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Autore: Toki_Doki    06/07/2014    1 recensioni
Monica, un'italiana ventiquattrenne che si trasferisce a Londra per realizzare il suo sogno. Si imbatterà nell'attore che ha sempre desiderato incontrare e che, forse, le rovinerà la vita. Ma chi può dirlo?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 04
Occhi in tempesta

Era venerdì e, come promesso, sarei tornata al corso del Signor Miron. Sarebbe iniziato alle 5pm, ma decisi di andare un po’ prima per parlare con lui.
Avevo in testa mille dubbi e paure e non riuscivo a capire quale fosse la scelta migliore da prendere. Nonostante fossero passati soltanto due giorni da quella proposta, non avevo fatto altro che pensarci e ammalarmi il cervello per trovare subito una risposta da dare. Non c’era alcuna fretta ma, conoscendomi, sapevo bene che non sarei riuscita a decidere se qualcuno non mi avesse aiutato. Per le decisioni importanti ero sempre titubante; contavo sulla grande passione per la fotografia ma non mi aiutava neanche quella. Avevo bisogno di qualcuno con esperienza nel campo, che ascoltasse le mie innumerevoli pippe mentali e che mi guidasse verso la direzione giusta.
Uscita dalla caffetteria, mi fermai in una tavola calda vicino lo studio per mettere qualcosa sotto i denti e ripassare mentalmente le domande che mi ero preparata in quei giorni.
Erano stati due giorni di inferno: Matt mi aveva riempito di sms per scusarsi ed insultarsi per aver perso l’occasione di farsi piacere, mentre alternavo i miei dubbi esistenziali sulla proposta di X a quelli su Benedict. Quell’uomo mi aveva incasinato la vita senza neanche saperlo! Stavo sempre peggio ed erano passate soltanto 48 misere ore da quando l’avevo visto l’ultima volta. Che poi aveva confermato il soprannome che gli avevo affibbiato: Mr Darcy. Mi si bloccò il cuore nel ricordare che lui aveva chiamato me Miss Bennet.
Sospirai lasciando il tavolo e recandomi nello studio di Miron.
Controllai l’orologio: 15.02. Era troppo presto, ma decisi comunque di entrare: c’avrei parlato e poi mi sarei fatta un giro da quelle parti prima dell’inizio del corso.
La segretaria mi diede l’ok e mi avvicinai alla porta chiusa del suo studio. Presi un bel respiro e feci per bussare ma aprirono. Il ragazzo che uscì fece un sorriso e si dileguò.
Mi accomodai sulla sedia, che stava diventando fin troppo familiare, ed aspettai che Miron si voltasse: stava cercando un libro negli scaffali dietro la sua scrivania. Forse non si era neanche reso conto della mia presenza; mi schiarii la voce ma non riuscii ad attirare la sua attenzione come volevo.
“Buongiorno signor Miron!” Affermai allegra.
Si voltò con un libro aperto in mano, si aggiustò gli occhiali sul naso e tese le labbra in un sorriso.
“Ciao Monica.” Si sedette e poggiò il libro accanto al computer.
“Mi scusi se sono venuta senza preavviso ma avrei bisogno di parlarle.”
Si tolse gli occhiali e si massaggiò le tempie restando con gli occhi chiusi.
“Dimmi pure.”
“Non riesco a prendere una decisione. So che sono passati soltanto due giorni, ma la mia testa sta andando ancora di più in paranoia! Cosa devo fare per capire qual è la scelta giusta?” Aprì un cassetto della scrivania e tirò fuori una moneta. Sospirai incredula.
Restò a guardarmi serio per qualche istante e alla fine non riuscii a trattenermi.
“La prego, il trucco della monetina no!” Mi guardò seccato. “Lo conosco e vorrei evitarlo.”
“Non vuoi neanche tentare?”
Feci no con la testa chiedendomi come facesse a non sentirsi un minimo imbarazzato per quell’ideona che gli era venuta.
“Sarà la mia ultima spiaggia.” Sorrisi appena.
“Quali sono i dubbi che ti affliggono?”
“Ho paura di non farcela. Di non sopravvivere in quel campo. La concorrenza è spietata, gli artisti sono strani… Non so se mi piacerebbe percorrere quella strada. Non è il tipo di fotografia a cui aspiravo.”
“Ma?”
“Ma potrebbe aprirmi le porte per altre esperienze. Arricchirebbe il mio bagaglio personale e sarebbe un ottimo modo per farsi conoscere.”
“Beh, sì, ma stai sbagliando metodo di giudizio.” Lo guardai confusa. “Non pensare ai pro e i contro, pensa a cosa ti renderebbe felice. Immagina come potresti essere e dove potresti stare tra qualche anno grazie al lavoro che ti hanno proposto e cerca di capire se è ciò che vuoi. Hai tutte le potenzialità per cavartela in quel campo, e ci sono io ad aiutarti.” Mi sorrise paterno. “Ti piace il lavoro in caffetteria?”
“Sì, lo adoro. Mi hanno accolta come una di famiglia dandomi l’opportunità di imparare e migliorarmi, non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche da quello linguistico. Sono stati davvero pazienti. Devo loro tutto, anche la voglia di restare a Londra.”
“Quanto intendi fermarti qui?” Bella domanda!
“Ero partita con l’intenzione di restare 6 mesi, ma poi mi hanno proposto un contratto annuale dopo i primi 3 mesi ed ho deciso di accettare trovandomi bene. Sapere di avere un lavoro fisso mi fa dormire serena la notte. Non voglio tornarmene a casa con la coda tra le gambe e riniziare la mia vita schifosissima.”
“Quando avevo 21 anni, la mia insegnante di filosofia al College mi propose di partecipare ad un convegno come suo assistente. Accettai volentieri e ne sono felice perché mi fece capire che non era ciò che volevo diventare; non volevo essere un insegnante noioso e monotono ma volevo vivere e divertirmi. Mi sono avvicinato alla fotografia a 30 anni e, mi chiedo ancora come, sono diventato insegnante di quel campo. È assurdo no?” Gli brillavano gli occhi. “Ora ho 48 anni e sono fiero del mio lavoro, ma se non avessi avuto il coraggio di mollare il College non avrei fatto questa vita che tanto amo. Ho girato il mondo; scattato solo Dio sa quante foto e vissuto appieno questi 26 anni. Ho deciso di stabilirmi definitivamente in quest’università non solo perché è un posto di prestigio, ma anche perché ho bisogno di metter radici; voglio un posto da poter chiamare casa.” Sorrise malinconico. “Pondera bene le tue scelte, ma non con la testa.”
Dovevo buttarmi o no? Il suo discorso mi era servito ad acquisire più coraggio ma mi si stringeva il cuore se pensavo di dover lasciare la caffetteria.
“Terrò a mente ciò che mi ha detto e ne farò tesoro.” Gli sorrisi davvero grata.
“Devo chiedertelo!” Il suo viso assunse un’espressione divertita. “Che effetto ti ha fatto lavorare con Benedict Cumberbatch?” Mi si bloccò il cuore.
“Beh, ecco… sono stata davvero felice di averlo incontrato.” Non mi sembrava il caso di narrare le mie vicende comico-drammatiche. “Lei sa quanto io lo ammiri come uomo e come attore.” Gli sorrisi debolmente, in visibile imbarazzo.
“Spero per te che avrai modo di vederlo ancora.”
“Perché mi guarda in quel modo?” Alzò le spalle.
“Mi stuzzica l’idea di saperti in balia di quell’uomo.” Sgranai gli occhi e mi sentii bruciare le guance.
“Cosa?!?” Distolsi lo sguardo. “Non sono in balia di nessuno.”
“Era una situazione ipotetica.” Tossì appena. “Ti ha segnato quell’incontro, vero?”
“Sono una donna, non una ragazzina che incontra la sua boyband preferita!”
Feci la sostenuta, o almeno ci provai. Non potevo ammettere che da quando l’avevo visto la prima volta i miei pensieri ruotavano unicamente intorno a lui: era patetico!
“Dalla scena muta che hai fatto direi che non sei una ragazzina: non hai urlato né ti sei strappata i capelli.” Rise. Che c’era di divertente? “Gli sei piaciuta.” Mi spiazzò.
“Cosa?!”
“Il giorno successivo è tornato per vedere gli scatti che gli avevi fatto. Voleva chiederlo a te ma non c’eri.”
“Perché non me l’ha detto subito?”
“Non volevo farti credere in chissà cosa.”
“E perché ora me lo sta dicendo?” Inarcai un sopracciglio.
“Perché non sei una fangirl, come dite voi giovani.” Mi sorrise.
“Gli sono piaciute le mie foto...” Bofonchiai tra me e me come per assicurarmi che fosse vero.
“Ne ha voluto una copia.” Mi sentivo felice.
“Di me…” mi schiarii la voce “…ha chiesto niente?”
Continuavo a far vagare lo sguardo da una parte all’altra della stanza preparandomi alla batosta che stava per arrivarmi.
“Sei davvero tenera.” Lo guardai e mi sorrise. “Mi ricordi mia figlia.”
“Ha una figlia?” Annuì.
“Si chiama Anne, ha 18 anni.” Sorrise dolcemente. “Comunque mi ha chiesto il tuo nome, che non ricordava, e la tua età. Quando gli ho detto che hai 24 anni è rimasto perplesso: ti credeva più giovane.” Sorrisi istintivamente.
“Ne sono lusingata.”
“Sei arrossita.” Aveva un sorrisetto troppo divertito per i miei gusti. “Mi dispiace dover interrompere qui il nostro colloquio, ma ho una riunione tra mezz’ora.” Mi sorrise garbatamente.
“Non le ruberò altro tempo.” Mi alzai e gli tesi la mano. “Grazie di cuore per tutto.” Mi strinse la mano con vigore.
“È sempre un piacere aiutarti.”
“Ci vediamo più tardi.”
Lasciai la stanza con le sue parole che rimbombavano nella mia testa; tutto ciò che mi aveva detto si agitava confuso e i pensieri si mescolavano. Mi stava venendo un cerchio alla testa! Controllai l’ora e decisi di fare un giro nella City e poi andare a prendere un tea in caffetteria.
Entrai e subito Christian spalancò gli occhi e mi fece cenno di raggiungerlo al bancone.
“Non potevi venire 10 minuti prima?” Chiese quasi urlando.
“Cos’è successo?” Sembrava non stare più nella pelle. Si guardò intorno sorridendo, poi mi consigliò di sedermi.
“Dimmi che c’è!”
“Ti porto il tea e te lo dico!” Ridacchiò stupidamente.
Lasciai correre ed andai a sedermi. Poco dopo mi portò il solito e si sedette con me.
“Dovresti tornare al lavoro.” Lo rimproverai.
“È venuto a cercarti un ragazzo.” Sbuffai.
“Ti prego: dimmi che non era Matthew!”
“Non era quel tipo.” Sorrideva come un ebete. “Non volevo crederci quando l’ho visto!”
Iniziavo a perdere la pazienza. Lo guardai storto ma rimase in silenzio.
“Dimmelo e basta!”
“Benedi-”
“No!” Urlai sporgendomi verso di lui; quasi rovesciai la tazza con il tea. “Mi stai prendendo in giro?” Avevo il cuore che stava per esplodermi.
Fece no con la testa e si mise a braccia conserte.
“Se ne è andato neanche 5 minuti fa.” Mi morsi il labbro dal nervoso.
“Ti ha lasciato detto qualcosa?”
“Mi ha chiesto quando avrebbe potuto trovarti e gli ho dato i tuoi turni.”
“Grazie! Grazie mille!”
“Come l’hai conosciuto?” Mi chiese inarcando un sopracciglio.
“Ti ricordi il servizio fotografico per la rivista X a cui il Signor Miron mi ha fatto partecipare?” Fece sì con la testa. “Il soggetto delle foto era lui.” Sorrisi.
“Perché non me l’hai detto?” Si arrabbiò.
“Non lo so! Non volevo farmi coinvolgere troppo da quell’episodio. E non volevo risultare patetica.”
“Hai realizzato uno dei tuoi sogni, per la miseria! Credevo di essere il tuo migliore amico!” Mi stava facendo sentire in colpa. “Mi hai sempre parlato di tutto!” Incrociò le braccia al petto.
Non ritenevo nessuno amico per non starci troppo male una volta lasciata Londra, ma con lui era diverso: di lui mi ero già affezionata al punto da ritenerlo fondamentale nella mia vita.
Mi scusai e gli raccontai cos’era successo quel giorno e, alla fine, anche degli altri incontri.
“Non nascondermi più niente, intesi? Devi pur parlarne con qualcuno e vorrei che fossi io!” Mi guardò dolce.
“Mi dispiace! Da ora in poi saprai ogni minima cosa di me.”
Gli feci l’occhiolino, finii di bere e lo costrinsi a tornarsene al bancone per adempiere ai suoi doveri.
Prima di andarmene lo ringraziai ancora e mi rassicurò dicendo che secondo lui sarebbe tornato.
Era venuto per quel tea ripensai abbattendomi. Proprio il giorno che avevo fatto mattina doveva andare a beccare? Sbuffai nervosamente scalciando un sassolino.
Mi diressi verso l’ascensore con le più nere vibrazioni che si possano emanare.
Non sarebbe mai tornato; non aveva alcun motivo di stare ai miei comodi, soprattutto per la vita che faceva. Il Signor Cumberbatch che deve far quadrare gli impegni per incontrare una cameriera senza né arte né parte. Mi salirono le lacrime agli occhi.
Premetti il tasto 8 per raggiungere l’aula in cui Miron teneva il corso, che poi era la stessa in cui teneva le lezioni. Lavorava in quella prestigiosa università da soli due anni ma godeva della stima e dell’ammirazione dell’intero corpo docenti.
Le porte stavano per chiudersi quando qualcuno si fiondò dentro: aveva il respiro corto; mi lasciò disarmata e senza parole.
“Tutto bene?” Mi obbligai a dire, fissando Benedict che cercava di riprendersi.
“Sì, più o meno.” Fissò i suoi occhi nei miei.
“Come mai qui?”
“Ho fatto un salto” pensai automaticamente alla sua foto degli Oscar e a quelle ritoccate dai fan. Scoppiai a ridergli in faccia mentre aggiungeva qualcosa che non sentii.
“S-scusami.”
Vederlo così serio e distinto e poi pensare a quella foto… Non riuscivo a smettere di ridere. Cercai di guardarlo dandomi un contegno visto che si era fatto serio.
Distolse lo sguardo e prenotò il piano terra; mi sentii morire. Dovevo dire qualcosa per rimediare all’offesa che gli avevo recato ma non sapevo neanch’io cosa!
“Non volevo offenderti.” Voltò appena il viso ma si rigirò subito. Deglutii a fatica. “Mi dispiace.” Quasi sussurrai.
“Perché ti sei messa a ridere?”
“Ho ripensato ad una cosa buffa…” Fissavo il pavimento.
“Non è la prima volta che mi scoppi a ridere in faccia. Non mi piace.”
Che stupida ero stata! Mi maledii per essere stata così sciocca ed infantile.
“È qualcosa che mi riguarda che ti ha fatto scoppiare in una risata così accorata?”
Feci sì con la testa e mi morsi il labbro sperando non volesse sapere cosa.
“Illuminami.” Lo guardai per un attimo: sembrava più calmo.
“Ripensavo ad una tua foto.” Corrucciò la fronte. “Agli Oscar. Dietro gli U2.”
“E quindi?”
“E quindi?!? Ma l’hai vista? Hai un’espressione impagabile!” Risi. “Poi devi vedere tutte le foto in cui ti hanno photoshoppato! Ho passato un pomeriggio intero a guardarle!”
Non aveva cambiato minimamente espressione.
“L’ho rivista.” Fece una breve pausa. “Ed hai ragione.” Fece una mezza risata e tornò a guardarmi, col viso luminoso questa volta.
Il cuore saltò un battito.
“Mi piace vederti sorridere.” Confessai senza pensarci mentre le porte dell’ascensore si aprivano al 5° piano per far salire delle persone, tra le quali c’erano dei miei compagni di corso e Matthew.
Ci spostammo di lato per farli entrare. Gli davo le spalle; chiusi gli occhi per un attimo sentendomi le gambe tremare.
Mi si avvicinò Matt, facendosi largo e scusandosi, e mi salutò con un abbraccio e un bacio sulla guancia che non ricambiai: ero ancora arrabbiata.
Lo guardai torva mentre continuava a sorridermi come un cucciolo stolto di una qualche razza aliena. Distolsi lo sguardo per fare la sostenuta, anche se mi veniva da ridere per la sua faccia buffa, ed incrociai le braccia al petto. Mi accarezzò dolcemente il viso e riportò i miei occhi nei suoi: stava cercando il perdono ed era sinceramente dispiaciuto.
“Me la dai una seconda possibilità?” Quasi mi implorò. “Ci tengo davvero.”
“Potevi pensarci prima.” Mi arrivò il suo alito tra i capelli procurandomi un brivido.
Mi voltai il tanto che bastava per guardare gli occhi meravigliosi di Benedict e restammo, sia io che Matt, a fissarlo sorpresi.
Voltò leggermente il viso contro la parete e alzò le mani in segno di scusa; per farlo quasi sfiorò la mia schiena. Il cuore mancò un battito.
Quando tornai con lo sguardo davanti a me, Matt mi fissava interrogativo ma io ne sapevo quanto lui! Mi si avvicinò e fece per sussurrarmi qualcosa all’orecchio; le sue labbra quasi mi sfioravano quando Benedict posò una mano sul mio fianco e mi tirò delicatamente a sé privandomi della domanda del mio quasi di nuovo amico. Stavo per entrare in iperventilazione nel sentire il suo corpo contro la mia schiena.
“Dobbiamo scendere.” Si giustificò indicando con un cenno del capo le porte aperte sul piano 8. Dobbiamo?! pensai scettica.
“Non tornavi giù tu?” Lo guardai con un sopracciglio inarcato.
Fece no con la testa e mi spinse per farmi uscire prima che l’ascensore si chiudesse di nuovo. Matt mi cinse le spalle con il braccio e mi portò praticamente via, probabilmente per chiedermi ciò che voleva sapere.
“State insieme?” Chiese quasi in un sussurro.
Mi si bloccò il cuore; elaborare una risposta non fu mai così difficile. Non perché non la conoscevo, anzi! Un no si fa presto a dirlo, ma la domanda in sé mi aveva mandato in crisi perché avevo sempre immaginato come potesse essere starci insieme ed ora, che qualcuno potesse sospettare che fosse così, mi sembrava una specie di miracolo; come se Babbo Natale avesse sceso il camino di casa e mangiato i biscotti davanti i miei occhi. Insomma, era un miracolo no?!
Ridacchiai nervosamente, giusto per cercare di fargli capire che era ridicolo, poi scrollai la testa.
“No! Ti pare?”
Diede un’occhiata dietro di noi e, come una cretina, lo feci anch’io non resistendo alla curiosità di vedere cosa facesse e alla voglia di guardarlo camminare.
Stava con le mani nelle tasche dei pantaloni; la giacca aperta mostrava una camicia bianca che gli stava a pennello; i capelli gli si muovevano, come se danzassero al passo del suo andamento: era uno spettacolo della natura ed il mio cervello stava di nuovo in panne.
Non appena alzò gli occhi incontrando i miei, mi voltai per riguardare dove mettevo i piedi. Avevo il cuore in gola e quel sadico di Matt se la stava ridendo alla grande. Gli diedi una gomitata per farlo smettere, ma servì solo a sentire i suoi addominali di marmo. Sgranai gli occhi sorpresa.
“S-sei muscoloso!” Esclamai alzando leggermente la voce senza volerlo.
Si fermò all’improvviso, ed io con lui. Si aprì la giacca, alzò la maglietta e mi mostrò il suo fisico scolpito.
“Prendetevi una stanza.” Ci rimproverò Benedict mentre passava fra noi. “Non a tutti piace uno spettacolo del genere.”
L’unico spettacolo qui eri tu, brutto cretino! gli avrei voluto gridare contro, ma mi morsi la lingua per non peggiorare la mia situazione e non accrescere l’imbarazzo che stavo provando.
“Allora vieni a casa mia sta sera.” Mi rivolse un ghigno divertito, anche se non mi era chiaro se stesse scherzando o no.
Nel dubbio declinai l’offerta ridendo e facendo una mezza battuta, poi mi chiese:
“Ma da quant’è che Mr Simpatia ti conosce?”
“Non criticarlo, non sai niente di lui.”
“E tu sì invece?” Mi rattristai davanti l’evidenza. “Scusa.” Sospirò. “Cercherò di non dire più cose stupide.” Mi sorrise e contraccambiai sincera.
“Ed io cercherò di perdonarti per la bella serata che mi hai fatto passare Mercoledì!”
Si grattò la testa mortificato; gesto che mi convinse a dargli una seconda possibilità: in fondo tutti la meritano.
“C’è un film che vorrei andare a vedere.” Buttai lì fermandomi prima di entrare nella stanza. “Saremo due, tre amici. Se vuoi unirti a noi ci organizziamo.”
Gli si illuminarono gli occhi; mi fece piacere ma non ero convinta di fare la cosa giusta. Pregai la mia coscienza di diventare più sveglia e prendermi a pugni se sentiva puzza di bruciato. O magari dovevo svegliare il mio cuore. Mi chiedevo sempre più spesso perché facevo sempre affidamento alla parte razionale di me e non quella passionale o sentimentale; insomma la parte irrazionale se viene ferita o anche solo scalfita, si tiene tutte le cicatrici. Ok, mi ero risposta da sola: non volevo star male, non più.
Non dovevano esserci più Luca a farmi male; ad approfittare di me per poi lasciarmi non riuscendo a tenermi testa. Codardo di un Luca! Pensare a lui mi faceva odiare all’istante l’intero genere maschile.
Borbottai tra me e me una sequela di imprecazioni contro quel dannato Luca mentre mi sedevo e sistemavo la borsa sullo schienale, poi una risata mi riportò sulla terra e subito feci vagare lo sguardo fino alla porta aperta per guardare in corridoio. Purtroppo da dove ero non riuscii a scorgerlo.
Un foglietto appallottolato raggiunse il mio banco. Ero all’asilo per caso? Lo aprii senza sapere se fossi più divertita o più curiosa.
Il tuo amato sta flirtando con tutte le ragazze del corso e tu te ne stai lì seduta?
Guardai automaticamente quel cretino di Matt e gli imbruttii. Aggiunsi di seguito la mia risposta: Chissenefrega!!!!!  Glielo lanciai sperando raggiungesse il suo banco vicino la porta. Da lì, effettivamente, poteva davvero vedere cosa succedeva. Mi guardai intorno notando che c’eravamo seduti in 5 ed io ero l’unica donna. Mi accigliai ma mi sentivo anche tremendamente arrabbiata. Un rumore attirò la mia attenzione. Spiegai il foglio e cercai la risposta alla risposta: Con la scusa di sapere quando inizia la lezione, esci e fatti spazio! Non fare l’ameba incazzata e tira su quella testa! Tira fuori le unghie, tigre!
Doveva sicuramente lavorare sui discorsi di incitamento, ma almeno servì a scuotermi. Tirai indietro la sedia e, dopo aver disegnato un cuoricino sul foglietto, mi alzai; lasciai a Matt la mia profonda risposta zen e raggiunsi quelle tro- ragazze fuori. Se ne stavano tutte intorno a lui e al Signor Miron che sembrava rosso di vergogna, ma probabilmente aveva solo caldo.
Mi schiarii la voce per attirare l’attenzione e parlai:
“Scusi, ma quando iniziamo? Siamo in ritardo già di 10 minuti.”
“Il corso non si terrà. Almeno non in modo convenzionale.” Sospirò. “Il mio amico c’ha fatto visita e come vedi c’è un po’ di scompiglio.” Incrociai le braccia al petto.
“Quindi?” Inarcai un sopracciglio e rivolsi un’occhiata fugace al disturbatore.
“Entriamo in aula e tartassiamo Benedict di domande.” Civettò Marica, se ricordavo bene il nome, e subito si voltò per non perdersi neanche un istante dell’occasione che si era presentata.
Se era lì era merito mio! Mi lamentai mentalmente convinta che fosse lì per me. Volevo fosse un’esclusiva… ero una ragazzina egoista e capricciosa. Non era il mio giocattolo, né la mia lecca- lecca. Ok, esempio sbagliato! Mi sentii arrossire. Ma perché la mia mente vagava in così poco tempo?! Mi maledii per poi accorgermi che stavano entrando.
Benedict e Miron fecero passare prima le ragazze e restarono a guardare me, fissa immobile su quelle due mattonelle lisce di marmo. Deglutii e abbassai lo sguardo.
“Se ti sembra una perdita di tempo puoi tornare a casa.” Mi provocò Benedict con gli occhi in tempesta.
Mi rivolsi al Signor Miron: “Possiamo porgere le domande che vogliamo?”  Annuì.
Feci un sorrisetto sghembo al mio sogno proibito e raggiunsi il mio posto che ora sembrava troppo vicino alla cattedra.
Allungai le gambe incrociandole e mi misi a braccia conserte ad osservarli parlottare alla cattedra.
Dopo aver attirato l’attenzione di tutti con un colpo di tosse e aver riportato il silenzio in aula, Benedict fece una breve presentazione- nome, età, professione- e lasciò subito spazio alle nostre domande.
Decisero di fare per alzata di mano; a me sarebbe sembrato più logico seguire l’ordine dei banchi, ma contenti loro contenti tutti.
La prima a parlare fu Marica che gli chiese subito se era fidanzato. Alzai la mano per protesta e, di sicuro, Miron lo intuì perché mi diede la parola sbuffando.
“Possiamo evitare argomenti futili e pensare solo al lato professionale?” Di vederlo evasivo e scoglionato per le domande impertinenti non mi andava.
Ovviamente si alzò subito un borbottio di lamenti e di insulti parafrasati.
Benedict mi fissò con un leggero sorriso e l’unica cosa a cui pensavo era la sensazione che mi era presa alla bocca dello stomaco.
“Non parlo della mia vita privata ma visto che la risposta è no, posso darvela tranquillamente.”
Sapevo che era stato fidanzato per 10 anni e che poi si erano lasciati per lavoro. Viversi Ben per 10 lunghi anni… Avevo le farfalle nello stomaco solo a pensarci.
Le domande seguenti non furono poi così migliori: gusto di gelato preferito; film preferito; musica e dolce preferito.
Stufa, alzai la mano cercando di risollevare le sorti del Q&A.
Miron, come avesse avuto l’apparizione di un angelo, mi diede subito la parola; nel frattempo Benedict si grattava la fronte e faceva vagare lo sguardo dalle sue scarpe a quelle del ragazzo seduto di fronte a lui.
“Com’è stato lavorare con Tom Hiddleston? Ti piacerebbe poter recitare di nuovo con lui, magari a teatro?”
Avevo avuto la fortuna di ottenere i biglietti per Coriolanus: l’esperienza più bella e sconvolgente della mia vita. Il prossimo passo era vedere lui a teatro.
“È un attore eccezionale e un ragazzo brillante. Siamo ottimi amici e spero ricapiteranno occasioni future.” Sorrise appena. Miracolo! “Il teatro resta sempre la più grande passione di entrambi. Chissà, magari un giorno…” Mi fece l’occhiolino; tesi le labbra in un sorriso e distolsi lo sguardo sentendomi avvampare.
Dopo aver esaurito le domande- alcuni ne fecero più di una- una ragazza propose speranzosa di fare qualche foto a Mr Darcy che, ovviamente, non si tirò indietro ma si rese disponibile. Alzai di nuovo la mano per prendere parola e Ben, vedendomi, trattenne una risata.
“Dicci tutto.” Affermò divertito. Non me lo sarei mai aspettato!
“Andiamo nel giardino sul retro? Gli alberi sono in fiore e potrebbe essere carino… sì insomma… Sempre chiusi in gabbia questi attori!” Lo sguardo dell’insegnante si accese.
“Sta sera c’è luna piena, quindi il giardino sarà piacevolmente illuminato.” Sorrise e con lui Ben: mi tolse il fiato. “Prendete le vostre cose e spostiamoci fuori.”
Batté le mani per metterci fretta.
Raccolsi le mie cose e raggiunsi Matt che mi stava aspettando in corridoio. Si complimentò per l’idea che avevo avuto e per essere uscita prima della lezione a farmi valere.
Scegliemmo l’albero con i fiori più belli e meglio illuminato.
“Ecco come faremo: avrete un paio di minuti per pensare a come volete fare la foto. Potete farne una a testa visto che siete 12 e non abbiamo tutta la notte.” Ridacchiò.
A turno indicò una persona, le fece fare lo scatto e poi chiamò l’altra.
Aspettavo impaziente il mio turno visto che avevo in mente cosa fare e avevo il timore che a qualcun altro potesse venire la stessa idea.
Finalmente toccò a me.
Mi avvicinai con l’agitazione che aumentava.
“Potresti poggiarti con la spalla destra al ciliegio?” Mi accontentò. “Metti le mani in tasca, per favore.” Lo fece. “Guarderesti la luna?” Gliela indicai; alzò gli occhi e ne rimase sbalordito: era grande e proprio sopra di lui.
Scattai al volo per cogliere quell’espressione di meraviglioso stupore. Tornò subito a guardarmi, con gli occhi ancora leggermente sgranati.
“Posso vederla?” Agli altri non l’aveva chiesto.
Mi avvicinai di nuovo a lui; si abbassò leggermente per poterla veder meglio. Evidentemente non era soddisfatto ed afferrò la mano con cui tenevo la fotocamera per sistemarla come più gli piaceva. Avevo il cuore che mi martellava nel petto.
“Posso?” Mi chiese garbatamente.
La mia Reflex non la lasciavo in mano a nessuno, ma per quelle mani avrei fatto un’eccezione. Mi assicurai che la tenesse ben salda, poi abbassai la mano. Se la portò vicina al viso; fece lo zoom ed iniziò a studiarsela, dettaglio dopo dettaglio.
Il Signor Miron prese a tamburellare il piede sull’erba umida; le ultime ragazze in fila cominciarono a schiarirsi la voce per avere il loro turno.
“Credo che debba ridarmi la macchinetta e cont-” Posò i suoi occhi nei miei e tutto finì: il brusio; il vento freddo; il tamburellare di Miron… Non c’era più nessuno, più niente se non quell’oceano in tempesta nei suoi occhi accesi.
Mi sorrise teneramente: Benedict Cumberbatch mi aveva sorriso teneramente. Mr Darcy aveva…
“Tieni.” Nel prenderla sfiorai le sue dita fredde.
“Dovresti metterti dei guanti.” Perché me ne uscivo sempre con qualcosa di tremendamente stupido?
“Dovrebbero regalarmene un paio allora.”
“Non ci credo che tu non ne abbia! Vivi a Londra: fa sempre freddo!”
“Per te che non ci sei nata e cresciuta.” Affermò beffardo. Misi una mano in vita e lo guardai storto.
“Scusate?!” Si innervosì Miron. “Potreste continuare in un altro momento?”
Lo guardammo entrambi: io scocciata per averci interrotto e lui… lui anche. Ne rimasi stupida quando, guardandolo con la coda degli occhi, avevo trovato la sua espressione seccata.
Mi schiarii la voce e tornai nel gruppo di chi aveva già scattato le foto. Inutile dire che fui assalita: vollero vedere subito quello scatto miracoloso che aveva sciolto il ghiaccio. Restarono a fissarlo per un po’ ma ne ero ridicolmente gelosa.
Ripresa la macchinetta, lo guardai anch’io visto che non avevo avuto modo di farlo minuziosamente. Ero riuscita ad immortalare lui e il suo viso stupito; il ciliegio dai fiori rosa e la luna piena. Non per vantarmi ma era stupenda, forse la foto più bella che avessi mai fatto. Sorrisi felice: sarebbe stato il mio tesoro. Appena spensi la macchinetta, Matt mi si avvicinò con quel sorriso che mi aveva colpito dal primo giorno in cui lo vidi. Sorrisi di rimando pensando che una seconda possibilità se la meritava.
“Ho una cosa per te.” Disse piano. Mi porse la sua digitale: c’era un video.
“Ci hai ripresi?” Chiesi sorpresa. Fece sì con la testa e mi invitò a guardarlo subito. “È venuto davvero bene.” Mi complimentai con le mani che tremavano. “Mi piace vederci insieme.”
“A quale donna non piacerebbe vedersi insieme a lui?” Sorrisi imbarazzata.
“Hai ragione.” Sospirai.
“Dovresti invitare lui al cinema, non me.” Scoppiai a ridere sentendomi lo sguardo di tutti addosso.
“Non essere ridicolo! Non uscirebbe mai con una come me!”
“Perché non ci provi?”
“Per non fare la figura della ragazzina speranzosa, ingenua e stupida!”
“Giusto, meglio che lasci perdere.”
Si riprese la fotocamera e si avvicinò al professor Miron che aveva richiamato l’attenzione del gruppo. Sospirai facendo lo stesso.
Ci ringraziò per il lavoro svolto, poi ci chiese gentilmente di fargli avere le foto scattate per pubblicarle sul giornale dell’università.
Una gli chiese se potevamo pubblicarle sui social network- sennò come avrebbe saputo il mondo che aveva incontrato Benedict?- e il diretto interessato, dopo una smorfia, diede il consenso per non privare una piccola bionda del suo momento di gloria.
Il gruppo ringraziò Benedict per la disponibilità e lo invitarono a tornare di nuovo se ne avesse avuto piacere. Ci salutò e restò a chiacchierare con Miron.
Iniziammo ad andarcene ma io volevo aspettare fino all’ultimo: come facevo a tornarmene a casa sapendo che lui era ancora lì? Ok, stavo facendo i capricci. Non appena me ne resi conto, raccolsi la mia borsa e feci per andarmene.
“Miss Bennet” mi bloccò la sua voce profonda “mi concede un minuto?”
Mi voltai dopo aver preso un respiro profondo e li raggiunsi. Il signor Miron mi sorrise e ci salutò lasciandoci soli.
Non riuscivo a guardarlo negli occhi: ero troppo agitata e avrebbe solo peggiorato la situazione!
“Non chiamarmi Miss Bennet, per favore. Sono lusingata, ma non sono come lei.”
“Neanch’io sono come Mr Darcy, ma tu continui a pensare che lo sia.”
“Non puoi saperlo.” Lo guardai.
“Te lo leggo negli occhi. Ogni volta che sono distaccato; che sono freddo o sto sulla difensiva, tu lo pensi ed io lo capisco.” Il mio cuore cominciò a battere frenetico. “E capisco anche quanto ti piace.” Avvampai e distolsi lo sguardo.
Non dissi nulla perché non riuscivo neanche a pensare: uccideva le mie facoltà mentali. Poi, così vicino, potevo sentire il suo profumo dolce che riempiva l’aria.
“Devo andare.” Tornai a guardarlo. “Buona serata.” Non sorrise come avrei voluto. Non finiva mai bene.
“Anche a te.” Si voltò per andarsene. “I-io…” Non si girò nemmeno; evidentemente non mi aveva sentito.
Non avevo il coraggio di dirgli che mi piaceva da morire; che aveva ragione su tutto e che avrei voluto… scrollai la testa per non pensarci. Sentivo gli occhi bruciarmi. Con la coda tra le gambe mi avviai alla fermata dell’autobus. Passai la serata a maledirmi per aver perso l’ennesima occasione. Mi convinsi, alla fine, che forse non era destino e che non potevo chiedere tanta fortuna dalla vita.


N.d.a.
Ecco il nuovo capitolo :D
Vorrei ringraziare chi ha messo tra le preferite e le seguite questo racconto :) Grazie di cuore!! Spero di non deludervi.
Alla prossima!

   
 
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