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Autore: Jessy Pax    04/07/2014    5 recensioni
“Ti amo. Hai capito?”
Erano passati dodici mesi e settantuno giorni.
Felicity non aveva mai perso il conto da quella notte frenetica, non poteva permettersi di perdere nemmeno un minuto, le era indispensabile per tenere bene a mente che era stato solo un piano per incastrare Slade.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dinah 'Laurel' Lance, Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen, Roy Harper
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Angolo dell'autrice: Ed eccomi qui! Come promesso il 3° capitolo è pronto per essere letto!
Prima, però, voglio davvero ringraziare ognuna di voi che mi ha lasciato una bellissima recensione.
Non mi aspettavo affatto che la mia storia piacesse così tanto ed è inutile dire che sono davvero contenta. Per me è importantissimo sapere cosa ne pensate sui miei capitoli, mi permettono di migliorare giorno per giorno! E le vostre parole sono un grandissimo aiuto per la mia ispirazione!
Siete state davvero carinissime e dolcissime!
Ringrazio anche chi ha semplicemente visualizzato la storia senza recensirla, anche voi siete importanti!
Spero vi piaccia anche questo nuovo e, a quanto pare, tanto atteso capitolo. Non vi anticipo nulla o vi rovino la sorpresa!
Un bacio, Jessy!
Alla prossima! 





 
Spaventapasseri
 
 
 
«Non c’era bisogno di scomodare Roy, le mie gambe funzionano perfettamente.» Era passata una settimana dall’incidente avvenuto nel covo  tra Felicity e Thousnader  e la ragazza aveva voluto a tutti i costi andarsene dalla camera dell’ospedale dove era ricoverata fino a poche ore prima. Il medico era del parere che sarebbe stato più opportuno restare qualche giorno in più, sotto il controllo vigile e costante degli infermieri ma, Fel,  decretò che si sarebbe ripresa più in fretta tra le mura del suo appartamento che tanto amava. Oliver era in piedi vicino al portello posteriore della sua utilitaria e seguiva con occhi scrupolosi ogni movimento di Roy mentre aiutava Felicity ad uscire dall’auto prendendola tra le braccia; l’adagiò delicatamente su quella piccola e fastidiosa sedia a rotelle, Oliver si spostò per lasciare il passaggio ai due e successivamente aprì il porta bagagli per recuperare - e issare in spalla - i due borsoni di Felicity.
«Ma sei ancora cagionevole e non ho intenzione di farti affaticare inutilmente.» Oliver, nell’ultima settimana non aveva fatto altro che preoccuparsi per lo stato di salute di Felicity, tal volta risultò anche petulante per tutte le domande che le poneva, ma secondo lei, si comportava a quel modo solo per gli innumerevoli sensi di colpa che lo tormentavano. L’ex miliardario chiuse la sua auto nera e seguì i due giovani avanti a lui fino a raggiungere i gradini della casa di Fel.
Roy, facendo affidamento sulla propria forza, alzò la sedia a rotelle riuscendo a superare il primo gradino.
«Mio Dio, Felicity… sei davvero pesante!» Felicity scosse la testa alla battuta di Roy, sentendosi terribilmente a disagio. Essere sollevata da un ragazzino mentre costretta a restare ferma su un aggeggio del tutto inutile, per lei, era peggio che essere stata accoltellata. Sbuffò e portò una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio sinistro, sollevando gli occhiali per rimetterli in ordine e ripararsi così, con la stessa mano,  gli occhi dal sole di quel pomeriggio estivo.
«Sentito? Roy, davvero non serve, sto bene. Posso farcela…»
«Roy, finiscila. Felicity… sei pallida, non hai le forze necessarie. Smettila di fare i capricci e lascia che ti aiutiamo.» Intervenne Oliver divertito da Roy ma, celò a tutti i costi, quel sorriso che voleva prepotentemente affiorare sulle sue labbra.  Salirono tutti i gradini fino ad arrivare davanti alla porta dell’appartamento. Felicity alzò gli occhi per guardare il suo eroe con disappunto, evidentemente irritata dal fatto che la stesse trattando come una bambina di cinque anni. Era adulta, non aveva bisogno di una balia anche se affascinante come Oliver Queen!
Roy infastidito più degli altri, allargò le braccia con nervosismo puntando lo sguardo contro il suo amico. «“Aiutiamo”? Se non te ne fossi accorto, ti faccio notare che sto facendo tutto io. Che razza di bugiardo!» Sbuffò arrabbiato dando un colpo con il dorso della mano sullo sterno di Oliver, facendo rispondere quest’ultimo con una reazione pacata ma allo stesso tempo giocosa.  Ollie scosse la testa puntando un dito sul petto di Roy, scandendo al meglio le sue parole.
«Questo non è affatto vero, se tu non te ne fossi accorto, sto portando le sue borse. Il che significa che pesano almeno il doppio di Felicity!»
«Potreste smetterla di speculare sul mio peso? Qui c’è una ragazza bisognosa di aiuto…» La biondina stava assistendo ai loro battibecchi in silenzio, ma quando finalmente parlò, volle mordersi fortemente la lingua. Chiuse gli occhi disperata e sospirò grattandosi il capo.  
«Quindi ammetti di avere bisogno di noi?» Oliver non se lo fece ripetere due volte, non vedeva l’ora di mettere in difficoltà la sua partner solo per sentirsi dire di avere ragione. Piegò leggermente il busto quanto bastava per guardare dritto negli occhi chiari di Felicity, con un sorrisetto saccente stampato in viso; innervosendo maggiormente la ragazza.
«Sì. No… Non proprio. Oh, ma dai! Prendi le chiavi e zitto!» Felicity roteò gli occhi e con un cenno secco del capo, indicò l’entrata. Oliver sghignazzò muto, tornando ritto su se stesso. Aspettò che Roy entrasse per primo con la carrozzella per entrare insieme a loro.
«Signorina Smoak, bentornata a casa!» Il ragazzino  accese la luce dall’interruttore vicino la porta e spinse la ragazza fino al centro del grande salotto. «Ehi, bell’appartamento. Non è troppo grande per te sola?» Nessuno del team Arrow era mai stato nella casa di Felicity Smoak e alla IT girl, le parve come un’intrusione in quell’angolo della sua vita che, fino a quel momento, era sconosciuto a tutti. Annuì alla domanda di Roy e fece spallucce non sapendo bene come rispondere, non avendoci pensato mai granché su.
«Sì, forse è un po’ troppo grande, ma non sono abituata agli spazi piccoli. Mi fanno sentire a disagio.» Si guardò intorno come per dare conferma alla sua teoria e rivolse un sorriso dolce all’amico, ignorando completamente Oliver. L’unica persona che non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe messo piede nel suo appartamento. «Grazie Roy, sei stato davvero carino.»
«Di nulla, dolcezza. » Roy stampò un bacio sulla testa bionda della ragazza e con un movimento scaltro, si avvicinò al suo capo. «Oliver, vieni via con me?» Ollie sorrise come se qualcuno lo avesse riportato alla realtà. Era rimasto immobile prestando attenzione ad ogni particolare che caratterizzava quel salotto. Posò le borse a terra e si tolse il giacchino agganciandolo sull’appendi abiti dietro la porta; si spostò lateralmente per far passare Roy.
«No. Puoi andare, raggiungo te e Dig più tardi»
«Come vuoi amico. Ci vediamo!» Harper salutò entrambi alzando la mano e si chiuse il portone alle spalle.
Oliver e Felicity rimasero in silenzio, ascoltando il rumore dell’orologio appeso al muro che ticchettava impaziente. Ollie passò una mano dietro la testa e Fel prese quel gesto come “voglia di andarsene”.
«Non sei costretto a restare.» Iniziò lei decisa.
«Lo so. Non ho mai detto di voler restare.» Scontroso e maleducato, ecco come era stato Oliver Queen. Felicity, sconcertata e sorpresa, lo guardò in malo modo sollevando nuovamente le spalle.
«Okay. D’accordo. Ehm… allora cosa hai intenzione di fare qui?» Oliver mise le mani in tasca e per un breve attimo sembrò pensare realmente alla domanda che gli aveva fatto la biondina ma, preferì sorridere mostrando i denti.
«Hai fame?» Ed ecco che era tornato l’Oliver misterioso e disponibile. A Felicity le girò la testa per quel cambio repentino di comportamento e, poggiando le mani sui braccioli della sedia a rotelle, tentò di alzarsi.
«In realtà, devo fare pipì.» Riuscì a fare un solo passo, perché Ollie l’afferrò velocemente alla vita, nonostante Felicity si sentisse pronta e ben disposta a camminare. I loro occhi si incrociarono e Felicity distolse immediatamente lo sguardo, cercando di togliere le mani di Oliver da lei. «Oliver, non penso che tu voglia accompagnarmi in bagno e passarmi la carta igienica. Perché non prepari un panino al formaggio per entrambi?» Tornò a guardarlo con un leggero rossore in viso e, Oliver, corrispose lo sguardo intensamente. Felicity non riuscì a capire a cosa stesse pensando, ma le sembrò turbato da qualcosa che non comprendeva. Tolse, finalmente, le sue mani dal corpo di Felicity e tornò spensierato come prima.
«Ho ricevuto il tuo suggerimento. Hai bisogno di un po’ di tempo per te stessa. Vado a preparare la cena.» “Perspicace!” pensò divertita Felicity, annuì sorridente tirandosi su gli occhiali con l’indice, non sapeva come avrebbe fatto Oliver a orientarsi in cucina, non era mai stato prima nella sua casa e sicuramente gli sarebbe risultato difficile trovare il formaggio e tutti gli altri ingredienti. “Dovrò sicuramente aiutarlo” Felicity si trovò a pensare nuovamente, ma si diresse ugualmente in bagno per darsi una rinfrescata. Si spogliò di quella camicia da notte che ormai odiava e, di fronte allo specchio grande e luminoso, fissò il proprio riflesso. Era sciupata; delle violacee occhiaie le segnavano gli occhi, la sua pelle sembrava disidratata e i capelli formavano una massa bionda di nodi intrecciati. La ferita allo stomaco era coperta da una garza spessa e seccante, i punti le tiravano insistentemente e ci passò la mano cercando di alleviare quel prurito - nonché dolore - pungente. Si era piuttosto trascurata in quella settimana passata in ospedale e, forse, Oliver aveva ragione: era cagionevole e il viso pallido ne era una prova. Sospirò prima di lavarsi i denti, sciacquare il viso e bagnarsi il collo con un panno umido; si pettinò i capelli e li legò nella sua solita coda ordinata. Indossò un pigiama pulito e fresco sentendosi rigenerata ma si rese conto che, quel panino al formaggio, lo desiderava ardentemente. Chiuse la porta del bagno e lentamente raggiunse Oliver in cucina; lui non si accorse della presenza di Felicity e restò a guardare l’amico che armeggiava tra i fornelli accesi, costatando che, alla fine, non aveva avuto alcun problema ad orientarsi. L’eroe che tutti temevano e rispettavano, adesso sembrava solo un uomo da sposare, che preparava la cena per la donna che amava e se ne prendeva cura come se fosse la cosa più importante. Purtroppo, però, Felicity non era la donna che lui amava, era solo la sua partner, la sua complice. Era indispensabile per il team, ma non indispensabile per il cuore di Oliver Queen. La biondina smise di sorridere e abbassò gli occhi tristemente; ora ricordava cosa la spingeva ad essere distaccata nei confronti del suo capo: non poteva permettere di farsi calpestare il cuore proprio da lui. Non poteva fargli capire che ne era innamorata.
«Ti senti meglio?» Felicity sobbalzò e le uscì un respiro mozzato quando Oliver le rivolse la parola. Credeva che non se ne fosse accorto della sua presenza, ma si sbagliava. «Scusa, ti ho spaventata. Ma ormai sono abituato a captare ogni minimo rumore.» Le regalò uno dei suoi sorrisi comprensivi e le indicò il panino farcito nel piatto bianco sopra il tavolo.
«A volte dimentico che sei un eroe.» Felicity si rilassò di nuovo e si avvicinò al tavolino per dare un morso alla sua cena, togliendosi una briciola dalla guancia con il dito. «A volte semplicemente penso a te come ad un normale ragazzo e mi dimentico che sei Arrow.» Parlò a bassa voce, più a se stessa che ad Oliver ma questo sembrò sentirla ugualmente. Le poggiò una mano sulla spalla piccola e la strinse debolmente.
«Mi piace il fatto che tu pensi a me come ad un normale ragazzo. A volte non desidero altro che esserlo.» Felicity per poco non si strozzò con il proprio boccone e quando lo mandò giù con un sorso d’acqua, guardò Oliver con tenerezza.
«Tu, per me, lo sei sempre.» Di nuovo si scambiarono quegli sguardi carichi di sentimenti che nessuno dei due sapeva decifrare. Lui era perso negli occhi profondi di Felicity e lei, sapeva di poter morire in quel mare di ghiaccio. Oliver sospirò e tolse la mano dalla spalla di Fel,  prendendo entrambi i piatti con i panini.
«Perché non finisci la tua cena in camera? Lì starai più comoda, il tuo colorito mi sta preoccupando.» Si era già allontanato e Felicity non ebbe possibilità di ribattere, lo seguì in silenzio portando con se il bicchiere d’acqua e il cartone del latte, facendogli strada fino alla sua stanza.
Posarono la cena sul comodino lì vicino e la ragazza si stese sopra le lenzuola di cotone, prese atto che in una settimana, non aveva mai messo mano su un computer o accesso la TV satellitare. Rimediò subito, prese il telecomando e per prima cosa si sintonizzò sul canale delle news e Oliver si sedette sulla poltrona accanto al letto, curiosando le pareti della stanza di Felicity.
C’erano molte foto di lei piccola, di lei che giocava al mare, la sua prima recita scolastica, la sua laurea, il diploma; momenti della vita di Felicity immortalati in uno scatto eterno. Era da sempre stata una ragazza intelligente, sopra la libreria colma di libri, scintillavano alcuni dei suoi trofei più importanti: il primo posto alla gara di spelling, una medaglia d’oro come migliore studentessa al secondo anno di liceo, un’altra medaglia di bronzo per il secondo posto al concorso di poesia. La sua camera era un piccolo tempio. Oliver per un attimo si sentì invidioso e geloso della vita vissuta e passata dell’amica. Lui non aveva tutti questi ricordi fieri di se stesso, tutto ciò che poteva vantare erano le numerose ragazze avute, ma di certo, non erano minimamente paragonabili alle vittorie di Felicity.
«Il tuo sguardo sembra dire: “Felicity Smoak è una quattrocchi cervellona!”» Felicity scimmiottando la voce di Ollie, lo tirò fuori con prepotenza dai suoi pensieri orgogliosi. Lui scosse la testa incredulo e prese il panino addentandolo affamato.
«Cosa? No, niente affatto. Penso, invece, che tu sia una ragazza eccezionale, Felicity!» La inchiodò con lo sguardò e la biondina si sentì mancare il respiro. “Eccezionale”  L’aveva definita in quel modo già una volta, in un’altra occasione, quando lo aveva aiutato in uno dei suoi casi, ma adesso era diverso. Lui era diverso, Oliver  pensava e credeva in quel complimento, con tutto se stesso.   Felicity sorrise imbambolata e lasciò perdere il suo panino, avvertendo un leggero male allo stomaco; tornò a guardare la tv e sbadigliando si accomodò meglio tra i cuscini con una smorfia di dolore. Oliver senza dire nulla, finì la sua cena e causando diverse emozioni contrastanti in Felicity, si sdraiò accanto a lei, permettendole di poggiare la testa, sul suo petto robusto e muscoloso.
La circondò con un braccio e si schiarì la voce emozionato.
Nessuno dei due proferì parola. Alla ragazza le batteva il cuore all’impazzata e Oliver sembrava, nonostante tutto, a suo agio in quella situazione.
«Hai… hai detto che in questi giorni non hai avuto molto lavoro. Ti sei chiesto come mai?» Felicity cercò un argomento, un qualsiasi discorso pur di non crogiolarsi tra le braccia del suo capo, anche se, tutto di lei urlava di voler restare così, cullata in quell’abbraccio rassicurante e amorevole che l’avvolgeva totalmente. Era un’illusione, lo sapeva bene, Oliver lo stava facendo solo perché era un buon amico. Inoltre, lui stesso aveva detto che non era lì per restare e questo permise a Felicity di tornare nuovamente con i piedi a terra.
«Sì, ed è strano. Starling City non è mai stata così tranquilla come in questa settimana. Ѐ come se fosse  la quieta prima di una tempesta.» Oliver abbassò il viso per guardare Felicity e, dolcemente, prese ad accarezzarle i capelli raccolti nella coda. Fel chiuse gli occhi e trattenne il respiro, pervasa da un formicolio piacevole lungo le braccia e la nuca. Sembrava che vivesse in una bolla di felicità, tutto ciò non poteva essere reale; Oliver Queen nella sua stanza, non poteva essere reale!
D’un tratto, il notiziario in tv iniziò ad impazzare e la giornalista che prese a parlare, catturò l’attenzione dei giovani:

“Starling City, sembra che stia per cadere nuovamente nella morsa del terrore.
Paul Nolan, noto avvocato della metropoli, è stato ritrovato morto asfissiato nel bagno del tribunale.
A rinvenire il corpo è stata la sua collega Laurel Lance.
L’omicidio, pare sia stato opera di un nuovo criminale, soprannominato dalla polizia ‘Spaventapasseri’, a causa di una foto che lo ritrae mentre si aggira nei dintorni della scena del crimine.
Vi terremo aggiornati  sulla situazione.”


 
   
 
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