalmente.
— Mi sembra sia già successo, qualche volta. — ribatté Amir senza dare troppo peso alla cosa.
— E quante volte l’ho fatto io? —
— Qualcuna di meno, direi. —
— Quindi sei più bravo di me. —
Amir aggrottò le sopracciglia.
— Quante lingue conosci? —
— Io… bè… —
— Quante trattative hai chiuso con successo? —
— Abbastanza direi, ma… —
— Mai disobbedito agli ordini? —
— No… —
— Mai agito di tua iniziativa senza informare i superiori? —
— Almeno una volta. C’eri anche tu, mi pare. —
— Giusto, quella non conta. —
Una breve pausa.
— Tieni il conto di quelli che hai perso sotto il tuo comando? —
— Sì, e lo sai. Tutte queste cose che mi chiedi, già le sai, dove vuoi arrivare? —
Yusuf rinfoderò il kijil con un gesto secco.
— E allora, perché io, Amir? —
Gettò con rabbia la camicia sulla panca e allargò le braccia, alzando gli occhi verso il cielo.
— PERCHE’ IO? —
Amir non rispose.
— Dovevi essere tu. — disse l’altro lasciando cadere le braccia. — Il più delle volte mi sembra di non riuscire a sopportare il peso di questa responsabilità. —
Crollò sulla panca accanto all’amico, appoggiandosi con la nuca contro il muro.
— Quando mi chiamano Maestro neanche mi giro. —
Amir rise.
— E’ perché non mi rendo conto che stanno parlando con me. Persino Ràhel ha preso a chiamarmi Maestro. —
— Anche in privato? — chiese Amir con una punta di malizia.
Yusuf si voltò a guardarlo con un sorriso storto.
— Qualche volta…—
— E la cosa presenta dei… vantaggi? —
Yusuf gli allungò una gomitata nelle costole, ridendo, ma quello sprazzo di allegria durò ben poco.
— Zuhre mi ha incastrato per bene. — sospirò.
— Zuhre era saggia. — replicò Amir. — Una scelta particolare da parte di Ishak mettere una donna alla testa della Confraternita, ma nessun uomo avrebbe potuto essere migliore di lei. —
— E una scelta rischiosa da parte di Zuhre mettere me al comando. Perché credi lo abbia fatto?—
— Forse perché lo meritavi? —
— Non ne sono così convinto…—
Una lampo di esasperazione attraversò il viso di Amir.
— Mi chiedo dove sia finito l’Assassino che passava la metà del suo tempo a combattere e l’altra metà a raccontare le sue vittorie con toni fin troppo enfatici. Dov’è l’uomo che mi ha convinto a uscire in caccia di chi aveva tradito il Maestro, perché desiderava solo per sé, e per me, la vendetta di tutta
Yusuf fissava il vuoto, lo sguardo oscurato dai ricordi.
— Un capo prende iniziative. — continuò Amir. — Ispira i suoi uomini, trasmette loro coraggio e li spedisce in braccio alla morte. Condivide la vittoria, la sconfitta e tutto quello che portano con chi ritorna. Onora i morti e rincuora i vivi. —
— Posso fare tutto questo, Amir? —
Il siriano sorrise, stringendo la spalla dell’amico.
— Puoi farlo. Non hai fatto altro da quando ti conosco. Non devi cambiare te stesso per guidare al meglio
Yusuf si alzò e raddrizzò le spalle.
— Un altro scambio? — chiese posando la mano sull’elsa del kijil.
— Non credo tu abbia tempo. — rispose l’altro indicando Ràhel che stava attraversando il cortile rovente.
— Una persona vuole vederti, Maestro. — annunciò la ragazza.
Amir ridacchiò, mentre Yusuf alzava gli occhi al cielo. Ràhel spostò lo sguardo da uno all’altro, perplessa.
— Il Comandante Haci Ahmed Muhiddin Piri ti aspetta nello studiolo. — continuò.
— Forse dovresti vestirti. — aggiunse con un sorrisetto.
— Il Comandante…— Yusuf gettò uno sguardo sconsolato alla camicia appallottolata sulla panca.
— Gli ho detto che ti stavi allenando, quindi credo che non si offenderà se ti prendi un po’ di tempo per renderti… presentabile. —
— Grazie, Ràhel. —
Mentre attraversavano il cortile diretti all’uscita, Yusuf pensò che non si sarebbe mai immaginato che l’ex Comandante Ottomano potesse presentarsi di persona al Covo interrompendo i suoi allenamenti, né riusciva a figurarsi il motivo di quella visita.
Dovrò farci l’abitudine…