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Autore: Proiezioni    02/07/2014    12 recensioni
Serie oro
Trunks, ormai uomo adulto nonchè imprenditore a capo della sua azienda, racconta della sua famiglia col senno di poi... Alla gente sembravamo un famiglia strana. In effetti lo eravamo, tuttavia rimanevamo assemblati perfettamente.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bra, Bulma, Trunks, Vegeta
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie SILVER'
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 Le confidenze del silenzio.

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Mio padre era un uomo molto particolare. Non era un terrestre, non propriamente e nel vero senso del termine. Lui era un saiyan, una razza dello stesso ceppo di mammiferi a cui appartenevano gli uomini della Terra. I geni dei saiyan e dei terrestri potevano essere assemblati nell’accoppiamento, perché ciò che distingueva i primi dai secondi era solo la forza ed il temperamento, un gene che rendeva diverse le potenze muscolari, il metabolismo, favorendo la mutazione in scimmia. Tuttavia il numero di cromosomi era identico.

Mia madre, scienziata molto importante nel settore tecnologico e leader di un’azienda tra le più conosciute della Terra, si era innamorata di lui al tempo in cui mio padre era reduce da una lunga guerra, mercenario dal comportamento abbietto e uomo temuto in lungo e in largo per le basi aliene dove aveva vissuto la sua adolescenza. Un condannato agli occhi di tutti, lui, che da quelli di mia madre invece era stato redento nell'illogica follia d'amore, o per qualche motivazione che il senso non lo trovava, perchè in certe circostanze solo la chimica può spiegare con le sue leggi - ed era stata proprio mia madre, la donna romantica e sicura di se stessa ad avermelo detto. La loro storia per gli altri era strana e loro due troppo diversi, ma erano stati gli impulsi a legarli. Impulsi molto forti. -. Mio padre era andato via mentre io stavo nascendo, ci aveva lasciato, ma poi era tornato e mia madre non gli aveva rinfacciato niente, non ne aveva avuto il bisogno. Lei mi aveva raccontato anni dopo che mio padre aveva solo provato a scappare, che aveva tentato di tornare quello che era stato un tempo e aveva fallito, perchè io ero troppo importante e lui troppo orgoglioso per dirlo. Lei lo aveva amato troppo per voltargli le spalle, lo aveva conosciuto troppo profondamente per dimenticarlo, per questo lo aveva voluto ancora, senza paura, persino con rabbia, ma di un amore che era parso ad ogni amico assurdo, inconcepibile, disdicevole. Come si poteva amare un guerriero brutale, un mercenario scaltro che aveva seminato attorno a sé solo morte? Che ci aveva lasciati, che si era votato solo alla guerra... Lui, principe fiero ed orgoglioso di un’antica stirpe di guerrieri temuta e rispettata in ogni meandro dell’universo, seminatore di guerre e di paura, accolto e amato da una donna che fino a pochi mesi prima avrebbe ammazzato senza rimorso. Lui, mio padre, quello a cui nessuno osava mancare di rispetto.

Mia madre – intessendo i ricordi del passato con parole frementi di una tacita emozione ancora persistente nel tempo, aveva raccontato con sfolgorio negli occhi di loro , di noi- lo aveva ospitato a casa offrendogli una dimora temporanea, sedotta dalla sua bellezza grezza, dal suo silenzio opprimente e dallo sguardo tormentato. Sembrava un uomo provato - mi aveva detto - , ed invero lo era. Ma quello stato di temporaneità era mutato, come del resto nella vita muto tutto, in uno stato perenne: nonostante le sue stranezze, le dipartite da casa improvvise, le assenze per allenarsi o solo per corroborarsi nella misantropia del suo strano modo di essere, mio padre tornava sempre indietro, a casa. Non che facesse ricomparsa con delle rose né tantomeno con un sorriso stampato sulla faccia. Rincasava con tranquillità, con finta indifferenza, con fierezza e superiorità senza salutare nessuno. E mia madre lo aspettava come io lo aspettavo pieno di speranza. E ora sono certo tornasse sempre e innanzi tutto per lei.

Percorreva di nuovo i corridoi con passo lento, cadenzato, quasi militaresco, guardandosi attorno con calma come volesse cogliere se tutto fosse al proprio posto così come quando era partito, perchè in fondo non era poi estraneo totalmente alla vita della nostra insolita famiglia, e la prima cosa che faceva era cercare mia madre, sempre in silenzio, sempre composto. E quando la trovava per un attimo la guardava negli occhi poggiato allo stipite della porta con una serietà strana e profonda, senza mai un sorriso, e le iridi scure si attaccavano su di lei con un'intensità così divorante che io piccolo, dall'esterno, non avrei voluto essere al suo posto.

Era il suo modo di salutarla, di dirle sono tornato...

Le prime volte, al tempo in cui avevo iniziato a fare le domande tipiche dei bambini di quattro anni e poi a comprendere il peso della sua assenza, ero convinto che ci avrebbe abbandonati, ma poi in me una strana e imperitura sicurezza mi aveva rasserenato convincendomi che lui sarebbe tornato prima o dopo, che fosse decorsa una settimana, un mese o due giorni io lo avrei visto percorrere il ciottolato di casa o riaprire una finestra all'inverso. Mia madre aveva rafforzato le mie certezze e lenito i miei dubbi infantili col tempo e la pazienza, perché lei conosceva qualcosa di lui oscuro ad ogni altro, persino a me che ero suo figlio. All’epoca non sapevo cosa condividessero e quanta intimità tra loro ci fosse, non potevo dare contorni neppure sfuggevoli a mio padre nel letto di mia madre, il suo corpo nudo intrecciato al suo così esile, magari a sussurrarle con quel suo tono serio e profondo parole segrete, troppo loro per poter essere ipotizzate dalla mia mente estranea al loro rapporto intenso e burrascoso, di sicuro bollente come i loro temperamenti, e avrei potuto giurare - infantile com'ero del resto - che si volessero bene così, limitandosi a discutere e a parlare come due conoscenti, e magari a dormire nella stessa stanza senza fare altro. Non avevo mai visto mio padre, quel guerriero indomito e duro, elargire un gesto di affetto. Non gli aveva mai sentito dire cose carine verso di noi nè tantomeno rivolgersi a lei che era sua moglie con l'atteggiamento di un amante, ma coglievo il suo rispetto nei suoi confronti, la stima che provava verso quella donna che gli teneva testa, e per contro leggevo negli occhi di mia madre una determinazione a stargli accanto che mi levava le parole di bocca: non aveva avuto mai paura che lui se ne andasse? Era sempre così serio e silenzioso, così autoritario e impenetrabile. Sembrava essere in grado di insinuare timore persino nei muri che gli erano attorno. Io lo avevo temuto, i nostri amici lo avevano temuto e persino gli estranei che lo incrociavano si sentivano a disagio quando lui era nei paraggi, ma non mia madre. Lei non aveva mai avuto paura del suo sguardo. Invero gli aveva sempre parlato come se di lui conoscesse ben altro, rivolgendogli la parola con confidenza, con schiettezza che io non osavo neppure immaginare di usare, e ovviamente era così: ero io, eravamo noi, noi altri, a non conoscere l'altra faccia del suo volto, il viso che lui celava dietro l'austera maschera e che mia madre invece scorgeva quando quella maschera gliela sfilava, e non so in che modo ma di sicuro con suadenza, con quell'abilità che proviene da un potere tutto femminile, perchè sapeva come irretirlo, come fregarlo, e a me sembrava assurdo - ed in parte ancora adesso mi appare quasi bizzarro - che lui le cedesse, che sapesse dimostrarle con le mani e con la bocca quanto la amasse. Era stato un sanguinario, mio padre, era nato per essere una macchina da guerra che proprio non sembrava a proprio agio nell'elargire un abbraccio. Aveva un nome, un nome importante che faceva anche tremare e che invece mia madre pronunciava con gentilezza. Lei gli sorrideva, lo faceva spesso anche dopo averci litigato come fosse un uomo qualunque, come non fosse la belva che in fondo mio padre era, e lui non ricambiava il suo sorriso ma gli leggevo negli occhi quello che oggi so essere un sentimento forte, importante più di una sola voglia d'amante. Il sorriso di mia madre gli piaceva, lo rabboniva come un sedativo, gli entrava dentro e dentro esplodeva: lui ne era geloso, non lo diceva nè in apparenza lo apprezzava, forse lo disprezzava più concretamente, ma nonostante tutto lo custodiva e io ho imparato a capirlo, perchè mio padre sapeva esprimersi molto bene con la forza dello sguardo e il suo silenzio talvolta urlava parole che solo noi intimi riuscivamo ad udire chiaramente. Sono questi i segreti di famiglia del resto, il potere dei legami di sangue che ci inchiodano l'uno all'altro anche quando il collante è rabbia, non solo amore, paura, rispetto. E io li avevo provati tutti. Avevo vissuto tutti quei sentimenti mentre cercavo di conoscere mio padre, di farmi spazio nella sua oscurità cercando di sondarla, di non perdermi insieme ai dubbi del bambino e dell'adolescente che ero stato.

Poi un giorno di inverno mentre la pioggia rendeva fangoso il giardino, la nebbia si addensava sulla strada ed io giocherellavo con la penna senza riuscire a concentrarmi, osservando l'incedere del grande guerriero che mio padre era, avevo compreso in silenzio tutto quello che a voce non poteva essere detto, spiegato, raccontato. Guardavo mia sorella tornare di corsa con quel modo impacciato di camminare da infante, e mio padre starle dietro tranquillo, senza cercare riparo nell'ombrello, tenerla d'occhio mentre rincasava ridendo al vocio di mia madre che le ordinava di sbrigarsi: era ancora un bell'uomo, non era invecchiato, e nonostante tutto non aveva mai cercato un'altra donna. Era stato un compagno molto fedele, mia madre diceva che lo avrebbe potuto lasciare circondato da belle donne senza temere un suo tradimento. E sembrava strano ma era vero. Per mio padre le altre donne non esistevano, non le degnava neppure di uno sguardo che non fosse puramente valutativo. E allora avevo iniziato a capire, avevo percepito le strane confidenze del silenzio, sembrava fosse stata proprio quella pioggia a sussurrarle. Avevo compreso il loro segreto e lo avevo iniziato a custodire come quanto di più prezioso esistesse: mio padre non lo diceva, ma mi amava, come del resto amava in una maniera smisurata ed orgogliosa mia madre. Il suo sacrificio contro MajinBu mi era rimasto dentro, mi aveva lacerato e rafforzato allo stesso tempo, rendendomi fiero di essere suo figlio nonostante mio padre vantasse un curriculum abbietto e deprecabile che al tempo ignoravo: allora ero troppo piccolo per sapere cosa lui avesse fatto, ma quando ne ero diventato cosciente non avevo smesso di adorarlo. Mi era bastato sentirgli raccomandare a me, piccolo uomo che doveva crescere, solo una volta nella vita le cure materne ed era stato come se mi avesse rivelato tutto ciò che non aveva mai detto. Mio padre era scorbutico, vantava un pessimo carattere, i rapporti sociali e familiari per lui erano come acqua e olio a contatto, eppure possedeva il dono di ottenere un grande risultato con un solo piccolo gesto. Il suo amore per me e per mia madre era ineguagliabile, e anche nell'ultimo momento della sua vita, pieno di fierezza e di voglia di andare in battaglia, senza paura di morire, aveva conservato nel cuore il sorriso di mia madre, quello che si custodiva dentro, che non ricambiava mai... Quello che io sapevo conservava in sè con riserbo, gelosamente. La sua bocca taceva, non esternava mai il suo affetto nei nostri confronti come se lo temesse, ma i suoi occhi ardevano di una verità bruciante quando compariva di nuovo da una delle sue improvvise assenze e ci rivolgeva lo guardo: eravamo la sua condanna, glielo leggevo negli occhi, ma eravamo anche la casa in cui ritornare di punto in bianco senza dare spiegazioni a nessuno, atteso da tutti con il sorriso sulle labbra, e nonostante l’autorità severa con cui mi educava e l'insofferenza con cui trattava mia madre in apparenza, ci era legato distruttivamente.

A mia madre legato con il cuore, con la parte più pulsante e infuocata della carne, e a me e a mia sorella legato con il sangue. In ambo i casi, tuttavia, rimaneva legato in maniera irreversibile a quella che era la sua famiglia.

Lo avevamo cambiato. Non poteva più tornare indietro pur desiderando essere ancora libero come lo era stato un tempo. So bene che per lui eravamo come catene, e che i saiyan sono troppo impavidi e selvaggi per tollerarle.  

 

 

Continua…

  
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