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Autore: TurningSun    23/06/2014    3 recensioni
L’uomo guardò il pavimento mentre incrociava le braccia al petto. “Io… Io ho bisogno di tempo.”
“Tempo per cosa?”
“Pensare. Sally, tu sei favolosa e anche Percy lo è, ma…” Sally rimase immobile aspettando la frase fatidica ‘ma non posso vivere con una donna tanto disastrata’. Invece quello che arrivò dopo fu ancora peggiore. “Tu sei innamorata ancora di Poseidone?”
[Prima Classificata al contest di King Peter "Why Rick Riordan wants to Kill me?"]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Paul Blofis, Poseidone, Sally Jackson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sono tornata con una nuova storia per un nuovo contest! Com'è che ogni volta che mi dico "basta, ora non devi più guardare nella sezione contest" poi ci vado e trovo contest allettanti, come questo?!
Il pacchetto che ho scelto è stato #04 Annabeth Chase   e spero di averlo utilizzato al meglio!

Come sempre, consiglio la lettura accompagnata dalle canzoni che ho inserito nella storia Not with haste e White Blank Page entrambe dei Mumford & Sons. Sì, lo so, scrivo sempre grazie a loro, ma che ci volete fare? Mi danno grandi ispirazioni! *__*





 
With urgency but not with haste
 
 
 

 
I.
 
 
We will run and scream
You will dance with me
We'll fulfill our dreams
And we'll be free
And we will be who we are
And they'll heal our scars
Sadness will be far away.
 
 
Rise.
Sally Jackson rise mentre la pioggia le bagnava i capelli, i vestiti e i libri.
Rise perché Paul cercava inutilmente di proteggersi con l’ombrello distrutto dal vento.
Rise perché quel temporale li aveva colti alla sprovvista mentre lui la accompagnava verso il suo appartamento.
Rise perché, dopo tanto tempo, si sentiva libera di farlo, di nuovo.
Si fermarono sotto il portico del palazzo in cui abitava Sally e si guardarono.
“Siamo completamente fradici!” Lo stomaco le faceva male, così come i muscoli del viso, per tutto quel ridere.
“E il mio ombrello è al quanto defunto!” Rise Paul, osservando il proprio ombrello completamente ricurvo all’indietro. “Credo che dovrò tornare al mio appartamento saltando da un albero ad un altro.”
Sally trovò le chiavi di casa e chiuse la borsa con un gesto secco della zip. “Dovresti star attento che Zeus non ti scagli contro un fulmine.”
“O Odino. Entrambi hanno una particolare propensione per eventi catastrofici!”
“Puoi ben dirlo!” Sally lo guardò ancora una volta chiedendosi se con lui avrebbe potuto parlare seriamente di mitologia e svelargli il proprio passato o se anche lui sarebbe stato l’ennesimo uomo con cui il proprio passato fosse off limit. “Perché non sali un attimo? Aspetta che questo brutto tempo passi.”
“Non sono sicuro che passerà alla svelta.”
“In quel caso, faccio un ottimo tè!”
 
 
Sally posò la tazza verde sul tavolino di fronte al divano su cui Paul si era sistemato, con addosso una camicia e un paio di pantaloni appartenuti a Gabe. Erano le uniche cose del suo misteriosamente scomparso marito che aveva trovato in fondo all’armadio e che non puzzavano né di birra né di sudore: tutti gli altri indumenti li aveva buttati via nel momento in cui aveva venduto all’asta la statua raffigurante un uomo terrorizzato.
Paul era più magro di almeno una taglia e sembrava quasi un ragazzo nei panni del padre. “Il tè e buonissimo e grazie per i vestiti.”
“Figurati, non so nemmeno perché li abbia tenuti.” Prese un sorso di tè alla vaniglia e strinse la tazza tra le mani.
“Con i miei alunni oggi ho parlato di mitologia greca. Si sono divertiti molto nel sentire le varie storie, soprattutto quelle degli dei!”
“Loro detengono il premio di soap opera immortale.”
“A volte mi sembra che tu ne sappia più di quanto voglia far credere.”
 
 
“Quindi, correggimi se sbaglio, tuo fratello Zeus è padre di almeno altre venti divinità e questo fa di te uno zio!”
Poseidone roteò gli occhi, disperato. Stava cercando di baciare Sally sul collo da almeno mezz’ora, ma lei continuava a fare domande. “Non sono zio di nessuno!”
“Ma Atena è uscita fuori dalla testa di tuo fratello!”
“Sì, ma non è mia nipote. È la noiosa dea della saggezza!”
Sally rise e sfogliò le pagine del libro che si era presa in biblioteca: ‘Mitologia greca per principianti’. “Va bene, ora. Efesto. Lui è sposato con Afrodite, ma Ares gliela ruba ogni tanto per farci qualche scappatella.”
“Sally, non puoi parlare così delle divinità!” Poseidone la guardava allibito, anche se cercava di nascondere le risate.
“Ma è così, vero? Eddai, dimmi qualche gossip!” Aveva avvicinato il viso a quello del dio con gli occhi adoranti. Anche questa volta aveva fatto centro: Poseidone rise e si grattò la barba, pronto a raccontare un’altra storia riguardante la propria famiglia.
“Diciamo che Afrodite preferisce uomini aitanti e tutti sappiamo delle sue scappatelle con Ares. Ad esempio, qualche tempo fa, Hermes li ha trovati a baciarsi in una panchina di fronte al suo negozio, qui a New York.”
“Voi siete meglio delle soap opera!”
“Tu sei meglio della mia famiglia.” Aveva sussurrato prima di baciarla. Per quel giorno non avrebbe risposto ad altre domande.
 
 
Sally alzò lo sguardo dal proprio tè: Paul la stava guardando incuriosito. “Non è vero…”
“Disse la ragazza che rideva ad ogni foto di Poseidone.”
“Beh, era proprio orribile! E poi ti ricordi solo quello di me? Credevo di aver lasciato un segno più grande!”
La prima volta che incontrò Paul erano ad un seminario su ‘La mitologia greca nella letteratura moderna’. Il professore che discuteva sembrava orgoglioso delle foto riguardanti gli dei, che faceva scorrere sul maxischermo. Sally non si era potuta trattenere dal ridere quando il professore nominò Poseidone, Signore dei Mari, Signore dei cavalli e Scuotitore della terra mentre sullo schermo appariva un uomo con una lunga barba bianca, il tridente e un lenzuolo bianco che lo copriva. Non riuscì a trattenersi nemmeno alle successive quattro foto che ritraevano Poseidone in tutta la sua bianco-barbuta gloria.  Il professore l’aveva apostrofata dicendole che se la facevano ridere tanto allora avrebbe dovuto dire lei che aspetto avesse il temibile Dio dei Mari. Sally si era scusata e aveva abbassato la testa sul proprio blocco degli appunti per non guardare più quel Poseidone.
 
 
 
II.
 
 
So tell me now where was my fault,
in loving you with my whole heart?
Oh, tell me now where was my fault,
in loving you with my whole heart?
 
 
Era una settimana che Paul non la chiamava né rispondeva agli sms che gli aveva mandato.
Forse era impegnato, tanto da non poterle mandare nemmeno un « Sono vivo » o un banale « Ciao. Ho da fare. A presto ».
Sally poteva accettare qualsiasi messaggio: l’importante era che Paul si facesse vivo. Le bastava già avere Percy che ogni estate sembrava dover sparire per almeno un mese e non farsi vivo, facendole così patire giorni pieni di ansia. Era la vita di un semidio, ok, ma Paul era un insegnante di Letteratura inglese alle superiori!
Guardò il telefono per l’ennesima volta. Nessun messaggio e nessuna chiamata.
Sospirò e prese le chiavi dell’auto: sarebbe andata a casa sua e si sarebbe appostata davanti al suo portone, tutto il giorno se necessario.
Almeno fino a che non dovrò andare al lavoro.
Parcheggiò l’auto lungo la strada e andò a suonare il campanello con abbastanza veemenza.
“Sì?”
“Sono Sally. Aprimi, Paul.” Aveva parlato cercando di trattenere la rabbia, ma la voce era uscita comunque dura, perfino alle sue orecchie.
Il portone fece un clic e Sally entrò. Salita al quinto piano, trovò Paul che la aspettava alla porta con addosso dei bermuda e una maglietta degli Yankees. “Dobbiamo parlare, non credi?”
Paul le fece cenno di entrare in casa. “Entra.” Prima che potesse proferire un’altra parola, Sally lo anticipò lasciando che tutta la rabbia e la frustrazione permeasse la sua voce.
“Sette giorni. Sette giorni, Paul! Credevo che stessimo insieme, invece devo essermi inventata tutto!”
“Sally…”
“Ti ho invitato al compleanno di mio figlio, hai parlato con lui e credevo che le cose si fossero sistemate una volta nella mia vita. Invece, no! Imbuchi mio figlio nella tua scuola e mi lasci!”
Paul la guardò confuso. “Mi stai incolpando di aver fatto ammettere Percy nella mia scuola?”
“No! Ti sto dicendo che da una settimana non rispondi alle mie chiamate e nemmeno ai miei messaggi. Che cosa significa, Paul?” Aveva sospirato l’ultima frase, stanca che la sua vita non assumesse mai una piega felice e tranquilla per più di tre mesi.
L’uomo guardò il pavimento mentre incrociava le braccia al petto. “Io… Io ho bisogno di tempo.”
“Tempo per cosa?”
“Pensare. Sally, tu sei favolosa e anche Percy lo è, ma…” Sally rimase immobile aspettando la frase fatidica ‘ma non posso vivere con una donna tanto disastrata’. Invece quello che arrivò dopo fu ancora peggiore. “Tu sei innamorata ancora di Poseidone?”
Non sapeva se scoppiare a ridere o urlargli contro. “Sei impazzito?”
“Da quando quel Poseidone si è presentato al compleanno di Percy, sei cambiata! Parli sempre di Montauk, prepari dolci blu e metti musiche anni ottanta! Quando entro in una stanza e stai parlando con Percy, smettete di parlare come se non dovessi ascoltare! E se provo a baciarti, sei sfuggente. Che diamine dovrei pensare?” Aveva alzato la voce, ma il suo tono non era duro: era disperato.
 
 
Era disperata. Forse era colpa degli ormoni sballati o del fatto che Poseidone non si facesse vedere da alcuni giorni poiché era tornato in mare ‘per problemi interni del regno’.
Lo sapeva bene lei quali erano i problemi del regno: la moglie! Come aveva potuto essere tanto stupida da mettersi con un dio sposato?
“Poseidone!” Urlò contro il mare che si muoveva minaccioso sotto il vento freddo di aprile. Si accasciò sulla sabbia, passando le mani sul ventre leggermente pronunciato. “Perché? Perché?”
Si sentì sollevare da due braccia forti mentre il profumo di mare la invase. “Finalmente.” Sussurrò nascondendo il viso contro la spalla di Poseidone.
“Non dovresti stare fuori con questo freddo, Sally. Può far male al bambino.” Disse il dio dopo averla portata all’interno della loro casa e averla adagiata sul divano.
“Come se te ne importasse.”
“Cosa ti fa credere che non mi importi di voi?” Replicò duro. “Sono stato via…”
“Da tua moglie!” Urlò Sally con le lacrime agli occhi. “Se mi amassi davvero, tu la lasceresti!”
Poseidone la guardò a lungo prima di rispondere. La voce era calma e bassa. “Sei stanca, Sally.” Fece per andare in cucina, ma lei lo fermò per un polso.
“Perché mi hai incastrata? Perché sei tornato da lei? Hai detto di amarmi più di chiunque altro.”
“Ed è vero. Ti amo più di qualsiasi altra donna o ninfa marina che sia mai stata al mio fianco. Ma come posso ammettere a mia moglie che penso a te tutto il tempo? O che mi preoccupo per te più che per chiunque altro? Come posso ammettere che non so cosa farei se ti accadesse qualcosa di male? Sono Poseidone, Sally, e per quanto voglia essere un essere umano e vivere il resto dei miei giorni con te, non posso.”
Sally gli accarezzò la barba e portò il suo viso a pochi centimetri dal proprio. “Mi dispiace. Non avrei potuto desiderare un destino migliore di questo.” Con la mano libera, prese quella di Poseidone e lo portò alla propria pancia, dalla quale provenne un piccolo colpetto. “Perseus.”
 
 
Sally si avvicinò a Paul e strinse le sue mani tra le proprie. “Non sono innamorata del padre di Percy da molto tempo ormai. Io sono innamorata di mio figlio come lo sarebbe una madre e sono innamorata di te, Paul Blofis, che mi sproni ogni giorno ad avere la vita che ho sempre sognato.”
“Da come hai reagito quando lui è venuto a trovarvi non si direbbe.”
La voglia di raccontargli tutto si fece ancora una volta largo tra i suoi pensieri, ma la paura la bloccò prima che potesse parlare. Se aveva paura di perderla a causa di un padre umano, al sapere che Poseidone è davvero il Dio del mare, sarebbe scappato immediatamente.
“Pensa alla mia situazione, tu eri al compleanno di mio figlio e lui si è presentato. Non lo aveva mai fatto prima.” Gli accarezzò la guancia su cui era cresciuta un po’ di barba. “Paul, io non lo amo più.”
Un leggero sorriso incurvò le labbra dell’uomo, che stava passando le braccia attorno alla vita di Sally, nello stesso momento. “Davvero?”
“Davvero.”
Paul la baciò con urgenza mentre le sue mani vagavano sotto la maglietta di Sally. “Pace?”
“Sì.”
Sì, pensò Sally, avrebbe aspettato il momento giusto per parlargli del suo passato. In quel momento, doveva pensare al suo presente.
 
 
 
 
III.
 
 
 Do not let my fickle flesh go to waste
As it keeps my heart and soul in its place.
And I will love with urgency
But not with haste
 
 
Sally sedeva nel sedile del passeggero della Prius di Paul, diretti verso un ristorante. Paul era stato categorico: è una sorpresa, non saprai dove stiamo andando finché non leggerai l’insegna!
Ma con un paio di baci era riuscita a strappargli un ‘ristorante’ soffocato e per lei era stato sufficiente.
Ora stavano guidando verso ovest da almeno venti minuti e i grattacieli di New York stavano diventando un perfetto sfondo dietro di loro.
Sulla loro sinistra, Sally vide la Statua della Libertà illuminata e capì di essere nel New Jersey. Non era mai stata a ovest di New York: aveva passato la vita tra la Grande Mela e quel breve, ma magnifico periodo a Montauk.
Paul fermò l’auto di fronte ad un ristorante che dava sull’Hudson. “Ora, puoi aprire gli occhi.”
“Quando mi hai detto di chiuderli?” Stava per scendere dall’auto, ma Paul la precedette alla portiera e la aprì, con galanteria. “Oh, grazie.”
Era abituata alla sua gentilezza, ma le faceva sempre un certo effetto essere trattata in quel modo. Percy diceva che finalmente aveva trovato un uomo che la rispettava e Sally non poteva che dargli ragione.
Stavano insieme ormai da un anno e mezzo e si era ritrovata più volte a pensare che finalmente la fortuna aveva girato dalla sua parte. Prese la mano di Paul e lo guardò: aveva i capelli pettinati, il volto rasato e gli occhi riflettevano il sorriso che aveva sulle labbra; si era messo il suo completo migliore e le scarpe buone.
 
 
Finita la cena, Paul la portò a camminare lungo il fiume. Da una parte, i grattacieli di New York brillavano in tutta la loro grandezza, come alberi di Natale, e dall’altra la Statua della Libertà, che emanava un’aurea di solennità.
“È davvero bellissimo qui. Dovremmo tornarci più spesso.” Dichiarò guardando ancora quel panorama meraviglioso.
“Sì, lo credo anche io.” Paul la stava fissando in adorazione, poi parlò con voce malferma. “Sally… Ehm, puoi… Devo chiederti una cosa.”
“Dimmi pure.” Tante ipotesi le si accavallarono in mente, mentre lo guardava mettere una mano nella tasca interna della giacca e inginocchiarsi di fronte a lei. Oh mio dio… Si portò una mano sulle labbra per fermare ogni parola che potesse pronunciare.
“Sally Jackson, dalla prima volta che ti ho visto in quell’aula ad oggi ho passato momenti che mai avrei immaginato fino a due anni fa. Sei una donna fantastica, indipendente, passionale e intelligente. Io sono solo un professore di Letteratura che adora tutto ciò che è antico e so di non poterti dare molto, ma credo di avere una cosa che nessun altro potrà mai darti: ti amo, Sally Jackson.” Parlò guardandola negli occhi con sicurezza, grazie alle lacrime che scendevano sulle guance di Sally. Aprì la scatola di velluto e mostrò l’anello di topazio blu. “Vuoi diventare mia moglie?”
 
 
“Dovresti diventare mia moglie.”
Sally si girò interrogativa verso Poseidone, con in braccio Percy che succhiava avido il latte dal biberon. “Non starai dicendo sul serio…”
“No, sono serio. Tu meriti di essere la mia regina. Avrei dovuto farlo molto prima che Perseus nascesse e che la vostra vita prendesse questa piega.”
“Quale piega? A me sembra una vita perfetta. Sì, Percy potrà avere problemi quando sarà grande, me lo hai già detto, ma hai anche detto che c’è quel Campo Mezzosangue e che lì sarebbe al sicuro. La mia vita è perfetta così com’è.”
Poseidone la guardò triste e sorpreso. “Non vuoi sposarmi?”
Sally tolse il biberon a Percy e gli diede dei piccoli colpetti sulla schiena finché non diede segno di aver digerito il suo pasto. Lo adagiò sulla sua culla e tornò a guardare Poseidone. “Cosa cambierebbe per me se ti sposassi? Dio sa quanto vorrei diventare tua moglie, ma tu hai già una moglie e non è una semplice umana. Poseidone, io non potrei mai essere tua moglie.”
“Ti avrei fatto dea.”
Sally sorrise amaramente e lo abbracciò, annullando la distanza tra di loro. “Mi dispiace così tanto. Ma Percy deve vivere come un bambino normale e per me non c’è posto nel tuo mondo.” Sentì la stretta di Poseidone più forte attorno a lei, mentre tremava quasi impercettibilmente. Si scostò di poco, quel tanto per guardarlo negli occhi e vederli lucidi. “Dispiace anche a me.”
 
 
“Sì! Sì, sì, sì! Voglio essere tua moglie!” Si era accovacciata di fronte a lui e l’aveva baciato sulle labbra ad ogni parola, poi lo strinse a sé finché non lo sentì sussurrare. “Percy aveva ragione.”
“Cosa c’entra Percy?”
Paul sorrise imbarazzato. “Gli ho chiesto il permesso di chiederti di sposarti. Sai, è l’uomo di casa e ho pensato che fosse giusto così.”
“Hai chiesto a Percy…” Lo baciò di nuovo. Il cuore sembrava esploderle nel petto e la testa essere leggera come una nuvola.
“Lo avviseremo appena torneremo a casa, ti va bene?”
“Paul Blofis, questa sera puoi fare della tua futura moglie tutto ciò che vuoi.”
“Oh!” Esclamò allo sguardo eloquente che Sally gli aveva appena scoccato. “Prima ti metto l’anello, poi torniamo a casa.” Prese il gioiello e lo mise al suo anulare sinistro. “La futura Signora Blofis. Mi piace!”
“Piace anche a me.”
 

 
 
Fine
 
  
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