Ventotto giugno: troppo.
All’improvviso tutto quanto è troppo;
è troppo anche per me e per la mia pazienza;
per la mia voglia di fare, di vivere, di crescere, di conoscere;
si annulla ogni cosa improvvisamente;
il fiato s’arresta in gola e si annoda lì,
dolorosamente, fastidiosamente;
e non respiro, non respiro, non respiro.
La luce crepitola nella notte buia,
langue la luna senza amante;
le nubi velano lo sguardo.
Corro, le mani tremano febbrili
e muoverle è un trauma sensitivo;
tutto è così lontano e così vicino insieme;
ogni cosa vibra, emana colori troppo accesi,
profumi troppo forti e stucchevoli mi nauseano.
Le chiavi stridono contro la serratura;
finalmente s’infilano e la porta si apre.
Ed io sono fuori; respiro aria fredda,
vento serale; c’è musica, ci sono voci, ci sono risate;
c’è troppa gente intorno a me;
torna quel senso di occlusione alla gola;
e scappo di nuovo, una volta ancora
- giusto per non smentirsi mai -
E la luna osserva,
ride e si crogiola
nella nullità umana.
*