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Autore: Proiezioni    08/07/2014    7 recensioni
Serie oro
Trunks, ormai uomo adulto nonchè imprenditore a capo della sua azienda, racconta della sua famiglia col senno di poi... Alla gente sembravamo un famiglia strana. In effetti lo eravamo, tuttavia rimanevamo assemblati perfettamente.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bra, Bulma, Trunks, Vegeta
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie SILVER'
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Preciso che questo breve racconto si colloca nella serie Z ma anche in universo what if, poichè ci sono riferimenti astratti ed ipotetici non trattati da Toryama, poichè la serie Z finisce quando Bra ha circa 6 anni ed io mi sono divertita a fare allusioni su possibili e poco chiari risvolti del loro futuro .

Buona lettura!

2.

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Mio padre aveva fatto la guerra. Noi non l’avevamo fatta. Era questa la differenza che ci rendeva così diversi e che si coglieva nelle sfumature indurite del suo carattere: i dolori interiori, le botte, la rabbia, la sete di vendetta e di gloria avevano ulteriormente rafforzato una corazza di orgoglio che fin da bambino aveva caratterizzato il suo carattere - era stato lui ad avermi rivelato qualcosa di quando era stato un infante, dipanando la totale oscurità che gravava sul suo passato e che lui nascondeva per riserbo o per pudore, non avrei saputo dirlo, ma non penso che mio padre si vergognasse di ciò che aveva fatto, forse si sentiva troppo superiore per raccontarlo -. Era un veterano, un uomo di quelli che si guarda sempre con rispetto, ma era anche un capo che la guerra l’aveva portata insieme al vessillo di un crudele tiranno per cui aveva lavorato per anni, perché mio padre era stato un mercenario. E mercenario significa vendere la propria violenza.

Non gli faceva onore tutto ciò nè gli rendeva omaggio. Eppure noi lo omaggiavamo come un uomo grande, perché realmente lui era per noi troppo importante. Aveva fatto vibrare la terra con l’apprestarsi dei suoi passi quando il vento faceva ululare il suo nome nelle valli, aveva fatto penare eserciti col suo arrivo sul campo, aveva fatto paura alle genti e il suo nome non era stato dimenticato nei meandri dell’universo.

Ora cos’era diventato mio padre? Un uomo normale, in apparenza, un padre di famiglia tranquillo, un tipo ombroso e poco loquace ma presente. Lo avevamo reso umano, o forse eravamo riusciti a far placare la parte più selvaggia che albergava in lui come un diavolo che dorme. Ma che non è morto.

Un vulcano quiescente. Non spento. Mio padre era questo.  Gli ardeva negli occhi una fiamma di desiderio di guerra che solo quando mi ci ero scontrato negli allenamenti avevo scorto: se lo sfidavo, come lui mi chiedeva di fare provocando il guerriero che era in me, e lo combattevo sempre con quel reverenziale timore di mancargli di rispetto – non mi sarei mai permesso di farlo, un po’ per via dell’educazione che avevo ricevuto, un po’ per paura, lo ammetto – il principe che era in mio padre sembrava prendere coscienza in una sorta di dormiveglia, ma non si svegliava mai del tutto, forse era lui stesso ad impedirgli di farlo, forse la sua parte umana lo tratteneva in quello strano sonno in cui fluttuava come in un mare tempestoso da anni. Non riemergeva, ma io avevo scorto più volte la sua ombra avvicinarsi alla superficie di quella precaria pazienza.

Mia madre non era mai sembrata preoccuparsi della cosa, invero faceva finta di niente trattandolo sempre con gentilezza e affrontandolo anche con un grande coraggio. L’avevo ammirata molto per questo, per me lei era stata il rifugio, ma anche l'appiglio da cui trarre la forza, la sicurezza,  perché non era facile trovare qualcuno in grado di tenere testa ad un uomo com’era stato mio padre. Lui avrebbe potuto ammazzare per orgoglio, avrebbe potuto ammazzare anche solo per rabbia, senza mai rifuggire un tale peccato con la coda tra le gambe: aveva avuto sempre un coraggio smisurato ma anche una gran voglia di tornare all’inferno per cercare gli avversari che lo stavano ancora insultando.

Mia madre invece aveva cercato sempre di trattenerlo, di rabbonire quel guerriero impavido che dietro la corazza di orgoglio e di fierezza, e persino di una timidezza spessa come la patina d’ombra dei suoi occhi, aveva un cuore grande, un cuore ferito, un cuore rinnegato per anni, ripudiato, esiliato, dimenticato… Un cuore che mio padre aveva ritrovato, o forse solo scoperto, quando era stata mia madre a risvegliarlo. 

Aveva battuto per lei, quel cuore...  Aveva pulsato per lei, di questo ne ero certo, come il giorno in cui per me e per lei mio padre era andato a fare la guerra, sacrificandosi per salvarci, barattando la sua vita di cui forse era persino stanco perché si preservasse la nostra. Ci aveva salvati comunque, anche se la guerra ci aveva poco dopo distrutto.

Lui ci aveva salvati dalla sua indifferenza.  

Mia madre lo aveva pianto disperatamente e per la prima volta forse chi ci era attorno si era accorto di quel legame forte e intenso, perché neppure io avrei saputo definirlo diversamente. A casa mia la vita era stata tranquilla, la coppia dei miei genitori turbolenta, ma nonostante i continui litigi nessuno dei due si era mai voltato le spalle e aveva detto basta. Si amavano. A volte li avevo visti parlare con una strana tranquillità, in quell’insolita intimità in cui raramente venivo coinvolto: erano riserbati amanti, i miei genitori, e non che mia madre fosse timida, piuttosto era risaputa la sua esuberanza, sono a conoscenza che al tempo della sua giovinezza era stata con Yamcha e che si era persino parlato di sposarsi, ma la sua discrezione era il filo con cui era riuscita ad irretire mio padre ancorandolo a questo posto che noi chiamiamo casa, e se a volte lo metteva a disagio volutamente come per sfidarlo, e noi ne ridevamo complici, invero mia madre controllava fin troppo se stessa: aveva gli slanci di una bambina, l’animo romantico di una sognatrice, la dolcezza di un’adolescente che con lui non veniva a galla. Anche mia madre aveva dovuto sacrificare qualcosa di importante per avere quell'uomo al proprio fianco, e ciò che aveva sacrificato per amore era una parte di se stessa.

Era una donna forte. Per amore di mio padre avrebbe fatto di tutto, e forse era stato proprio quell’amore devastante a conquistarlo. Com’era stato per lui sentirsi amato a quel modo, in quella maniera viscerala, profonda, ritrovarsi gli occhi di mia madre addosso nella camera da letto, a venerarlo, e poi in un salotto, a sfidarlo.  Immaginarli insieme mi aveva fatto sempre accapponare la pelle, ma credo sia una forma di orticaria che colpisce tutti noi figli. Il sesso non è roba pudica, è una cosa sporca, cruda ed esplicita come lo è la carne senza gli abiti addosso. Non potevo ipotizzare - e neppure adesso riesco a farlo concretamente – che loro due condividessero il letto, che mi avessero concepito per sbaglio, come frutto di una passione incontrollata che aveva avuto una conseguenza imprevista.

E quella conseguenza ero io.

Non so se mio padre sarebbe rimasto se io non fossi nato, a dire il vero me lo sono sempre chiesto. Mia madre mi aveva raccontato di un mio alter ego, di un altro me che era venuto da un futuro diverso cercando di aiutarci. Io iniziavo a muovere i primi passi all’epoca in cui egli era giunto, non posso ricordarlo, ma lei mi aveva rivelato, perché a sua volta le era stato riferito da Yamcha, che quando quel Trunks era morto mio padre si era arrabbiato ferocemente. E solo l’idea mi fa sentire ancora importante. Significare qualcosa per mio padre non può essere da me quantificata con nessun prezzo. I suoi rari segni di affetto, timidi ma profondi, mi hanno segnato dentro, me li sono portati con me tutta la vita, li ho stampati nella mia mente in un posto dove non esiste l’annientamento.  Quei ricordi mi riscaldano quando nei momenti di solitudine e di malinconia mi ritrovo a cercarli, sentendomi ancora un adolescente e percependo mio padre accanto, presente, pur se chiuso in un silenzio perenne.

Al tempo in cui giunse un nuovo nemico sulla Terra, teatro di sventure ormai perenni, mio padre come sempre aveva risposto alzandosi in piedi al grido della battaglia. Non si tirava mai indietro davanti a nessuna guerra, era sempre pronto per questo, combattere e morire non gli faceva paura né gli insinuava un brivido di debolezza, e costantemente mi rammentava che neppure io dovevo averne, che il più grande onore per un guerriero è morire in battaglia.

Eppure aveva tradito le sue parole severe e importanti, era venuto a meno ai precetti con cui mi aveva educato in quell’epoca moderna dove lui sembrava un pezzo d' antichità fuori posto: non mi aveva portato con sé… Mi amava troppo. Io, mia madre e mia sorella eravamo diventati il suo tallone d’Achille, il punto debole della sua ignobile e travagliata esistenza: mio padre era stato venduto da suo padre quando era un bambino; era stato venduto come una mera merce di scambio e come principe lui aveva rappresentato la garanzia di un freddo patto; poi aveva perso tutto, un giorno di neppure un anno dopo che prendeva gli ordini di Freezer, il suo popolo era stato distrutto. E un principe senza popolo è principe solo del niente.

Avevano cercato di togliergli il nome mandandolo a viversi tutte le guerre, forse sperando che lui lì perisse, ma alla fine lo avevano reso un ramingo nell’universo, perchè lui non era morto, perchè la guerra non l'aveva distrutto, perchè quel suo nome significava regale, significava avere sangue blu dentro la carne e mio padre era un principe fiero e indomito dentro, anche se i suoi geni non erano stati diversi da quelli di Goku o di Gohan, o di qualcun altro, e nelle radici della sua esistenza c’era la storia di un’antica famiglia, di un popolo forte, bellicoso, violento; c’era la storia di una razza di guerrieri che quel mestiere spietato lo avevano scritto nel sangue come una condanna. Alla fine era tornato libero, aveva cessato di prendere ordini, e rinunciare a combattere per mio padre era stata una scelta, un sacrificio, una privazione profonda e importante; era stato come strappare una parte di quelle radici, come cercare di uccidere una parte di se stesso. Quello che l’aveva salvato era stato l’amore di mia madre, così serena, costante, presente, il soporifero per la belva infuocata che mio padre aveva imprigionato e che ferocemente si era mossa per anni come la tigre in una gabbia che guarda oltre le sbarre.   

“Mi vuole bene?” Ricordo di averlo chiesto a mia madre quando avevo sei anni.

“Te ne vuole molto” mi aveva risposto lei con sicurezza. “Solo non è bravo a dimostrarlo. Non dubitare mai dei suoi sentimenti. Le persone che nella vita ti circonderanno, non sempre saranno quello che sembrano in apparenza.”

“Tu come fai a saperlo?”

“Perché lo so”.

E mi aveva sorriso. E ora so che dietro quel sorriso, dietro quella sua sicurezza c’era l’abbraccio di mio padre, la sua stretta silenziosa e ferrea ma totale e rassicurante. So che la notte, quando nessuno osava intromettersi in quella loro intimità proibita a chiunque, lui doveva abbracciarla. E invero una sola volta nella vita l’avevo visto farlo, ed era stato quando era andato via ancora una volta per difenderci, allontanandosi da casa sempre con quella fierezza, con quell’orgoglio che gli impediva di dimostrarci quanto fossimo importanti. Mia sorella all’epoca aveva sette anni, io poco più del doppio ed ero ormai pronto a combattere anche in una grande battaglia, al fianco di mio padre - e quando avevo bramato quel momento, voi non potete immaginarlo -.  Mi ero aspettato lui mi portasse con sé, ma invero non mi aveva chiesto di seguirlo e me lo aveva impedito duramente, perché nel suo cuore, pur senza avermelo detto, voleva che la parte di lui che in me stava vivendo rimanesse a vegliare su sua moglie.

Come poteva amarla così smisuratamente e trattenerlo? Come riusciva a non darlo a vedere se era così forte il proprio amore nei suoi confronti? Mentre mia madre si affannava per non perderlo, cercando di farlo desistere dall'andare in battaglia, avevo scorto mio padre compiere per la prima volta un gesto spontaneo di affetto.  Avevo diciassette anni. Ricordo bene quello che ho visto.

 

Continua…

  
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