Ventitrè giugno: scatoloni di memorie.
“E questi dove li mettiamo?”
“In soffitta, dove sennò?”
“E tutte queste cose finiranno tra polvere e macerie?”
“Non fare il sentimentale; sono solo scartoffie.”
“Ma non le senti respirare?”
“In soffitta, dove sennò?”
“E tutte queste cose finiranno tra polvere e macerie?”
“Non fare il sentimentale; sono solo scartoffie.”
“Ma non le senti respirare?”
Ci sono tanti libri e tanti scatoloni;
la polvere fluttua a piccoli sbuffi,
levigata dalle tenui correnti d’aria:
nella stanza c’è odore di vecchio, di obsoleto.
Un po’ ovunque – guarda qui e guarda là –
giacciono queste carcasse di lettere mai spedite;
inutili ed inermi cadaveri lasciati ad imputridire
tra il legno e le tarme che lo corrodono;
mi chino, facendo gorgogliare il pulviscolo dorato,
e ne raccolgo una, due, tre; le sfioro con le punte delle dita;
le annuso – la goccia di profumo è ancora lì,
ancorata alla cellulosa maciullata – e ne rivelo il ventre segreto:
sono lettere d’un amore rattrappito, come le foglie d’inverno;
esile ed effimero come la vita d’una falena condannata;
mi abisso nelle parole liquide e singhiozzano in me quei rimorsi,
quelle voci taciute e mai liberate nei decenni.
Ci sono domande e ci sono i perché, ma non c’è la risposta principale:
il destinatario è stato lavato via dagli Anni;
rimane solamente una triste e malinconica sbavatura;
le lacrime del passato sopraffatto dal presente.
*