6. Su e giù per la Terra
di Mezzo (ovvero: cosa successe mentre…)
Buck non seppe bene quanto tempo passò
in quello stato di trance, ma aveva la netta sensazione che fosse stato un
periodo lunghissimo, quasi quanto un coma. Ogni tanto, tra la nebbia soffocante
che tentava di espugnare la sua mente, si rendeva vagamente conto del continuo
passare del tempo, ma sapeva di non poter fare assolutamente nulla per
fermarlo. D’altronde svegliarsi era troppo difficile e gli pervenivano solo
poche e sfocate immagini, simili a cartoline, dal mondo reale, che seguitava a
scorrere, mentre lui vagava nel limbo. Buck, in quella strana specie di coma in
cui era caduto da quando quel Goblin di tre tonnellate gli si era abbattuto
addosso, quando non era oppresso dalla nebbia e dall’oscurità, faceva strani
sogni, che però non sapeva discernere da quei pochi sprazzi di realtà. Una
volta, ad esempio, aveva sognato, o forse l’aveva vissuto veramente, non sapeva
spiegarselo, di trovarsi in una strana foresta tra gli Elfi, in una contrada
chiamata Lorien. Lì si trovava davanti ad una specie di vasca per gli uccelli,
in cui però si riflettevano strane immagini lontane nel tempo. Ma, no, che
stupido! Quella vasca, quella strana cosa simile ad uno specchio d’acqua, non
era altro che un televisore al plasma ultima generazione, sul quale qualcuno
era intento ad eseguire una complessa operazione di zapping. E anche lui, Buck,
quel povero orsetto speciale, voleva vedere in tv l’ultima partita del
campionato, ma, per sua sfortuna, non riusciva a trovare il telecomando di
quello strano apparecchio, ovunque guardasse. In più, a complicare le cose, ci
stava una vecchia e bionda megera vestita di bianco, simile a un’Elfa, forse,
che seguitava a volerlo allontanare da quello che lei chiamava “il mio specchio
delle visioni”, prendendolo a calci e pungi. L’ultima cosa che Buck notò, prima
che quello strano sogno riguardante quella strana terra chiamata Lorien
svanisse per lasciar di nuovo posto alle tenebre, fu che la megera portava al
collo un medaglione d’argento, con su inciso quello che doveva essere il suo
nome: Galadriel.
Intanto che Buck perseverava a rimanere
immerso in quello stato di semi-coscienza, erano molte le cose importante che
stavano accadendo attorno a lui, a partire dal proseguimento del viaggio sul
fiume Anduin, il più melmoso di tutta la Terra di Mezzo. E, mentre lui dormiva
nello zaino di Frodo, non si accorse nemmeno dell’attacco degli Orchetti di
Saruman, dell’uccisione di Boromir (accidenti, non aveva neanche avuto il tempo
di salutarlo!), del rapimento di Merry e Pipino, che frignavano come poppanti,
e della brusca divisione della Compagnia dell’Anello. Lui era ora in cammino
con Sam e Frodo verso Mordor, attraverso uno schifosissimo massiccio roccioso
in cui l’unico segno di civiltà erano dei vecchissimi cartelloni pubblicitari
dei bastoncini Findus. Aragorn, Gimli e Legolas, invece, erano corsi
all’inseguimento degli Orchetti per salvare i due fratelli. Ah, Gandalf era
inciampato in un burrone a Moria e tutti l’avevano creduto morto, quando
invece… ma lo vedremo dopo. Mentre per l’orsetto, Frodo e Sam il viaggio si era
rivelato lungo, difficoltoso e soprattutto noioso (ma tanto Buck dormiva…), per
gli altri, invece, fu tutto un susseguirsi di avventure tra le più
straordinarie. Merry e Pipino si persero in una foresta oscura, dove furono
accolti da una banda di manifestanti di Greenpeace vestiti da ortaggi, che si
facevano chiamare Ent e si battevano per la protezione delle foreste. Aragorn,
Legolas e Gimli, nella loro corsa per salvare gli Hobbit, avevano rincontrato
Gandalf, assunto come cameriere in un famoso pub di Rohan. L’avevano, quindi,
costretto a seguirli nelle loro avventure, arrivando a rompere le balle al re
di Rohan in persona, che continuava ad insistere perché Aragorn sposasse sua
nipote, quella bruttissima cozza di Éowyn. Ma il cuore del prode eroe era tutto
per la sua bella Arwen, e quindi dovette rifiutare. Tutti furono, quindi
coinvolti in un epica battaglia contro il malvagio mago Saruman, riportando la
vittoria dopo una lunga partita a scacchi. Infine, un’altra guerra aveva
sorpreso Aragorn, Gimli, Legolas, Gandalf, Merry e Pipino, quella di Minas
Tirith, a Gondor. Ma, come disse Micheal Ende, questa è un’altra storia e dovrà
essere raccontata un’altra volta.
Ci basti sapere che, sebbene si trovasse
ormai a molte leghe di distanza, Buck era ancora in grado di mettere nei guai i
suoi ex compagni si ventura. Accadeva infatti che, mentre l’orsetto, Frodo e
Sam continuavano a marciare verso al terra nera, nel punto nevralgico della
battaglia di Gondor, nella quale le forze occidentali del Bene si scontrarono
violentemente con quelle orientali del Male (i soliti kamikaze!), che Buck
avesse dimenticato nello zaino di Pipino un oggetto di notevole importanza e di
altrettanta capacità distruttiva. Si trattava, infatti, di un convertitore
supersonico, che era stato regalato all’orsacchiotto da ET quando si erano
incontrati a Hollywood (è una lunga storia). Il convertitore supersonico è un
piccolo utensile, simile a un telecomando universale, in grado, però, se
acceso, di trasformare la cosa a cui si sta pensando in qualcosa di impensato e
totalmente diverso, il che faceva sì che fosse un ottimo utensile per gli
scherzi. Ma però quel macinino, se caduto nelle mani sbagliate al momento
sbagliato, avrebbe potuto causare un sacco di guai. Ed è esattamente ciò che
successe…
Imperversava la battaglia. Minas Tirith,
la bellissima città di Gondor che risplendeva come un gioiello di marmo bianco
nella pianura del Pelennor, era assediata dalle forze oscure di Sauron: Orchi,
Orchetti, Goblin, cecchini, Lupi Mannari, fantasmi, scheletri, kamikaze e tutto
il resto erano ormai alle porte, pronti ad uccidere chiunque si parasse sulla
loro strada. La battaglia era durata per tutto il giorno e alla sera ancora
infuriava. Il clangore delle armi e le urla degli agonizzanti non avevano avuto
pausa da quella mattina e tutto ciò spaventava Pipino peggio delle parate di
mostri ad Halloween. Il povero Hobbit, armato di tutto punto, se ne stava
accovacciato in un angolo, lasciando agli altri il compito di tentare di
difendere al città. Raggomitolato lì come un cane con la coda tra le gambe, il
povero Pipino piangeva come un bambino, pregando che il clamore delle armi, che
tanto lo spaventava, cessasse all’istante. Cercò di distrarsi, frugando nel suo
piccolo zainetto che, con lui, aveva percorso tanta strada dalla Contea fin lì.
E fu proprio in quell’occasione che trovò il convertitore supersonico di Buck.
«Uh, guarda, un telecomando!» si disse,
rigirandoselo tra le mani. «Chissà come c’è finito nel mio zaino; non l’ho mai
visto prima… A cosa potrà mai servire?».
Si mise così a giocherellarci, tanto per
cercare di allontanare la paura della battaglia che gli colmava il cuore. Il
rumore delle armi, quell’insopportabile rumore metallico, gli riempiva le
orecchie e non riusciva proprio a toglierselo dalla mente. Pipino fece
volteggiare in aria lo strano oggetto, riprendendolo al volo, lo osservò con
attenzione e si mise a schiacciare quattro tasti a caso, sicuro che non sarebbe
successo nulla di nulla. E invece…
Con un vellutato puf! le armi, il cui
rumore terrorizzava l’Hobbit, di tutto l’esercito di Gondor, ma non di quello
avversario, si tramutarono all’istante negli oggetti più insperati. Al posto
delle loro solite lame mortifere, delle spade pesanti, delle lance dalla lunga
ombra, delle mazze e degli scudi, degli archi e delle frecce, i soldati
all’improvviso si ritrovarono in mano palloncini colorati, cuscini a forma di
cuore, mestoli e cucchiai, sveglie, portamatite, teiere e caffettiere, tutti
oggetti più che inutili in battaglia. Si può solo immaginare l’espressione di
stupore e rabbia che si dipinse repentinamente sui volti dei guerrieri, nel
vedersi reggere in mano, al posto della famigliare spada, una graziosa Barbie
vestita da sera. E altrettanto facilmente si possono presumere le risa rauche
che riecheggiarono tra l’esercito avversario, vedendo i loro nemici così
ridotti in brache di tela.
E proprio lì, sulle mura, mentre
fronteggiava un enorme Troll assetato di sangue, dall’aspetto ripugnante e
armato di un’enorme mazza chiodata, Gimli, reggendo una teiera in porcellana
stile Nonna Papera, pigolò: «Una tazza di tè?».
Un ringraziamento particolare a Ceci Princessofbooks: grazie per essere sempre entusiasta di questi capitoletti dimmerda XD sì, in effetti non so da dove siano sbucati fuori chi Orchetti con il tutù rosa e gli hobbit con le padelle, ma credo che "l'allucinazione da cannabis" abbia contribuito parecchio alla creazione di questa storia XDXDXD io la cannabis, la marijuana, il crack, le anfetamine e tutto il resto ce le ho nel DNA (e si vede che mi stanno rosicchiando il cervello sìsì) XDXDXD Ciao e grazie 1000000000000000 ancora e ancora!