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Autore: fragolottina    27/06/2014    22 recensioni
"Ogni sei mesi tutti i ragazzi di tutte le scuole dello stato, di età compresa tra i diciassette ed i venti anni, venivano sottoposti ad un test.
Tutti i test erano spediti direttamente alla sede centrale dell’ADP a Vernon, dove erano analizzati, smistati e valutati.
C’erano tre responsi possibili: il primo, ragazzo normale, potevi continuare la tua vita come se niente fosse successo; il secondo, potenziale Veggente, non eri arrestato – od ucciso, come ebbi modo di scoprire in seguito – come un Veggente attivo, ma ad ogni modo eri obbligato a sottoporti a test clinici per valutare la tua resistenza al Mitronio, per calibrare una cura su misura; il terzo, potenziale Vegliante, un soldato, una risorsa del governo, da quel giorno la tua missione era quella di dare la caccia ai Veggenti attivi.
A quanto pareva, io ero una potenziale Vegliante."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Synt'
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MSC19 fragolottina's time
voi non lo sapete, ma qui, dietro di me, a mo' di avvoltoio sulla spalliera, c'è Cameron Wilde in veste della mia coscienza che mi fa "Com'era, fra'? l'arte è tutta completamente inutile?".
c'è della critica in questa storia? è tutta una critica.
ma capitemi, vivo in un mondo in cui mi sono laureata in letteratura inglese e mi tocca sentirmi chiedere da persone di dubbia intelligenza, ma comunque più affermate socialmente di me, se conosco "un certo Orwell"... siate sincere, girerebbero anche a voi!
quindi, Cam, sta zitto!
e voi prendete da questa storia quello che vi piace, le motivazioni che mi spingono a scriverla non dovrebbero condizionare la vostra lettura, io non voglio che lo facciano...
e dopo questa bella introduzione fuori argomento, vi lascio al capitolo...
attenzione, c'è il "kleenex alert", l'autrice consiglia di leggerlo in presenza di fazzolettini.


25.
Romeo


«Lo so che è da vigliacchi.» disse Nate a Zach.
    Gli risposero solo i vari bip dei macchinari intorno a lui. «Ho perso Becky, stiamo continuando a cercarla ogni notte. Siamo solo io, Matt e Jared perché tu sei qui e Courtney è in prigione. Non c’è traccia di Veggenti da nessuna parte.» sospirò. «Se tu fossi sveglio probabilmente ora mi daresti un cazzotto, anche se non l’hai mai fatto. Me lo meriterei, sono stato presuntuoso, per lo meno tu ci tenevi al sicuro.» lo guardò, Zach era a tutti gli effetti incosciente. «Scusa, in fondo saresti quello con più diritto di dormire di tutti noi. È che abbiamo bisogno di te.»
    Il cellulare di Becky, recuperato vicino a Zach, suonò. Nate lo osservò a lungo prima di portarselo all’orecchio e rispondere. Una donna agitata gli gridò nell’orecchio, arrabbiata perché la figlia non si faceva sentire.
    «Signora Farrel, mi chiamo Nate, sono il Caposquadra di Rebecca.»
    Dall’altra parte della cornetta calò il silenzio.
    «Vostra figlia è attualmente scomparsa.»

Cos’era successo?
    Jean Roberts negava e piangeva.
    Shane Tyler non lo sapeva: Jean l’aveva salvato, qualcosa era esploso ed era diventato cieco. Ad un certo punto aveva iniziato a tremare, sconvolto, tanto da fermarsi in mezzo ad una guerra ed urlare fino a consumarsi la gola. Ci mise sei mesi a capire che non era mai guarito, che non ci vedeva, non con gli occhi almeno.
    Josh Lanter non parlò per sei mesi. Lui lo sapeva, cosa era successo: aveva fissato il magico oggetto del potere sul camion ed aveva sentito Shane urlare – Jean era in pericolo? Poi al suo grido si erano uniti anche molti altri Veggenti. Aveva guardato il camion, che non stava esplodendo, né implodendo. Aveva sentito la puzza. Poi pianti e colpi di tosse, sottili, acuti. Bambini.
    Veggenti, avrebbe detto Wood.
    Bambini, avrebbe continuato a ripetere Josh ogni giorno nella sua mente.

Ci vollero tre giorni anche per l’abilissimo avvocato che aveva seguito Vivien Williams a Synt, ma alla fine la Vegliante Courtney Williams fu dichiarata emotivamente instabile, ma non pericolosa. Fu difficile: complicato, ritenerla non pericolosa, dopo che aveva sparato ad un uomo.
    Nate era andato a trovarla e le aveva espresso solidarietà. Courtney non ricordava di averlo mai visto tanto abbattuto, forse nemmeno quando Lynn era rimasta ferita.
    Anche Matt, per quanto litigassero sempre, era andato a prometterle di farla evadere se non l’avessero rilasciata entro una settimana. Le aveva mostrato le due palline di esplosivo al plastico che aveva nascosto in tasca, Courtney aveva riso.
    Jean divideva equamente la sua preoccupazione tra lei, Zach e Becky. Veniva a trovarla due volte al giorno, ogni volta discuteva con gli agenti che la tenevano lì. Era riuscita a garantirle per lo meno un telefono.
    Jared non si era più fatto vedere, ma Courtney aveva deciso che non era proprio il momento migliore per fare la ragazzina con il cuore spezzato. Che stesse alla larga, non avrebbe avuto tempo da dedicargli comunque. Le venne da piangere quando riconobbe la freddezza di Zach nelle sue parole.
    Non appena fu fuori dalla cella si fece portare in ospedale. Lindsey la chiamava ogni quattro ore, anche di notte. La stava rivalutando, non doveva essere facile per un’infermiera civile fare quello che stava facendo lei: una volta finita tutta quella storia avrebbe dovuto offrirle da bere.
    Sua madre aveva svegliato Zach il giorno esatto in cui era arrivata a Synt: era entrata nella sua camera, aveva chiesto a Lindsey di chiudere le tende ed a Jean di non fare entrare nessun altro; aveva tirato fuori una siringa dalla borsa e l’aveva iniettata a Zach. Non aveva detto a nessuno cos’era, si era rinfilata il tubicino ormai vuoto in tasca, per gettarla in un secondo momento.
    Zach si era svegliato dopo pochi minuti. La prima parola che aveva detto, dopo aver guardato le facce preoccupate intorno a lui una ad una, era stata: «Becky?»
    Lindsey le aveva raccontato che Nate era impallidito, poi gli aveva chiesto scusa e se ne era andato.
    Courtney sospettava che non fosse stato semplice a quel punto, continuare a tenerlo in quella stanza, su quel letto.
    Nate era venuto a prenderla insieme a sua madre, quando uscì dalla cella la abbracciò. Non lo avevano mai fatto ed effettivamente Courtney non impazziva per i contatti fisici, ma quella volta lo lasciò fare, serviva anche a lei un appoggio e Nate era un buon appoggio. Per lo meno avevano gli stessi obbiettivi.
    Si cambiò in macchina mentre sua madre le teneva un asciugamano davanti in modo che lui, seduto sul sedile anteriore, non sbirciasse. Le venne quasi da ridere, Nate non l’avrebbe mai sbirciata, ma d’altronde quella era sempre sua madre e lasciò stare.
    «Notizie di Becky?» chiese mentre salivano in ascensore.
    «Non ancora.»
    Lei lo guardò, stupita che fosse ancora attaccato alla speranza: se anche fosse tornata, Becky non sarebbe più stata la stessa, come Josh.
    «L’abbiamo cercata ovunque, abbiamo battuto la città a tappeto.»
    «Vi serve una mano?» si offrì.
    Nate le lanciò un’occhiata e scosse la testa. «Mi servi di più qui con Zach.»
    «Non è colpa tua.» gli spiegò.
    Lui non rispose, lasciò che scendesse al piano di Zach poi scese in laboratorio.

Jean si era fermata quanto l’aveva fatto Shane. L’aveva tirato per un braccio e lui aveva iniziato ad urlare. Non riusciva a capire, però aveva detto ai suoi cinque Veglianti di formare un perimetro intorno a loro per tenere i lontani i Veggenti.
    Si era accucciata accanto a lui e l’aveva scrollato finché alla fine non le aveva prestato attenzione. Jean si era spaventata, i suoi occhi sanguinavano, era per quello che urlava.
    «Josh!» gli aveva gridato lui. «Non deve farlo!»
    Le ruote del camion stridettero in lontananza per una frenata brusca.
    Josh l’aveva già fatto.
    Si alzò e lo vide in piedi, immobile davanti al camion ormai fermo: aveva portato a termine la sua missione.
    Tutto divenne silenzioso, non avrebbe mai saputo se perché tutti tacessero, o lei non li sentisse.
    Mentre lo guardava avvicinarsi a quel camion ed aprire il portellone sul retro, su gli occhi le calò l’immagine gemella di una notte senza stelle, di Josh che compiva un passo fatale nel vuoto.
    Hai fatto di me un mostro.
    La prima volta che le disse quelle parole, furono soltanto nella sua testa.
    Si guardò intorno, Josh non stava dando ordini ed i Veglianti non sapevano cosa fare, guardò i suoi cinque; erano solo cinque, ma erano i cinque migliori, quelli di cui si fidava di più, quelli con più esperienza. «La missione è stata portata a termine. Aiutate a respingerli e ripiegate verso le caserme. Non lasciate indietro nessuno. Io mi occupo di Josh.»
    «Ma…?» tentennò uno di loro, a disagio a lasciarla sola con il ragazzo ferito.
    «Segui gli ordini.» rispose brusca.

Il fatto che Zach fosse sveglio non significava obbligatoriamente che fosse vivo. In quel momento dormiva, erano passati dall’intubazione alle maschere di ossigeno: pessimo segno.
    Entrò nella stanza e, quando lo fece, Lindsey sussultò sulla sedia che aveva sistemato. «Ciao.» la salutò.
    Courtney non la guardò tenne gli occhi fissi in quelli di Zach. «Perché l’ossigeno?» chiese incerta.
    La ragazza spostò gli occhi su Zach, sulle gambe aveva una rivista poco impegnativa. Per un attimo la gelosia punse ancora Courtney: parlavano? Erano tornati in confidenza? Quanto tempo avevano passato insieme ed a fare cosa? La scacciò, quella ragazza, per quanto non fosse la sua preferita a Synt, si stava dando molto da fare per lui, non meritava di essere malvoluta.
    «Riesce a stare senza per un massimo di tre ore.» sospirò Lindsey.
    «Vatti a prendere un caffè.» propose facendole un piccolo sorriso. «Ti do il cambio per tre ore.»
    Aspettò che si allontanasse, poi si avvicinò al letto e, piano, scostò la maschera dal viso di Zach. Lo studiò, non l’aveva mai visto tanto pallido in vita sua ed i segni neri che gli contornavano gli occhi rendevano tutto più accentuato. Si mise seduta sulla sedia di Lindsey ed aspettò con gli occhi fissi sul suo torace, cominciò ad alzarsi ed abbassarsi in modo sempre meno regolare e frettoloso. Ansimante, come dopo una corsa, il suo fisico era affaticato da morire.
    Iniziò a guardare alternativamente lui e l’orologio: si svegliò due ore ed un quarto dopo. Gli ricordò qualcuno che riemergeva in superfice dopo essere quasi affogato.
    Zach strinse le coperte tra le mani e sbarrò gli occhi, fissandola, sembrava sorpreso. Courtney si allungò e gli rimise sul viso l’ossigeno. «Come stai, Zach?»
    Lui tossì. «Devi slegarmi, devo andare a cercarla.» le disse strattonando il braccio destro, ammanettato alle sbarre del letto dell’ospedale.
    Courtney lo osservò con le sopracciglia sollevate. «Hai tre ore di autonomia, non mi sembra il caso di strafare.»
    «In tre ore riesco a prendere Romeo.»
    «Non ci sei riuscito in due anni.» gli ricordò, mentre osservava il suo polso, era rosso e livido, aveva cercato di rompere la manetta. Gli prese la mano. «Stringi più forte che puoi.»
    Lui strinse, probabilmente un tempo sarebbe stato in grado di romperle un paio di dita, in quel momento seppe che lei, se avesse voluto, avrebbe potuto spezzargli il polso. Courtney lo fissò negli occhi, preoccupata e turbata. «Stai male davvero.» confermò.
    Zach la guardò, ma non disse niente.
    «Cosa ti fa male?» gli chiese.
    Lui deglutì e spostò lo sguardo su sé stesso. «Tutto.»
   
Il cervello di Josh Lanter smise di mandare messaggi esattamente quando, all’interno del camion, vide un numero indefinito di corpi morti ed ammassati su loro stessi. Corpi piccoli, arti morbidi, paffutelli, acerbi. Dietro di lui si stava ancora combattendo, ma tutto quello di cui aveva piene le orecchie era un fischio sordo.
    Quando aveva aperto il portello la puzza era diventata più forte, sapeva di marcio, di decomposizione, gli aveva fatto lacrimare gli occhi e l’aveva costretto a sollevarsi il collo della divisa sopra il naso per non respirare quello schifo: qualsiasi cosa fosse la scatola che aveva fissato sul tetto, produceva gas tossico.
    Ce l’aveva messa lui.
    Era stato lui.
    Percepì un movimento, si voltò di botto con già la pistola in mano e l’obbiettivo sotto tiro. Una manina. Lasciò cadere a terra la pistola terrorizzato e gemette con affanno; era un mostro, avevano fatto di lui un mostro, pronto a sparare senza mai chiedersi a cosa.
    Perché non aveva chiesto cosa stava facendo?
    Perché, anche se aveva dubbi, aveva fatto quello che gli era stato detto?
    Perché se Jean gli dava un ordine, lui non faceva domande. Era per quello che lo consideravano un buon Vegliante, era ubbidiente.
    Scostò gli altri corpi da quella manina tremando e recuperò un bambino svenuto, non del tutto sicuro che fosse vivo.
    I Veggenti avevano perso smalto: da guerra era diventata rivolta urbana, una specie di manifestazione pacifica andata in malora.
    Sarebbe scappato se dietro di lui non avesse trovato Jean.
    Non si era mai vergognato tanto di lei come in quel momento, con un bambino tra le braccia, davanti ad una carneficina.
    «Josh…» fece, i suoi occhi erano enormi e tondi, pieni di esitazione. Sbirciò il massacro che c’era dietro di lui, non glielo chiese, ma lo pensò: cosa hai fatto?
    Il problema era che nella mente di Josh c’era soltanto una risposta a quell’interrogativo: “Quello che tu mi hai detto di fare”.
    I Veggenti avevano venduto cara la vita quel giorno, quello che dovevano proteggere era più importante di qualsiasi arma: stavano proteggendo il loro futuro, i loro nipoti, i loro figli, i loro fratelli. Lui aveva messo in atto sei anni di addestramento, esperienza, pianificazione per uccidere bambini.
    Veggenti.
    Bambini.
    Josh vide Shane accucciato a terra, una mano sugli occhi l’altra stretta alla gamba di Jean. Vide sé stesso in quella mano, la fiducia infinita in lei, in quella donna che si batteva per te, disobbediva ad ordini superiori per venirti a salvare. Probabilmente l’unico Caposquadra che Shane Tyler avrebbe mai rispettato.
    Un giorno avrebbe mandato anche lui ad intossicare un camion pieno di bambini?
    «Josh.» ripeté Jean. Qualcuno le disse di prendere il ragazzo ed allontanarsi, sorprendentemente un Veggente. Un Vegliante lo aggredì, stavano approfittando dello shock dei loro nemici per fare una strage. Violenti ed ottusi.
    «Dobbiamo portare quel bambino in ospedale.» gli disse avanzando verso di lui.
    «No!» Josh se lo strinse addosso e sollevò un coltello verso di lei. «Non ti permetterò di ucciderlo.»
    Jean alzò le mani e deglutì, si spostò in modo che Shane fosse completamente coperto da lei. «Non voglio ucciderlo.» disse ferma. E Josh riconosceva quel tono, era lo stesso che usava quando dava gli ordini, quando ti convinceva a non fare domande. L’aveva usato quando gli aveva ordinato di occuparsi della scatola? Non riusciva a ricordarlo. Non ricordava niente prima di quei bambini.
    Sentiva ancora la puzza.
    «Ma lo farai, Wood lo farà.»
    «Faremo in modo di proteggerlo.»
    Josh la guardò, il suo sguardo si addolcì. «Erano bambini.» le disse scioccato, lentamente. «Non era un’arma, erano bambini.»
    Jean chiuse gli occhi, respirò e si avvicinò piano a lui. «Josh, ti prego, calmati.» gli prese piano la mano in cui stringeva il coltello per disarmarlo. Dolce, eppure anche in fondo al suo sguardo Josh riconosceva l’orrore, orrore per qualcosa che lei stessa gli aveva ordinato di fare.
    «Calmarmi?!» le chiese, respingendola con rabbia, nel farlo le ferì il braccio. «Mi hai appena fatto uccidere un camion pieno di bambini. Hai fatto di me un mostro!» urlò.
    Jean provò ad avvicinarsi ancora, lui buttò il coltello e la colpì a mani nude. Ne fu così sorpresa che, per la prima volta in tutta la sua vita, Josh riuscì ad atterrarla. Un paio di Veglianti scattarono insieme per andare ad aiutarla, coprirla, difenderla, ma lei alzò una mano per fermarli. «Andate ad aiutare gli altri.» ordinò per evitare che facessero del male a Josh. L’avrebbero fatto, tutti i Veglianti la pensavano allo stesso modo: se qualcuno attaccava la Caposquadra, quel qualcuno andava reso inoffensivo. Se non lo avessero fatto se la sarebbero vista con Wood.
    Josh si avvicinò e si abbassò davanti a Shane, rimasto indietro. «Puoi camminare?» gli chiese.
    Il ragazzo si tolse l’altra mano da davanti agli occhi, sanguinavano, li strizzò. «Non ci vedo.» disse.
    «Ma puoi camminare?» continuò alzando il tono di voce.
    «Josh, è ferito.» gli gridò Jean, scrollando la testa per allontanare la confusione ed il dolore della botta.
    Shane annuì e Josh gli mise il bambino tra le mani insanguinate. «Salvalo.» ordinò.
    Lui sollevò il viso per cercare il suo sguardo, forse un pochino ci vedeva.
    «Portalo via di qui, non fermarti finché non sarà al sicuro. Salvati, perché se torni Wood continuerà a cercare di ucciderti.»
    Era una follia, una parte di lui lo sapeva, ma la prospettiva di morire in quel modo, sarebbe stato un ottimo stimolo per chiunque: Shane scappò. Un direzione a caso.
    Jean si alzò. «Shane, aspetta!» urlò prima di muoversi per seguirlo.
    Josh la spinse indietro e si posizionò davanti a lei per impedirle di seguirlo. «Non ti permetterò di fermarlo.» la minacciò.
    Jean alzò gli occhi su di lui, addolorata dal fatto che avesse intenzione di battersi con lei. «Josh, Shane è ferito!»
    «Tu porterai quel bambino a Wood e lui lo ucciderà.»
    Cercò di superarlo.
    Josh provò a colpirla di nuovo, ma stavolta Jean lo parò. «Che diavolo ti prende? Moriranno tutti e due. Guarda cosa c’è intorno a noi!» gli gridò contro.
    Non riuscì a spiegarle che lui non vedeva, che nei suoi occhi c’erano soltanto quei corpi ammassati, nelle narici quella puzza, nel cuore quel terrore.
    «Io ti ho obbedito.» disse.
    Jean sgranò gli occhi. «Non lo sapevo.» sollevò una mano e gli sfiorò il viso, lui continuò a fissarla come se non se ne fosse accorto.
    «Tu mi hai fatto uccidere quei bambini.»
    «Josh…» provò ancora, interdetta e mortificata.
    «Tu hai fatto di me un mostro!» ruggì prima di aggredirla di nuovo.
    Quando una squadra di soccorso andò a recuperarli scoprirono che Josh Lanter e Jean Roberts si erano massacrati a vicenda.
    Lei era in lacrime, lui svenuto. In fondo, era sempre lei a vincere.
    Di Shane Tyler non c’era traccia, Jean Roberts dichiarò di avergli sparato quando si era rifiutato di fermarsi.

Matt provò a chiamare Ryan mille volte, il suo cellulare era sempre spento. Nate non voleva che andasse da lei, per paura di imboscate o ritorsioni, ma non avevano notizie di Becky da una settimana ed era stufo di quel silenzio stampa da parte dei Veggenti. Zach era stabile, l’affarino sotto l’attento controllo di Nate, poteva allontanarsi un pochino. Prese la macchina ed andò alla ferramenta da solo, senza dire niente a nessuno.
    Rimase seduto sul sedile del guidatore a guardare le porte chiuse.
    E se i Veggenti avessero lasciato Synt portandola via con loro?
    Mandò un messaggio vocale a Nate, erano tutti talmente paranoici in quel periodo che se gli avesse scritto un testo avrebbero pensato ad un trucco dei Veggenti. «Sto bene.» iniziò a registrare. «Ho da fare e forse tardo, ma non preoccuparti, okay? Mi rifaccio sentire io.»

Shane Tyler camminò e camminò ancora. Il bambino non si muoveva e non piangeva, per quel che ne sapeva poteva essere morto, però era caldo.
    Si fermò a vomitare più volte, ogni volta che ricordava l’ultima cosa che aveva visto nitidamente.
    Teneva gli occhi chiusi, quando li apriva avrebbe voluto strapparseli per non sentire il dolore e comunque non ci vedeva. Il mondo era diventato un insieme di immagini sfocate: a volte qualcosa lo faceva sentire in pericolo e si nascondeva, a volte qualcuno gli indicava la strada da seguire, senza che lui gliela chiedesse. Lo chiamavano Romeo e lui aveva paura di dire il suo nome, di dire cos’era. Non sapeva dove andare, quindi faceva come gli dicevano e rispondeva al nome di Romeo.
    Sentì il rombo di una macchina, si fermò. «Sei Romeo?» chiese la voce di una donna. «Il Veggente.»
    Se fosse stata una Vegliante lo avrebbe ucciso. Se fosse stata una Veggente lo avrebbe ucciso lo stesso, perché avrebbe saputo che mentiva.
    Era un Vegliante e non si chiamava Romeo, ma era stanco, gli occhi gli bruciavano e non sapeva che fare con quel corpicino che aveva tra le braccia. Rimase zitto e fermo sperando che la sconosciuta trovasse in lui qualcosa da accudire e non da far fuori.
    «Sali.» lo invitò.
    Seguì il suono della voce fino a scontrarsi con la carrozzeria, tastò fino a trovare la maniglia, salì.
    «Che hai fatto agli occhi?» domandò la donna.
    Deglutì riconoscendo la fastidiosa contrazione di un conato, deglutì ancora. «Avevo un giubbotto imbottito con il tritolo.» disse solo.
    «Un miracolo che tu sia vivo.»
    Jean l’aveva slacciato, mani l’avevano afferrato, niente giacche verdi, era stato un Veggente ad aiutarli. Jean l’aveva stretto per proteggerlo, ma Shane aveva voluto guardare, aveva voluto vedere: il Veggente si era arrotolato sul giubbotto per contenere l’esplosione, per tenere al sicuro lui e Jean. L’ultima cosa che aveva visto era stato il suo corpo andare in pezzi.
    Vomitò sul tappetino della macchina, si scusò subito dopo, in lacrime.
    «Non è niente.» lo liquidò lei. «Questa macchina l’ho rubata.»
    «Non mi chiamo Romeo e…» deglutì. «Sono un Vegliante.»
    La donna sospirò. «Se mi dessero un dollaro ogni volta che ho sentito questa frase…» commentò.
    «Il bambino, credo che sia morto.» pianse ancora perché non sapeva cos’altro fare. Aveva visto più morte quel giorno di quanta probabilmente vedeva una persona normale in tutta la sua vita; era cieco, quindi quei ricordi erano le uniche immagini che avrebbe portato con lui; ed era in macchina con una sconosciuta della quale non conosceva le intenzioni.
    «Calmati, d’accordo?» lo incoraggiò. «Il bambino si chiama Connor, sta bene e nel portaoggetti dell’auto ci sono i certificati di adozione.»
    «Come…?»
    «Mi ha chiamata mio fratello dalla Siria, mi ha detto di venirti a prendere. Erano mesi che non mi parlava, ho pensato che fosse il caso di dargli retta.»
    «Tuo fratello è un…»
    «Veggente, sì. Ma stai tranquillo, non ti farò niente. E gli occhi fra un paio di mesi non ti sarebbero più serviti in ogni caso.»
    «Chi sei tu?» chiese Shane sorprendendosi di non averlo fatto prima.
    «Al momento la tua migliore amica, mi chiamo Dawn. Ti posso nascondere.»
    «Ho bisogno di essere nascosto?»
    «Perché pensi che Wood volesse farti passare a miglior vita?»
    Per dare fastidio a Jean e Josh forse…
    Jean e Josh.
    «Quei bambini…» strinse di più quello che aveva tra le braccia.
    La donna, Dawn, rimase zitta così a lungo da fargli pensare di non averlo sentito. Forse oltre che cieco era anche diventato muto.
    «Speravamo di riuscire a mandarli fuori dal paese, c’era una nave che li aspettava, eravamo d’accordo con lo Stato che li avrebbe accolti. Avevano preparato un centro di accoglienza, una squadra di pediatri, maestre preparato sul loro caso.» disse piano, seria. «Volevamo salvarli.»
    Josh li aveva uccisi tutti.
    «Dove stiamo andando?»
    «A casa mia, a Synt.»
   
Quando sentì bussare alla porta e si voltò, Courtney si sorprese di trovare Jared sulla soglia.
    Zach sollevò la mano che non era ammanettata al letto per fargli un cenno.
    «Ehi, come stai?» lo salutò, lanciando appena un’occhiata a lei.
    Zach si spostò la maschera da davanti al viso. «In via di guarigione.» disse piano.
    Non c’era mai stato tanto lontano, ma Courtney non lo contraddisse, un piccolo miracolo per volta: non era morto, non era incosciente, aveva gli occhi aperti. Prima o poi sarebbe riuscita anche a farlo respirare da solo.
    «Posso rubarti la dottoressa per un pochino?» gli chiese con un sorriso che non coinvolse completamente gli occhi.
    Fece di sì con la testa e ritornò a respirare nella maschera. A Courtney si strinse il cuore: era Zach, era testardo, disattento ed orgoglioso, probabilmente era ad un passo dal soffocare per essersi risistemato l’ossigeno da solo.
    Si alzò e gli sfiorò la mano. «Chiamo Lindsey.» gli disse. «Se non stai bene, mia madre è nei paraggi.» lo era sempre, ma rimaneva nelle retrovie. Più che altro si batteva con il primario perché continuassero ad essere lei e Lindsey ad occuparsi di Zach e non i medici dell’ospedale. L’avvocato che si era portata dietro era giovane, ma efficientissimo.
    Lui annuì di nuovo.
    Courtney seguì Jared nella caffetteria dell’ospedale, era un po’ a disagio, doveva avere l’aspetto di una profuga. Da una settimana viveva lì, si lavava lì, si vestiva con quello che Jean portava a lei e Nate. Entrambi si erano trasferiti in pianta stabile in ospedale: lei per Zach, lui per l’affarino di Zach.
    Jared ordinò due cappuccini decaffeinati e le prese un dolcetto. «Sei sciupata.» commentò porgendole un muffin con una glassa rosa.
    Courtney non rispose. Certo che era sciupata, non si ricordava l’ultima notte che aveva dormito senza rimanere abbastanza cosciente da tenere sotto controllo i “bip” dei macchinari attaccati a Zach. Lui dormiva invece, per uno che stava sempre a letto dormiva troppo.
    «Allora, come sta davvero?» le chiese sedendosi insieme a lei ad un tavolinetto.
    Lo stomaco di Courtney si contorse per l’ansia, un vero peccato perché quel muffin aveva un ottimo aspetto. «Stazionario.» disse posandolo su un piattino.
    Jared attese qualche secondo che aggiungesse altro. «Non è una cosa buona?» le chiese perplesso.
    «Non peggiora, questa è la parte buona; ma non migliora nemmeno.» precisò. «Vive perché è attaccato ad una bombola d’ossigeno e perché fa una trasfusione al giorno.»
    Il sangue era la cosa che più la impensieriva, era sempre sotto di qualche unità, sembrava che il suo corpo bruciasse ogni goccia che gli davano. Non aveva emorragie, da nessuna parte, Courtney l’aveva rivoltato come un calzino alla ricerca di un taglio, un buco, qualcosa di spiegabile e curabile. Niente.
    Deglutì e prese un sorso di quel caffè che non era caffè. «Senza muore in tre ore, Lindsey lo ha cronometrato.»
    Jared sospirò. «Mi dispiace per quello che ti ho detto.» si scusò. «So che gli vuoi molto bene, ma non dovresti mettere lui in testa alle tue priorità, non dovresti metterci nessun Vegliante.»
    Lo guardò. «Ci ho messo un amico.» sorrise e scosse la testa. «Forse non credo abbastanza nella nostra causa.»
    «Forse ti sei un po’ arresa.» cercò di consolarla.
    Courtney non disse niente: ammazzare persone perché erano diverse, forse migliori di loro, perché non volevano involvere al loro livello? Forse la loro causa era una merda e basta, soprattutto per una che sarebbe voluta diventare un medico e salvarle, le vite.
    Si alzò dalla sedia e si diresse di nuovo al bar. «Voglio un caffè vero.» disse a Jared.

Jean si dimise da Caposquadra, non uscì dalla caserma di Los Angeles per sei mesi, Wood disse a tutti che aveva riportato delle ferite. Lo disse con lo stesso sorriso con cui annunciò che un camion carico di Veggenti era stato fermato prima che lasciasse il paese. Aveva letto una lista di Veglianti caduti in quella battaglia chiamandoli eroi, nominò anche Shannon Tyler. L’unica cosa sulla quale si erano dichiarati d’accordo lei e Josh era stato proclamare la sua morte.
    Non era morto.
    Josh aveva mandato un avvocato a consegnarle i documenti per il divorzio, Jean li aveva firmati senza leggerli. Aveva altro di cui occuparsi che l’odio di Josh; vedeva come Wood lo guardava, li sentiva discutere, se al Responsabile fosse piaciuto l’individualismo probabilmente non sarebbe diventato tanto ricco e famoso. L’avrebbe mandato a morire, forse rimesso all’Asta visto che Josh si rifiutava di partecipare ad altre missioni.
    Fu per quello che un giorno bussò alla porta di Wood. Lui era seduto alla sua scrivania, compilava verbali, scriveva discorsi. Era il Responsabile più efficiente dello Stato, le persone adoravano sentirlo parlare, le faceva sentire al sicuro e buone: presentava la missione dei Veglianti come una cosa nobile, pulita, onorevole. Non lo era, per questo tutti pregavano la notte che i loro figli, nipoti, parenti, non fossero scelti.
    «Occuperò il mio ruolo di Responsabile se mi lasci Josh.» propose.
    Wood la guardò. Era deluso da lei, avevano litigato molto dopo Los Angeles: lei insisteva a dirgli che avrebbe dovuto spiegarle che non c’era un’arma dentro quel camion; lui continuava a ripetere che bambini Veggenti erano un’arma in attesa di diventarlo.
    «Ti lascio Josh se prendi Synt.»
    Jean chiuse gli occhi, quell’uomo l’aveva accompagnata all’altare. «Prendo Synt.» fece per uscire.
    «Non ti lascio iniziare da niente.» le disse. «Posso darti un altro paio di ragazzi delle squadre itineranti, c’è quel Vegliante, Jared Compton, che sembra promettente. Molto preciso. In genere si occupano di città piccole, ma Synt è poco più di un villaggio.»
    Lo guardò, deglutì. «Non credi che mi serva anche qualcuno più grande, tanto per aiutarmi ad impostare il lavoro?»
    «Ci sono alcuni vicini al congedo, non sono più scattanti come a diciassette anni, ma credo che possano costituire un buon nucleo iniziale. Siediti.» la invitò. «Scegliamoli insieme.»
    Jean obbedì.
    «Era la tua missione, Jean, non saresti impazzita.»
    «Non puoi saperlo.»
    Wood la fissò. «Non ti avrei mai dato più di quanto avresti potuto sopportare.»
    «Ma sarei comunque stata un mostro.»
    «Jean, sei un grande Vegliante. Sai quali sono i tuoi compiti e sai farli bene. Non lasciarti indebolire, dai farneticamenti di Josh Lanter.»
    Lei non rispose, Wood continuò a guardarla. «Pensi di farcela?» le chiese.
    Jean si leccò le labbra e prese fiato. «Sì.»

Ryan bussò al vetro del finestrino della macchina di Matt, lui aprì gli occhi accartocciato contro il sedile e la guardò. All’iniziò non capì, poi si riscosse, sussultò ed abbassò precipitosamente il vetro.
    «N-non sei una grande s-spia se ti addormenti sul l-lavoro.» lo prese in giro.
    «Dov’è Becky?» domandò Matt ignorandola, cercò di darsi un tono minaccioso, ma non ne era esattamente capace. Lui non era bravo in quelle cose, di solito se ne occupava Zach.
    «Con Romeo.» disse semplicemente lei.
    «Dove?» chiese ancora. «Digli di rimandarcela indietro o…»
    «O?» lo spronò Ryan fissandolo, Matt non rispose.
    «Non p-puoi minacciare Romeo.»
    «Posso minacciare te.»
    Lei scosse la testa, paziente, e sollevò un sacchetto di carta. «Ti ho p-portato uno sp-spuntino.»
    Matt frugò all’interno e recuperò un pacchetto di patatine ed una bibita azzurra. «Vuoi salire?» le chiese mettendosi in bocca una patatina.
    Lei lo guardò stupita, anche con una punta di paura; Matt realizzò che si stava chiedendo se fosse una trappola e ne fu addolorato. Non lo era, non lo sarebbe mai stata, non erano nemici: lui non la considerava sua nemica.
    Dovette indovinarlo perché fece il giro della macchina e salì sul sedile del passeggero.
    «Almeno sta bene?»
    Ryan scosse ancora la testa. «N-non vedo Romeo da quando tutta questa storia è c-cominciata.» rivelò. «Abbiamo votato, io ho votato p-perché vivesse, più della metà di noi vuole salvarla. L’ultima parola sp-spetta a lui, ma t-tiene sempre conto delle nostre opinioni.» cercò di tranquillizzarlo. «Se non dirà qualcosa di d-davvero molto stupido la rimanderà indietro.»
    Matt la guardò preoccupato. «E se si uccide come Josh?»
    Lei si strinse nelle spalle. «Non è che p-possiamo intervenire su quello che deciderà di fare della sua v-vita.» gli fece notare.
    Matt sospirò e le allungò il pacchetto di patatine. «Mi sei mancata.»
    Ryan lo guardò, masticò una patatina e bevve un sorso di bibita, poi si allungò sul sedile lo baciò.

«Josh, hai anticipato tutta la tua pensione per prendere una ragazzino problematico?» chiese Jean mentre osservava Zach Douquette, poco lontano da loro, parlare al telefono con la sua famiglia. «Hai anche quasi fatto a botte con Wood.» continuò massaggiandosi le tempie.
    «Attivo in tutti gli sport scolastici, addestramento militare, è un ottimo elemento. Se Wood lo avesse preso, avrebbe fatto di lui quello che ha fatto di me e di te.» osservò. «E poi quei soldi non mi servivano comunque.» disse semplicemente.
    Jean scosse la testa. «Adesso dici così, ma avrai solo ventisette anni, potresti costruirti tutta una vita.»
    Josh non rispose, parlava poco, ma aveva ripreso a parlarle e non voleva essere troppo polemica.
    «Provvederò perché tu abbia la metà dei miei soldi quando lascerai Synt.» lo rassicurò.
    «Non lascerò Synt.» fece Josh, Jean lo guardò, sembrava pensieroso. «Non ho niente, non voglio niente. Tu mi vuoi qui, tanto vale che ci resti.»
    Quella stessa notte Josh bussò alla sua stanza e la baciò, Jean non riuscì a ricambiare; sotto le sue labbra, dietro la sua lingua, alla fine della sua gola c’era una belva che covava rancore. L’aveva allontanato con delicatezza, ma decisione. «Non devi farlo.» disse con gentilezza. «La nostra amicizia può fondare le basi su altro, non ti serve questo per avere il mio rispetto.»
    «Io…» Josh si avvicinò, appoggiò la fronte contro la sua, tremava. «Io non riesco a tenermi insieme, la mia mente si sfalda, i miei pensieri vanno alla deriva. A volte però mi sembra di essere tutto intero, per pochi istanti. In quei momenti ti amo.»
    Jean lo abbracciò, avrebbe voluto avere la facoltà di tenerlo insieme lei stessa, ma non poteva, non poteva guarirlo, anche se evidentemente era stata brava a ferirlo.
    Non pianse, non davanti a lui.
    Lui sì e Jean riconobbe uno strano odore, qualcosa di inusuale, ma che, suo malgrado, avrebbe imparato ad associare a Josh: alcol. «Sento ancora quella puzza.» le confessò.

Courtney lavorava a maglia, seduta accanto al letto di Zach, lui la guardava. Non aveva la forza di fare molto altro, non le aveva detto quanto si sentisse sempre le palpebre pesanti, non voleva farla preoccupare. Voleva sapere cosa succedeva, se c’erano novità di Becky, provare a liberarsi. Courtney non aveva il coraggio di dirgli di non farlo, aveva finito per imbottirgli le manette di cotone perché non si ferisse.
    Si scostò la mascherina dal viso. «Court, mi serve una sigaretta.» disse.
    Lei scoppiò a ridere senza guardarlo. «Che cosa ridicola da dire.» lo prese in giro, ignorando ogni sua pretesa di serietà.
    «Davvero.»
    «A parte l’ovvio, per fumare dovrei staccarti l’ossigeno se non vuoi esplodere, hai tre ore, ricordi?»
    Lui sbuffò. «Non mi servono mica tre ore per fumare una sigaretta.»
    Gli lanciò un’occhiata. «La risposta è no.»
    «Promettimi che se morirò prima mi concederai un’ultima sigaretta.»
    Courtney posò il lavoro a maglia e lo guardò. Prese la maschera con l’ossigeno dalle sue mani e la rimise davanti a bocca e naso con dolcezza. «Io non mi arrendo, farò tutto quello che posso per tenerti vivo, te lo giuro.» promise. «Ma nel caso mi uccidessero ed il mio giuramento fosse quindi annullato, lascerò disposizioni perché lo faccia Lindsey, d’accordo?»
    La guardò e basta.

«È una follia!» ripeté per la centesima volta Dawn Dandley, mentre Shane farciva un paio di panini a Connor e lui li arrotolava in troppa carta, per poi sistemarli nello zainetto.
    «No, è un’idea geniale e tu lo sai.»
    «Qui siete al sicuro entrambi.»
    «Per quanto?» le domandò fissandola. «Io forse, se Jean continua a dire di avermi ucciso, ma prima o poi l’ADP si ricorderà cos’è Connor e gli daranno il Mitronio.»
    «Aspettiamo, valutiamo varie opzioni…» gesticolò la donna.
    «Già fatto.» la interruppe. «Questa è l’unica opzione.»
    «Ti daranno la caccia.»
    «Lasciamoglielo fare, saranno così concentrati su di me da non vedere nient’altro, è la cosa migliore che potrebbe capitarci.»
    Dawn si sedette accanto a lui. «Shane, tesoro, capisco che vuoi renderti utile, ci sono tante cose che puoi fare. Parlane con Iago, lui potrà trovare qualcosa con cui tenerti occupato, no?»
    «Iago è d’accordo con me.» rivelò. «Il trucco sarà rapire bambini prima che “chi sai tu” riveli che sono baby Veggenti. Penseranno che sono civili, che io sia un mostro e daranno per scontato che abbia fatto fare loro una brutta fine.»
    Connor scoppiò a ridere.
    «Visto? Lui è d’accordo.»
    «Lui è di parte perché butti le sue verdure quando non ti vedo.» commentò Dawn.
    Shane la guardò serio. «Preferiscono prendere un Veggente che salvare un bambino. Sta bene, ma è un errore. Sfruttiamo questa follia a nostro vantaggio.» recuperò e le porse il telefono. «Chiama la polizia, digli che un Veggente ha rapito tuo figlio.»
    «Scordatelo.»
    «Dawn, devi farlo.»
    «Perché?»
    «Perché questo è il motivo per cui mi hai salvato. Perché voglio che i genitori di tutto lo Stato sappiano che, se sospettano che loro figlio sia un Veggente, possono portarlo qui ed io li manderò via. Non deve più succedere quello che è successo a Los Angeles.» si fermò e si avvicinò a lei. La fissò e deglutì. «Perché forse se faccio abbastanza casino Jean e Josh mi ascolteranno, forse posso salvarli.»
    Dawn lo osservò in silenzio, non gli disse che non poteva, era così giovane, troppo per perdere la speranza. Prese il telefono.
    «Pronto, Connor?» chiese Shane.
    Il bambino fece di sì con la testa e Shane lo prese in braccio, raggiunse la finestra già aperta e guardò fuori: era pronto ad essere quella persona? Era pronto a rinunciare a qualsiasi altra vita? Aveva mai avuto scelta?
    «Dawn.»
    «Sì?»
    La guardò e sorrise. «Dì che mi chiamo Romeo.»


eccomi
ed anche stavolta ho rispettato la scandenza!
con questo capitolo dovrebbe quadrare tutto, o almeno spero, ma se ci sono cose che non vi tornano contattatemi su Facebook oppure Twitter.

poi, volete sapere come si chiama il prossimo capitolo? ok: l'ultima sigaretta.

baci

   
 
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