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Autore: Dracaryser    01/07/2014    1 recensioni
Un incontro con una donna dai capelli rossi che toglie il fiato e allo stesso tempo potrebbe essere l'unica in grado di aiutare la protagonista a respirare di nuovo.
Crossover tra Grey's Anatomy e Scandal, telefilm targati Shondaland. Il titolo di ogni capitolo è anche il titolo della canzone che consiglio di ascoltare durante la lettura dello stesso.
Dal testo:
"Decisi di abbracciarla e lei si fece piccola piccola.
Le asciugai le lacrime, lei chiuse gli occhi e il viso le si fece più sereno. Passarono i minuti e lei smise di piangere, ma nessuna delle due aveva intenzione di rompere il silenzio. Guardai i suoi capelli, le sue guance, le sue caviglie e una cosa mi fu chiara: sarei andata all'inferno per proteggerla."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Il caffè della macchinetta aveva un sapore orribile, niente a che vedere con l'Espresso italiano, e ancora dopo cinque anni, non mi ero abituata a quell'aroma.
Tuttavia, frastornata e ferita dalle parole di Abby, attendevo che l'erogatore versasse in un bicchiere di carta quel liquido marrone e mescolai con la bacchettina in plastica lo zucchero versato in abbondanza per coprire il cattivo sapore di quella pseudo-bevanda alla caffeina.

Alle otto del mattino l'ospedale si trovava nel pieno della sua attività: gli specializzandi iniziavano il giro con i propri mentori, gli inservienti setacciavano i piani in cerca di mansioni da sbrigare, i pazienti si preparavano alle terapie o agli interventi cui si sarebbero sottoposti di lì a poco,
io avrei dovuto seguire i post-operatori del primario di cardiochirurgia.

Diedi un'occhiata al mio orologio da polso rosso e mi affrettai a bere il mio caffè per non adempire ad i miei incarichi in ritardo.

Mentre passavo da una stanza all'altra dei pazienti che il Dr. Jeff Russell mi aveva assegnato ripensavo a ciò che era accaduto.

Non c'erano grandi misteri da risolvere, lo avevo da sempre saputo e in ciò non potevo biasimarla, mi aveva dato sempre poco ed ero stata io ad aggrapparmi con le unghie e con i denti a quel centesimo di Abby Whelan che lei mi aveva concesso.
Però non avrei dovuto smettere di lottare, per me ma anche per lei, che era debole, e che prima o poi avrebbe avuto bisogno di me.

 

Risistemai il camice ospedaliero dell'ultimo dei miei pazienti, sfilai i guanti in lattice che avevo utilizzato per controllare che la ferita si stesse rimarginando e li gettai nel contenitore.

Appena fuori dalla stanza, sfruttando quel poco tempo libero che avevo cercai Meredith.
Il suo nome sul tabellone non appariva prima di un intervento fissato per le dieci.

-"Meredith!" Esclamai, facendo in modo che mi sentisse dal fondo del corridoio.

Mentre percorrevo quei venti menri realizzai che non avevo mai pronunciato il suo nome, ma che mi ero rivolta a lei solo con 'Dottoressa Grey'.

-"Dimmi." Rispose lei stranita dal mio approccio, inusuale da parte mia, manifestando la sua curiosità strizzando gli occhi.

-"Se non è un problema vorrei accettare il tuo invito. Sono molto curiosa, soprattutto di assaggiare il rinomato tacchino del Ringraziamento. Se l'invito è ancora valido.." Quasi supplicai, sperando di non sembrare disperata quanto effettivamente ero.

-"In realtà non sarò nemmeno io a cucinarlo, ma l'invito è ancora valido. Puoi portare chi vuoi.." Si interruppe un attimo, capendo che si stava addentrando in un territorio ostile, poi riprese a parlare:

-"Potresti chiedere al nuovo avvocato, vi vedo spesso insieme, credo siate amiche, o magari mi sbaglio. Ad ogni modo, ti aspettiamo per le cinque e trenta, ti invierò un messaggio con l'indirizzo."

Ringraziai e la salutai, sedendomi in sala d'attesa, come per riposarmi dopo quell'enorme sforzo.
Poggiai il gomito sul bracciolo della sedia ed il mento sul palmo della mano, guardando le persone che rappresentavano il cuore pulsante dell'ospedale e sentendomi grata di avere la possibilità di stare in quel posto.


Attesi con ansia quel quarto giovedì di novembre, e nonostante la temperatura fuori raggiungesse spesso temperature molto basse, dentro di me sentivo una nuova forza divampare.

Stavo per partecipare ad una cena a casa di uno dei membri del consiglio dell'ospedale.

Mi chiesi, mentre seduta sul letto consultavo l'interno dell'armadio, perchè mai fossi stata invitata.
Supposi che dopo la partenza di Cristina Yang, chirurgo che io conoscevo solo di fama, trasferitasi in Svizzera poco prima del mio arrivo, Meredith stesse ancora cercando qualcuno che le somigliasse e, più volte, era stato detto dai colleghi riferendosi a me :"E' come se la Yang non fosse mai andata via."

 

Provai diversi indumenti e scarpe finchè la mia camera da letto non sembrò un outlet al termine dei saldi.
Nessuno dei vestiti mi sembrava adatto, poco o troppo elegante, troppo aderente o troppo coperto, scarpe troppo basse o troppo alte. Fui tentata per un attimo di dare buca, ma mi ricordai finalmente di un vestito nero lasciato in lavanderia qualcosa come cinque mesi prima e mi precipitai in macchina.

Il traffico in strada era provocato da persone che, come me, in uno dei giorni più importanti per il popolo Americano, avevano rimandato o dimenticato qualcosa.
Procedetti meccanicamente in quelle arterie ostruite e quando mi ritrovai davanti il negozio di fiori di Cleo mi si strinse il cuore nel petto.
Fortuna volle che fosse chiuso in quel giorno di festa e così fui in grado di proseguire e riprendere il mio vestito, lo indossai, e con esso delle scarpe nere con il tacco.

Passai le mani tra i lunghi capelli castani così da districare i ricci e spostarli tutti da un lato.

Non mi ero mai intesa di moda o bellezza, e quel poco che stavo mettendo in atto lo avevo imparato da mia sorella da ragazza.

Finito il trucco mi controllai allo specchio e a stento riconobbi la persona che mi restituì lo sguardo.
Sorrisi compiaciuta e feci un giro su me stessa, per quel giorno avrei potuto accantonare i miei problemi e le mie sofferenze dai capelli rossi.


Rischiai di perdermi una o due volte.
La casa di Meredith e Derek Sheperd si trovava su una collinetta in periferia, circondata da alberi e rilievi. L'esterno, di legno e pietra, ben si conciliava con l'arredamento moderno all'interno dell'abitazione. Mi feci strada sul viale di ciottoli e quando suonai al campanello Zola, la figlia maggiore dei coniugi Sheperd mi aprì la porta.

Fui invidiosa di quella casa e dell'atmosfera. Foto di parenti ed amici spuntavano su ogni mobile ed ogni parete, disegni di bambini appesi al frigo, piante rigogliose adornavano tutti gli angoli e le risate dei colleghi giungevano alle mie orecchie.
Avevo da tempo rinunciato alla possibilità di creare tutto ciò e mi ero rassegnata, ma in quel momento, quella possibilità sembrava ritornare.

Ero in una stanza piena di medici e, se solo lo avessi voluto, di amici.

Ma poco prima della seconda portata il mio cellulare suonò.
Già sapevo chi fosse e sfiorai lo schermo in corrispondenza della notifica sulla casella dei messaggi convinta di leggere uno dei soliti messaggi di Cleo, ma non lessi di rose, margherite o orchidee.

Al contrario, il messaggio era da parte di Abby.

Puoi aiutarmi?
Casa mia.

Mi gelò il sangue nelle vene, controllai il cerca-persone ma non avevo ricevuto alcuna chiamata e, dall'assenza di quel suono a intermittenza, supposi che nemmeno le persone che mi circondavano erano desiderate.

Lasciai la tavola, mi scusai dicendo che avevo ricevuto una chiamata dall'ospedale e me ne andai.

Giunta davanti casa di Abby, che non avevo mai visitato, ma della quale conoscevo l'indirizzo perché una volta le avevo dato un passaggio, bussai più volte ma non ricevetti risposta.
Esitai per un po' e poi entrai. Mi guardai intorno e chiamai il suo nome ma il silenzio sembrava essere l'unico inquilino di quella casa apparentemente vuota.
Finalmente aprii la porta di una stanza. .

Rimasi ferma sull'uscio, aspettando di ricevere risposta da quel corpo raggomitolato su se stesso all'interno della vasca da bagno.

Poggiava la guancia destra sulle ginocchia e cingeva le gambe con le lunghe e bianche braccia.
Guardò verso di me ma il suo sguardo sembro passarmi attraverso.

Tolsi le scarpe per evitare di cadere e andai verso di lei, immersi una mano nell'acqua che si rivelò essere gelida.

-"Da quanto tempo sei qui dentro?" Chiesi, senza aspettarmi una risposta.

-"Due ore, o forse tre. Non riesco ad uscire, puoi aiutarmi?" Mi rispose con una voce tanto flebile che mi sembrò di averla immaginata.

Cercai una tovaglia nell'armadietto e con molta indiscrezione la tirai fuori dalla vasca da bagno e la coprii. Con un'altra le tamponai i capelli umidi e il viso, eccessivamente pallido.
La accompagnai in camera e preparai del tè.

Sorseggiava estremamente piano, e temevo che svenisse dopo ogni sorso.
Era ancora una volta priva di difese e vulnerabile, mentre io ero colei che la stava salvando, di nuovo.

A poco a poco il suo viso divenne roseo e mi dovetti trattenere dall'accarezzare le guance.

-"Mi dispiace di averti interrotta." Disse alludendo al mio abbigliamento.

Io non risposi. Delle scuse non sarebbero bastate e lei lo sapeva.

-"Non è così che funziona. Non appaio quando vuoi tu. Tu lo sai, hai visto che la mia vita non è piena di persone care, sai della mia difficoltà a legarmi e a fidarmi ma hai preferito tagliare i ponti.
So che hai paura di mostrarti così, e che se non lasci che le persone si avvicinino non possono ferirti, ma devi decidere.
So anche cosa vuol dire scambiare le tue paure, i tuoi respiri, la tua pelle con qualcuno ed ho paura anche io. La scelta sta a te, possiamo essere sconosciute o amiche."
'Amiche'.
Quella parola mi si bloccò in gola e feci fatica perfino a pronunciarla, ma le stavo dando un'ultima possibilità ed ero consapevole del fatto che non avrei avuto niente più di quello.

-"Non ho paura di mostrarmi debole, vulnerabile e indifesa. Non è essere ferita che mi fa paura, a quello sono abituata." Si fermò un attimo e si strinse nella tovaglia, per poi riprendere:

-"Quello che mi fa paura, che mi ha terrorizzata a tal punto da chiederti di allontanarti è stato ciò che ho provato quando sul tuo divano mi stringevi a te e accarezzavi i miei capelli così dolcemente. " 

  
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