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Autore: Jessy Pax    01/07/2014    13 recensioni
“Ti amo. Hai capito?”
Erano passati dodici mesi e settantuno giorni.
Felicity non aveva mai perso il conto da quella notte frenetica, non poteva permettersi di perdere nemmeno un minuto, le era indispensabile per tenere bene a mente che era stato solo un piano per incastrare Slade.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dinah 'Laurel' Lance, Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen, Roy Harper
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Distrazione




 
«Oliver, che diavolo è successo?» Diggle cercò di raggiungere l’ospedale il più in fretta possibile, non poteva ancora credere a quanto accaduto e Oliver di certo non lo aiutava affatto a comprendere.
 «Ѐ successo e basta, non siamo arrivati in tempo.» Seduto in sala d’attesa, il ragazzo si tormentava la fronte con le dita. Era come se non volesse ascoltare nessuno, tutto ciò che desiderava in quel momento, era restare solo.
«Che significa non siete arrivati in tempo? Dannazione, Oliver! Ѐ tuo compito quello di salvare le persone!»
«Dig, pensi che non lo sappia? Pensi che desiderassi una sorte simile per Felicity? Ho cercato di fare del mio meglio, non ci sono riuscito. Ho fallito, ho tradito la fiducia di tutti voi. D’accordo?» Oliver scoppiò in un pianto silenzioso, coprendosi gli occhi con i palmi delle mani. Diggle respirò con il fiatone e quando capì che non c’era più nulla da fare, si sedette accanto a lui, provando a pensare che una soluzione sarebbe spuntata fuori. Non si era nemmeno accorto della presenza di Roy e Laurel. Il ragazzino dalla felpa rossa era appoggiato con la fronte sul pugno della mano destra contro il vetro della camera dove riposava Felicity; Laurel, invece, aveva le braccia conserte e fissava il linoleum come se fosse la cosa più interessante che avesse mai visto.
«E tu? Non hai nulla da dire?» John si rivolse proprio alla ragazza e questa alzò di scatto gli occhi, come se fosse stata punta da una vespa. Boccheggiò in cerca di una risposta, ma preferì restare in silenzio. Laurel sapeva che in parte era colpa sua, anzi, era tutta colpa sua, ma ammettere ciò non sarebbe servito a riportare indietro Felicity. Dig rinunciò a qualsiasi domanda volesse porre ai presenti, continuò ad osservare Oliver che piangeva senza farsi vedere e si nascondeva il volto con le mani. John pensò che non lo aveva mai visto così umano; Oliver Queen sembrava essere un ragazzo qualunque, un uomo perso dopo una notizia sconvolgente. Era stato distrutto altre volte in passato, prima la morte di Tommy, poi quella di sua madre e in tutte e due i casi, Oliver si era chiuso in se stesso cercando conforto nella vendetta. Adesso era diverso, perché non poteva vendicarsi della sua ex fidanzata; non poteva darle la caccia fino a farle saltare in aria la testa, non poteva e basta. Era un pensiero davvero cattivo quello che attraversò Oliver, far fuori Laurel era la cosa più ingiusta e perfida che potesse fare, ma doveva aggrapparsi a qualcosa, a qualcuno. Doveva liberare tutta la rabbia che aveva in corpo e scagliarla contro un facile bersaglio. Alzò il viso e fissò con inquietudine il capo di Laurel, era pronto a rovesciarle addosso tutto il risentimento che provava, un medico uscì dalla camera di Felicity e richiamò l’attenzione di tutti, interrompendo così la follia omicida che stava impossessandosi di Oliver.
«La ragazza è fuori pericolo. Ѐ stato un intervento piuttosto delicato, ma fortunatamente siete arrivati in tempo e abbiamo potuto recuperarla senza causare danni permanenti.» Il dottor Smith diede un’ultima occhiata alla cartella clinica della signorina Smoak e poi rivolse un sorriso soddisfatto agli amici della ragazza. Diggle esplose in una imprecazione a bassa voce, coprendosi la bocca con il dorso della mano, la contentezza lo portò a lacrimare di gioia; Roy sorrise come un bambino e andò ad abbracciare John con numerose pacche sulla schiena. Oliver si lasciò andare in un respiro sollevato e sentì, per la prima volta, di non avere più energia e forza in corpo. Era stato totalmente prosciugato dalla paura di aver fallito con l’unica persona che non meritava di soffrire. Laurel sorrise e portò le mani giunte a mo’ di preghiera sulle labbra, ringraziò il medico per aver salvato la ragazza e gli chiese: «Possiamo vederla?»
«Sì, ma due alla volta. Ѐ ancora sotto l’effetto dell’anestesia ed ha bisogno di riposo, cercate di non farla sforzare nel parlare una volta sveglia. Ѐ importante che riacquisti le forze con tutta tranquillità.» Laurel annuì e una volta che il dottore fu andato, i primi ad entrare nella stanza furono Dig e Roy. Oliver si sedette sulla sedia di plastica rossa e Laurel rimase in piedi, immobile ad osservare gli altri due con Felicity. Sembrò passare un’eternità prima che John e Roy uscissero dalla camera, ma solo perché Ollie era sprofondato in un silenzio catacombale e a Laurel non sembrò affatto una buona idea iniziare un discorso, sapendo che avrebbe solo peggiorato la situazione.
«Ollie, tocca a noi.» Oliver si alzò come un automa e le passò accanto senza degnarla di uno sguardo. Appena entrò, sembrò crollargli il mondo addosso. Vedere Felicity con tutti quei tubi attaccati gli ricordò che si era comportato da perfetto idiota. Era principalmente colpa sua se ora quella ragazza, la sua ragazza, si trovava in quelle condizioni; non volle avvicinarsi più del dovuto, pensò che Felicity non meritasse la sua presenza, preferì sedersi su una sedia lì accanto, restando a fissarla in silenzio, colpevolizzandosi fino a quando non ne avrebbe avuto abbastanza.
«Mi ha salvato la vita.» Fu Laurel, invece, a rompere quella promessa che si era fatto. Non aveva proferito parola per tutto il tempo dell’intervento e ora aveva deciso di ammettere quanto accaduto. Oliver girò appena il capo per ascoltarla, con le mani intrecciate e ripiegate sulle gambe. «Volevo solo rendermi utile, pensavo che usando le mie doti intellettuali, sarei riuscita a stanare la banda in minor tempo. Mi sbagliavo.»
«Non è colpa tua. Sono stato io ad incoraggiarti.»
«No, non è così, lo sai. In questi quattro mesi, non ho fatto altro che dare prova della mia stupidità, volevo essere la migliore ma… non sono ancora pronta per combattere, non sono pronta ad affrontare criminali pazzi e fuori di testa. Ho rischiato di mettere in pericolo la vita di voi altri, solo per i miei capricci.» Laurel sapeva cos’aveva fatto e non riusciva a perdonare se stessa. Si sentiva in colpa, perché si era resa conto di quanto avesse sbagliato nel giudicare la ragazza che adesso giaceva addormentata. Felicity non era mai stata la sua preferita, troppo distratta e poco coraggiosa. Laurel però, si ricredette perché Felicity Smoak era la ragazza più coraggiosa che avesse mai conosciuto. «Non sarò mai come Sara e tantomeno come lei, Felicity.» Indicando con un cenno la ragazza pallida e ferita, la donna diede voce a un pensiero che non era riuscita a trattenere dentro di sé.
«Ѐ così importante per te essere come Sara? Laurel, essere un eroe non significa imitare qualcun altro, ma avere una propria identità. Ti ho sempre incoraggiata in questi mesi, perché credevo che in quel modo avresti trovato la tua vera essenza. E invece non hai fatto altro che commettere errori. Non è così che funziona!» Oliver la guardò seriò, mantenendo le labbra serrate, e lei si sentì ferita da quel discorso tanto duro, ma anche molto vero.
«Perché non me lo hai mai detto prima? Perché hai permesso che continuassi a commettere errori? Oliver, ho cercato in tutti i modi di rendermi utile per la squadra, ma mentre credevo che stessi facendo la cosa giusta, in realtà stavo realizzando il più grande sbaglio della mia vita…»
«Perché…» Oliver non aveva idea di come continuare. Qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe stata una banale scusa. «La verità è che volevo creare una distrazione, volevo che tu fossi la mia distrazione. Non ti ho mai detto nulla perché speravo che saresti diventata la donna, l’eroina, che volevo al mio fianco. Pensavo di potermi innamorare quanto bastava di te, di poter vivere la mia solitudine con qualcun altro; di potermi fidare di una compagna tanto da non affezionarmi e creare così un punto debole.» Fece una pausa, distogliendo lo sguardo dagli occhi della sua ex per puntarli sul corpo immobile di Felicity. Per quanto volesse guardarla, però, non riuscì nemmeno a reggere quel contatto visivo. Era come se le iridi chiare e chiuse della biondina lo stessero giudicando. «Per quanto io cerchi di proteggere le persone a cui tengo, queste finiscono sempre per rischiare la propria vita. Con te speravo di non avere più questo tipo di problema, speravo con tutto il cuore di riuscire a dimenticare le altre e tornare con te…»
«Dimenticare lei.» Oliver alzò il mento quasi incredulo nel sentire una tale affermazione da Laurel.
«Cosa?»
«Volevi dire: dimenticare Felicity.» Laurel sospirò incrociando le braccia al petto «Ollie, non posso essere la tua distrazione. Non sono un ripiego su cui far affidamento al bisogno, non sono quella donna che puoi amare a comando, “quanto basta”.» Fece una risatina sprezzante a queste ultime due parole, si sentiva offesa dal ragazzo che lei aveva amato per così tanto tempo e che, in un piccolo angolino del suo cuore, sperava di poter amare per sempre. «Mi rendo conto che sono sempre la seconda scelta, non avrò mai il primato su di te. Mi hai tradita così tante volte, che ormai ho perso il conto.» Oliver abbassò nuovamente la testa, non poteva certo darle torto. Era stato infedele ed egoista, ma aveva scelto di non esserlo con la persona che amava seriamente. A causa della vita che conduceva, era meglio non affezionarsi ad una persona alla quale poteva realmente tenere.
«Tommy ti amava. Eri da sempre la sua prima scelta, sarebbe morto pur di proteggerti.» Oliver volle mordersi la lingua, aveva appena detto una cosa terribile. Laurel sbuffò scuotendo il capo e si avvicinò alla porta della stanza per andarsene.
«Grazie per avermelo ricordato, Oliver. Da te non me lo sarei mai aspettato.» Girò il pomello e sparì nel corridoio bianco dell’ospedale, lasciando Oliver Queen a rimuginare sui propri peccati. Era davvero impazzito nelle ultime ore, come aveva potuto dire una cosa del genere a Laurel? Tommy era morto tra le braccia dell’amico e chi, meglio di lui, sapeva cosa aveva provato nel vedere l’anima di suo “fratello”, passare a miglior vita?
«Oliver…» una vocina piccola e bassa aleggiò nel locale. Felicity si era finalmente risvegliata e Oliver volle subito stringerle la mano, ma si arrestò in tempo, troppo convinto di essere il colpevole dell’accaduto.
«Ehi, ti sei svegliata. Come ti senti?» sorrise mostrando la sua solita faccia da poker, proprio la stessa che aveva sfoggiato sull’isola dopo aver rinchiuso Slade nei sotterranei.
«Credo… credo di essere stata perforata da qualcosa di pungente. Non sarà stata la tua freccia, vero?» Felicity respirò a fatica e poi le uscì un piccolo singhiozzò «Voglio dire, non la tua freccia… ma una delle tue frecce!» si lamentò, sia per lo sforzo fisico di parlare che le provocava un dolore immenso lì, dove c’era la ferita fresca, e sia perché ciò che stava dicendo non aveva alcun senso logico. Oliver rise sommessamente, con gli occhi lucidi per sentire che la sua Felicity non aveva perso quell’umorismo che la caratterizzava e che tanto gli piaceva. Si alzò, dimenticando completamente il perché non volesse farlo e si sedette appoggiandosi delicatamente sul lettino piccolo e freddo; prese la mano della ragazza nella sua e la strinse forte.
«Non sono state le mie frecce, Felicity. Gary Thousnader ti ha colpito con il suo serramanico e… mi dispiace, non volevo tutto questo.» Nella voce di lui, Felicity avvertiva dispiacere e rimorso ma ora ricordava cosa era realmente successo nel covo.
«Sai, è la seconda volta che salvo la vita ad una delle due sorelle Lance. Dovrei smetterla!» Ollie scoppiò a ridere, adesso un po’ più tranquillo, e strinse ancora di più la mano della giovane.
«Sì, lo penso anche io.» La guardò con le labbra tese in un sorriso sincero, ma poi la vide aggrottare la fronte preoccupata. «Che c’è?»
«John sta bene? Quel pazzo gli ha fatto del male?»
 «Shh… Dig sta benissimo, Thousnader stava solo recitando, non lo ha nemmeno visto.» Felicity tirò un sospiro di sollievo, ma fece una smorfia di dolore per quel semplice gesto. “Recitando”, a quanto pare nell’ultimo anno questa tecnica stava andando piuttosto di moda.
«Oliver, se non fossi stata così distratta ultimamente, forse tutto questo l’avremmo potuto evitare. Io…»
«Felicity. No, ti prego.» Oliver non poteva sopportare di sentirla prendersi la responsabilità di tutto. Lei era l’anima più pura e innocente che potesse esistere e non le avrebbe permesso di rimuginare e colpevolizzarsi su uno sbaglio inesistente. «Tu non c’entri nulla. Quello distratto ero io, pensavo ad altro.» Era curioso come entrambi si sentissero distratti da qualcosa, sia Oliver che Felicity erano torturati da un pensiero fisso che non permetteva loro di essere liberi. C’era qualcosa che li attanagliava.
«A cosa pensavi?» Felicity voleva sapere, probabilmente perché lei stessa era logorata dal ricordo del “ti amo”, ma dubitava che la distrazione di Oliver fosse la stessa. Lui le rivolse uno sguardo di ammonimento e con un gesto del capo le fece capire che stava chiedendo troppo.
«Felicity, il dottore ha detto che devi riposare. C’è tempo per parlare.» La ragazza annuì e si zittì. Come al solito, Oliver si stava chiudendo in se stesso, nascondendo ciò che davvero provava.
«Signor Queen? Le devo chiedere di lasciare la stanza della signorina Smoak, deve tornare a riposare e inoltre dobbiamo farle alcune analisi.» L’infermiera interruppe uno di quei momenti che, ormai, tra quei due erano sempre più rari. Stavano comunicando con gli sguardi e con i loro silenzi. Il ragazzo, colto alla sprovvista, assentì con il capo e ringraziò la signora per avergli concesso quei pochi minuti insieme all’amica.
«Non andartene.» Quella supplica della IT girl, lo fece sciogliere e sinceramente non aspettava altro che sentirselo dire.
 «Non andrò da nessuna parte.» Le sorrise fiero e a poco a poco si avvicinò alle labbra di Felicity. Sentì il cuore in gola per quel bacio imminente, ma Oliver cambiò idea all’ultimo secondo e spostò la propria bocca sulla fronte della biondina. Rimase a lungo a contatto con la sua pelle candida e quando, controvoglia, si staccò, deglutirono a fatica tutti e due.
«Aspetterò qui fuori, stai tranquilla.» Felicity non aveva alcuna forza per reagire, sentiva dolore ovunque e ancor di più al cuore.

 
 
   
 
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